domenica 28 agosto 2016

Sentire


Ci ho impiegato ventisette anni per capirlo.
Che non possiamo costruire ali di cartone a qualcosa che per sua natura non era destinato a decollare.
Che la paura d’innamorarsi è giá una forma d’amore, silenzioso.
Che non esistono momenti perfetti, ma ogni attimo può permetterci di raggiungere quella perfezione che, nonostante le sue sbavature, possa appartenerci.
Che la vita é troppo breve per non maturare il coraggio di tuffarvisi dentro, sino forse a rischiare di annegare. Ma avremo vissuto soltanto quando avremo imparato a lasciare le cose a noi non destinate. Ed anche a restare. Quando qualcosa ci fa sentire che potrebbe essere una cosa bella. Quando la sentiamo. Solo in quel caso.
Che la complicità é anch’essa una forma d’amore, eppure la più sottovalutata.
È un brivido. Un pugno allo stomaco. Succede e basta. Nessuno può evitarlo.
Non te lo puoi far venire nel tempo. Non puoi fartelo dare di proposito. E nemmeno affaticarti per porne le basi.
Che se avesse un suono sarebbe una risata fragorosa, di quelle che ricordi perchè intanto ti ci guardi negli occhi e capisci, prima di ogni cosa, che tu esisti, sei vivo, ci sei.
Ma che potrebbe averne anche un altro, che sentiremo a fatica o che avremo paura di sentire. Tipo tac. Sí proprio quello. Tac.
Che non si può evitare qualcosa che in noi si sia già insinuato.
Che quando un giorno, per caso, avrai imparato a scegliere, attorno a te tutti ti sembreranno immobili. Incapaci. Inutili. E tu non vorrai nè potrai impartire lezioni su come si faccia, perché lo saprai già: che non si può salvare chi non vuole essere salvato.
Cosí, a fatica, ti sforzerai di imparare un’altra cosa: cancellare, tutto quanto, nonostante dentro di te i giardini appaiano già in fiore.

Ma se c’è una cosa che mi sono sempre chiesta non riuscendo a venirne mai a capo è se tutti abbiano la stessa capacità di sentire.
Perchè ho sempre fatto lo stesso errore, io.
Pensare che tutti fossero in grado di sentire nello stesso modo.
Pensarlo, forse, anche soltanto perchè lo stessi facendo io.
Ma forse ho scoperto che anche quando te lo fanno credere, in realtà non lo stiano facendo.
Pensano di farlo, non ammettendo a se stessi che quello non è sentire, ma il bisogno di farsi accettare, per quello che non si è.

Cosí come quando penso alle forme infinite di comunicazione e quella che ognuno di noi pensa di scegliere, quando forse è invece lei a scegliere noi, quando hai bisogno di esprimere quello che senti.

Ed è forse per questo che abbia scelto di scrivere.
O forse è stata lei a scegliere me.
Come tutte le cose che devono appartenerci di diritto e farà di tutto per imporsi nella nostra vita, anche quando tenteremo di scacciarle via.
Come tutte le cose che potrebbero apparire pericolose, solo per la loro tendenza a distruggere piani precostituiti, rompere reti, aprire cancelli che avevamo chiuso con la doppia mandata.
Poi un giorno, per caso, capisci il motivo perchè tu e lei vi siate scelte.
Perchè gli ho sempre dato troppo valore.
A quelle parole che non riesco mai a dire.
A quelle che nascondo dietro altre.
Perchè forse mi sono sempre fatta bastare quello che sentivo.
Pensando lo potessimo fare tutti nello stesso modo.
Perchè ho sempre attribuito un significato ad ogni dettaglio.
Pensando che lo vedessero anche gli altri.
Lasciandomele bruciare dentro.

Poi ho immaginato che se ci si tiene sempre tutto dentro è come se non avessi niente.
E non per il bisogno di dimostrare ad altri quello che si è.
Ma perchè, forse, potrebbe farci sentire meglio.

