domenica 30 dicembre 2012

Dove tutti dicono grazie.

"Cosa ci fai a Londra?" domandai distrattamente attendendo la classica risposta vaga che invece stranamente quella volta non ebbi.
" Volevo intraprendere una nuova esperienza, diversa da un'altra passata, in una metropoli cementificata dove le persone non fanno che correre, dove avrei potuto condurre una vita smodata, avrei potuto guadagnare qualche soldo da stringere nel palmo di una mano annusandone di tanto in tanto il profumo, sin quando mi sono accorta che il mio essere così estrema in fondo mi ha sporcato al punto da avvertire ancora una volta l'esigenza di ripulirmi."
"Perchè parli in questo modo? Di che esperienza passata parli?"
"Africa. Kenya per l'esattezza. Prima di allora non credevo che un Paese come quello potesse insegnarmi quasi tutto quello che attualmente conosco sulla vita. Prima di allora non credevo esistesse un posto nel mondo che potesse rappresentare allo stesso tempo vita e morte, disperazione ed allegria, in un connubio impensabile eppure possibile. Me lo ha insegnato l'Africa, nelle sue mille contraddizioni che si annullano in un'unica sconcertante verità, l'essere umano nella sua essenza, nella sua primordialità. Giuro che un uomo così non l'avevo mai visto, perchè in Occidente, qui a Londra come al mio Paese, in questo mondo dove le mie gambe hanno ricondotto il mio corpo ma non la mia mente nè il mio cuore, io l'essere umano non l'avevo mai incontrato. Ho incrociato solo maschere che hanno stratificato l'anima, in nome di un'apparenza da salvare a tutti i costi, sino a farci dimenticare chi siamo, da dove veniamo, cosa cerchiamo. Ma l'Africa è anche un'arma a doppio taglio, almeno per me ha rappresentato questo. Il mio corpo balzava dal letto ogni mattina, da sola, credendo di potercela fare, ma quando calava la notte avrei voluto altre dieci, cento, mille di me stessa perchè non era mai abbastanza. Ci sono state nottate in cui non riuscivo a prender sonno per un senso di colpa che mi ero cucita addosso, che quasi avrei vomitato per la sua cospicua consistenza, credendo che il mio corpo sempre più magro non sarebbe riuscito a contenerlo. Non so se sai cosa significa scappare per un senso di colpa che non esiste, che ti rende impotente, ma che nonostante tutto senti che un po' in fondo ti appartiene. " 
Ebbi soltanto il coraggio di sussurrare " So forse cosa intendi, pur non avendo vissuto la tua stessa esperienza", poi completamente immersa nei fiumi delle sue parole lasciai che continuasse il suo racconto.
" Allora sono scappata. Sono prima tornata a casa poi non avendo un titolo di studio adeguato sono venuta qui in cerca di fortuna. Sono fuggita da un senso di colpa che solo adesso, col tempo, ho capito quanto fosse fittizio, solo ora capisco che forse non sono mai tornata, ma credo di essere rimasta lì, seduta in un angolo della baracca ad ascoltare storie, ad osservare volti che parlano di un mondo che non immaginavo, talvolta penso ancora di camminare lungo strade che di una strada non hanno nulla, eppure ti guidano, perchè è la terra che sembra muovere i tuoi passi come ad invitarti a scoprire, a sapere. Percorsi tratteggiati di immondizia e calpestati da scarpe rotte e tanti, troppi piedi nudi, mentre il sudore scivola sui corpi ed il dolore ti imbarazza per la sua cruda dignità, dove fa da cornice un cielo che sembra avvolgerti, così vicino da poterlo toccare, ove le stelle sembrano restare lì in attesa di essere afferrate, quasi come se la natura avesse scelto di guardare a questo mondo, a questa gente da una posizione ravvicinata, quasi a volerli abbracciare tutti nella loro miseria, nella loro precarietà. 
