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domenica 21 luglio 2019

Londra-Barcellona, solo andata

Seduta su un muretto a bere una lattina di birra fredda, con gli occhi fissi sull'insegna di un supermercato con la saracinesca abbassata a metà. Profumi poco distinguibili nell'aria, spazzati via di colpo da una leggera brezza estiva. Il cigolio delle sedie di plastica trascinate in strada e posizionate in circolo, come un'abitudine che sa di estate, di voglia di stare insieme, tra lo schiamazzo dei bambini ed il rumore di un pallone lasciato rimbalzare in strada.

Sarà questa la prima immagine che porterò con me quando penserò al viaggio di sola andata dalla terra d'Albione al capoluogo della Catalogna.
Con uno sguardo perso di chi non contempla il vuoto, ma che cerca di mettere insieme tutti i punti di un percorso lunghissimo, per ricordare come sia potuto accadere che sia stata concessa proprio a me l'opportunità di ricominciare una nuova vita altrove, dove le strade più strette, le distanze 'meno distanti' ed il mare visibile non soltanto in cartolina una settimana all'anno, siano in grado di farti sentire meno piccolo e se forse pur sempre un numero, questa volta perlomeno a due cifre.
Quell'altrove che diventava sempre più irraggiungibile, mentre vivere seguendo uno schema macchinoso una di quelle abitudini insane di cui poi ad un certo punto non riesci a farne a meno.

Così, proprio quando mi stavo perfezionando nel triplo salto nel vagone affollato di una metropolitana in partenza al punto da suggerirlo come nuova disciplina olimpica e candidarmici certa di conquistare almeno una medaglia d'argento, proprio quando le corse pesavano meno, così come gli scatoloni del terzo trasloco in pochi mesi, e proprio quando Brexiful veniva addirittura superato dal Pratiful in quanto a dinamiche da soap opera, è suonata la sveglia.
È sempre accaduto tutto così, nella mia vita. O almeno, dicono che le cose belle succedono quando non le stai più cercando, ma solo quando non lo fai più sul serio, non per finta.


La mia vita è sempre stata il trasloco peggiore che io abbia mai fatto in termini organizzativi: non riesco a gettare nemmeno un cesto in vimini.
Così per settimane ho immaginato in che modo sarebbe cambiata la mia vita, e forse anche io, da cosa partire, cosa lasciare alle spalle.
Poi ad un certo punto ho capito che il cambiamento repentino sarebbe stato pieno del nulla, che avrebbe puzzato di finzione, e che pianificarlo mi sarebbe stato impossibile.
Le incertezze sono belle proprio perché ne si può conoscere una parte giorno dopo giorno, scrivendole al contempo non per deviarne il suo corso, ma per renderle più autentiche e conformi alla vita che abbiamo scelto per noi.

Così, sarebbe stato inumano e privo di cuore gettare tutto per ricominciare.
Delle tante vite vissute finora ho deciso di non buttare nulla, se non i sensi di colpa.
Ho deciso di fissare una saracinesca abbassata a metà, come a prendere il mio tempo per riassettare tutto ed immaginare tutto quello che è possibile creare.
Di lasciarmi scompigliare i capelli da una leggera brezza estiva, ma decidere sempre io se lasciarmici trasportare o restare dall'altra parte.
Di non lasciare che siano gli eventi a cambiare me, ma di cambiare marcia quando necessario.
Di ascoltare il cuore quando lo sento battere forte.
E di custodire ed alimentare quel desiderio sempre presente di creare una nuova casa, con i gerani sul balcone, le tende colorate e un paio di fotografie appese al muro.
Una di quelle in cui ti ci senti al sicuro, perché é calda abbastanza e piena di sorrisi reali.
Anche qui partirò dai dettagli, su cui costruire o demolire.

La mia unica promessa è quella di assorbire tutto il bello che possa far diventare il mio cuore sempre più grande, mantenendo insieme ciò che è stato, che è e che sarà, riconoscendo a ciascuna la stessa importanza.
Perché di me e della mia vita non getto nulla. E nemmeno il cesto in vimini: può sempre servire.


domenica 3 aprile 2016

La stagione della resilienza

Ho capito quanto la resilienza fosse parte integrante di un processo di cambiamento solo dopo esserci entrata dentro tante volte.
Quando le cose non riuscivano a cambiare me ed allora io cambiavo le cose.
Solo quando ho capito che ci saranno sempre mille strade alternative per non sbatterci contro, ma solo una che vale la pena percorrere. Quella nascosta, a tratti invisibile, buia, dal selciato fangoso e a tratti impervio, ma la più vera. Quella in cui non incrocerai sempre volti gentili, né sorrisi raggianti, né sempre una mano tesa in tuo soccorso ogni volta che la vorrai.

