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domenica 28 agosto 2016

Sentire


Ci ho impiegato ventisette anni per capirlo.
Che non possiamo costruire ali di cartone a qualcosa che per sua natura non era destinato a decollare.
Che la paura d’innamorarsi è giá una forma d’amore, silenzioso.
Che non esistono momenti perfetti, ma ogni attimo può permetterci di raggiungere quella perfezione che, nonostante le sue sbavature, possa appartenerci.
Che la vita é troppo breve per non maturare il coraggio di tuffarvisi dentro, sino forse a rischiare di annegare. Ma avremo vissuto soltanto quando avremo imparato a lasciare le cose a noi non destinate. Ed anche a restare. Quando qualcosa ci fa sentire che potrebbe essere una cosa bella. Quando la sentiamo. Solo in quel caso.
Che la complicità é anch’essa una forma d’amore, eppure la più sottovalutata.
È un brivido. Un pugno allo stomaco. Succede e basta. Nessuno può evitarlo.
Non te lo puoi far venire nel tempo. Non puoi fartelo dare di proposito. E nemmeno affaticarti per porne le basi.
Che se avesse un suono sarebbe una risata fragorosa, di quelle che ricordi perchè intanto ti ci guardi negli occhi e capisci, prima di ogni cosa, che tu esisti, sei vivo, ci sei.
Ma che potrebbe averne anche un altro, che sentiremo a fatica o che avremo paura di sentire. Tipo tac. Sí proprio quello. Tac.
Che non si può evitare qualcosa che in noi si sia già insinuato.
Che quando un giorno, per caso, avrai imparato a scegliere, attorno a te tutti ti sembreranno immobili. Incapaci. Inutili. E tu non vorrai nè potrai impartire lezioni su come si faccia, perché lo saprai già: che non si può salvare chi non vuole essere salvato.
Cosí, a fatica, ti sforzerai di imparare un’altra cosa: cancellare, tutto quanto, nonostante dentro di te i giardini appaiano già in fiore.

Ma se c’è una cosa che mi sono sempre chiesta non riuscendo a venirne mai a capo è se tutti abbiano la stessa capacità di sentire.
Perchè ho sempre fatto lo stesso errore, io.
Pensare che tutti fossero in grado di sentire nello stesso modo.
Pensarlo, forse, anche soltanto perchè lo stessi facendo io.
Ma forse ho scoperto che anche quando te lo fanno credere, in realtà non lo stiano facendo.
Pensano di farlo, non ammettendo a se stessi che quello non è sentire, ma il bisogno di farsi accettare, per quello che non si è.

Cosí come quando penso alle forme infinite di comunicazione e quella che ognuno di noi pensa di scegliere, quando forse è invece lei a scegliere noi, quando hai bisogno di esprimere quello che senti.

Ed è forse per questo che abbia scelto di scrivere.
O forse è stata lei a scegliere me.
Come tutte le cose che devono appartenerci di diritto e farà di tutto per imporsi nella nostra vita, anche quando tenteremo di scacciarle via.
Come tutte le cose che potrebbero apparire pericolose, solo per la loro tendenza a distruggere piani precostituiti, rompere reti, aprire cancelli che avevamo chiuso con la doppia mandata.
Poi un giorno, per caso, capisci il motivo perchè tu e lei vi siate scelte.
Perchè gli ho sempre dato troppo valore.
A quelle parole che non riesco mai a dire.
A quelle che nascondo dietro altre.
Perchè forse mi sono sempre fatta bastare quello che sentivo.
Pensando lo potessimo fare tutti nello stesso modo.
Perchè ho sempre attribuito un significato ad ogni dettaglio.
Pensando che lo vedessero anche gli altri.
Lasciandomele bruciare dentro.

Poi ho immaginato che se ci si tiene sempre tutto dentro è come se non avessi niente.
E non per il bisogno di dimostrare ad altri quello che si è.
Ma perchè, forse, potrebbe farci sentire meglio.

Ed io voglio imparare un’altra cosa.
A non avere paura della felicità.
A non temere quando sento troppo.

Perchè comunque andrà a finire, me lo ricorderò per sempre: sono viva.