Dopo questa esperienza mi sono lanciata in quest'altra, totalmente opposta. Ho creduto mi piacesse, ma spesso quando sono seduta in autobus guardo fuori dal finestrino e mi accorgo che quel Paese ha cambiato i miei occhi, a tal punto da immaginare l'Africa con i suoi paesaggi incontaminati ovunque mi trovi, al punto da pensare che è proprio lì, in quel Paese bistrattato e disgraziato, in quel Paese dove trovi occhi riconoscenti del nulla, dove talvolta dovevo indossare vestiti sporchi e spiegazzati per l'ansia di far presto, di risolvere tante situazioni, dove il dolore è oramai routine, è proprio lì che ho toccato l'apice della felicità, perchè nel dare tutta me stessa all'altro riempivo gradatamente anche me stessa, non mi sono mai sentita così impotente ma mai così piena. Qui invece mi accorgo di aver sporcato il mio spirito per l'esigenza di dover sperimentare qualcosa che in fondo mi sono imposta semplicemente per dimenticare i ventri gonfi, i volti straziati, una sofferenza che portata così dignitosamente non avevo mai visto. Mi volevo sporcare e ci sono riuscita. Ma tra un po' penso di ripartire, perchè ogni volta che mi sporco sento poi l'esigenza di ripulirmi, e nella mia Africa non mi sono mai sentita sporca, nonostante i cattivi odori, nonostante il sudore che grondava dalla mia fronte, mai, nemmeno un istante. Volevo dimenticare ma oramai fa parte di me. Volevo rimuovere il dolore che ha la forma dei ventri gonfi di centinaia di bambini denutriti, un odore acre che ti inonda le narici non appena varchi l'uscio di una baracca e che si mescola a quello delle fogne e ti rimane addosso, dentro, a ricordarti ciò che hai visto, come un invito a non dimenticare, nonostante ti farebbe comodo. Il dolore può avere un peso, quello dei bambini che ho sollevato tra le braccia, che ho stretto al mio petto e dei quali cercavo di immaginare un futuro difficile da intravedere. Può avere un colore, quello rosso della terra che alla stregua di tante madri che ho conosciuto non ha cibo per nutrire i figli partoriti, nè più lacrime da versare per dissetarli. E poi a fare da contrappeso a tutto questo c'è una gioia che scoppia all'improvviso, per nulla. Un'allegria che contagia per la sua semplicità. L'Africa ti insegna il piacere per le piccole cose, minuscole, insignificanti, che sono in grado di strappare ad un adulto o ad un bambino il sorriso più radioso in cui tu ti sia mai imbattuto. Lì dicono tutti sempre "grazie", come spesso fai tu, ecco perchè credo che l'Africa entrerebbe dentro anche te. All'inizio quel grazie mi innervosiva. Pensavo tra me e me perchè mai dovessero ringraziare non avendo un bel niente, poi ho capito che lì, dicono grazie per la vita, per un cuore che batte seppure a fatica, per l'ossigeno contaminato dai cattivi odori che nonostante tutto alberga nei loro polmoni, perchè lì, non hanno niente ma pensano che quel niente sia tutto ciò che basti per ringraziare di essere ancora vivi. Un modo di fare che da noi si è perso, offuscati da uno sterile materialismo che ha poco a che vedere con la vita vera. Ecco perchè credo di tornare. Tornare a ripulirmi, alla vita vera, quella vita che dimentichiamo di possedere ma che esiste. Non pensavo di averne il coraggio prima di partire, ma questa esperienza ha cambiato la mia mente, i miei occhi, il mio cuore, me stessa. Pensavo di non essere pronta ed in effetti non lo ero, non si è mai pronti quando si è così giovani ad affrontare la vita nella sua cruda realtà, ma poi ti ci abitui, diventi più forte, e capirai di non riuscire più a farne a meno, capirai che il tuo viaggio sarà a tua insaputa di sola andata. "
Rimasi nel silenzio di quella stanza ad ascoltare il suo racconto non so per quanto tempo. Non riuscii a risponderle in modo appropriato tanta la passione che mi aveva trasmesso nel suo minuzioso e dettagliato racconto. Pensai soltanto che anche dietro un'apparenza frivola a tratti si nasconde una storia, perchè in fondo ognuno ne possiede una. Basta solo rendersi piccoli ogni tanto e stare in silenzio ad ascoltare stralci di vita che era quasi come se avessi vissuto anch'io in prima persona, quasi come se attraverso il suo racconto mi fossi "ripulita", come sempre diceva, anche io, mentre ad occhi aperti sognavo quel posto nel mondo in cui c'è vita nella morte e morte in una vita, in cui si sperimenta quell'equilibrio sinallagmatico, quel dare ed avere avendo solo se stessi a disposizione.