Ma ho anche capito che la resilienza non è un qualcosa di innato.
Né di logicamente precostituito, per cui se si è pronti al cambiamento significa che lo si debba accettare escludendo automaticamente qualsiasi peso dal cuore.
E nemmeno un qualcosa che va insegnato.

Lo si impara, come fosse una regola da porre in cima alle nostre priorità.
E lo si amalgama a tutto il resto, come un ingrediente aggiuntivo che seguirà ogni avvenimento.
Come pochi granelli di zucchero in una tazza di caffè.

Ne si assume consapevolezza scrutando negli occhi di chi non avremmo mai voluto incontrare se avessimo optato per un percorso alternativo.
Ma anche di chi ci ama, mentre ci promette che andrà tutto bene.

Ed allora impareremo a sfidarla.
Davanti le rimanenze di un take-away della sera precedente preso in un ristorante cinese, pur essendo un giorno di festa.
Davanti scatoloni da riempire per traslochi imminenti da trasportare chi sa come.
Davanti un armadio che sarebbe stato sempre troppo pieno o valigie troppo piccole per portare con me ogni cosa.
Quando certe parole devono bastare per colmare le distanze, pur non attutendo le mancanze.
Quando la pazienza riuscirà a prendere il sopravvento sull'insoddisfazione.
Quando comprendi che cosí come la vita sia trascorsa per te, lo stesso sia avvenuto anche per gli altri.
Che le persone cambiano, cosí come sei cambiato tu.
Che possiamo scegliere di cambiare le cose se non accettiamo che siano loro a cambiare noi, ma può capitare che queste l'abbiano già fatto prima ancora che ce ne si renda conto.
Possiamo cambiare pensando di catapultarci in un nuovo inverno in cui nessun piumone sarà abbastanza caldo per riscaldarci.
Oppure possiamo farlo pensando sempre che fuori sia primavera.

È questa per me la resilienza.
Non soltanto adattarsi in maniera positiva a qualsivoglia evento ci capiti, ma imparare ad accettare anche quello che non possiamo cambiare.
E non è vero che col tempo queste cose ci cambieranno solo perché avremmo imparato a conviverci.
Scompariranno, cosí, all'improvviso, in un giorno di primavera.
Proprio quando avremmo imparato ad annusarne i primi boccioli.
Proprio perché avremmo deciso di farlo quando nessuno se lo sarebbe aspettato.
Quando tutto ci diceva il contrario, ma abbiamo preferito non ascoltare.


mercoledì 25 marzo 2015

Una corsa dietro l'angolo

E così, senza che l'avessi progettato, ho cambiato le mie abitudini.
Sveglia molto presto, corsa per prendere il treno impigliando le braccia tra i fili degli auricolari mentre tento di infilare nelle tasche del cappotto tutto ciò che considero sia prioritario, nonostante ci impieghi puntualmente quindici minuti per afferrare qualcosa, facendo cascare tutte le altre. Posto accanto al finestrino, per aspettare quell'edificio che spunta in lontananza e che mi dice che sono arrivata, sempre nel momento in cui avrei voluto continuare la lettura del mio libro.

Condivido lo stress di uno ufficio ed un caffè, che non è come quello che prepara mia madre, ma è buono lo stesso. L'aroma mi penetra nelle narici e mi sveglia dal mio consueto assopimento mattutino. 
Ho abbandonato l'insana abitudine di procrastinare alla notte tutto ciò che non potevo fare di giorno, come rassettare, fare lavatrici, anche dedicarmi a me stessa. Adesso lo faccio dopo il lavoro, quando il sole non è alto, ma ancora emana luce, calando pian piano, rendendo il cielo rosa  e i primi fiori che sbocciano ancora più evidenti agli occhi dei passanti.