Ed io voglio imparare un’altra cosa.
A non avere paura della felicità.
A non temere quando sento troppo.

Perchè comunque andrà a finire, me lo ricorderò per sempre: sono viva.

E se altri non riescono a sentirlo, devo ricordarmi anche questo: se lo sono è perchè ho scelto di esserlo. Fino in fondo.

domenica 21 agosto 2016

Dalla A alla Zeta

Pensavo che andare al supermercato da sola e mettere in tavola monoporzioni mi avrebbe fatto male.
Credevo che l'entusiasmo di imparare a cucinare qualcosa che andasse al di là di un piatto di pasta sarebbe gradualmente svanito.
Cosí come osservarmi dall'esterno tra le pareti bianche di una stanza a cui avrei dovuto regalare ancora una volta il mio profumo, i miei colori, in parte anche il mio nome.
E cosí come riempire gli spazi vuoti e silenziosi di musica, film, tanti libri.
Poi mi sono accorta che avevo fatto già tutto.
Sin dal momento in cui avevo deciso di muovere il mio primo passo.

Allora ho pensato a tutte quelle volte in cui mi convincevo dell'idea che se ci piace A non possiamo desiderare anche Zeta.
A tutte quelle volte in cui mi convincevo che A dovesse essere la mia vita per sempre.
E a tutte quelle in cui mi dicevo che Zeta sarebbe stato soltanto un desiderio inconscio che non sarebbe mai esploso, altrimenti avrebbe rovinato tutti i miei piani.

Poi ho realizzato che se la vita decide di prendere pieghe inaspettate sia un buon segno, perché significa che ti stai muovendo.
Che cucinare da sola non è poi così male, così come ripartire da pareti bianche su cui dipingere il tuo nome ancora una volta e riempire la solitudine di musica, film e tanta lettura.
Non immaginavo di stare bene, e forse addirittura felice.

Mi sono ricordata che tanto tempo fa avevo scelto A.
Ma non perché disdegnassi Zeta.
Credevo che A potesse sopperire a tutte le mie mancanze.
Immaginavo fosse la scelta giusta perché forse tutte le altre si erano sempre rivelate malsane.

Ma col tempo ho appurato che può accadere: di desiderare due cose diametricalmente opposte.
Di desiderare Zeta, pur restando in A.
Di convincerti che è con A che devi stare, pur immaginando che raggiungendo Zeta tu possa conoscere un'altra parte di te, quella a cui molto spesso non attribuiamo pari dignità soltanto per il suo essere qualcosa di inconscio. Ma esiste, é reale, é ciò che ci rende autentici.
La sfida sta nel cacciarlo fuori. Rischiare di essere felici, di avvicinarci a quell'essere donna o uomo cui abbiamo sempre immaginato di tendere.

C'é stato un momento in cui ho avvertito tutto il peso di quelle scelte fatte soltanto perchè sembravano giuste. Quel momento in cui ho assunto consapevolezza che avrei forse perso l'occasione di compiere scelte che non si collocavano in alcuna logica di giustizia, ma le avrei sentite, rumoreggiare nel mio stomaco come schegge impazzite.

Così ho capito che esiste anche un'altra opzione.
Che sia necessario trovarsi in A per accorgersi un giorno, per caso, di volersi invece tuffare in Zeta.
Che la vita ci pone dinanzi al confronto ripetutamente per lasciare a noi la facoltà di scegliere da che parte tendere, pur indicandoci quale sia la strada più appropriata, facendocela sentire già nostra.
Ma non ci regala consapevolezze, né il coraggio di scegliere.
Scoprire chi siamo spetta a noi, in cui maturare la facoltà di sentire il nostro battito cardiaco riveste un ruolo fondamentale.

