domenica 24 novembre 2013

Come una macchia d'olio.

Mi piacciono le donne che osservano in silenzio, raccogliendo idee e dettagli come fossero semi da cui germogliano fiori di campo, che staranno attente a non calpestare quando i loro piedi saranno inumiditi dall'erba fresca su cui la rugiada si sarà posata di primo mattino.
Mi piacciono le donne che sanno piangere. Sí perché non tutte lo sanno fare. Quando piangi il viso deve essere bagnato, completamente, le lacrime devono corrugare le gote sino al collo. Mi piacciono quelle donne che non si preoccupano se il loro make-up sarà sbavato, perché ogni lacrima avrà pian piano lavato parte del dolore che le avrà ridotte in quello stato, ogni macchia sarà cicatrizzata ovunque sul loro corpo, e sí poi andranno avanti, come sempre.
Mi piacciono le donne che sanno ridere, non quelle che starnazzano, ma quelle che ridono con gli occhi illuminando il viso al punto da eliminare ogni ruga, al punto da rendere perfetta ogni minuziosa imperfezione.
Mi piacciono le donne che non si arrendono, ma che al contempo hanno paura di non farcela, allora non dormono, se ne stanno in silenzio, corrono per sentirsi più veloci di un tempo che le consuma, scrivono, urlano, si mettono a dieta.
Mi piacciono quelle donne che se vogliono qualcosa fanno di tutto per prenderselo, quelle che scendono dal loro piedistallo per rincorrere qualcuno nonostante appaia troppo distante da afferrare.
Mi piacciono le donne che leggono, che si informano, che vanno al cinema o al teatro, che sposano una causa portandola avanti con ineguagliabile passione, quelle che fanno della mente la più irresistibile arma di seduzione, un'arma a doppio taglio, ove l'ultimo taglio sarà sempre riservato a chi avranno di fronte.
Mi piacciono quelle donne che sanno aspettare e che in egual misura saranno capaci di restare, quelle che guardano un aereo decollare sperando non lo faccia, o un treno partire sperando deceleri per dare loro la possibilità di raggiungerlo. Ma mi piacciono quelle donne che non si ingannano, quelle che con egual costanza vanno via quando apprenderanno che per loro non c'é più spazio.
Mi piacciono le donne così, quelle che non hanno bisogno di trasformarsi in uomini per sentirsi più forti, quelle che faranno della loro sensibilità la loro più grande forza, quelle che cadono in tunnel bui e silenziosi per poi risalire gradatamente, senza far troppo rumore. Mi piacciono quelle donne che profumano di libertà, che trasudano passione, verità, umanità.
Mi piacciono le donne che sono così, come un'araba fenice, un caffè caldo di buon mattino, una candela profumata accesa sul comodino, una macchia d'olio, piccola, che si camuffa con la tinta scura dei pantaloni: capaci di risorgere, di reinventare e ricrearsi dalle ceneri, capaci di scottare ma di riscaldare al punto da diventare qualcosa di cui non riuscirai a fare a meno, capaci di inebriare ogni stanza in cui saranno entrate, per restare sempre lí, nascoste ma indelebili, come una macchia d'olio.

martedì 12 novembre 2013

L'amore é una cosa semplice.

Qualcuno una volta, intonando una canzone, ha detto che l'amore é una cosa semplice, e forse é davvero così.
Tra le sue molteplici ed enigmatiche facce la più semplice e delicata é lo stare bene, per questo motivo forse la più importante, perché é con il tempo che ho imparato a capire che sono le cose più semplici quelle più importanti, le uniche forse in grado di dare un valore inestimabile a qualsiasi cosa si tratti.
Allora forse l'amore é soprattutto stare bene. É stare seduti a pensare fermando il tempo in uno spazio piccolo, fatto di pareti tappezzate di posters, di una luce fioca sul comodino e di un letto scomposto, troppo piccolo per contenere emozioni che tingerebbero di rosa tutto ciò che ci circonda. É tremare quando i nostri sogni cedono il passo ad un incubo che ci vedrebbe lontano, é sentirsi al sicuro al nostro risveglio, realizzando che si é ancora lí, nel nostro soffice nido. É sentire il respiro dell'altro nelle nostre orecchie, quello che riesce ad insinuarsi sin dentro la nostra pelle. É trascorrere giornate, ma soprattutto vivere attimi, perché come le cose più semplici, sono questi ad ingigantire intere esistenze, spesso apparentemente grandi anche se fatte di niente, perché mancanti della sostanza primigenia, quella che si può cogliere in un semplice gesto, sguardo o parola, così, semplicemente.
É pianificare perché si ha desiderio di stare insieme, senza mettere paletti, senza paura di affondare nell'enigmatico mare delle domande che non trovano risposta, dei "se-ma-forse-é troppo tardi", perché laddove succedesse, lo si farebbe insieme, ed in due non occorre avere paura.
Molti si interrogano su quale possa essere il celato significato dell'amore, che spesso ci avvolge in un'aurea maledetta senza appiglio alcuno. Ed anche io, dall'alto della mia inesperienza l'ho fatto, e di tanto in tanto inciampo nello stesso errore, ponendomi domande che non trovano risposte, polverizzandosi come sabbia tra le dita trascinata dalla forza del vento.
Ma se é vero che l'amore é una cosa semplice, significa che lo si può anche comprendere nonostante la sua latente imperfezione, lo si può gustare nonostante sia dolce quanto amare, sentire anche nel silenzio e riconoscere nonostante il frastuono, persino annusare come il profumo delle viole che preannunciano l'arrivo della primavera. E forse nella sua forma più fresca e delicata é lo stare insieme, lo stare bene, così, semplicemente.

martedì 5 novembre 2013

Almeno era domenica.

Due giorni fa era domenica e per la prima volta l'ho avvertito.
Ho sentito sulla mia pelle il calore appena sveglia di tiepidi raggi di sole che filtravano attraverso i vetri di una finestra socchiusa. Ho sentito il profumo di deliziosi manicaretti, di quelli che si preparano solo quando si ha tempo. Ascoltavo la telecronaca del campionato spagnolo di calcio mentre si inveiva, un po' come faceva mio padre in un'ordinaria domenica in cui giocava il Napoli. E ho parlato di calcio con un tifoso del Manchester United, come se fossi al bar di domenica mattina. Sono andata a comprare del pane, dei dolci che sarebbero stati serviti a fine pasto e del vino, italiano, perché ero l'unica italiana e pensavo che sarebbero stato carino offrire un po' del mio Paese.
Un pranzo che é terminato con una tazza di caffè alle sei del pomeriggio, con un piumone sulle gambe che mi teneva calda perché intanto fuori era cominciato a piovere. Ho condiviso un bicchiere di vino, una barretta di cioccolato, addirittura anche uno stupido videogame era diventato per due, un turno a testa.
Mi ricordo quando ero ancora una bambina ed ogni domenica la mia famiglia si riuniva a casa di mia nonna per pranzo. Si sentiva che era domenica, nell'aria, negli sguardi, nei sorrisi, nel rumore di quei pochi motorini che nell'attraversare la strada era come se portassero con se una scia di sottile malinconia, quella che di consueto si respira in un tipico pomeriggio domenicale.
L'altro giorno non c'era la mia famiglia, non il ragù, nemmeno il sapore del caffè era lo stesso.
L'altro giorno non ero a casa, ma almeno era domenica.

sabato 2 novembre 2013

Il treno dei desideri.

E poi c'è quella nostalgia che ti prende alla gola, che ti fa pensare alle cose passate che non possono tornare, addirittura a quelle persone che avrai incrociato a mala pena una volta sola per poi sparire volatilizzandosi in un cosmo dagli infiniti punti, troppi per incontrarsi ancora.
Ho sempre meno tempo per me e ho cominciato a truccarmi in metropolitana, perché è l'unico momento in cui sono costretta a sedermi per aspettare di giungere a destinazione.

Londra e tutto ciò che ne concerne sono la mia metropolitana, la cui destinazione talvolta sembra lontana, ma l'ho scelta io, i cui posti a sedere sono le persone che anche in silenzio e a distanza mi sostengono, in un calore che si chiama famiglia, amicizia, affetto vero.

Perché forse si da' più importanza al cosa che al come, io invece ho smesso di pensarci e ho mescolato tutto, guardando al come e al cosa come fossero un binomio imprescindibile, il cui risultato, se entrambi intrisi nel sacrificio e frutto di ciò che il cuore detta, è amore per noi stessi, è soddisfazione per ciò che siamo in grado di creare, è felicità.
E sarà felicità anche se la destinazione non sarà come la si aspetta, perché la meta l'abbiamo scelta con il nostro cuore che ci avrà donato occhi per guardare oltre e piedi che attraverseranno l'asfalto del sentiero che sentiremo di tracciare.

Se mai dovesse esistere una strada che conduca alla felicità, quella si chiama libertà.
Quella che porta il cuore in alto, facendoti sentire leggera.

sabato 21 settembre 2013

Learning and teaching.

C'è sempre qualcuno che mi ripete che è la vita cercando a suo modo di impartirne lezioni ed io forse ai loro occhi appaio come una studente ribelle che non vuole mai imparare. In realtà è che forse semplicemente non avevo chiesto di imparare da loro. In realtà forse sono semplicemente stanca di apprendere lezioni già sentite, che se un tempo mi trafiggevano come spine, ora quasi non le sento più, e non so quale delle due sensazioni sia la peggiore. Ma ciò che più mi stanca è il valore che ostinatamente tento di dare loro. Sarà forse vero che sono una studente ribelle, ma forse devo imparare a considerare anche l'eventualità opposta: che tutti questi si pongano forse come insegnanti senza possederne alcun titolo.
Perché forse nella vita si sceglie chi essere e talvolta i ruoli si confondono. Ma non sarà colpa di chi si porrà come insegnante pur potendo a mala pena assumere il ruolo di studente somaro. Sarà colpa di chi avrà tante cose da insegnare ma per colpa delle sue insicurezze le terrà per sé. Sarà colpa di chi si sentirà sempre su di un gradino inferiore, di chi pur potendo insegnare qualcosa si siederà tra i banchi e pur ascoltando lezioni sbagliate resterà in silenzio, talvolta auto-convincendosi dell'opposta realtà.
Ma la verità è che desidero essere insegnante nella stessa misura in cui io desideri mantenermi studente, come facce della stessa medaglia, imprescindibili. Voglio dare e ricevere, in un sano equilibrio che è umano. Non è possibile essere una cosa sola, per sé ma soprattutto quando ci si relaziona. E' questo il primo insegnamento che sento di dare, anche se non so bene da chi l'abbia appreso, forse da chi non mi ha mai dato nulla mentre io ci speravo.