Ho preso l'abitudine di correre almeno un'ora al giorno, senza cianfrusaglie nelle tasche del cappotto, fili di auricolari che si intrecciano e borse pesanti. Lontana dai clacson, dalla frenesia della gente che spinge per prendere posto in un vagone, da quella parte di me che credeva di essere pigra e che non aveva mai ammesso che in realtà il non prendersi cura di sé costruendosi l'alibi del non aver tempo è la più alta forma di egoismo verso se stessi. Quando il sole sta per tramontare, le madri rincasano, i bambini tornano da scuola. Accanto al fiume, che riflette il rosa del cielo, pur essendo ancora coperto da un manto di foglie ingiallite.

Ogni tanto mi fermo su di una panchina per prendere fiato, mentre gli uomini del quartiere passeggiano con i propri cani ed i ragazzini giocano a calcetto in un campetto poco distante, riuscendone ad udire gli stramazzi. 

Ed è proprio l'altro giorno che ponendo lo sguardo in alto, perdendomi tra il rosa, il rosso e l'arancione di un cielo incredibilmente terso, ho realizzato quanto in fondo mi sia costata tutta questa normalità, ma quanto, in fondo, tutta quella vita precedente mi sia stata cara al punto da non farmi mai perdere l'entusiasmo e la voglia di proseguire, non essendomi mai lasciata andare al pensiero del non-ce-la-farò-mai. 

Ed è quella vita, che a tratti mi sembrava così ostinata nel suo tentativo di imporsi nonostante cercassi di scacciarla, quella che oggi sembra quasi appartenere ad un'altra persona tanto mi sembri distante, quella fatta di volti di plastica, di occhi che ogni tanto vorrei incrociare anche solo per capire se ne sia valsa la pena, di parole catturate dal vento e rese concimi per gli uccelli, di gesti che hai compiuto solo tu e che rifaresti, milioni di volte, perché giusti ora come allora, quella vita, proprio quella, mi ha  insegnato che le abitudini si distruggono, tutte.

Lo farai tu da sola, o sarà il tempo a farlo al tuo posto. 
E non è sempre detto che le precedenti siano state migliori o peggiori, ti abbiano resa una persona più o meno felice di quelle che seguiranno. 
Saranno uguali, nel momento della loro creazione, perché combaceranno esattamente al momento di vita e a quell'inevitabile passaggio di crescita, o piuttosto, a quello che sei diventata grazie a quelle che c'erano prima.

Ma c'è un'abitudine che è sempre attuale e non vorrò perdere mai: il dedicarmi a me stessa, sotto qualsiasi forma. 

Che significhi correre sotto un cielo rosa, leggere un libro accanto ai finestrini appannati di un vecchio vagone, smettere di pensare a come sarebbe andata a finire perchè se non inizia è già finita e decidere una nuova partenza. La tua.

giovedì 29 gennaio 2015

Dove ognuno resta lí, perché é lí che scegliamo di farli stare

L'altro giorno sono entrata in una libreria. Era da tanto che non ci mettevo piede. Troppo impegnata a fare dell'altro, così da aver ridotto all'osso uno dei miei principali piaceri.
Ho comprato cinque libri. Tutti diversi. Nessuno me li aveva consigliati, ho creduto soltanto, con un pizzico di presunzione, forse, di essere capace di selezionarne i migliori anche da sola.

Era da tanto che non annusavo il profumo della carta. Quello che ti sale sin dentro le narici facendoti sentire una persona appagata. 

Ogni volta che apro la prima pagina di un libro qualunque che abbia scelto di cominciare, é come se, insieme a quei personaggi, stessi iniziando qualcosa anche io, sebbene resti ferma a sfogliarne le pagine tra il rumore della gente,   in un vagone della metropolitana o su di un autobus, magari accanto al finestrino, con lo sguardo rivolto altrove. Ed é forse per questo che ne ho comprati cinque. Per averne abbastanza. Per potermici catapultare dentro come fossi una delle protagoniste. Per poter essere partecipe di ogni vicenda che non fosse la mia, saggiare ogni tenero aforisma che diventa, inevitabilmente, la storia della mia vita, come se un libro sia in grado di dirmi esattamente quello che ho bisogno di sentire. O almeno, é quello che mi piace pensare.

Pian piano mi innamoro dei personaggi. Mi piacciono, alcuni. Altri meno. Non provo alcuna forma di indifferenza per nessuno di loro: se l'autore li ha messi lí, é proprio lí che devono stare. Come se ciascuno, seppure in maniera marginale, fosse funzionale per la vita dell'altro. Non mi sento ostacolata da nessun giudizio avventato, piuttosto dalla voglia di scoprire come andrá a finire. E tutto sommato mi piaceranno tutti. A loro modo, diventerá un unico prodotto su cui esprimere un giudizio personale, ma mai assoluto.

