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giovedì 15 maggio 2014

Quando gli schizzi di pioggia bagnano i vetri.

L'altro giorno, mentre fuori pioveva a dirotto, ho spulciato nella cesta dei ricordi.
Sembra quasi che pioggia e ricordi vadano insieme, come se il ricordo rispolverato in un giorno di sole non abbia lo stesso sapore. Come se siano gli schizzi di pioggia a bagnare i vetri dei finestroni della tua stanza a richiamare i ricordi, con il loro tintinnio simile al richiamo delle lucciole.

Ho cominciato a vedere vecchi album di fotografie, per poi arrivare a scorrere di anno in anno il mio profilo su facebook, interamente.
Sono partita dall'ultimo post sino ad arrivare al primo. Ed è attraverso le cose che scrivo o che scrivevo, attraverso i links che pubblicavo, le mie fotografie, che mi sono resa conto di quanto io sia cambiata, ed il mondo intorno a me.

Rileggendo qualcosa ho avvertito una sensazione di imbarazzo, quasi come se pensassi "perchè mai ho scritto qualcosa di così imbarazzante, adesso non lo rifarei più". Ho scoperto che tea in polacco si dice "herbata", perché l'avevo menzionato durante il mio Erasmus a Varsavia, dopo quasi cinque anni l'avevo dimenticato, ma mi ha fatto piacere riscoprirlo, nonostante forse saperlo per qualcuno sembrerà superfluo. Ho rivisto fotografie di periodi andati, con persone che forse non rivedrò mai più nella mia vita, altre invece con chi mi è stato accanto da sempre, le stesse che porto sempre con me. Ho rivisto fotografie di vecchie vacanze, di feste, di avvenimenti importanti. Allo scorrere di ogni fotografia, tentavo di ricollegare un possibile stato d'animo del momento, e fuori ne uscito un miscuglio di emozioni contrastanti: lì ero felice e spensierata; lì triste e vogliosa di cambiare; lì ero piccola ed ingenua; lì era l'inizio di un nuovo cammino; lì semplicemente non pensavo.
Ho riletto commenti, anche i primi in cui per esprimere una risata era un "hihihi" che poi è diventato un "ahahahaha" e poi un "auhauahauahauahau", sciocchezze, dettagli.
O riletto i posts sul mio blog, il primo e poi l'ultimo. Qualche volta, ricordando, ho riso, per altre ho provato imbarazzo, per altre tristezza, per altre commozione. In alcuni casi ho anche pensato "finalmente è passata".

Sembrava quasi che la fine non arrivasse mai, invece poi è arrivata, anche prima delle mie aspettative. E ho rivolto lo sguardo alle margherite che sono sul comodino, pensando che avevo sempre desiderato comprarle, ma qualcuno me le ha regalate prima che io lo facessi, rubandomi il tempo e superando le mie aspettative.

E quindi ho pensato che il senso del ricordo si racchiuda in tutto questo. Piacevole o meno che sia, ruba il tuo tempo ma può superare le tue aspettative. Ti fa credere che non lo faresti mai più, ma in realtà è stata la cosa migliore che potessi fare. Ti fa riscoprire dettagli che avevi rimosso, che sebbene superflui, ti donano un sorriso e le ricollochi nella cesta. A random ti fa rivivere pezzi di vita andati, dando valore a chi oggi c'è ancora e capendo quanto, persone andate, abbiano avuto soltanto un ruolo secondario nella tua vita, sebbene tu a quei tempi gli abbia dato il ruolo da protagonista. E' un viaggio attraverso stati d'animo ed emozioni, alcuni da dimenticare, altri da ripetere altre dieci, cento, mille volte ancora. E' un modo per riconoscersi delle colpe, alcune delle quali verranno commesse ancora in un circolo vizioso da cui non si esce, altre che non rifaremo più perchè in fondo adesso siamo cresciuti.
Ed è mentre pensiamo che siano stati gli altri i protagonisti dei nostri ricordi, che invece saremo noi a porci come protagonisti della nostra storia.

Le persone che incontriamo ci permettono di recitarla, in balia di colpi di scena o finali già visti, ma mentre ne scorriamo le fasi, siamo noi a raccontarla ed i primi a farne parte.
Fin quando gli schizzi di pioggia hanno smesso di bagnare i vetri, e mi sono addormentata.

martedì 8 aprile 2014

Solitudine virtuale.

Lo ammetto, sono una social network addicted. Nel senso che mi piace far parte di una comunità virtuale, dove si condividono aspetti del nostro quotidiano, si gradisce o meno, ci si segue, si "twitta" e "ritwitta". Non sono una di quelle che crede che facebook sia il male del nuovo millennio, sarà che trovo nella parola social qualcosa che mi affascina e che mi spinge ad esserci. Anche se probabilmente sono un po' all'antica: non sono affetta da selfite acuta, nè mi piace copiare ed incollare frasi che ha detto qualcun'altro o mettere su instagram le foto del cibo. Non mi piace e forse l'ho fatto solo di rado, perchè preferisco la personalizzazione in ogni singolo dettaglio, anche di quel pezzo di vita che si definisce virtuale, perchè mi piace che ogni cosa rifletta quello che siamo realmente, in un sano equilibrio tra ciò che è vero e palpabile e ciò che è virtuale e senza forma, ma non per questo meno veritiero.