There is always someone who tells me that's life trying to give lessons and maybe in their eyes I look like a rebel student who never wants to learn. But maybe I just did not ask to learn from them. Maybe I'm just tired of learning lessons already heard, that if one time pierced me as thorns, now almost do not feel them anymore, and I don't know which of the two sensations is worse. But what makes me tired is the value that stubbornly I try to give them. It could be true that I'm a rebel student, but maybe I have to learn to consider also the opposite possibility: that all of these ones will show themselves perhaps as teachers without possessing any title.
Because maybe in your life you choose who to be, and the roles are sometimes confused. But it will be the fault of those ones who will arise as teacher while barely being able to assume the role of dunce student. It will be the fault of those ones who have much to teach but because of his insecurities will keep them for him/herself. It will be the fault of those ones who always feel on a lower level, who although may teach something will sit in the classroom and even if they will listen to wrong lessons, they'll remain silent, sometimes self-evident to the opposite reality.
But the truth is that I want to be a teacher in the same measure that I want to keep the role of student, as the faces of the same coin, essential. I want to give and receive, in a healthy balance that is human. We can't be just one thing for ourselves but especially when we relate. And this is the first lesson that I feel to give, even if I don't know from who I have learned, perhaps from those ones who don't ever give me anything while I hoped it.

giovedì 19 settembre 2013

Wish of stopping.

Oggi sono entrata in un caffè vicino alla stazione della metro di Goodge Street. Ho bevuto una cioccolata calda seduta al tavolo, in cui ho tentato di affogare parte dei pensieri riscaldando intanto anche un po' me stessa, guardando fuori gli schizzi di pioggia che delicatamente bagnavano i vetri dei finestroni. Guardavo fuori perché aspettavo che la porta si aprisse perché aspettavo qualcuno. Ma quel qualcuno era in ritardo e alla fine non è arrivato. Probabilmente non ero l'unica ad aspettare. C'era una donna accanto a me il cui sguardo era rivolto alla porta ogni qual volta ne sentiva il cigolio. Quando sono uscita dal caffè non pioveva già più, e ho sostato per qualche minuto su di una panchina in una piazzola per fumare una sigaretta, bruciando il resto dei pensieri insieme alla cenere che cadeva giù e nemmeno l'avvertivo. Oggi avevo bisogno di fermarmi in una città che corre veloce, dove rapidi sono i rapporti, i sentimenti, le gioie, le opinioni, e forse per fortuna anche i dolori. Volevo afferrare il mio tempo, per forse farci entrare dentro soltanto ciò che occorre ed ancora una volta la vita mi ha fatto capire che devo metterci soltanto me stessa. E' come se la vita mi abbia fatto capire che non devo aspettare niente e nessuno, ma soltanto camminare e afferrare ciò che trovo per strada, sostando solo quanto basta, quel poco che non mi faccia mai sentire meno degli altri, quel poco che non mi faccia mai sentire colpevole, quel che occorre per sentirmi sempre integra ed in pace con ciò sento. Mi ha fatto capire che i buoni non vincono mai perché non hanno forse bisogno di vincere nulla. Non esiste nessuna partita, non c'è bisogno di dimostrare nulla, perché chi vorrà lo capirà da solo e sarà quello il nostro bottino. E se nessuno capirà rimarremo sempre noi con la nostra nobiltà d'animo che sarà più importante di qualsiasi uomo o donna in cui saremo maldestramente inciampati.
Dopo quasi due mesi è successo anche a me: sono caduta nel tunnel delle insicurezze e ho pianto.
Dopo quasi due mesi è successo anche a me: desideravo profondità, serietà, intimità. Volevo calore, quello umano, quello fatto di frasi di rassicurazione e di abbracci forti che ti fanno mancare il fiato, quelli che in silenzio ti dicono "ti voglio bene".
Ma non ho trovato nulla di tutto questo da nessuno, allora l'ho dovuto creare. Ho cercato il calore in una cioccolata bollente, ma non era abbastanza, allora ho comprato un piumone, delle lenzuola, dei calzini di spugna e delle babbucce a forma di koala. Ma non era abbastanza, allora ho preparato una zuppa calda per cena, fin quando ho capito che avrei potuto continuare all'infinito, non sarebbe mai stato abbastanza se non mi fossi guardata allo specchio ripetendo tra me e me che io posso essere abbastanza, io posso essere tutto quello che c'è nella mia testa, ma soprattutto nel cuore.


Today I've gone into a café near Goodge Street tube station. I've drunk hot chocolate sitting at the table , in which I attempted to drown part of my thoughts, while warming a bit myself too, looking out the splashes of rain that gently bathed the glass of the windows. I looked out because I was waiting that the door opened up because I was waiting for someone. But "someone" was late and in the end he hasn't arrived. Probably I was not the only one waiting. There was a woman next to me whose eyes were turned to the door whenever she heard the creak . When I left the coffee it wasn't raining, and I paused for a few minutes on a bench on a pitch for a cigarette , burning the rest of the thoughts with the ashes which fell down even if I didin't feel anything. Today I've needed to stop myself in a town that runs fast, where the relationships , feelings , joys , opinions, and perhaps fortunately even the pain are quick. I wanted to grab my time, in order to insert into just what you need , and once again life has made me realize that I have to put only myself. It's like if life has made me realize that I do not have to wait for anything or anyone, but only walk and grab what I find on the street, pausing only long enough , the little that I don't ever make me feel less of others, or guilty, the little that you always need to feel whole and in peace with what I feel . It made me realize that the good guys never win because they don't need to win anything. There is no game , no need to prove anything , because who wants really will do it alone and will understand what our loot. And if no one will understand, we will always be with our nobility that will be more important than any man or woman in whom we stumbled awkwardly .
Almost two months after it happened to me: I felt into the tunnel of insecurities and I cried.
Almost two months after it happened to me: I wanted depth , seriousness and intimacy. I wanted warmth, that human one, which consists of sentences for reassurance and strong hugs that make you short of breath , those which silently tell you " I love you" .
But I didn't find any of this from anyone, then I had to create. I found out the warm in a hot chocolate , but it was not enough, then I bought a duvet, bed linen , terry socks and slippers in the shape of koalas. But it was not enough, then I made a hot soup for dinner , until I realized that I could go on forever , it would never be enough if I didn't look myself in the mirror repeating to myself that I can be enough, I can be everything which is in my mind, firstly in my heart.

mercoledì 11 settembre 2013

Amici miei.

Qualcuno può credere che sia tutto semplice: alzarsi una mattina, prendere i bagagli e partire. Abbracciare i propri cari e sussurrare come di consueto "Torno presto". E' semplice, è pazzo, è bello, in fondo vivi in una delle città più ambite d'Europa, dove sembra che per le mancanze non ci sia spazio. In realtà non ce ne sarebbe ma tu ce le fai stare comunque, in un angolo impolverato che ad ogni momento utile rispolveri per sentire il battito del tuo cuore più forte, come se ti stesse urlando "casa".
Ma nonostante tutto a casa non vuoi tornare. E non perchè non avverta mancanze, non ami abbastanza chi a casa intanto mi aspetta, è proprio questo il punto: l'amore per gli altri non è mai stato equiparabile a quello per me stessa. Amavo sempre troppo gli altri, meno me stessa, rilegandomi in un angolo della casa nascosta tra cose che credevo dovessero avere la priorità anche su me stessa. Ed ora sono in bilico tra ciò che vorrei dalla mia vita e ciò che ho. Ma qualcuno mi ha spesso ripetuto che a volte nella vita bisogna essere egoisti, ed io vorrei imparare ad esserlo per la mia porzione di felicità, quella che sogno, per cui lotto tutti i giorni, quella che forse oggi mi spetta.
Qualcuno si aspetta forse di trovarmi a breve sull'uscio della porta, con i miei bagagli svuotati di ogni sogno, dalle cui cerniere si vedono cadere sul pavimento goccioloni di passione che dovrei con premura raccogliere in un bicchiere per continuare la mia vita di sempre, con voi che siete la mia casa, il mio cuore, la fetta di vita più importante. Mi dispiace amici miei, ma questa volta non lo farò. Questa volta indietro non guardo più. Questa volta voglio credere che qualcosa di straordinario sia ancora possibile, perché se pensiamo cose straordinarie e ci muoviamo per realizzarle, i nostri sogni non saranno poi così distanti dalla realtà. E solo quando tutte le possibilità saranno esaurite, solo quando realizzerò che per me non c'è spazio se non in soffitta tra gli oggetti dimenticati, solo quando avvertirò che questa città si è impossessata della mia anima riconsegnandomi briciole, rendendosi ladra dei miei sogni, succhiando passione giorno dopo giorno, solo allora lascerò tutto. Solo allora farò un passo più lungo per tornare, ma mai per ripartire dallo stesso punto in cui ho lasciato brandelli di cuore e castelli di sabbia, perchè quelli non esistono più. Ma fino ad allora voglio sognare. Voglio svegliarmi la mattina per andare a lavorare per pagare l'affitto e pagare la scuola. Fino ad allora voglio tornare a casa sfinita ma felice, perché i progetti di certo non sono questi attuali ma è con il sacrificio che i sogni si realizzano, con il sudore che è umano, vero, che solo alla fine farà sorridere, forse. Fino ad allora voglio sentirmi libera di decidere e cercare di raggiungere ciò che desidero compiendo un passo alla volta, per varcare l'uscio di un edificio che per tanto tempo ho visto su internet solo attraverso lo schermo del mio pc. Fino ad allora vorrei scrivere di notte, l'unico momento della giornata in cui mi fermo ed i pensieri prendono vita sulla poltrona blu della mia living room, con il rumore della lavatrice in sottofondo che sa di certo ben poco della melodia della vié en rose ma mi piace lo stesso, perché mi fa pensare alla vita quotidiana che è pazienza e fatica, quella che ti fa diventare grande. Fino ad allora vorrei continuare a perdermi nelle persone come ho sempre fatto, mantenendo però integra me stessa, ciò che in fondo conta più di tutto, così da poter aprire un nuovo capitolo della mia vita che avrà il mio nome a caratteri cubitali.

martedì 3 settembre 2013

Costruire.