Ed é proprio mentre leggo che ogni tanto mi assale la paura. Quella che si prova, forse, quando si diventa adulti: quella di non essere in grado di amare più in senso assoluto. 
Perché da grandi impariamo a tessere su tela tutti gli sbagli ed i difetti. A farci carico di giudizi altrui, soltanto per la smania di piacere. Viviamo nel lungo termine. Dissacriamo l'infinito. Distruggiamo gli attimi. Ogni occasione diventerá non un motivo per rimetterci in gioco, ma un subdolo gioco che la vita ci piazza davanti per scombinarci i programmi. 

Sembreranno tutti meno intelligenti. Tutti che daranno qualcosa di sé per riceverne altrettanto in cambio. Sará una danza muta, in cui se é vero che ad ogni causa corrisponda un effetto, ci tratterremo su un filo di spago da cui sia proibito scendere perché si avrá paura delle conseguenze.

A volte ho paura che quando diventiamo adulti scegliamo di vivere con maggiori consapevolezze e che queste, a loro volta, ci rivelino una realtá spietata. Non quella che evitavamo di vedere prima, ma quella in cui mancavamo degli strumenti giusti per poterla comprendere. 
Ed é per questo che ogni tanto, leggendo, apprezzo il piacere di riapprodare lí, immaginando come vorrei che invece fosse.

Lí, dove ci innamoriamo dei personaggi nonostante i loro difetti. Dove non tesseremo su tela soltanto gli sbagli, ma anche le nostre vittorie. Dove ognuno resta lí, perché é lí che noi scegliamo di farli stare.

giovedì 16 ottobre 2014

Fin quando ci sarà qualcuno che scrive, non ci sentiremo mai soli.

Stasera la pioggia ancora una volta ha bagnato le strade ed io ho pensato che forse potevo usufruire di questo spazio che racconta di me, di parte della mia vita. Credo racconti di segreti che a volte faccio fatica a raccontare persino a me stessa. Credo sia la pioggia a sortire questo strano effetto.

Lavoro tanto, dormo poco, ho sempre meno tempo per me. Ho iniziato esperienze che sino ad un mese fa non credevo possibili. Scrivo in due lingue, ho scadenze, faccio un programma in radio. Rispondo ad e-mail di persone sconosciute che si riconoscono in ciò che scrivo. Incastro appuntamenti, vinco la mia insicurezza, rivolgo domande senza aver paura di eventuali risposte negative. Mi piace. Mi fa sentire viva, quasi un'oasi in mezzo al deserto.

C'è una parte di me che sa sempre ciò che vuole e lo trattiene a denti stretti. Quella che si libera come un soffione trascinato dalla forza del vento, che danzerebbe nell'aria anche quando la musica è terminata. 

Magari accadesse lo stesso per quell'altra parte, quella che teme le scelte, i cambiamenti, i cicli e a volte anche le persone.
Ce ne è una che lascia scegliere non perché confidi nelle scelte altrui, ma perché teme di farlo. E allora si accontenta di ciò che ottiene nonostante desidererebbe l'esatto opposto.
Ce ne è una che lascia andare perché forse è tardi per chiedere di restare, nonostante, forse, non l'abbia nemmeno mai chiesto.
Un'altra che attua cambiamenti progressivi, facendo un passo alla volta, senza mai allontanarsi troppo dal punto di partenza. 
C'è una parte che vede persone andare via e nonostante ti piacerebbe seguirle, rimani dove sei.
C'è quella parte che ancora fa fatica ad abituarsi a certi ritmi spietatamente veloci e a rapporti fugaci, che teme di chiudere cicli, perché forse in fondo nemmeno lo vorrebbe così tanto.

Perché la verità é che se non sentiamo ciò che si ha dentro, finiremo per farci lo sgambetto da soli. 

Allora scrivo, per colmare le distanze. Per avere la sensazione di essere in equilibrio quando si sta per cadere.

Perché forse è vero quello che si dice in giro: "fin quando ci sarà qualcuno che scrive, non ci sentiremo mai soli."

Io lo faccio, per me stessa.

giovedì 15 maggio 2014

Quando gli schizzi di pioggia bagnano i vetri.