venerdì 28 dicembre 2012

Siamo come cerniere lampo.

Staccarsi da qualcuno è come quando non riesci più a chiudere il tuo maglione per la rottura della cerniera lampo che sembra scorrere in un'unica direzione. Sembri allora trasandato, il freddo si insinua sin nelle ossa irrigidendoti i muscoli, ma quel maglione continui ad indossarlo, perchè ti piace, è il tuo preferito, perchè nonostante si sia rotto non puoi fare a meno di indossarlo nonostante ti dia un tono malandato. Quando penso a due persone che sanno stare insieme in una sinergia simbiotica quasi imbarazzante, quelli che si riconoscono tra la folla per il loro modo di guardarsi attraverso timidi ma profondi sguardi, per il loro modo di capirsi accennando un lieve sorriso, penso ad una cerniera lampo che riesce a congiungere due opposti lembi, sino a combaciare perfettamente divenendo una cosa sola in grado di renderti a tratti più ordinato, al sicuro, al caldo. Quei gancetti metallici scorrono lentamente o con rapidità, ma sempre insieme, si apriranno o si chiuderanno in una perfetta sincronia. La loro direzione sarà la medesima e sarà bello vederli perchè non se ne renderanno nemmeno conto, come se fosse per loro quasi scontato muoversi nella stessa direzione, come se uno dovesse necessariamente aspettare l'altro perchè da solo non avrebbe alcuna utilità, perchè nel caso accadesse significherebbe che la cerniera lampo si è rotta. Track. Sì si è rotta. Cercheremo mille modi per ripararla ma nei momenti meno indicati nel chiudere il nostro maglione ci accorgeremo che la cerniera non è stata correttamente riparata, allora volendo chiudere il maglione ogni tanto invece si aprirà, i lembi non riusciranno più a combaciare, la sinergia si è persa, il maglione è in fondo da gettare. Ma a noi quel maglione piace troppo, allora proveremo ad indossarlo comunque, lo indosseremo senza provare a chiuderlo, lasciando che i due lembi siano in fondo sempre vicini senza mai più toccarsi, senza mai più scorrere insieme nella medesima direzione, nonostante tutto oltremodo distanti. Non riusciremo a sbarazzarcene, allora permetteremo al freddo di insinuarsi nelle ossa, di irrigidirci la muscolatura, sembreremo poco ordinati ma l'importante per noi sarà semplicemente indossarlo. Sbarazzarsi di qualcosa o qualcuno che per noi è stato importante, che ha costituito un pezzo della nostra vita, rendendolo magico, unico, sperando a tratti in una sua intramontabilità è umano, per questo è doloroso, a volte straziante. E' da uomini, molto più spesso da donne e forse è quello che la vita ci vuol far essere. E' umano anche provare a riparare una cerniera lampo che all'apparenza potrebbe sembrare inutilizzabile, perchè trovo abbia una profonda dignità prendersi cura di ciò che ci sta a cuore, non lasciare che l'orgoglio ci annebbi e ci disintegri, cercare di rimettere insieme dei cocci che hanno costituito parte della nostra vita senza andar via lasciandoli sul freddo asfalto. Ma è ancor più umano perchè appartiene a chi è vero uomo o vera donna capire il momento in cui è giusto andar via perchè non c'è più spazio, perchè riparare la cerniera lampo porterebbe solo ad un inutile dispendio di energie, rendendoci soltanto stanchi, malandati, poco presenti in noi stessi e troppo in chi in effetti non ci ama più, in chi ha scelto di seguire una direzione diversa, chi in quella sinergia ci ha creduto sino ad un certo punto per poi smettere di cercarla. Potremmo indossare ancora quel maglione ogni volta che ci va, nella vita reale, come nei sogni o nei ricordi ad occhi aperti, ma ogni volta si rischia di perdere un pezzo di umanità, un pezzo del nostro essere uomini o donne, e non perchè dovremmo dimostrare al mondo di esser forti perchè in fondo non c'è bisogno di ostentare il superfluo, è umano anche mostrarsi deboli, tristi, straziati per un amore perduto, ma perchè indossare un maglione vecchio, la cui cerniera lampo è oramai irreparabile, ci conduce al buio, nell'ombra di noi stessi, non permettendoci di brillare e di capire che attorno c'è tanto altro che attende solo un nostro passo, rischiando talvolta di perdere sinergie ancor più profonde di quelle che ci ostiniamo affannosamente a riparare. Spesso riusciremo ad accalorarci molto di più non indossando il maglione che quando l'avremo indossato senza riuscire a chiuderlo. Perchè noi siamo i soli in grado di trasmetterci calore, mai ad intermittenza, ma costantemente, nonostante spesso lo dimentichiamo colmando i nostri spazi di sagome destinate spesso a divenire fredde presenze. Ma noi necessitiamo di sinergie autentiche, di calore, di sagome più spiriti in grado di correre nella nostra stessa direzione. O forse semplicemente di un po' più di umanità.

giovedì 27 dicembre 2012

Avere una mentalità aperta ...