Ho capito di desiderare Zeta da sempre.
E potevo scoprirlo soltanto vivendomi A, sino ad ossidarmi.
Sono questi i miracoli della vita.
Essere in grado di ascoltarla, anche quando tutto intorno a te appaia muto.






domenica 14 agosto 2016

Come un pugno allo stomaco

Tutte le volte qualcuno mi ricorda quanto sia forte.
Ed io tutte le volte rido.
Perchè vorrei raccontargli una storia diversa. Ma forse come è vero che non puoi salvare chi non vuole essere salvato, è vero anche che non puoi regalare occhi diversi a chi ha deciso di essere cieco.
Cosí penso, tra me e me, che l'essere forte è un impegno che prevede, tra le tante, un' imprescindibile condizione: consapevolezza.

Delle proprie priorità.
Di quello che si è.
Di quello a cui non si é disposti a rinunciare perchè ci rende felici, o semplicemente migliori.
Di quello che desideriamo dalla nostra vita.
Di chi ci vogliamo circondare.
La consapevolezza che le cose belle ad un certo punto scompariranno ed allora converrà munirci di occhi belli, prima che sia tardi.
Solo se si vuole una vita bella però.

Cosí quando mi dicono che sono forte vorrei raccontargli di quando non lo ero.
Di quando ogni mattina mi alzo e sorseggiando il mio caffè bollente mi accorgo di non esserlo poi abbastanza.
Ma essere forte implica forse anche questo.
È come un viaggio con noi stessi in cui sperimenteremo l'intera tavolozza di colori in cui ci tufferemo con la stessa intensità.
Ce ne sporcheremo le mani, il viso, l'intero corpo, senza timore di mostrarci in pubblico.
Le persone forti lo sanno: che le emozioni, di qualsiasi natura siano, si esprimono attraverso il linguaggio del corpo ed è necessario buttarle fuori, cosí gli si attribuirà dignità.

Allora vorrei raccontare di quando il non essere forte abbastanza mi ha fatto perdere un amico per sempre.
Quando il non essere forte abbastanza mi ha fatto perdere in idealizzazioni consumate dall'idea di quanto riuscissi ad essere imprecisa nelle mie blande constatazioni in cui ci mettevo soltanto il cuore e mai la testa.
Quando il non essere forte abbastanza mi ha fatto perdere in calcoli approssimativi di cui sin dal principio immaginavo il risultato, ma ci volevo provare comunque.
Quando il non esserlo mi impediva di lasciare ciò che sentivo a me non destinato.
Ed anche quando il non esserlo mi ha fatto precipitare in labirinti che la mia mente aveva deciso di creare solo perchè avevo deciso di restare, anche quando l'altro aveva deciso di abbandonare già il campo.
E poi quando il non esserlo mi ha fatto credere che quel pugno allo stomaco di cui parlano tutti fosse un miracolo destinato a pochi, ed io probabilmente non ero destinata ad essere parte della cerchia.
Quando il non essere forte abbastanza mi ha dato l'illusione di poter trascinare situazioni in cui non riconoscevo nemmeno più chi fossi. Quando ho creduto di potercela fare, nonostante non fossi più in grado di sentire il mio battito cardiaco.
Quando ho creduto che questo mi potesse rendere forte ed invece ho realizzato di non aver mai scelto.

Talvolta ho pensato di collezionare fallimenti.
Ma poi ho scoperto di non poterli chiamare cosí.
È un privilegio. Un dono. Quasi un miracolo.
Il fatto che abbia deciso di pormi al centro tra il dire ed il fare ed applicare le mie consapevolezze nel quotidiano.
E non falliamo mai, anzi cresciamo.
E la crescita è sinonimo di vita.
Quella vera. Piena. Appassionata. Innamorata. Sorridente. Quella che sancisce una linea di demarcazione tra superficialità e leggerezza.