Sono a Londra da circa 37 giorni, ottocentonovanta ore, 53280 minuti.
Giorni allegri altri più tristi in cui la malinconia ha preso il sopravvento. Giorni in cui sentivo tutti distanti, altri in cui è bastata una chiacchierata per sentire il calore delle persone a me più care. Giorni stressanti, altri totalmente rilassanti. Giorni in cui si usciva per una birra in centro ripromettendosi di tornare a casa presto ma misteriosamente si rincasava alle otto del mattino per poi trovarsi a lavoro a mezzogiorno. Giorni in cui i pensieri mi hanno divorato, altri in cui man mano, da sola, ho imparato a scioglierli e a sentirmi libera e leggera. Giorni in cui mi sono lasciata andare, in cui la follia più arguta ne diveniva il motore. Giorni in cui avrei desiderato abbracci, di quelli forti che ti fanno mancare il respiro, di quelli che puoi ricevere solo da chi è parte del tuo cuore, da chi per te si chiamerà per sempre "Casa" ovunque tu sia, di quelli che puoi forse ricevere solo da chi conosce il come ed il perché tu sia finita lì, di nuovo, in quella parte del mondo in cui tutto cambia rapidamente nonostante l'aria che si respiri sia in fondo sempre la stessa, perché in fondo conoscono il tuo obiettivo forse: cambiare pur restando te stessa, o meglio forse, cambiare cercando di essere finalmente te stessa. Giorni di caos, fumi e ceneri, altri in cui ho spazzato via le ceneri per seminare nuove idee che mi avrebbero portato verso strade diverse, verso forse ciò che ho da sempre desiderato, cercando di mettere ordine e partorendo un pensiero: tutto è possibile, se solo lo si vuole abbastanza, se solo ci si crede.
Allora forse non importa il come, il quando ed il perché delle cose.
Non importa il silenzio alla domanda "cosa farai?quando torni?"
Non conta il restare o andare via.
Non conta il programmare strade "obbligate" dal cervello ma "vietate" dal cuore.
Contano le possibilità che il caso può offrire, ma molto più spesso quelle che noi dovremmo costruire, pagando talvolta il prezzo del sacrificio e della solitudine.
Conta il sentirsi pienamente se stessi, pagando talvolta il prezzo del coraggio di lasciare andare per guadagnarne la freschezza del vento, la libertà di scelta.
Così forse si può provare ad essere felici: demolisco e dal niente costruisco.


martedì 27 agosto 2013

Una torta e due cucchiaini.

L'altro giorno ero nel ristorante dove lavoro quando sono stata affascinata da una coppia che si stringeva le mani con invidiabile tenerezza. La stessa dopo un po' mi ha ordinato una cheesecake e la donna mi ha chiesto di portare loro due cucchiaini. Non si tratta di aggiungere un piatto in cui ciascuno riporrà il proprio pezzo, ma di attingere dalla stessa fonte lasciandola allo stesso posto, attraverso due canali di diversa provenienza, sebbene si scopriranno in fondo uguali. Era da un po' che non avvertivo quel bisogno, offuscato forse dal fascino di una città che corre velocemente, disturbato dal rumore di piatti e bicchieri in cui la routine si insinua silenziosamente: condividere con qualcuno la stessa cosa, lasciandola al centro, ad una equa distanza affinché la si possa osservare con le giuste lenti, senza necessariamente provarne a trascinare una metà dal proprio lato. Allora forse è vero che si può andare con tutti senza mai stare per davvero con qualcuno. Si possono condividere letti e lenzuola ma alzarsi poco riposati comunque, mai in fondo completi. La parola "insieme" riusciremo a sperimentarla soltanto poche volte nella nostra vita. Perché insieme significa mettere al centro una parte di se e lasciare che l'altro ne attinga senza riserve, lasciando che l'altro faccia lo stesso con noi. Significa attingere da una stessa fonte, allo stesso momento, con gli stessi strumenti, non dividendo ciò che si ha, ma lasciandolo al centro, in quel punto di sano equilibrio in cui due corpi si attrarranno e due anime si scioglieranno. 
Ed è questo forse che mi manca. Una torta per due servita al centro di un tavolo, cui attingere allungando il braccio, lasciando che la torta divenga sempre più piccola finché rimarrà quell'ultimo pezzo per cui ciascuno dirà "Finiscila tu". Ma quell'ultimo pezzo resterà lì, al centro del tavolo, perché sarà abbastanza, ci sentiremo già saziati. Ed è forse questo quello che mi manca, ciò che rinnego da sempre, che in fondo sono stanca di cercare, e troppo cieca per accorgermene quando, per caso, mi si è presentato.
A volte mi è capitato che la torta fosse lasciata al centro senza che nessuno cominciasse a mangiarla, altre che chi avevo di fronte ne mangiasse una porzione esageratamente più grande della mia, altre ancora mi sono trovata a mangiarla da sola e avrei potuto mangiarne a quintali, perché in fondo, non sarei mai stata sazia.

domenica 18 agosto 2013

Pensieri in metropolitana.

Stamattina ero in metropolitana quando ad un certo punto rimango incantata dal sorriso di un uomo che chiede cortesemente ad un passante di scattare una fotografia, avvicinando a se la moglie in un caloroso abbraccio. Ed è stato in quel momento che ho capito che questa giornata avrebbe preso una piega diversa. Un giorno in fondo come gli altri, in cui però ti trovi a mischiare la tua felicità che è fresca e leggera, ad una malinconia che risulta a tratti pesante ed umida, come quando ti bagni e ti sei appiccicosa.
E ho pensato che avrei voluto essere guardata anche io con quegli occhi pieni di amore con cui quell'uomo guardava sua moglie, avrei anch'io desiderato che degli occhi con la loro luce mi offuscassero la vista. O forse quello di cui ho avvertito la mancanza è stato sentire l'odore della pelle di chi ti stringe a se sulla tua, l'essere stretta, mai troppo, ma quanto in fondo basta per sentirsi protetti.
Stamattina, alla visione di quell'immagine, ho avvertito un magone che ho cercato di colmare quasi a fine giornata con l'acquisto di cosmetici a metà prezzo. Ma oggi forse era uno di quei giorni in cui ti svegli e desidereresti essere abbracciata, sentire una voce amica tra le tue mille cose da fare. 
O forse avrei voluto essere semplicemente come quell'uomo: riuscire a stringere ciò a cui tengo e lasciare andare il superfluo, nonostante spesso mi capiti di fare esattamente il contrario. Riuscire a sorridere all'amore senza timore. Riuscire a trasmettere luce viva che non si spegne, perché non è riflessa ma ci appartiene.

Quell'uomo mi ha fatto pensare anche alle persone care che adesso mi sono lontane a cui non so se debba o meno spiegazioni, ma ciò che posso dire è soltanto che sto bene, che i pensieri sono tanti e confusi come un gomitolo di lana i cui fili si sciolgono a fatica, che cerco di costruire anche se non so ancora bene cosa sto facendo, a volte ho pianto, altre ho starnazzato come un'oca per l'eccessiva contentezza. Vivo tra la routine e la follia, tra un up e un down, tra super down e super up. Vivo sognando ad occhi aperti, e quando li chiudo cerco di pensare a cosa potrò vivere. Cerco soltanto di essere felice, anche se oggi volevo degli occhi che mi guardassero, delle braccia che mi tenessero strette, un sorriso che mi riscaldasse.

giovedì 15 agosto 2013

Brave ragazze.

Io sono stata per tutti sempre la "brava ragazza", quella personcina ingenua a cui rifilare al momento utile la frase "Non voglio prenderti in giro". Quella con cui si parte già a carte scoperte per timore di deludere, o perché il mistero sa di un proibito che incute timore. Non ho mai capito che meccanismo scatti né perché accade costantemente, eppure leggo copioni già scritti, guardo vecchie pellicole dalla trama poco originale e dal finale scontato, che in fondo non emozionano non tanto perché sembra sia già nota la fine, ma proprio perché sin dal principio il contenuto appare scarno, senza colpi di scena che ne invertirebbero la traiettoria. Eppure anche le "brave ragazze", come voi uomini comunemente definite una certa categoria di donne, hanno bisogno di leggerezza che porti a non pensare al domani ma al vivere solo oggi. Anche loro necessitano di bruciarsi e spegnersi come fiammiferi, anche soltanto una volta, o più di una. Forse loro non hanno bisogno di leggere copioni già scritti da qualcun'altro, né di guardare vecchie pellicole scontate, ma di scrivere storie, ed è forse proprio attraverso questa lenta concatenazione di parole che prende forma grazie al riflusso di pensieri confusi che pian piano fuoriescono come cascate, che le loro storie si proietteranno su di uno schermo, storie che lasceranno a bocca aperta per l'originalità del contenuto, e per la bellezza che sarà trasmessa. E non importa se il finale non sarà il colpo di scena che tutti si sarebbero aspettati, la storia piacerà lo stesso, perché sarà diversa, perché nel corso della sua visione avrà emozionato.
Ed è questo che voglio per me: emozioni. Persone che sono come una boccata d'aria fresca, che incantano per il loro modo di vivere la vita come se un domani non fosse alle porte, quelle che lasciano dietro di sé una scia che profuma della libertà più disincantata. Persone che non resteranno inermi a guadare te che scrivi, ma che forse lo faranno con te, perché avranno la penna stracolma di inchiostro, ed occhi in grado di guardare oltre, senza pensare a come andrà a finire.
Ma questo modo di vivere non è per tutti, non lo si apprende, non lo si emula da qualcun'altro. E' forse innato. Le matite non saranno mai penne, e soltanto occhi colmi di esperienza saranno in grado di guardare al di là delle proprie tasche, allora il cuore sarà in grado di riempirsi ed il cervello si fermerà dando spazio ad un unico pensiero: vivere per ciò che si sente, come se un domani non ci fosse, perché pensare alla fine impedisce di godere di un inizio, impedisce in fondo di vivere emozionandosi.

lunedì 12 agosto 2013

Un orologio a Portobello.