E se altri non riescono a sentirlo, devo ricordarmi anche questo: se lo sono è perchè ho scelto di esserlo. Fino in fondo.

lunedì 8 dicembre 2014

Vieni via con me

Ogni tanto mi capita, quelle tre, quattro volte l'anno, di pensare a quello che ero appena un anno fa. Questa volta ho dato la colpa alle luci natalizie, all'aria sempre più fredda, ai colori, il verde ed il rosso, che predominano nelle vetrine dei negozi su cui è quasi impossibile non farci cascare lo sguardo.
Forse perché è Dicembre e pensavo a quello dello scorso anno, quando ad un certo punto mi è arrivato un messaggio che ha cambiato la mia vita: "Il tuo libro è stato pubblicato ed è in vendita."

Non sono diventata una scrittrice, né ricca. Sono semplicemente diventata più consapevole, ho semplicemente posto una linea di demarcazione fra ciò che ero e ciò che volevo invece essere sin da quel momento. Ho semplicemente imparato a non avere paura, delle scelte, delle mie emozioni. 

E pensavo a quel febbraio, quando decisi di scrivere, tutto d'un fiato, tra le pareti della mia stanza. Perché mentre ero intenta a porre fine ad un importante capitolo della mia vita, intanto ne stavo scrivendo un altro, senza nemmeno accorgermene. Perché le cose belle, quelle che hanno come iniziale la A di amore, intrise di una disarmante passione, quelle che la tua mente sarebbe capace di riprodurre per ore disegnandovi persino i contorni, sono esattamente così.

Quel mattino di febbraio non mi sono svegliata con l'intenzione di scrivere un romanzo. Quel mattino volevo semplicemente scrivere. E non mi sono imposta di farmi salire nessuna ispirazione, è lei che mi cercata, mi ha trovata, ed alla fine mi ha presa. Mi ha detto: "Tu vieni con me, lascia tutto ciò che stai facendo, non ti dannare. Vieni con me e lascia che ti porti su strade mai calpestate per farti vivere la storia d'amore più bella mai creata, ignara persino alla tua più fervida delle immaginazioni."
Ci siamo scelte, a vicenda. E l'abbiamo fatto ancor prima di capire come sarebbe andata a finire, ancor prima di scriverne un inizio.
E non ho delineato alcuna trama. Come nella vita di tutti i giorni, è stata lei a prendere forma con il susseguirsi delle circostanze. Ed ogni tanto cambiava, ed io l'assecondavo. Non ho nemmeno scelto i miei personaggi. Sono stati loro ad imporsi, quasi con prepotenza, come se chiedessero che io li ascoltassi. Ed alla fine l'ho fatto, ed era come se vivessi insieme a loro quelle vicende, perché, in realtà, quelle persone erano vere. Le avevo incontrate, in una vita passata, nemmeno troppo lontana.



Sono di botto ricascata in quella mia innata mania: ordinare i pensieri attraverso la scrittura, dare loro il posto che meritavano perché noi siamo soprattutto i nostri pensieri. Non volevo lasciare che nascessero e morissero soli, volevo dar loro una vita degna di essere vissuta. Ed alla fine ce l'ho fatta e non ho avuto paura di lasciare che altri li condivissero. Ed è questa, forse, una delle manifestazioni più forti di me stessa mai sperimentate. Quelle da dare a noi stessi, anche quelle tre, quattro volte l'anno, come possibilità per crescere e scoprire quello che siamo, al di là dei consensi, al di là di ciò che altri possano o meno pensare.

E pensavo quanto, in fondo, questa piccola opera, sia semplicemente una metafora di quello che vorrei fosse la mia vita, quanto questo sia in fondo il messaggio latente di quelle duecento pagine scritte. 

Tu un mattino ti svegli, l'aria è così fredda che nemmeno un cappuccino bollente sarà in grado di riscaldarti. Non hai intenzione di ordinare pensieri, né di intraprendere imprese che rendano il tuo ego più forte. Hai solo voglia di fare qualcosa che renda le tue giornate più dolci, quelle priorità di cui non dovremmo mai dimenticarci: emozionarci. E non ti imponi di farlo, né con chi. Lui o lei ti prende, come pagine di un romanzo di cui non riesci ad interromperne la lettura, perché è a tratti indecifrabile, ma c'è una forza che ti spinge a voltare pagina, ogni volta, per capire cosa succederà dopo. Non lo cerchi, non te lo imponi, a volte pensi che nemmeno in fondo lo vuoi. Ma lui o lei lo fa per te e non ti lascia modalità di scelta. Ti cerca, ti trova e alla fine ti prende. Ti dice: "Vieni con me, adesso". E tu dimentichi tutto il resto, o semplicemente, decidi che è ora di fare ordine nelle tue priorità e poni te in cima alla lista. Vi scegliete, l'un l'altro, senza necessariamente pianificare il tragitto, ancor prima di cominciare a calpestarlo. Non sarai più costretto ad immaginare, ma scriverai quella vita, quella che esattamente vuoi. Non pianificherai il come, né il quando, né il perché inizierà. Come nella vita di tutti i giorni, prenderà forma man mano dentro di te sino ad esplodere fuori. E cambierà, tante volte, e tu l'asseconderai. E vivrai, così, come una rondine che migra verso posti caldi, non perché tema il gelido freddo invernale, ma lo soffre, come la più angusta delle privazioni.