L'altro giorno, mentre fuori pioveva a dirotto, ho spulciato nella cesta dei ricordi.
Sembra quasi che pioggia e ricordi vadano insieme, come se il ricordo rispolverato in un giorno di sole non abbia lo stesso sapore. Come se siano gli schizzi di pioggia a bagnare i vetri dei finestroni della tua stanza a richiamare i ricordi, con il loro tintinnio simile al richiamo delle lucciole.

Ho cominciato a vedere vecchi album di fotografie, per poi arrivare a scorrere di anno in anno il mio profilo su facebook, interamente.
Sono partita dall'ultimo post sino ad arrivare al primo. Ed è attraverso le cose che scrivo o che scrivevo, attraverso i links che pubblicavo, le mie fotografie, che mi sono resa conto di quanto io sia cambiata, ed il mondo intorno a me.

Rileggendo qualcosa ho avvertito una sensazione di imbarazzo, quasi come se pensassi "perchè mai ho scritto qualcosa di così imbarazzante, adesso non lo rifarei più". Ho scoperto che tea in polacco si dice "herbata", perché l'avevo menzionato durante il mio Erasmus a Varsavia, dopo quasi cinque anni l'avevo dimenticato, ma mi ha fatto piacere riscoprirlo, nonostante forse saperlo per qualcuno sembrerà superfluo. Ho rivisto fotografie di periodi andati, con persone che forse non rivedrò mai più nella mia vita, altre invece con chi mi è stato accanto da sempre, le stesse che porto sempre con me. Ho rivisto fotografie di vecchie vacanze, di feste, di avvenimenti importanti. Allo scorrere di ogni fotografia, tentavo di ricollegare un possibile stato d'animo del momento, e fuori ne uscito un miscuglio di emozioni contrastanti: lì ero felice e spensierata; lì triste e vogliosa di cambiare; lì ero piccola ed ingenua; lì era l'inizio di un nuovo cammino; lì semplicemente non pensavo.
Ho riletto commenti, anche i primi in cui per esprimere una risata era un "hihihi" che poi è diventato un "ahahahaha" e poi un "auhauahauahauahau", sciocchezze, dettagli.
O riletto i posts sul mio blog, il primo e poi l'ultimo. Qualche volta, ricordando, ho riso, per altre ho provato imbarazzo, per altre tristezza, per altre commozione. In alcuni casi ho anche pensato "finalmente è passata".

Sembrava quasi che la fine non arrivasse mai, invece poi è arrivata, anche prima delle mie aspettative. E ho rivolto lo sguardo alle margherite che sono sul comodino, pensando che avevo sempre desiderato comprarle, ma qualcuno me le ha regalate prima che io lo facessi, rubandomi il tempo e superando le mie aspettative.

E quindi ho pensato che il senso del ricordo si racchiuda in tutto questo. Piacevole o meno che sia, ruba il tuo tempo ma può superare le tue aspettative. Ti fa credere che non lo faresti mai più, ma in realtà è stata la cosa migliore che potessi fare. Ti fa riscoprire dettagli che avevi rimosso, che sebbene superflui, ti donano un sorriso e le ricollochi nella cesta. A random ti fa rivivere pezzi di vita andati, dando valore a chi oggi c'è ancora e capendo quanto, persone andate, abbiano avuto soltanto un ruolo secondario nella tua vita, sebbene tu a quei tempi gli abbia dato il ruolo da protagonista. E' un viaggio attraverso stati d'animo ed emozioni, alcuni da dimenticare, altri da ripetere altre dieci, cento, mille volte ancora. E' un modo per riconoscersi delle colpe, alcune delle quali verranno commesse ancora in un circolo vizioso da cui non si esce, altre che non rifaremo più perchè in fondo adesso siamo cresciuti.
Ed è mentre pensiamo che siano stati gli altri i protagonisti dei nostri ricordi, che invece saremo noi a porci come protagonisti della nostra storia.

Le persone che incontriamo ci permettono di recitarla, in balia di colpi di scena o finali già visti, ma mentre ne scorriamo le fasi, siamo noi a raccontarla ed i primi a farne parte.
Fin quando gli schizzi di pioggia hanno smesso di bagnare i vetri, e mi sono addormentata.

martedì 15 aprile 2014

Per diventare grande.