L'altro giorno ero a Portobello e ho comprato un orologio antichizzato, di color rame, di quelli che si appendono al collo, chiusi, che si aprono solo all'occorrenza per guadare l'orario, ma che intanto nascondi sotto la t-shirt. Ed è esattamente quello che faccio ogni volta che intraprendo un'esperienza del genere, a Londra o in qualche altra città, lontano dagli affetti più cari, ma anche da contesti che già in breve tempo cominci a percepire come stretti, statici, che in fondo non sanno di niente: nascondere il tempo. E' raro che io apra il mio orologio per constatare l'orario, è chiuso, è nascosto, ma è al caldo, non troppo distante dal cuore. Da adesso in poi vorrei che il mio tempo fosse così: cosciente del suo inevitabile trascorrere, ma al contempo cristallizzato, catturato in un pugno, in cui ci fai entrare soltanto ciò che vuoi tu, chi ti fa sentire leggera, compresa, mai diversa, chi possiede coraggio e maturità per affrontare la vita di petto, chi non fa del motto della sua vita "lo-faccio-anche-io-perché-lo-fanno-tutti" ma "se-nessuno-lo-fa-allora-lo-faccio-io", chi non sta seduto a guardare la vita che gli scorre davanti senza mai afferrarla per la gola e sfidarla senza paura, chi segue le emozioni con invidiabile maestria, talvolta addirittura affogandoci per risalire.
Il tempo è sempre stato il mio più acerrimo nemico, ma ora ho capito che lo era nella forma che gli avevo concesso di prendere: quella del "farci-entrare-tutto". Ma ora no. Non può il mio tempo contenere tutto, ma solo ciò che è importante, solo chi conta, solo chi sente realmente la tua mancanza, chi ti chiede come stai perchè non è curioso ma interessato a conoscerne la risposta. Allora in questo modo il tempo non ti brucia, né ti logorerà mai, perché il tempo in questi casi non può che rafforzare, senza mai lasciare che qualcosa appassisca, se lo si cura. Allora vorrei che nel mio tempo entrassero boccioli freschi, di quelli bagnati appena di rugiada, di un profumo tale da inebriare la stanza, mai più finti boccioli che poi si rivelano foglie secche.
Allora fermo tutto e riparto da qui, da un orologio antichizzato che conserva il mio tempo, e con esso una frase letta su di un poster venduto tra le bancarelle del mercato di Portobello: Live well, love much, laugh often. 

martedì 6 agosto 2013

Ricomincio da Tower Hill.

E' da un po' che non lo facevo: prendere la metro in direzione Tower Hill, con le cuffie nelle orecchie sulle note di una qualche canzone di Coldplay, sciogliere i pensieri e cominciare a scrivere. Ed è proprio qui che circa un anno fa ho cominciato ed è da qui che ora ricomincio. Ricomincio ad essere forte anche da sola, a distinguere i bisogni dai desideri, a svegliarmi al mattino col sorriso tra lenzuola fresche dal profumo di lavanda, a credere che tutto sia possibile, a godere di ciò che la vita ci offre e a farcelo bastare, a pensare che l'amore non salva nessuno se prima non impariamo a salvare noi stessi amandoci come se fossimo quanto basta per riempire la nostra vita. Ed io stasera ho cominciato a farlo così, forse, scrivendo sulle note di Yellow con la Torre di Londra che di fronte illumina il mio viso, il foglio della mia agenda, il mio cuore.
Perchè alle mancanze non posso dare più spazio né tempo, così come alle persone, che cercherò di sciogliere come nodi, come i pensieri.

sabato 3 agosto 2013

Imitazioni.

C'è una cosa che di Londra più di tutto mi stupisce: il suo essere così diversa pur essendo nella sua eterna costanza sempre la stessa. Ed è forse questo l'insegnamento più importante che possa dare: provare ad emularla, immergendoci nell'aria rarefatta di una metropoli, tra i clacson assordanti ed i rintocchi del Big Ben, fermandoci quando occorre su di una panchina presso il Millennium Bridge, così che il tuo sguardo possa perdersi nel rossore di un tramonto in una giornata di sole, ove fermi saranno i pensieri, i ricordi, quanto basta, fino a sera. Imitare Londra significa cambiare pur mantenendo intatta la propria individualità, andare avanti correndo ma fermarsi quando occorre per rimettere insieme i pezzi, significa sperare che tutto sia sempre possibile perché nella nostra irrimediabile mortalità anche noi possiamo sentirci eterni, vivi, infiniti.

Nessuno può cambiare il mondo, ma il mondo può cambiare noi, se lo vogliamo, se ne abbiamo il coraggio.

venerdì 26 luglio 2013

Cose semplici.

Vorrei cose semplici. Un caffè caldo non appena abbia aperto gli occhi, tra lenzuola fresche e profumate, una finestra dai cui vetri filtrino tiepidi raggi di sole, preludio di una giornata calda in tutto può ancora accadere. Vorrei sentire parole semplici: ti voglio bene, grazie, scusami, mi dispiace, ho sbagliato. Vorrei avvertire gesti semplici, come quegli abbracci fortissimi che ti tolgono il fiato, come se ti sussurrassero all'orecchio dolcemente "Resta con me, per favore". Invece lasciamo andare ed andiamo via, come se questa fosse l'unica alternativa per rimuovere, schiacciare, seppellire. Siamo solo capaci di lasciare andare come se fosse soltanto quest'azione a misurare la grandezza di un uomo o di una donna, ma afferrare con i denti e con le unghie non è di certo meno dignitoso, se non più umano, più vero. Invece i bisogni spesso si nascondono per poi riesplodere a tempo debito, a volte più grandi di prima, senza poter far niente per accantonarli. Allora vivremo di desideri nascosti che riusciranno a prendere forma soltanto nella nostra fervida fantasia, di bisogni insoddisfatti, di luci spente e bocche chiuse. Non vivremo mai abbastanza fin quando non decideremo di dire la verità, per poi girare le spalle, o forse semplicemente rincorrerci e possederci, anche una volta sola.

mercoledì 24 luglio 2013

Nel dubbio.

L'ho fatto di proposito. Il non avere tempo nemmeno per pensare. Perché in fondo attendere che il tempo scorra e rifugiarsi nei pensieri più segreti non ti fa muovere di un passo, non ti conduce su nessuna delle possibili strade, restando inerme dietro un cespuglio a guardare gli altri andare avanti. Ed è per questo che la fretta stavolta è stata mia fedele alleata. Di cosa ho paura? Non lo so. Forse temo la solitudine, anche se nella mia, spesso e volentieri, ci sono stata bene comunque. Forse temo porte chiuse in faccia, nonostante ne abbia avute molte per aprirne poi altre più grandi. Temo forse di avvertire vuoti allo stomaco, profondi quanto le mancanze che mi porterò dietro, che cercherò di colmare con del cibo preconfezionato. Temo di sentirmi una formica pur desiderando di diventare una leonessa. Temo di non mancare a nessuno come certe persone mancheranno a me, come quell'aria che ogni giorno respiro. Temo i cambiamenti, i miei, ma soprattutto quelli degli altri. Temo quella valigia ai piedi del letto perché è rossa, ed il colore rosso lo detesto, perché è quasi piena ed invece vorrei svuotarla per non portarmi dietro proprio nulla, per sentirmi leggera, libera, seppur nella mia costante confusione. Temo l'attività del seminare senza mai raccogliere frutti maturi abbastanza. Temo di essere una goccia d'olio che resta in superficie senza mai espandersi. Temo tutto e niente, temo le mie scelte che sono sempre le stesse. Ma al di là di ciò che possa o meno temere, se qualcuno mi avesse messo su carta un sol motivo per restare, io, forse, sarei restata. Ma nessuno l'ha fatto, nessuno l'ha detto, nemmeno urlato. Allora nel dubbio, io lascio, per un tempo indefinito, in attesa forse di tornare, solo quando la mia coscienza sarà più grande, la mia valigia ancor più pesante, con amore, col sorriso.

domenica 21 luglio 2013

La vita secondo ME.

La mia vita è fatta di cose semplici, a patto che tutte abbiano un'unica prerogativa: l'autenticità.
E' fatta di abbracci pieni di parole, e parole che vorrebbero essere abbracci. E' fatta di ricordi sbiaditi, altri più nitidi, alcuni che vorresti rimuovere. E' fatta di istinto, di iniziative folli, ma anche di buon senso e coraggio. E' fatta di persone che vanno e vengono, di poche che restano. E' fatta di traguardi bagnati di sudore, sacrifici che hanno condotto al raggiungimento di obiettivi nonostante all'obiettivo che sento più pieno di vita ci sia arrivata spinta sulle ali della passione, facendomi trascinare dalla forza del vento. La mia vita è fatta di amore, ma non quell'amore che voi tutti concepite, bensì un amore più grande. Un amore che prende la forma dei paesaggi visitati, la ruvidità dell'asfalto delle città calpestate, il suono di parole semplici e familiari, le più belle mai ascoltate, perché sono casa. La mia vita è fatta di amore che si identifica in dei volti, nei volti di Carla, Anna, Laura, Giovanni, Diego, Michelangelo, come in tanti altri, come anche, nonostante le incomprensioni, in quello della mia famiglia. La mia è una vita semplice, come quella di tante altre. E' una vita vera perché preferisco andare al cinema per osservare finzioni. Ma ogni tanto avverto l'esigenza di metterci dentro altre vite, come cerchi concentrici ma che per uno strano fenomeno, come fosse una goccia d'olio che si espande in un bicchier d'acqua, poi si uniscono, e nell'unirsi diventano una linea retta, un insieme infinito di punti di cui ciascuno sarà un mattone a cui potremmo dare il nome di "esperienza", l'insieme potrà chiamarsi semplicemente un "andare avanti" cogliendo le occasioni che la vita ci paleserà, altre sarà il nostro cervello a partorirle. E allora sì, l'ho rifatto anche stavolta, e sono pronta ad andare, di nuovo. Ma che non si parli di fuga, di un modo errato di affrontare le cose, di esigenza di estraniarsi, perchè di questa vita semplice e vera io non ne posso francamente fare a meno, come di quei volti che richiamano un amore grande come l'universo, quelli che ogni volta che osservi non possono non farti pensare che ne valga la pena. La chiamerei piuttosto via d'uscita che spero si ricongiunga ad un ingresso, o forse semplicemente scoperta, non di un posto, ma di me attraverso le persone, di me anche da sola. Perché sono in fondo le piccole cose a donarti i sentimenti più grandi. Vorrei che un giorno lontanissimo mio nipote stando sulle mie ginocchia mi chiedesse cosa ho fatto nella mia vita, che persona ero o ho tentato di diventare. Vorrei rispondergli che sono diventata grande compiendo anche grandi ed avventati gesti ma che la vera grandezza sulla mia pelle l'ho avvertita maggiormente solo attraverso le piccole cose. Che ogni tanto ho avvertito l'esigenza di essere come quella goccia d'olio che cadendo in un bicchier d'acqua si è poi estesa allineandosi stranamente in un insieme infinito di punti, perché talvolta necessitavo di sentirmi infinita, di cambiare le mie rotte, nonostante qualcuno non condividesse, augurandogli per questo non di fare la stessa cosa, ma di trovare il suo personale modo per sentirsi libero ed infinito, perché ognuno ne ha uno, mai sbagliato, né giusto, ma il suo. Gli augurerei di ricercare quegli stessi volti dell'amore che riempiono la mia vita, che non sono acqua, ma il bicchiere che la contiene. Gli augurerei di avere sempre la forza di ricominciare, che ha in fondo lo stesso significato di vivere.

venerdì 19 luglio 2013

Cambiamenti. Bellezza.