E' così che tutto dovrebbe essere: semplice ed irriverente.

Forse dobbiamo solo aspettare che il coraggio ci prenda e ci dica di seguirlo. 
Forse dobbiamo solo imparare a non avere paura.
A dare ai nostri pensieri una vita degna di essere vissuta, forse.
Ad imparare a dire o anche ad urlare per farci sentire: "vieni via con me, per favore."

E' l'emozione più bella che un essere umano possa provare sulla sua pelle.

Io sto aspettando di riprovarla, ancora.

giovedì 16 ottobre 2014

Fin quando ci sarà qualcuno che scrive, non ci sentiremo mai soli.

Stasera la pioggia ancora una volta ha bagnato le strade ed io ho pensato che forse potevo usufruire di questo spazio che racconta di me, di parte della mia vita. Credo racconti di segreti che a volte faccio fatica a raccontare persino a me stessa. Credo sia la pioggia a sortire questo strano effetto.

Lavoro tanto, dormo poco, ho sempre meno tempo per me. Ho iniziato esperienze che sino ad un mese fa non credevo possibili. Scrivo in due lingue, ho scadenze, faccio un programma in radio. Rispondo ad e-mail di persone sconosciute che si riconoscono in ciò che scrivo. Incastro appuntamenti, vinco la mia insicurezza, rivolgo domande senza aver paura di eventuali risposte negative. Mi piace. Mi fa sentire viva, quasi un'oasi in mezzo al deserto.

C'è una parte di me che sa sempre ciò che vuole e lo trattiene a denti stretti. Quella che si libera come un soffione trascinato dalla forza del vento, che danzerebbe nell'aria anche quando la musica è terminata. 

Magari accadesse lo stesso per quell'altra parte, quella che teme le scelte, i cambiamenti, i cicli e a volte anche le persone.
Ce ne è una che lascia scegliere non perché confidi nelle scelte altrui, ma perché teme di farlo. E allora si accontenta di ciò che ottiene nonostante desidererebbe l'esatto opposto.
Ce ne è una che lascia andare perché forse è tardi per chiedere di restare, nonostante, forse, non l'abbia nemmeno mai chiesto.
Un'altra che attua cambiamenti progressivi, facendo un passo alla volta, senza mai allontanarsi troppo dal punto di partenza. 
C'è una parte che vede persone andare via e nonostante ti piacerebbe seguirle, rimani dove sei.
C'è quella parte che ancora fa fatica ad abituarsi a certi ritmi spietatamente veloci e a rapporti fugaci, che teme di chiudere cicli, perché forse in fondo nemmeno lo vorrebbe così tanto.

Perché la verità é che se non sentiamo ciò che si ha dentro, finiremo per farci lo sgambetto da soli. 

Allora scrivo, per colmare le distanze. Per avere la sensazione di essere in equilibrio quando si sta per cadere.

Perché forse è vero quello che si dice in giro: "fin quando ci sarà qualcuno che scrive, non ci sentiremo mai soli."

Io lo faccio, per me stessa.

domenica 15 giugno 2014

L'intimità della scrittura.

Quando sono rientrata dopo il lavoro, la casa era affollata. Mi sono accomodata per il pranzo che ho terminato esattamente dopo 15 minuti. Avrei voluto chiacchierare, nella mia lingua, ma mi sono limitata ad ascoltare distrattamente i discorsi che altri facevano a voce alta, in una lingua diversa dalla mia, che non parlo, ma che comunque capisco. Dopo soli cinque minuti la mia attenzione è calata, ed ho smesso di stargli dietro. E' da giorni che ho la sensazione che stia nascondendo qualcosa persino a me stessa, qualcosa che nemmeno mi va di dire, e che mi fa essere perennemente stanca. Lui mi ha accennato un vago "come va?che hai", nemmeno troppo deciso. Ed io ho naturalmente risposto come ogni donna in questi casi: "No, niente, va tutto bene". Nonostante addirittura un cieco potrebbe accorgersene, lui, come tutti gli uomini sulla faccia della terra, quella risposta se l'è fatta bastare. Come gli è bastato un abbraccio, nemmeno troppo stretto. Purtroppo gli uomini proprio non ce la fanno, è nella loro natura deludere senza accorgersene e non osservare i dettagli, nonostante siano visibili. Ma a me, oggi, andava bene così. Perché la verità è che non volevo dire nulla. Perché so che il problema sono io. E' la mia testa, che non si ferma mai, lavora elaborando pensieri continuamente, bizzarri o inusuali, piccoli o grandi, leciti o proibiti.