La prima sa bene che non conosci a fondo te stesso. O gioca sul fatto che continuerai inerme a non farti domande, per timore di conoscerne le risposte. Allora andrai avanti, per inerzia, collezionando momenti in cui sarai cieco, sordo e muto. Non per scelta, ma per tacita sottomissione. Non sentirai niente. Lascerai scorrere i dettagli su cui avresti potuto soffermarti se solo avessi scelto invece di sentire. Proprio quel pugno allo stomaco. Quel pugno lì.

La leggerezza è invece un percorso incidentato, dove quello che senti non lo scegli tu ma il tuo destino, che accompagnerai per mano in una danza che non credevi potesse essere cosí ritmata, vivace, viva, bella. Non ti farai domande perchè sarai troppo impegnato a vivere quelle risposte in cui ti sarai tuffato, e non per pura follia, ma perchè sarai stanco di vivere una vita che non ti appartiene, che hai il dovere di portare a termine seguendone le tappe con metodica precisione.
Capirai che la vita è un pugno allo stomaco.
Un brivido.
Certe cose succedono e basta.
Che puoi evitare qualsiasi cosa.
Poi verrà a prenderti.
Dunque tanto vale abbandonarsi.
A quei dettagli che meriteranno occhi profondi, orecchie in grado di sentire, bocche che riusciranno a trasmettere qualcosa anche quando resteranno chiuse.

Ed è cosí che ho scelto.
Di essere forte, come le radici di una quercia.
Ma anche debole, come le schegge di un cristallo.
Di essere leggera, come un soffio di vento.
Perchè la vita è una e dobbiamo vivere la nostra.
La vita è bella solo se fatta di cose belle che non scanseremo per il becero timore di deviare traiettorie già consumate.
Ed è questo tutto quello che alla mia età mi basta sapere.
Che ci sarà sempre qualcuno o qualcosa che ci farà riscoprire migliori di quello che credevamo.
E saranno le sole per cui varrà la pena tentare.

Ecco. Questa è la vita secondo me.

mercoledì 10 agosto 2016

Prendetela, questa vita

Tutto dovrebbe essere come un dolce dondolio, la cui intensità si percepisce dalla forza con cui ci si abbandona ed il desiderio dalla costanza di non smettere mai.
Come un soffio di vento che ti scompiglia i capelli che non riesci a toglierti dalla fronte.
Come una goccia di rugiada che si poggia sui primi fiori di primavera.
Come un'armonia che sa di leggerezza, perché allo stesso tempo ti incanta creandoti un vortice dentro e te lo riempie.
Come una bussola dietro cui perderti, per visitare luoghi prima mai esplorati.
Così che si possano ridisegnare i contorni, anche quando apparivano già calcati.
Sceglierne i colori, ed anche i profumi.

Ecco. È cosí che immagino la vita. O la più alta forma d'amore, verso l'altro, ma soprattutto se stessi.

Come uno spicchio di vita in cui ci siano dentro tante cose.

Di quelle che apparentemente sembrino non avere un senso logico, ma riscaldano, perché ti fanno sentire pienamente te stesso.
Di quelle che dondolano, come un'altalena su cui siede un bambino che chiede al papà di spingerlo sempre più forte, immaginando di poter toccare il cielo con un dito.
Di quelle che ti soffiano in faccia purché tu riesca a vederle e non riuscire ad ignorarle.
Di quelle che ti rinfrescano, sentendoti sempre come un bocciolo in primavera.
Di quelle che ad un ritmo incalzante ti si insinuano dentro e fanno rumore, come il suono di tamburi.
Di quelle leggere, che riempiono e svuotano ad un andamento costante.
Di quelle che il cuore te lo fanno in mille pezzi e te ne restituiscono uno nuovo il cui battito sarà accelerato quanto basta per sentire tutto quello che non credevamo possibile.
Di cose semplici, ma autentiche.
Mai banali.
Semplici.
Come una poesia a rima baciata.