Ho sempre creduto fermamente in due cose nella mia vita, come fossero un credo da professare ostinatamente: nei cambiamenti e nella bellezza delle persone. Ma ogni tanto, guardandomi attorno, ho avuto come l'impressione che ciò in cui avevo sempre creduto si disgregasse, come un castello di sabbia bagnato dalle onde e spazzato via dal vento. E l'ho pensato nel momento in cui osservavo le persone aspettare i cambiamenti come fossero doveri ciclici da ottenere senza mai creare, quelle persone che credono di cambiare portando le loro gambe soltanto dall'altra parte del marciapiede mentre il loro cervello resta fermo in delle sabbie mobili, quelle che restano imbrigliati a stessi luoghi e persone senza mai domandarsi se ci sia bisogno di spezzare le catene e proseguire anche da soli, per ricrearsi o soltanto per star meglio.
L'ho pensato quando quella bellezza che avevo appurato diveniva man mano sempre più fioca, piccola, a volte quasi invisibile, e non perché mi fossi imposta di cambiare i miei occhi, ma questi cambiavano gradatamente anche contrariamente la mia volontà, forse per la delusione di non essere stata capita abbastanza, o la constatazione che a volte idealizziamo qualcosa che non c'è. O forse non si tratta nemmeno di essere belli o brutti, si tratta di maturità, di esperienze che ci rendono uomini o donne differenti, o semplicemente non abbastanza uomini o donne. 
Ma ho pensato che forse sia così importante ciò in cui ho sempre creduto che non può disgregarsi perché rivolgo lo sguardo su orizzonti troppo lontani e dai contorni confusi. Allora amo continuare a credere nei cambiamenti e nella bellezza che si cela nelle persone, ma adesso credo anche in qualcos'altro: esistono persone che non sono in grado di cambiare perché non lo vorranno mai abbastanza, perché resteranno nel loro passato senza mai proiettare i loro occhi sul futuro, perdendo occasioni, ma anzitutto persone. 
Queste persone non sono peggiori delle altre, a loro modo saranno belle. Ma mi sto ancora chiedendo come si faccia ad incorporare bellezza se mai bellezza vorrai ricercare, se mai bellezza riusciranno a guardare i tuoi occhi. Bellezza piena, libera, leggera, diversa.

lunedì 15 luglio 2013

La vita che ti passa davanti.

In questa settimana ho avuto due occasioni in cui ho visto passare tutta la vita davanti come fosse una pellicola cinematografica: un successo che è stato fonte di gioia e liberazione, un'altra meno piacevole che mi ha fatto pensare che basta poco per distruggere tutto ciò che si è costruito, ma che forse è vero che ci sia qualcuno che ci protegge e che i miracoli accadono, forse. Un'occasione in cui ho visto persone accerchiarmi, applaudirmi e abbracciarmi nella loro commozione calda ed avvolgente che mi ha fatto salire il cuore nella posizione più alta mai sperimentata, un'altra che ha visto il mio cuore abbassarsi e poggiarsi su un corpo che tenevo stretto per evitare che si facesse male, tra una macchina ed un muro freddo, come freddi e meccanici sono stati dei gesti, delle parole, dei comportamenti. Ci sono state due occasioni in cui mi sono resa conto di chi siano le belle persone che mi circondano e chi invece bella o bello non potrà mai diventarlo nonostante gli sforzi profusi, di chi è in grado di trasmettere calore, chi invece possiede una pochezza smisurata, trasmettendo solo aria fredda che si insinua nelle ossa senza alcun venticello che ti scompiglia i capelli ma che ti lascia ferma, inerme, allibita. Ci sono state due occasioni in cui mi sono resa conto di cosa significhi vivere: abbracciarsi, sentire il calore della pelle dell'altro sulla tua, piangere di gioia o perché si è spaventati, preoccuparsi dell'altro domandando un "come stai" con interesse e mai per senso di dovere, di tanto in tanto, e non una volta sola. Ma mi sono resa conto anche di cosa significhi morire pur mantenendo i piedi sull'asfalto: toccarsi senza avvertire nulla, domande di rito pronunciate per dovere e mai per interesse, smisurata strafottenza, pochezza d'animo, egoismo, presenze vuote, fredde, incomprensibili, che non conoscono la parola affetto, né il significato di buon senso, quelle del "l' importante-é-che-stia-bene-io-gli-altri-non-contano". Allora forse servono questi momenti per capire per cosa e chi valga la pena andare avanti, depennando chi ha scelto di morire pur tenendosi ancora in piedi. Occorrono momenti in cui il cuore sale in alto come una mongolfiera per poi finire schiacciato ad un muro per comprendere il valore delle cose, delle persone, per capire che vale la pena guardare a ciò che c'è piuttosto che incantarci su ciò che non c'è, che non ci sarà mai forse perché la pochezza e la superficialità è bene lasciarla ai mediocri.
Mi è servito tutto questo, nonostante la gioia si sia trasformata in rammarico, la grandezza di qualcuno diventata sempre più piccola, l'entusiasmo tramutatosi in uno stato d'animo che di tanto in tanto ti fa cacciare lacrime quando cristallizzi quella violenta immagine nel tuo cervello, nonostante debba rispondere che poteva andare peggio. 
Ci sono momenti in cui la vita ti passa davanti e tu per fortuna riesci a catturarla in un pugno, e quando apri la mano osserverai ciò che incamera bellezza e calore, scartando le scorie.

lunedì 8 luglio 2013

Emozioni.

Ho sempre voluto guardare il mondo come se fosse un posto in cui ci si emoziona, dotato di tante finestre di diverse dimensioni che puoi aprire per respirare aria fresca. Ho sempre desiderato essere una di queste finestre, per gli altri ma soprattutto per me stessa, per essere chiusa all'occorrenza, ma spalancarmi quando nelle emozioni mi ci volevo fiondare. Ed in un mare di emozioni sono ricaduta anche stasera, così, inaspettatamente, sentendomi però fuori da questo mondo, non una semplice finestra, come se avessi tante emozioni che non riuscissi a districare, come fili di un gomitolo di lana che non si sciolgono. Pensieri confusi che sembrano non avere un ordine se non quello del cuore, il più silenzioso, il più cauto, ma quello in fondo più bello. Amo pensare ad un mondo in cui si siano finestre da cui si intravedono luci accese, ed amo pensare a tutte queste luci come fossero persone. Come interruttori che una volta accesi permettono a te di guardare meglio e di procedere lungo una strada che altrimenti sarebbe buia, costringendoti a fermarti. E mentre cammini riempi te stesso ma ti riempi anche di loro, diventando pienamente te stesso ma anche tutti gli altri nella forma più semplice. Alcuni interruttori si accendono per poi bruscamente spegnersi. Altri non si accendono mai. Altri ancora dovremo scovarli perché da soli resterebbero spenti. Alcuni invece si accendono e restano accesi, come fossero una guida sicura, che passo dopo passo ti fa sentire meno sola nell'attraversamento della strada stando con te fino al traguardo, o semplicemente accolta, al caldo. 
Allora non so come si faccia a sopravvivere senza guardare al mondo in questo modo così delicato e divino. Non capisco le finestre chiuse, né luci fioche che non riscalderanno né mai illumineranno la stanza. Non comprendo come si faccia a sopravvivere contenendo le emozioni in un sacchetto, per cacciarle poco per volta come fosse mangime per uccelli, facendo attenzione a non consumarne troppo.
Ma stasera non voglio soffermarmici. Stasera voglio vivere le emozioni così come sono, senza forma, ma con innumerevoli volti, quelli che condividono l'esserci e non il semplice gesto dello "stare", quelli che come me si emozionano, che sono finestre da cui trapela una luce fortissima per condurmi per mano sino al traguardo in un mondo che, nonostante tutto, è innanzitutto un posto in cui ci emoziona.

martedì 25 giugno 2013

Pensieri e parole.

Ho pensato che il mondo dovrebbe sempre apparirci come quando mettiamo le cuffie nelle orecchie e ascoltiamo la nostra canzone preferita ad alto volume intonandola a squarciagola, nella nostra stanza, o per strada, incuranti dei passanti che ci guardano sbigottiti ma in fondo invidiosi della libertà di esprimerci nella nostra totale follia. Ho pensato che potremmo salire su di una panchina e gridare "Perché mi guardate così? Siete forse più comodi nelle gabbie costruite nelle vostre menti o forse più infelici?"
Ho pensato che le cose giuste si conformano a doveri, spesso morali, ma troppo poco spesso ad una felice appagatezza.
Ho pensato a quanto in fondo desideriamo tutti la stessa cosa, stare bene, nonostante spesso facciamo prevalere un cervello che ci guida dalla parte opposta.
Ho pensato a quanto sia complicato vivere il presente se già pensiamo al futuro, se ancora il passato ci annebbia, facendoci stupidamente cullare da un passato che non può tornare e da un futuro che non potrà esserci se non curiamo il presente. 
Ho pensato alle mie paure, anche se oggi ne ho superata una: ho superato un camion in autostrada.
Ho pensato che ogni donna dovrebbe sperare di nascere un'oca giuliva, avendo come uniche preoccupazioni che vestito indossare, quando andare dall'estetista per ritoccarsi le unghie, quanto facciano male le scarpe alte. 
Ho pensato al tempo che inevitabilmente consuma, ma intanto costruisce, anche se saremo legati solo al primo pensiero e mai al secondo, perché è più facile ricordare i momenti spiacevoli, meno quelli allegri.
Ho pensato alla mia costante idea di evasione, nonostante in fondo desideri che qualcuno mi prenda per mano e mi dica "resta", così che forse resterei.
Ho pensato a quanto ci si leghi ad idee che diventano convinzioni al punto da trasformarsi in caverne, buie e fredde, in cui ci rifugiamo senza che nessuno entri, perdendoci in fondo la meraviglia dei dettagli, la bellezza delle cose semplici e piccole, lasciando per strada pezzi di vita che avremmo invece potuto cucire come toppe, raccogliendoli come minuscole briciole, perché desideriamo cose grandi trascurando le piccole quando invece è dalle piccole che bisognerebbe cominciare. 
Ho pensato che in ogni fine si nasconde un inizio, anche se non riusciremo a capirlo sin da subito perché troppo poco lucidi e grintosi per pensare che si possa sempre ricominciare perché in fondo il senso della vita è proprio questo.
Ho pensato a quanto sia complicato il mestiere di genitore, anche se a volte sono i figli ad impartire lezioni di maturità standone in silenzio anche se vorrebbero urlare.
Ho pensato a quanto in fondo scrivere mi liberi. A quelle persone che mi dicono che in ciò che scrivo si riconoscono. Ho pensato a quanti pensieri riesca a raccogliere. Ho pensato che riuscirli a dire piuttosto che scrivere davanti ad una tazza di caffé sia un autentico miracolo, piuttosto che limitarsi a futili chiacchiere da cortile che non ti lasciano nulla, se non la bocca più amara. 
Ho pensato che talvolta mi riempio la bocca di belle parole, pur desiderando sentirle dagli altri, anche se forse dare sollievo mi ha sempre più appagato del riceverlo.
Ho pensato ai cambiamenti di rotta, ai contorni che si ridisegnano, a colorare la mia vita delle tinte più accese, sperando di trovare qualcuno per strada, che senza necessarie etichette, ruoli o esigenza di definizioni che spesso tolgono più che aggiungere, mi dica "Colora anche la mia"!


domenica 23 giugno 2013

Le chiavi in salotto.