E allora non mi resta che fare i conti con loro, scrivendo. 

E' da giorni che ci penso e sono arrivata alla conclusione che sia più semplice conoscermi leggendo ciò che scrivo, che non vivermi quotidianamente. Alla scrittura lascio i pensieri più intimi, come se mi spogliassi di fronte ad un uomo che mi desidera senza vergogna e prima guardassi il mio corpo nudo allo specchio. Come se tra la vocalità e la scrittura ci fosse un imbuto che mantiene tutte le scorie: il liquido lo faccio scorrere tutto nel bicchiere che trabocca, le prime le lascio alla parola. Come quando dico "non fa niente", nonostante "ci sia qualcosa", "va tutto bene" mentre invece scriverei "perché non mi chiedi cosa c'è che non va, anche se non sarei in grado forse di rispondere", "vado via" quando invece scriverei "vorrei restare con te, ma é meglio di no". Ho pensato a quando mi è capitato di leggere libri di cui mi innamoravo. Perché era come se attraverso la concatenazione di parole, verbi, congiunzioni ed avverbi, riuscissi a dare un volto ai personaggi. Ogni tanto immaginavo di sentirli e addirittura di capire le loro vicende. Perché nella scrittura c'è qualcosa di sorprendente: riesce a tirare fuori il pensiero, ad elaborarlo scegliendo le parole giuste, limitando gli eccessi, negando qualsiasi filtro e nel rileggerlo, avrai la sensazione di guardare dall'esterno qualcosa che ti appartiene, sentendoci dentro, in un distacco che in fondo, è più sano. Ma ciò che amo di più della scrittura è che quasi inconsciamente ti costringe a dire la verità, come se guardassi la tua immagine riflessa a cui non puoi mentire.

Allora pensavo a chi mi vive tutti i giorni, pensando di conoscermi abbastanza, nonostante non legga niente di ciò che scriva. E a chi, non mi segue nel quotidiano, ma continua ad entrare nella mia intimità silenziosamente, guardandomi riporre i vestiti sulla sedia, senza alcuna pressione, lasciandomi fare. 

E ho pensato che al mondo esistono due tipologie di persone: quelle che si accontentano della crosta, dura o spinosa che sia, e quelli che invece vanno oltre ciò che il suono della parola vuol pronunciare, incuriositi da ciò che la superficie nasconde, entrandoti dentro, senza nemmeno far troppo rumore.

Non sei tu ad imporlo, sono loro a scegliere da che parte stare.


domenica 27 aprile 2014

L'ennesima lezione di vita.

"Buongiorno, può dirmi il numero del suo tavolo, per favore?"
"Ehm... sono seduto lì", indicando col dito un tavolo così lontano che mi è di solito impossibile da vedere, considerando che il ristorante in cui lavoro ha capienza per circa novanta tavoli, ed il sistema, noto per chi è solito frequentare, è ordinare alla cassa dicendo il numero del tavolo ed attendere seduti al proprio posto che il cibo arrivi.
"Mi scusi, può andare a controllare il numero del tavolo, la aspetto alla cassa".
Con aria sconfortata, si dirigono verso il tavolo. Capita spesso, nonostante tutto, che sbaglino a leggerlo. E altrettanto spesso, non ho altro modo che rivolgermi brutalmente dicendo loro "Se il numero è sbagliato, il cibo non arriva", anche se in realtà quello che mi toccherebbe fare è gironzolare tra passeggini e folle impazzite di bevitori di coca cola, da riempire almeno cinque volte alla drinks machine, per cercare il tavolo del malcapitato. Una volta ottenuto questo maledetto numero comincia l'impresa più complicata: ordinare.
Il ristorante dove lavoro è noto per preparare pollo alla griglia. Non è solo noto, diciamo che, in diversi modi, fa soltanto quello. Con l'aggiunta di salse, la maggior parte piccanti, ed è il cliente a scegliere quanto piccante lo vuole.