Quando mi hanno parlato di Tinder ho pensato: "Ma cosa mi sto perdendo?" e allora mi ci sono fiondata, spinta dalla curiosità di capire come funzionasse. Tinder è un'applicazione che in base ad un geolocalizzatore e tendenza sessuale, ti mostra una carrellata di fotografie di gente che potrebbe fare al caso tuo. Se entrambe, cliccando "mi piace", mostrano "interesse" comincia il match e si inizia a chattare ipotizzando un eventuale incontro. Io mi sono fermata molto prima.

  1. Sono impegnata e non avrei voluto compromettermi;
  2. Si accede trasferendo sull'app le tue credenziali direttamente da facebook: avevo la foto con mia madre e a parte qualche quarantenne obeso cui la madre rassetta ancora camera ogni mattina, che ci avrebbe visto un viscerale credo nel valore "famiglia", non avrei "cuccato" proprio nessuno.
  3. Non mi piacciono i ragazzi belli, ma quelli interessanti o, a limite, quelli che mi suscitano sensazioni positive, standogli accanto, anche solo scambiandoci due chiacchiere. Chattare, verbo entrato ai giorni nostri nel comune linguaggio, significa comunicare digitando tasti del computer dietro uno schermo che non ha sembianze fisiche. Chiacchierare con una bocca che si muove, orecchie che ascoltano e occhi che ti guardano, è altra storia.
  4. Non sono alla ricerca del sesso occasionale (v. punto 1), né credo che almeno la maggior parte dei tinderers, cerchi qualcosa di diverso che abbia a che fare con amore ed emozioni affini. In Inghilterra hanno un rubinetto per l' acqua fredda e uno per quella calda. I due flussi non si mischiano. E sebbene ci si trovi nell'era 2.0, dove tutto è in continua evoluzione, non accetto che anche questo muti. Esistono le relazioni virtuali e quelle umane. Sono due cose distinte, proprio come due rubinetti. Questo postulato per me è imprescindibile, vi prego, non me lo toccate. Esistono le eccezioni, che è un po' come trovare la scritta "Hai vinto" nella confezione del Kinder Bueno.
  5. Ho cominciato a vedere nei volti di ogni passante, qualcuno di già visto, come fossero tutti presunti tinderers.
  6. Tempo speso su Tinder? Meno di 30 minuti. Il tempo di realizzare che esaurita la mia curiosità, poteva bastarmi.
Dopo qualche giorno ho guardato il film Her (Lei): uno scrittore di lettere per conto di altri,in preda alla solitudine post-divorzio, scarica un sistema operativo di intelligenza artificiale - OS1 - di cui ascolta semplicemente la voce. E sì, poi si innamora del suo computer. E fanno anche sesso"orale", nel senso che lo fanno "a voce". Fin quando "lei" scompare, ammettendo all'uomo che i sistemi operativi si stanno evolvendo e devono allontanarsi dagli umani. Ha vinto il premio Oscar per la sceneggiatura più originale. Anche se, lo ammetto, ha molto deluso le mie aspettative.
Ma ho subito pensato che in fondo potesse preannunciare un'avanzatissimo aggiornamento di Tinder: una voce al posto di fotografie ritoccate.
E ho cercato di immaginare una possibile connessione tra il Social Network ed una parola a me molto cara: persone.

Ma l'unica cosa cui ho pensato è che non c'è cosa più bella dell'avere attorno qualcuno che si emozioni per la vita, per come appare il mondo. E questa è una prerogativa umana, la più incredibile. Il male del nuovo millennio non è facebook ma si chiama "solitudine da ingabbiamento virtuale", ma vi assicuro che una cura esiste, e come al solito la troveremo nelle cose più semplici: scindendo i due mondi, ma lasciando al contempo che combacino. Apprezzando il chattare, ma desiderando di chiacchierare di fronte ad una bocca che si muove, orecchie che ascoltano, occhi che ci guardano. Gradendo un'immagine, desiderando di averla di fronte e di palparla con mano. Pensando che in fondo, siamo persone: quelle che amano il caffè con poco zucchero o che preferiscono il cappuccino, che amano la lettura o a quest'ultima preferiscono il cinema o il teatro. Persone la cui voce prende forma in frasi in cui virgole o punti saranno solo immaginari, riuscendo a penetrarti più di un corpo sordo, muto e cieco. Persone che in fondo sono portatrici di qualcosa che un oggetto inanimato non riuscirà mai a donare in egual portata: le emozioni.

Lasciamo che il 2.0 faccia solo ciò che manchi nelle abilità umane: accumulo dati e resettare come se niente fosse mai esistito. Il resto, è nostro.