Qualcuno una volta utilizzando una simpatica metafora mi ha detto che spesso le nostre convinzioni possono annebbiarci al punto da non credere che altro sia invece possibile. Allora è come se cercassimo delle chiavi in salotto, essendo convinti che siano state riposte esattamente dove credevamo di averle lasciate. Setacceremo il salotto per un tempo illimitato, ci accovacceremo in ogni angolo, alzeremo tappeti impolverati, sposteremo mobili ed oggetti di ogni tipo. Ma le chiavi non usciranno mai, forse, e l'idea di cambiare stanza nemmeno riuscirà a sfiorarci. L'idea di aver riposto le chiavi in salotto e che non sarà possibile trovarle altrove sarà più forte del tentato rischio che potremmo correre muovendoci in altre direzioni. Ho sempre pensato che il cuore sia uno dei nostri organi migliori, ma il cervello il peggiore in assoluto, perché è lui che ci controlla, ci convince, talvolta ci ingabbia. Non lo so se si può esser più forti di un cervello come questo, forse sì, o forse è utopia, o forse siamo noi prima del cervello a decidere chi essere, perché in fondo siamo soprattutto il nostro pensiero. Ma credo che per evitare che le idee ci risucchino al punto da renderci schiavi, contravvenendo a quel senso di libertà che dovrebbe caratterizzare ogni singola vita, a volte dovremmo trasformare la rabbia in grinta, il dolore nella maturità di accettare la realtà delle cose, sforzarci di alzare le ginocchia dagli angoli del salotto, cambiar stanza ed osservare che in effetti le chiavi erano proprio lì. Le chiavi potrebbero servire ad ogni cosa, e non necessariamente a ciò che pensavamo potessero servirci a priori. Ma le chiavi potrebbero servire semplicemente ad aprire la porta di quella casa ed abbandonare l'idea che della stessa avevamo, riuscendo a sentirci di nuovo liberi, recuperando in fondo lo stato primordiale in cui nasce ogni essere umano. Perché sebbene serbi il bisogno innato di condivisione, nasce in fondo libero, solo, senza catene, la stessa sensazione che dovremmo provare nel relazionarci ad ogni cosa, evento o persona che sia, perché questa sarà la vita vera, autentica bellezza.

martedì 18 giugno 2013

Volevo solo questo.

Vorrei che fosse tutto come nei film, dove alla fine vincono i "buoni", in cui la fortuna gira, in cui quesi momenti che aspettavi da tanto si realizzano esattamente come li avevi immaginati, avendo lo stesso profumo dell'aria fresca, la luce del sole, la grinta di una leonessa.
Lo chiamano traguardo. Ma io, io come lo chiamo?
Il mio non ha avuto alcun profumo, piuttosto avvertivo una puzza nauseabonda lungo tutto il mio corpo, ovunque mi girassi, quella in grado di infiltrarsi sin dentro le narici.
E' stato opaco, nonostante la giornata di Sole vi facesse da cornice, la stessa che dopo un po' ho cominciato a detestare.
Ero un coniglio pronto per essere sbranato, come sempre, quasi da sempre. E dentro, dentro morivo.
Ho sempre immaginato questo momento come un attimo di sollievo, indimenticabile, di quelli in cui piangi per la troppa felicità. Più o meno è andata così, esclusi il troppo e la felicità.
Un giorno indimenticabile, in cui ho pianto sentendomi ridicola mentre lo facevo, non felice ma desiderosa di trovare un senso che resta sordo e muto alle mie parole e al mio ascolto.
Ho anche pensato che dalla vita non si può avere tutto.
Ma alla fine, chi l'ha mai chiesto? Io non volevo tutto, volevo solo questo: forme d'affetto.

venerdì 14 giugno 2013

Come se fossero le stelle a parlare.

Il male viene sempre urlato. Il piacere sempre taciuto.
Le offese gridate, le parole dolci a mala pena sussurrate.
Non capisco questa strana tendenza, eppure ci sono dentro anche io, forse, ci siamo tutti.
Come se questo ci rendesse più forti, ma in realtà sempre più piccoli di fronte i nostri reali bisogni. 
Allora se iniziassimo ad invertire i termini nella scala delle nostre priorità, forse cominceremo ad urlare il piacere, a tacere il male, ad urlare ciò che sappia di bellezza.
Come se fossero le stelle a parlare, mentre noi ci lasciamo guidare dall'armonia del loro silenzio.

lunedì 10 giugno 2013

Una via di fuga

Tempo fa amavo perdermi in quella che per me oramai era diventata abitudine, al punto da credere che fosse la cosa che sapessi fare meglio di tutte: scappare.
Scappavo in città diverse da quella natia per esplorare, conoscere, inventare, sperimentare emozioni forti che pensavo fossero felicità invece ne erano solo un breve assaggio. Scappavo da una realtà stretta che mi tappava le ali, a me, che invece desideravo volare. Scappavo da lui, lei, loro. Scappavo senza chiedermi se fosse giusto o sbagliato. Scappavo ma poi dovevo tornare, e quando lo facevo apparivo grande pur sentendomi piccola in una realtà che si rivelava ancor più microscopica al punto da succhiare i pensieri, le passioni, tutto ciò che di più prezioso possedevo. Non so il motivo esatto che mi spingeva a farlo, se questa smania di vivere al massimo, come se in una sola esistenza volessi metterci tante, troppe vite tutte insieme, la paura di morire senza mai aver vinto qualcosa, o semplicemente stanchezza, quella delle cose, delle circostanze, anche delle persone. 
Non posso dire che la situazione adesso sia cambiata, perché in effetti ancora continuo a fuggire.
Ma ora le mie fughe non hanno più l'odore dell'asfalto di grandi metropoli, i rumori delle stazioni, le voci di persone che non vedrò forse mai più perché le ho incontrate, le ho perse e non so se ci ritroveremo, ma mi è bastato così perché a loro modo mi hanno insegnato quello che lì ed allora c'era da sapere. E non perché la curiosità di scoprire mi sia venuta a mancare, ma perché col tempo ho capito che ho bisogno di fuggire spesso, qualche volta a settimana o anche tutti i giorni, senza alcun bagaglio ingombrante, portando me, soltanto me dietro, per quest'esigenza di andare e tornare con la medesima serenità nel cuore, in questo movimento che vorrei mi vedesse integra costantemente. E allora fuggo qui, tra questi fiumi di parole che sembrano non avere un senso per chi legge, ma basta che diano un senso a me che scrivo. 
Qualcuno direbbe che fuggire insegna a capire quali siano le cose veramente importanti, a consolidare affetti che sebbene ti vedano fisicamente distante riuscirai a percepirli nell'aria come se non ti abbandonassero mai, a dare importanza persino ai dettagli, a ciò che avresti potuto dire o fare e che non hai detto o fatto perché ancora non avevi imparato a dare il giusto valore alle cose. A prescindere da quale via di fuga si possa prediligere, a me scappare è servito anche a questo, ma non solo. 
Perché ho capito forse la cosa più importante di tutte: spesso fuggire può insegnare a restare.


lunedì 3 giugno 2013

Chiamala se vuoi, passione.

Succede questo, che hai una passione in fermento, che non riesci a trattenere, perché si insinua nelle membra ed in ogni organo del tuo corpo, fino a penetrare nelle tue narici provocando un così forte starnuto che credi sia giunta l'ora di cominciare. Allora la alimenti, con cura ed indicibile devozione, fin quando ad un certo punto, in quel momento che sarà una delle tante possibilità o più presumibilmente quel momento giusto che aspettavi da tanto, le metterai le ali facendole spiccare il volo, che potrà essere simile ad una mongolfiera o ad un aquilone, o anche come quegli aeroplani di carta che non raggiungono l'alta quota. In effetti non lo saprai mai sin dall'inizio, ma intanto ci provi. E parlo della passione nel suo più alto grado di genericità, quella che in fondo non è solo di pochi, ma un po' di tutti. La passione verso una donna o un uomo, verso un luogo lontano che gradiremmo esplorare, verso progetti che all'inizio potrebbero sembrarci troppo grandi perché vedono noi troppo piccoli per poi crescere man mano insieme a loro. La passione verso le cose, le esperienze, le persone che in fondo non potranno che abbinarsi ad un unico aggettivo: belle.
Osservo le persone in questo loro costante movimento che ho da sempre cercato di emulare e sorrido. Osservo me stessa allo specchio ed in fondo sebbene c'è chi crede che vi sia un qualcosa di speciale nel concretizzare potenzialità altrimenti celate, di estrinsecarsi con così profonda passione sprofondandovi e al contempo riconoscendosi in essa nella più intima interiorità, io non ci vedo nulla di straordinariamente sorprendente in quella che invece sa di una normalità che profuma di umanità.
E' il contrario che mi sorprende. Trovo straordinariamente sorprendente perché raccapricciante avere un sogno e non provare a dargli un nome, un volto, una forma, dei colori, lasciandolo impallidire come quella zona del corpo che quando vai al mare non si abbronza perché coperta dal costume. Sognare un posto in cui forse non ci andrebbe mai nessuno ma che ti affascina al punto da non pensare, al punto da coniugare il verbo andare anche se dovrai fermarti alla prima voce singolare. Vivere di una passione che non riesci a far esplodere e che ti brucerà progressivamente, spegnendoti sino a farti morire della stessa che invece avrebbe potuto essere il tuo pane quotidiano. Essere davanti ad un uomo o una donna e non saper far nulla se non gesti meccanici perché temi di penetrare nei suoi occhi, nel suo sorriso, nella sua bocca prima che nel suo corpo, non sapendo più come uscire, pur provando un desiderio irrefrenabile, quello che non si perde in preamboli ma che in fondo conosce soltanto la frase "ti voglio", a luci spente, senza alcun rumore che non siano respiri, senza alcun profumo che non sia quello che percepiremo dall'odore della pelle. 
Ed allora forse è vero che di passione si vive, ma si muore anche, si vive con il sottofondo più melodioso, e si muore della morte più atroce, ma in fondo è questo che fanno le persone normali, perché nella normalità dei casi si dovrebbe scegliere di essere felici. Io altre strade non ne conosco.

martedì 28 maggio 2013

Va tutto bene.