Perché se c'è una cosa che ho imparato mentre mi affaticavo a rimettere in ordine i pezzi con l'ostinata caparbietà di oscurare pensieri che consideravo malsani solo perché non si sposavano con quanto la realtà invece raccontasse, è che non abbiamo nessun dovere, di dire o fare, se non quello di sentirci felici.
Pienamente. Follemente. Con tutta la passione che abbiamo dentro.
Che non significa vivere in una realtà avulsa dal quotidiano.
Ma plasmarla, a nostra immagine e somiglianza.
Così da lasciare sempre il nostro profumo.
Così da avere sempre un cuore pieno abbastanza da lasciarne pezzi a caso qua e là, per far sì che siano quelle le nostre impronte.

Si dice che le cose semplici siano quelle più belle.
E le cose belle hanno bisogno di profondità.
Quelle che spettano solo a chi ha il coraggio di osare.
A chi si munirà di occhi belli, così da poterle guardare.
Da trattenerle, in quello spicchio di vita, finché si è in tempo.

Afferratela allora, questa vita.
Prendetevela, tutta questa vita.



domenica 7 agosto 2016

Creatrice di momenti

Ho creduto per un attimo che questa città stesse diventando troppo grande.
Troppo per trattenermi senza che mi sgretolassi.
Troppo per le mie aspettative.
Troppo per ricostruire una dimensione dalle pareti morbide e schizzi di pittura colorata versati a caso.

L'ho pensato quando gli ero seduta di fronte, portandomi le dita alla bocca, come una bambina inesperta che si chiedeva come e da cosa potesse cominciare.

Ho per un attimo avallato una tesi che non mi è mai appartenuta fino in fondo.
Quella secondo cui le cose giuste arriveranno sempre al momento sbagliato, mentre le sbagliate sempre nel momento più propizio che ci renderà pronti ad afferrarle e a trattenerle, chi lo sa poi per quanto altro tempo ancora.

Poi mi sono ricordata di quanto fosse importante la parte che si svolge nella creazione di un momento.
Come un attore sul palcoscenico che dimentica il copione e deve andare avanti sperimentando l'arte dell'improvvisazione.
Quella intelligente, che stimoli, che mantenga l'attenzione di tutti. Quella in cui se sarai bravo abbastanza troverai un filo logico che metta in fila una serie di battute che ad un ritmo incalzante condurranno alla fine della storia, così come all'inizio di scoperte importanti: qualsiasi siano le condizioni, basta volerlo.

Ed è stato allora che l'ho capito.
Che avrei potuto scegliere di diventare una persona che non sente più niente.
Che si ciba di decisioni altrui per timore di prenderne di proprie.
Che di fronte ad un bivio si domanda quale sia la strada più comoda da seguire.
Che si racconterà un'altra storia.
Che fingerà di non ascoltare il rumore che ha dentro.

Ma ho scelto di diventare una creatrice di momenti.
Una di quelle che in un giorno di sole i cui raggi, filtrando attraverso i vetri della finestra, riescono a riscaldare l'ambiente, decide di spazzare via le foglie ingiallite per piantare nuovi semi.
Quando nessuno se lo sarebbe mai aspettato.
Quando tutti credevano non potesse mai accadere.

Perché quando lasci che un pensiero si insinui con prepotenza nella tua mente, sarà già fatta e toccherà a te porre rimedio, creando un momento.
Perché quando inizi, non potrai tornare indietro. Dovrai creare momenti che ti spingano in avanti.
E se avrai dei dubbi su quale sia la strada giusta da seguire, ascolta il rumore che hai dentro.
Sarà la via segnata dal tuo destino, forse.