"Come lo vuole?"
"Normale"
"Si, dico, quanto piccante?"
"Si, piccante"
Allora non mi resta altro che allungare la mano per mostrare sul menù le diverse gradazioni.
"Sì, allora LemonAndHerb", l'unica salsa non piccante.

Nonostante rilegga due volte l'ordine, dopo aver pagato, spesso si creano incomprensioni. Del tipo che volevano le patatine e non sono arrivate perchè pensavano che arrivassero comunque anche senza averle ordinate. E spesso urlano, e sì, mi è arrivata anche qualche ricevuta in pieno viso. Si dice che il cliente ha sempre ragione, la loro si sarà persa tra le ali del pollo.

L'altro giorno un mio superiore mi ha detto che devo essere "engaging", che letteralmente significa coinvolgente, simpatica, insomma assumere un atteggiamento che attragga il cliente, nonostante mi sforzi ad essere sempre gentile, nonostante tutto. Ma la cosa che più mi ha sorpreso è stato il modo in cui pensava di spronarmi ad esserlo. Essendo a conoscenza del fatto che "scrivo", pur non avendo mai letto una sola riga, mi ha detto che dovrei sapere cosa significhi coinvolgere qualcuno, quasi come se volesse trovare una similitudine tra l'attrarre un cliente e catturare l'attenzione di un lettore. La cosa mi ha fatto rabbrividire. Gli ho detto che io non sono "engaging" di natura, ma dopo un po' ho fatto semplicemente un cenno d'approvazione, e sono ritornata al mio posto. Avrei dovuto spiegargli che vendere pollo mi fa sopravvivere in una città così grande, che comporta tante spese, tra cui quelle in cui ho deciso di investire il mio futuro. Ma scrivere, quando posso, mi fa vivere, come se fossi in cima ad una montagna a respirare aria fresca, o tornare a galla dopo una lunga apnea. Nelle cose che amo mi ci tuffo dentro, ci metto il cuore perchè è così che si fa nelle cose verso cui nutri una passione, spesso inesplicabile. Ma nelle altre, no. In quelle ci metto il sudore, le braccia, la mente, le gambe che a fine giornata riescono a reggermi a stento. Non so bene se questo sia qualcosa che abbia a che vedere con i limiti, forse sì, o semplicemente qualcosa di naturale su cui, sebbene ci lavorassi, non riuscirei mai ad attutirla. E non so se nelle mie righe il lettore riscontra un atteggiamento "engaging". Ma io, prima di far scorrere le mie dita sulla tastiera, nemmeno ci penso, perchè forse nell'amore vero, qualsiasi forma abbia, non serve, nemmeno forse lo richiede. Ma mentre tutti questi pensieri frullavano nella mia testa, senza avere il coraggio di dire la verità a lui, così convinto della sia affermazione, ho capito una cosa: per sopravvivere in un mondo così denso di angolazioni e prospettive differenti, bisogna essere come pianeti. Così flessibili da vagare in galassie spesso tra loro distanti. Ma nonostante il moto rotatorio, non sempre riusciremo ad approdarci. Pianteremo semi che porteranno a segni di vita soltanto in quelli in cui sarà possibile scorgere una qualche compatibilità, dettata dall'atmosfera, dalle forme, dal cuore.

E mentre parlava, lui me lo stava insegnando ed io ho appreso l'ennesima lezione.

lunedì 24 marzo 2014

Imparare da quando si era bambini.