Esistono giorni così. Quei giorni in cui avverti la vicinanza della stagione estiva, ma il cielo è cupo e non lascia filtrare alcun raggio di sole. Quei giorni in cui avverti che la fine è vicina, ma intanto ti lasci consolare dall'idea che in fondo sebbene sia quasi alle porte essa non sia ancora arrivata a tirarti per la gola dicendo "Adesso sono qui e non mi puoi sfuggire!"
Giorni in cui ti senti di una pesantezza imbarazzante, di un'agonia lacerante, quei giorni in cui sei combattuta tra i tuoi pensieri e quelli degli altri in un eccessivo altruismo che vorresti spegnere gridando a tutti che sei stanca, che vuoi che il turno duri più di qualche minuto, magari un'intera giornata, per assaporare cosa significhi essere al centro di qualcosa e non un figurante nell'angolo del palcoscenico. Quei giorni in cui vorresti mettere un punto, uno soltanto, in cui vorresti capire, in cui vorresti che il telefono squillasse e qualcuno dall'altra parte con voce calda ti dicesse "ma che hai?come stai?" e tu con inguaribile spontaneità per una volta ti sentissi di rispondere che non va esattamente tutto bene come vorresti che andasse, che non riesci a colpire con un pennarello indelebile il foglio per posizionare un punto, che tutti pensano che sia un'entità robotica che va a gettone ma in realtà sei stanca, sei molto stanca. E forse finirei la telefonata piangendo. Piangendo non di tristezza, ma quasi come fosse un gesto di liberazione.
Ma lo so che non accade. Non accade mai, perché in realtà mi piace dire a chiunque me lo chieda di non preoccuparsi, perché sto bene, va tutto esattamente come vorrei, anche se oggi mi sento come una di quelle giornate alle porte della stagione estiva, cristallizzata in un cielo cupo in cui nessun raggio di sole riesce a filtrare, in cui vorresti comprendere, ma ancora non ti è chiaro cosa né come.
Allora forse meglio restare in silenzio, perché va tutto bene, forse.

domenica 26 maggio 2013

Stare bene.

Talvolta tento di spiegare i miei silenzi e il mio ostinato tentativo di comprendere di fronte gli errori della gente. Ci ho impiegato del tempo per rispondere nell'unico modo più plausibile: non sono in fondo anche io un essere umano, e non è vero che forse tutti gli esseri umani sbagliano, prima o poi? 
Ho imparato a giudicare meno ed ascoltare di più per evitare che gli errori mi trafiggessero e mi lasciassero sanguinare senza che potessi far nulla per frenarne il flusso. Perché l'errore è così: aspetta il perdono, e se non arriva fa male di più, fa male due volte, ma non è un dolore condivisibile, è un dolore lancinante che trascina nel baratro soltanto te. Allora forse è questo il segreto per star meglio, o almeno conosco soltanto questi come possibili antidoti: l'ascolto, la comprensione ed un perdono silenzioso. Non significa farsi scivolare addosso ogni cosa, fingerci ciechi e sordi al cospetto di qualcosa che vorrebbe invece palesarsi e far così tanto rumore al punto da traforarci i timpani. Tutto questo ha solo un significato: dare il giusto peso alle cose. Soltanto così forse saremo in grado di trovare la più giusta delle dimensioni: stare bene. 

Stare bene non è come andare in bicicletta. Lo dovremo imparare anche se nessuno sarà disposto ad insegnarcelo, ed è quello che ogni giorno cerco di fare in silenzio, ascoltando, comprendendo, perdonando.

sabato 25 maggio 2013

A voi Malala, a noi Barbara D'Urso.


Mentre nella nostra Penisola, classificata come parte della zona civilizzata dell'emisfero, nascevano casi come quello della "farfalla inguinale di Belen", il caso Ruby, disgregazioni politiche motivate da celate ma verosimili corruzioni, mentre balzava agli onori della cronaca il caso "Scazzi" confezionato come fosse un indovinello destinato al pubblico "Chi ha ucciso Sara Scazzi?Lo zio, la zia o la cugina, manda un messaggio al 4888 inserendo la risposta, in palio moltissimi premi", nell'altra parte dell'emisfero, precisamente in Pakistan, esente dalla benché minima ombra di giustizia o civiltà che dir si voglia, si discuteva di un editto emesso dal regime talebano che vietava il diritto allo studio delle donne pakistane. 
Mentre nella nostra Penisola esiste Barbara D' Urso, che si autodefinisce giornalista, facendo del cattivo gusto un'arma vincente per accalappiare i telespettatori con fatti di cronaca, alternati con del becero gossip, dati in pasto all'opinione pubblica disinformata, allestendo bancarelle del torrone gestite da chi fa dell' "opinionista" un mestiere degno di nota, dando merito al concetto di democrazia secondo cui "chiunque, anche nella totale ignoranza, può esprimere un parere che diventa giudizio", ignorando di quanta forza persuasiva abbia il sistema televisivo sulla popolazione media che non usufruisce di altri mezzi per il proprio diritto all'informazione, nel distretto dello Swat, nel nord del Pakistan, c'era una ragazzina, Malala Yousafzai, che dall'età di 11 anni scriveva un blog per la BBC americana, in cui documentava il regime dei telebani pakistani, contrario ai diritti delle donne, nonché la loro occupazione del distretto dello Swat. Esempio di donna, nonostante la giovane età, che ha fatto della sua voce il più persuasivo strumento di comunicazione, in un Paese come il Pakistan, in cui è stata etichettata come "simbolo degli infedeli e dell'oscenità", in cui le donne non rivestono alcun ruolo sociale se non quello di strumento per soddisfare il sesso più forte. Esempio di comunicazione pericolosa e tagliente, in grado di destabilizzare, perchè veritiera, da intimorire il regime talebano al punto da organizzare un attentato in cui Malala è rimasta ferita gravemente, salvata a seguito di cure mediche specializzate a Londra e candidata al Premio Nobel per la Pace. La giovane vive attualmente in Inghilterra dove ha la possibilità di studiare, ma ha fondato un'associazione a tutela delle sue coetanee connazionali, vittime ancora oggi nel nostro millennio, di uno dei peggiori soprusi destinati al gentil sesso. 
Allora mentre in Pakistan si lotta per il riconoscimento di un diritto di studio per le donne, in Italia si fa di tutto per sotterrarlo, nonostante lo si abbia ottenuto già da un pezzo. 
Mentre in Italia abbiamo Barbara D'Urso, in Pakistan hanno Malala.
Allora sono un po' confusa. Se l'Italia è riconosciuto come uno di quei Paesi dell'emisfero "civilizzato" perché ricevere lezioni di civiltà da una giovane pakistana? Donne come Malala, disposte a sacrificarsi per scuotere le coscienze, le cui parole scritte su di un blog muovono il mondo intero più di un paio di gambe o di un seno rifatto, possono nascere soltanto in Pakistan, un paese in cui si vive in condizioni sociali ai limiti della comprensibilità umana? Il prezzo della civilizzazione italiana consta di Barbara D'Urso, Maria De Filippi, Nicole Minetti e Flavia Vento?
Onore a te, Malala, perché in un Paese in cui non potevi indossare vestiti colorati a scuola, in cui il tuo diritto allo studio viene bandito, la tua voce è stata esempio della civiltà più indiscussa degli ultimi tempi. Onore a te, Malala, che all'età di tredici anni, sei già una donna in grado di dimostrare la sua forza. Onore a te, Malala, che non hai avuto paura, né di parlare, né di morire. Onore a te, perché hai dimostrato che in un Paese non civilizzato si può nascere con un senso di civiltà ben maggiore di chi nasce in un Paese dell'emisfero "civilizzato".
Quindi a voi Malala, a noi Barbara D'Urso. A voi la forza della comunicazione, a noi il degrado della disinformazione.

" Ho la mia età, non ho botulini, non mi sono rifatta niente e le tette sono le mie. Perché dovrei nasconderla? Fa bene anche alle altre donne. Per il momento ho fortuna, Poi magari ci incontriamo tra due anni, bluffo sull'età, ho le bocce rifatte, sono tutta bloccata con du' labbroni così... E allora l'autorizzo a darmi della cretina. " (Sette, 27 maggio 2010)
Barbara D'Urso

"I don't mind if I have to sit on the floor at school. All I want is an education and I'm afraid of no one."
M. Y.


















mercoledì 22 maggio 2013

Un'immagine di felicità.

Non so se la felicità abbia una forma, un odore, un colore, un nome, un volto. Forse non ne ha o probabilmente esiste per ciascuno di noi un'immagine che compenetri tutto ciò che ci fa bene, un'immagine che vada a cristallizzare il nostro inconscio concetto di felicità.
Ed io di queste immagini ne ho sperimentate tante, molte fugaci, estreme, un nido di emozioni forti che mi hanno fatto salire il cuore in gola per poi essere costretta ad ingoiarlo come un boccone amaro che avresti volentieri invece sputato. Ma poi ho pensato a quale potesse essere un'immagine in grado di penetrarti come un oggetto che non avresti avuto più desiderio di espellere, un'immagine calda, equilibrata, dove non ci sarebbe stato spazio per quel che sa di trasgressivo o di estremamente accattivante, ma al contrario ci sarebbe stato spazio per i ti voglio bene, i sorrisi, gli abbracci, le parole sussurrate o urlate a squarciagola, che mi avrebbero fatto sentire parte di qualcosa che non avrei mai voluto sputare perché parte di quella zona di vita dove ci si incontra per sentirsi meno soli. E oggi, più matura e consapevole di ciò che desidero, non credo di aver sempre sbagliato rotta, ma le tante rotte sbagliate mi hanno forse condotto nella direzione che oggi sento più giusta, perché in fondo più vera.
E se pensassi ad un'immagine di felicità penserei a me in una libreria a tirare il mio libro da uno scaffale per annusare il fresco profumo della carta su cui l'inchiostro si impregna in una serie concatenata di pensieri che in fondo non sono altro che ciò che sentivo di comunicare in un dato momento della mia vita, perché invece di restare in silenzio ho preferito scrivere. O potrei pensare a me su di una spiaggia, alle sei del pomeriggio, avendo di fronte un mare calmo in cui il Sole sta per immergersi per preparare al tramonto, un fresco venticello che sembri quasi bagnare la pelle e sfogliare le pagine di un libro che ti è accanto velocemente, offrendoti un senso di sollievo, di sana tranquillità, di te come se fossi infinito. La mia felicità avrebbe anche forse il volto delle persone nei cui confronti provo un affetto inimmaginabile, anche se non lo dico quasi mai, anche se non lo ripeto tutti i giorni. E nella mia immagine di felicità li vorrei tutti insieme, anche quelli che tra di loro non hanno legami, perché forse l'essenza della felicità è racchiusa in una delle parole più belle: insieme. 
Ma forse la verità è che pensiamo di dare definizioni ad ogni cosa, immaginiamo la felicità come un progetto che si realizzi, fresca come un venticello che bacia l'epidermide in un tardo pomeriggio d'estate, con il volto delle persone a noi più care. Immaginiamo che la vera felicità risieda nell'autentica amicizia o qualcuno pensa nel vero amore, per questo ostinato tentativo di dare definizioni diverse a ciò che in fondo esprime un'unico concetto che si estrinseca in diverse forme: l'amore è una forma di amicizia, come l'amicizia è una forma d'amore. Allora non è vero che forse basta dire che tutto questo è felicità? Non è forse vero che possiamo esserlo, anche a piccole dosi, ogni singolo giorno della nostra vita?

lunedì 20 maggio 2013

Scelte di vita.