L'estate è volata mentre ero intenta a riprendere ciò che di me era andato perduto, emozionandomi per ogni raggio di sole che riscaldava la mia pelle. Ed è passato anche l'autunno con le sue foglie ingiallite, mentre cadevo anch'io, come loro, di tanto in tanto in un'insensata nostalgia, lasciandomi abbracciare da una fresca brezza che non avrei mai pensato arrivasse a toccarmi, ed invece l'ha fatto. Ed è alle spalle anche un freddo inverno, in cui aspettavo la neve che non è mai arrivata ad imbiancare i tetti, intenta a riempire d'inchiostro le pagine di un nuovo diario. E poi, d'un tratto, la primavera, con nuovi colori, profumi ed un Sole nuovo.
E mentre le stagioni scorrevano veloci, cambiavano così anche le mie priorità, le mie giornate ed i miei weekends. Mutavano nella mia totale consapevolezza, cambiando una vita che al contempo stava cambiando me stessa, in una apparente passività che conosceva solo moti attivi, perché ero io in fondo a tenerne i fili. Come una giostra che ti fa girare, ma che va a gettone, solo se ce lo metti dentro.

E allora ho lasciato la mia mondanità, gli aperitivi, le feste, le serate in cui esci a prendere una birra che diventava una tequila con sale e limone, o più di una. Ho lasciato uomini incompresi che avevano nell'armadio ancora lo scheletro di qualche ex che riappariva d'un tratto lasciandomi inerme, suscitandomi la sensazione di non essere mai all'altezza. Ho lasciato che le mie orecchie dimenticassero il fastidioso rumore delle parole "non è scattato nulla, ma vorrei che rimassimo amici". Ho lasciato raffreddare le mani, non accettando più di prendere parte al gioco in cui si tiravano patate bollenti che sceglievo di tenere come souvenir da appoggiare sul comodino, dove avevo l'impressione di vincere, ma alla fine perdevo sempre, già in partenza.

Ho lasciato ciò che si addice, in fondo, ad una ragazza della mia età, perchè ho capito di meritare qualcosa di più. Ho cominciato ad apprezzare a svegliarmi presto, perché spesso a Londra capita di avere un cielo terso solo di buon mattino, lasciando spazio a nuvole grigie nel corso della giornata, ed io non volevo perdermelo. Ho cominciato ad amare quelle giornate in cui termino di lavorare alle quattro, perchè ho tutto il pomeriggio per studiare, scrivere, intrattenermi in quattro chiacchiere senza per forza implorare il cuscino. Ho cominciato ad apprezzare quelle poche giornate di Sole, per fare una passeggiata al parco, anche da sola, per sentire il profumo dei miei pensieri che non lascio mai appassire. Ho cominciato a godere di quelle poche uscite che mi concedo, perché la città sembra sempre più bella, sempre diversa. Ho cominciato ad apprezzare quelle serate in casa, sotto il piumone, guardando un film gustando del cibo di una qualche cucina orientale. Ho imparato a condividere uno spazio, un cuscino, un percorso. Ho imparato a fare della mia vita un tavolo da ping pong, dove schizzo come una pallina tra scuola e lavoro, riuscendo ad additare quel poco tempo che mi resta per addentare una fetta di pizza seduta comodamente in poltrona come del tempo libero, comunque. Ho imparato a credere nei miei progetti, anche se ho paura, perché se qualcun altro ci crede, allora devo farlo anch'io. Ho imparato a gestire le distanze, a convivere con la nostalgia. Ho imparato a costruire all'esterno ciò che avevo da sempre pianificato dentro di me. Ho imparato la differenza tra l'essere modesti ed il sottovalutarsi. Ho imparato che nella vita bisogna avere pazienza, che non c'è niente di bello che non sia costato sacrificio. Ho imparato a portare i conti, per essere in grado di pagare a mie spese scuola ed affitto senza mai essere costretta a chiedere aiuto. Ho lasciato che l'ambizione superasse il pregiudizio, mi sono reinventata cameriera e sono ritornata tra i banchi.

Ho lasciato una vita giovane, per catapultarmi senza misure in una vita vecchia, fatta di responsabilità e di doveri. Ma tra la roba vecchia non ci sono libroni impolverati né oggetti antichi che risulteranno dopo un po' solo ingombranti. C'è un diventare grandi ponendosi delle priorità: orecchie che ascoltano solo melodie, mani che si aprono solo a teneri abbracci, occhi che guardano ad un mondo in cui avrò ancora tanto da imparare, in cui grande non ci si sentirà mai abbastanza. Ma almeno mi sento all'altezza e vinco sempre qualcosa d'importante: un pezzo del puzzle, un tassello di vita.