Ogni tanto ho un'insolita paura: quella di non essere, un domani, in nessun vecchio album di fotografie, da sfogliare di domenica pomeriggio, quando fuori piove e si diventa nostalgici.
Quella, in fondo, di non essere nei ricordi di nessuno, nonostante io ne abbia parecchi.
Quando ero piccola, per esempio, non ricordo di essere mai stata seduta sulle ginocchia di mio nonno paterno, ma sempre di fronte. Ero la prima nipote, quella grande, ed è per questo che forse mi ha sempre trattata da adulta. Lo faceva con le sue domande su quali fossero le mie prospettive di vita, seduti al tavolo, uno di fronte all'altro, come il maestro e la sua allieva. Come quando mi chiedeva cosa volessi fare da grande. Al contrario di molti bambini, non ho mai sognato di fare l'astronauta. Volevo fare la scrittrice. Ma nonostante la mia giovane età, mi ponevo anche alternative nel caso in cui non ci fossi riuscita: la scultrice o la pittrice. In poche parole, avrei voluto essere un'artista. Mio nonno mi trattava da adulta, nelle domande, quanto nelle risposte. E allora mi fece presente che non avrei avuto bisogno di una rigida istruzione per fare tutto questo. Ed è per questo che forse ho represso tutto d'un tratto i miei desideri: perchè sin da piccola ho creduto che una buona educazione fosse la base per poter condurre una vita fatta di successi. Nessuno mi disse che avrei potuto fare entrambe le cose, l'ho capito strada facendo, quando sono diventata grande sul serio.
Appena ho imparato a leggere e scrivere, mi dilettavo nella scrittura di pensierini, su piccoli fogli di carta, che accartocciavo con cura e riponevo dietro la statua della Madonna, che mia nonna aveva sul mobile della cucina durante il mese di maggio. "Lei ti ascolta", mi diceva nonna, e allora ogni tanto le scrivevo, un po' come quando si scriveva a Babbo Natale, o come quando si credeva nella fatina dei denti. Un giorno però non ero a casa dei miei nonni, ed in casa non c'era nessuna statua cui potessi affidarmi, e allora dato che nonna mi aveva detto che "la Madonna ci ascolta sempre, ovunque noi siamo", ho incominciato a fare una preghiera, stringendo le mie manine più forte che potevo. La mia generazione è nata nei tempi in cui alle elementari esisteva una sezione, che comprendeva due classi, due diversi moduli. Io ero nella sezione F, modulo G. Ma per qualche strana ragione, le insegnanti avevano deciso di spostarmi nell'altra classe, nel timoroso modulo E. Io non ci volevo stare. Volevo i miei compagni. E allora chiesi alla Madonna di far tornare tutto come era prima. Il giorno seguente, appena entrò la maestra, mi disse di tornare nell'altra classe. Ricordo che in quel momento capii che i tuoi desideri diventano realtà, solo se realmente ci credi con tutto te stesso. Se lo fai, stringendo forte le mani sino a farle sudare, qualcuno ti ascolterà.
All'età di otto anni cominciai a scrivere il mio primo libro: Polvere di Stelle. Presi un vecchio diario, di quelli che si chiudevano con il lucchetto, e lo riempii scrivendo a mano almeno una ventina di racconti frutto della mia fantasia. Ognuno era intervallato da giochi o quiz che avrebbero intrattenuto il mio lettore immaginario. Quando mia sorella lo ebbe tra le mani, lo distrusse con una serie di scarabocchi. Anch'io ero piccola e ci rimasi molto male, ma pensai che avrei potuto un giorno scriverne un altro, e che quello era in fondo soltanto una bozza.

E' vero forse che il nostro presente è, in fondo, un tempo assurdo, in cui viene chiesto di mantenere l'ingenuità e la freschezza dei bambini, anche se non lo si è più, ed alimentare quella saggezza che cresce solo in età avanzata. Oppure possiamo fare una cosa più semplice, restando nel nostro presente: imparare da noi stessi, ricordare quello che si era quando ancora ci chiamavano bambini. E oggi capisco di aver imparato dai miei nonni le cose più importanti, quei pilastri che pur sgretolandosi man mano che l'età avanzava, con il tempo si sono ricostituiti:

  • la fantasia non è solo una prerogativa dell'infanzia, ma può accompagnarci per tutta la vita. A nulla serve reprimere passioni o desideri, perchè il destino avrà già scelto per noi, e quello che ci viene chiesto di fare è solo di assecondarlo.
  • Non bisogna mai smettere di credere in qualcosa. Possiamo chiamarlo Dio, fato, karma, o semplicemente qualcosa di superiore, in cui confluiscono forze positive, che ci permettono di credere che c'è sempre una via d'uscita, che la felicità non appartiene solo ai protagonisti di un film o ai personaggi di un libro di fiabe, ma è una cosa meravigliosa che può toccarci se non smettiamo mai di crederci, se mettiamo un tassello ogni giorno, se stringiamo forte le mani, quanto i denti, e andiamo dritti per quella strada che il nostro cuore avrà scelto di percorrere.
  • Che c'è sempre una seconda possibilità, ma anche una terza, una quarta, una quinta, cento, mille. La vita stupisce, ma anche noi possiamo stupirla. Lei, che ogni giorno ci abbatte e ci rialza, in un ciclo continuo di scommesse, sconfitte, e vittorie.
E tutto è già ricordo appena un istante dopo averlo vissuto. Ma i ricordi insegnano. Tutti.