Se è vero che la vita è fatta di scelte, scegliamo sempre noi chi diventare, partendo dal presupposto che stesse scelte significano stessi errori.
Possiamo scegliere di rischiare o essere codardi.
Possiamo scegliere di essere sconfitti dalla paura o di vincerla.
Possiamo scegliere di star seduti in salotto a guardare le porte chiuse alle nostre spalle o scegliere di alzarci per aprirne altre, in un qualche altro angolo freddo della casa che potrebbe generare un lieve tepore tale da riscaldarci la pelle.
Possiamo scegliere di credere nelle cose belle o farci cullare dall'onda della disillusione.
Possiamo scegliere di perdonare o vivere nel rimpianto.
Possiamo scegliere di ascoltare e di entrare silenziosamente attraverso le fessure nelle vite altrui oppure chiuderci nei nostri silenzi non permettendo a nessuno di entrare né dando a noi la medesima possibilità.
Possiamo scegliere di pensare a ciò che sarebbe stato ma non è accaduto o a quello che potrebbe invece accadere.
Possiamo scegliere di ergerci su di un piedistallo, programmando con attenzione ogni conseguenza di un possibile gesto, imprigionati in quegli schemi che bistrattano il senso di libertà che ci avvicinerebbe alla nostra intima indole, oppure possiamo scegliere di scendere, senza che prevalga alcun programma, senza farci risucchiare da alcuno schema, agendo come solo il cuore comanda, sentendoci in fondo più liberi perché più vicini a quello che siamo.
Possiamo scegliere di essere maturi o credere ancora di diventare l'altra metà della mela di qualcuno.
Possiamo scegliere di essere uomini o bambini, donne o femminucce. 
Possiamo scegliere di restare sulla riva, arrivando a bagnarci soltanto i piedi, o scegliere di tuffarci, bagnandoci completamente, senza pensare a quando sarà il momento giusto per asciugarci.
Possiamo scegliere di vivere o soltanto di esistere. 
Scegliamo tutto noi, ed è questo che dobbiamo capire. Ed anche se le persone sembrino non apprezzare o forse poco intenti nel comprendere, io ho scelto di fare scelte diverse. Ho scelto di rischiare, di non avere paura, di cercare di aprire porte senza timore di doverle richiudere un giorno, di credere che qualcosa di bello sia ancora possibile, di perdonare quando occorre, di entrare nelle vite degli altri almeno quanto nella mia, di scendere dal piedistallo, di ascoltare di più il cuore, di tuffarmi nel mare della vita, di essere finalmente più matura. Ho scelto semplicemente di essere donna, perché ho capito che ero soltanto io a dover prendere questa decisione, senza poterla delegare a nessuno, tanto meno far scegliere alla vita al mio posto.

sabato 18 maggio 2013

Tua per sempre.

Spesso ciò che serbiamo dentro necessita di prendere voce. Lo dobbiamo sussurrare oppure urlare, ma quando non riusciamo a fare nessuna delle due cose, sarà talvolta proprio lui a raggiungerci nei sogni, quasi come se ti dicesse "Non puoi respingermi, perché io sono qui".
Ed io ho provato a respingerti tante volte in questi anni, sperando che tu non mi cercassi in nessuna delle possibili forme in cui avresti potuto farti trovare, perché in fondo quando te ne sei andato non hai pensato a nessuno, non hai pensato nemmeno a me, anche se in fondo non riesco a comprendere perché avresti dovuto farlo. Ed è per questo che a volte vorrei dirti di lasciarmi stare, perché forse soltanto se lo facessi sarei in grado di vivere due vite, la mia ed anche la tua. Ma ogni tanto ti insinui dentro di me, pensando di farlo silenziosamente ed invece fai rumore. Sì non immagini il rumore. Un rumore destabilizzante che richiama ricordi che vorrei cancellare, ma tu me li riproponi anche se non avrei voglia di sfogliarli come un album di fotografie, costringendomi a vivere con una mancanza per cui non ho pianto come avrei dovuto, ma che ogni giorno mi ha divorato sino a creare una voragine in cui costantemente mi ci butto dentro faticando a risalire. Vorrei dirti tante cose ma la prima che mi viene in mente è che ti voglio bene ma non voglio essere come te. Ti voglio bene ma ci dobbiamo dividere, anche nei sogni, come in effetti hai scelto tu di fare in questa vita terrena. Perché esistono momenti nella vita in cui l'unica liberazione reale deriva dalla parola basta. E adesso dico basta io, come quando sei costretto ad abbandonare qualcuno con le lacrime agli occhi per intraprendere una strada che ti conduca alla serenità, alla vita piena perché palpabile. Che cosa mi hai insegnato se non che la vita può essere più amara dell'inchiostro, se non che le persone ad un certo punto decidono di andarsene e tu senza farti domande come un mulo devi ubbidire al loro volere, che non c'è scelta alla frustrazione, che nemmeno l'amore può salvarti. Hai voluto insegnarmi tutto questo quando ero ancora troppo piccola per sopportare una colpa così grande, ma mi sono fidata e mi sono distrutta tra le paure di un'amarezza certa, come certi sarebbero stati gli abbandoni, nonché certa la mancanza d'amore che non salva di certo le vite delle persone. Ma se posso essere sincera, io questo non volevo conoscerlo, avrei voluto non diventare grande così in fretta e godermi l'ingenua spensieratezza dei miei anni.
Però adesso ti chiedo soltanto di farmi vivere un po', di non prendertela se non ti voglio più come insegnante come facevamo quando eri ancora con me, perché tu adesso non ci sei più, ma io voglio esserci. Forse un giorno ci rincontreremo, ma allora vorrò essere io ad insegnarti qualcosa, tutto quello che avresti potuto conoscere ma hai scelto di ignorare, che la vita può essere meravigliosa se cerchiamo anche il dolce invece di sottostare soltanto a ciò che ci sembra amaro, che le persone se ne vanno ma c'è chi decide di restare se non ci facciamo prendere dalla paura, che possiamo scegliere di dire basta alla frustrazione lasciandoci cullare dall'amore in ogni sua forma, quell'amore che in fondo salva chiunque non abbia paura di viverlo.
Ti voglio bene ma è giunta l'ora di dividerci.

Tua per sempre, anche se non ci sono stata sempre.

Scusa il ritardo ma prima o poi ciò che non diciamo cerca voce, ed io conosco soltanto questa come possibile voce.


venerdì 17 maggio 2013

Cos'è l'infinito?

Ho un collana che porto sempre al collo ed un bracciale che ho sempre al polso con il simbolo dell'infinito: per molti simile ad un numero otto disteso, ma forse più propriamente un insieme di punti di cui non si conosce l'esatta direzione, che convergono tutti in un unico punto, dove si nasce e allo stesso tempo si muore, o dove si muore per poi rinascere ancora.
Oggi mi guardavo allo specchio e ho pensato a cosa fosse in fondo quest'entità astratta, se potesse avere un altro nome, una forma, un odore che non fosse quello dei fumi che si confondono nell'aria rarefatta di una grande metropoli, se addirittura potesse avere anche un volto. 
Ho pensato che l'infinito potesse avere il colore di un cielo terso, la profondità di un oceano, la freschezza di una leggera brezza che ti bacia la pelle per poi penetrarti silenziosamente dentro attraverso i pori sin dentro le ossa, il profumo delle viole, la libertà del vento, la dolcezza del miele, la tenerezza di un bambino che piange perché vuole la sua mamma, la passione del cuore, il battito d'ali di una farfalla ma al contempo la maestosità di un'aquila, la grandezza di una metropoli che serba in seno le tradizioni folcloristiche di un piccolo villaggio di campagna dove si prepara ancora il pane in casa che sa di una quotidianità che abbaglia per la sua semplicità. Ho pensato che l'infinito potesse avere il volto di un uomo afflitto nei suoi mille perché, in ginocchio per le continue sconfitte, che muore per poi rinascere in quel punto di convergenza in cui decide di non domandarsi più niente lasciandosi trasportare dalla dolce melodia di un cuore che gli farà aprire nuove porte dimenticandosi di quelle chiuse alle sue spalle, meravigliandosi ogni volta che alzerà le sue ginocchia da quel ruvido asfalto umido. Ho pensato ai rapporti che ti riscaldano, come fossi una rondine che migra in primavera alla ricerca di posti caldi, ai sorrisi e agli abbracci che sussurrano un ti voglio bene che, nonostante la finitezza dei termini racchiusi tra vocali e consonanti, sembrerà infinito. Ho pensato ad una strada larga che vorrai percorrere a marce basse per goderti la bellezza di ogni dettaglio, dal rosa dell'alba che si perde nell'azzurro di una mattinata soleggiata, al rosso di un tramonto che farà spazio all'imbrunire di una notte stellata. Una di quelle strade che percorrerai ad occhi chiusi, senza sapere dove ti condurrà, dando fiducia al cuore che intanto ascolti e segui non incantevole costanza.
Ho pensato anche alle cose che iniziano per poi finire, vedendoci nel mezzo qualcosa che rassomigliasse all'infinito. Perché sebbene ci sia un inizio ed una fine per ogni cosa, ciò che c'è al centro può chiamarsi infinito. Perché forse l'infinito ce lo portiamo dentro, perché forse in base alla definizione che proporremo per quest'entità misteriosa, potremo decidere noi stessi di esserlo, perdendoci nel mare della bellezza più preziosa con chi sceglierà di essere infinito.