Così, mentre ero intenta ad immaginarmi ancora troppo piccola ed inesperta, ho scoperto che questa città mi volesse far capire quanto grande fossi diventata e quanto ancora potessi esserlo.
Altrove.
Con un carillon sul comodino e le valigie sotto il letto.
Con delle tende retrò ed un lampadario improvvisato alla carlona.
Con delle candele aromatiche riposte sulle mensole.
Con tutta quella vita che mi porto sulle spalle.
E con quella che ancora riesco ad immaginare.
Con una casa da dover ricostruire, mattone su mattone.
Una di quelle meravigliose perché ci sarà dentro tutto quello che sento, che sono diventata e a cui non vorrò più rinunciare: il mio cuore.



mercoledì 3 agosto 2016

Scatole di cartone

Circondatevi di persone che conoscano non soltanto l'odore del mare, ma che sappiano meravigliarsi al suono di ogni sua onda.
Che sappiano guardarlo ed ascoltarlo come fosse una creatura da ammirare, la più meravigliosa mai incontrata prima. Che con cosciente onnipotenza ne constateranno la grandezza, ma sempre ad un passo dal sentirsi della sua stessa portata: infiniti.

Circondatevi di persone che sappiano ridere.
Che amino danzare a pieni nudi sotto la pioggia.
Che indichino col dito l'arcobaleno come fanno i bambini.

Circondatevi di persone che parlino il vostro stesso linguaggio.
Del corpo.
Della mente.
Del cuore.
Lasciatevi trascinare in questa danza, ammaliante tanto quanto pericolosa.
Perché quando oramai avrete imparato a ballare, non riuscirete più ad uscirne.
Ma vi concederete la più bella delle melodie mai ascoltate prima in cui i vostri piedi non saranno mai stanchi di battere il selciato.

Circondatevi di persone che abbiano degli occhi in cui sarete in grado di riconoscervi.
Bocche che sembreranno fatte apposta per toccarsi.
Orecchie che non vorranno sentire altro che il suono della vostra voce.

Circondatevi di persone che spruzzino libertà da ogni poro della pelle, cosí da raccoglierla a piene mani.
Circondatevi di quelle che sprigionano un'energia tale da generare una continua espansione, dentro e fuori.
Di quelle cui non avrete mai paura di mentire, perché sarete sempre così come siete, senza alcun freno. Senza nessuna paura.

Circondatevi di persone che sappiano sentire, così come sentite voi.
Di quelle che sentono cose che la vostra mente ha sempre creduto di tacere.
Di quelle da cui potrete imparare a sentire cose nuove o semplicemente in un modo diverso, così da metterle insieme alle proprie e produrre la melodia più dolce ed autentica mai suonata.

Circondatevi di persone che entrano un giorno nella vostra vita senza mai chiedere nulla.
Né di restare.
Nemmeno di andare via.
Di quelle che con la morbidezza di un vento primaverile spazzano via le foglie d'autunno senza che voi l'abbiate mai chiesto, per far germogliare boccioli cui sarà vostra premura innaffiare per far nascere nuove rose.
Di quelle che ad un certo punto non riuscirete più ad evitare.
Perché anche se lo farete, non lo vorrete mai abbastanza.

Circondatevi di persone che ricorderanno ogni smorfia del vostro volto, ma ne ameranno particolarmente soltanto una.
Di quelle che vi vogliono, anche quando sono in silenzio.
Circondatevi di quelle che vi bruciano dentro, prima di esplodere come dinamite.

Circondatevi delle scoperte più belle che vi offre la vita.
Imparate a guardare, anche quando credete non ve ne siano.
Circondatevi di pezzi di vita.
Imparate a riconoscerli.
Raccoglieteli.
Tratteneteli a piene mani.
Lasciateli andare soltanto quando vi accorgerete che per voi non ci sarà spazio.
Ma continuate a cercarne altri.

Imparate a lasciare tutto il resto.
Quelle sono scatole di cartone in cui abbiamo rinchiuso tutte le nostre cianfrusaglie per timore di deviare percorsi, di restare soli, di volere ed amare come non pensavamo fossimo capaci.

Quelle non saranno mai pesanti, perché portano soltanto tutto il vuoto che ci portiamo dentro.

Scopritelo in fretta, prima che sia troppo tardi.
Prima che quei pezzi di vita volino nell'aria, come soffioni che nessuno riuscirà a raccogliere.