Nell'immaginario collettivo avere una mentalità aperta equivale a condurre una vita sfrenata, all'insegna delle pazzie più disparate, delle trasgressioni più indicibili, quasi uno stile di vita che "scandalizza i borghesi". 
Credo che però sia sintomo di una mentalità aperta fare cose che nessuno oramai è più in grado di fare, parlare e credere in cose di cui nessuno più oramai parla perchè troppo lontano dal crederci ancora. 
Credo per questo che abbia una mentalità aperta chi anzitutto sia in grado di ascoltare, perchè in fondo soltanto pochi ne saranno in grado, tanti altri si ergeranno sul piedistallo con la presunzione di giudicare la tua vita senza mai aver posto domande o nel caso senza mai ascoltarne le risposte. E' l'ascolto dell'altro che dilata la mente più di qualsivoglia altra trasgressione, perchè la nostra mente si espande arricchendosi di nuove informazioni quasi come fosse una spugna. La mente così si dilata e noi ci arricchiremo sulla base di un semplice confronto ove lo scambio di informazioni servirà a noi e all'altro, riuscendo ad aprire la nostra mente e spesso anche quella dell'altro, talvolta sarà addirittura anche il cuore ad aprirsi, compiendo uno dei miracoli più belli che la vita possa mai donare. 
Ha una mentalità aperta chi sa ascoltare, chi dopo averlo fatto sarà in grado di porre domande pertinenti, cogliendo le risposte nonostante parole confuse o interminabili silenzi.
Ha una mentalità aperta chi ha ancora il coraggio di innamorarsi, perchè oggi troppo pochi mostrano questo coraggio. Ha una mentalità aperta chi se ne infischia del fantomatico orgoglio che offusca la mente sino a chiuderla e si mostra per ciò che è, con le proprie paure, le proprie fragilità, i propri scheletri nell'armadio. Chi non teme di soffrire per amore, di sbattere porte o vedere porte chiuse in faccia, chi sa chiedere scusa, chi sa perdonare, chi fa un passo avanti mostrando il groviglio di emozioni che prova, la propria passione senza lasciarsi incatenare da falsi stereotipi e luoghi comuni che poco hanno a che vedere con l'apertura della mente, ed anche del cuore.
Ha una mentalità aperta non soltanto chi avrà una lista lunghissima di posti che avrà visitato, ma chi avrà immagazzinato qualcosa di importante da ogni viaggio, che sia servito alla fioritura del proprio spirito, chi parte con una valigia mai troppo piena per tornare con una che invece trabocca di esperienze, di passione, di amore, di emozioni, di un se stesso diverso ma sempre uguale. 
Allora sarà inutile la conduzione di una vita sfrenata, di nottate all'insegna di tanta droga, sesso e rock and roll asserendo un'apertura mentale quando oramai questa è indubbiamente la strada più semplice per averne una. Aprire la mente non è così semplice e così potrebbero farlo tutti, chiunque a modo proprio. 
La verità è che se non riuscirai a godere di una parte di te anche nel silenzio della tua solitudine, se non riuscirai ad ascoltare te e chi ti sta intorno prima di esprimere giudizi, se non troverai mai il coraggio di palesarti, il coraggio di innamorarti sciogliendo le catene a cui ti sarai aggrappato, se agirai sempre e solo in virtù di una forma per compiacere gli altri e mai in forza di una sostanza che nutra anzitutto te stesso, la tua mente sarà sempre chiusa, perchè si apre anche quando scoverai le chiavi giuste per aprire il tuo cuore, non necessariamente in prossimità dell'altro ma soprattutto per te stesso. Sono forse queste persone che dovremmo avere il coraggio di seguire, staccandoci dal gregge, proponendoci con qualcosa di profondamente diverso in un mondo dove nessuno ascolta, si innamora, un mondo creato per codardi.

mercoledì 26 dicembre 2012

Ubriacatevi di vita!

Il 31 dicembre quasi allo scadere della mezzanotte che augura il nuovo anno esprimo un desiderio. Generalmente penso a qualcosa che desidero ardentemente sperando che nel nuovo anno possa prendere forma. Lo faccio ogni anno nonostante ciò che ho desiderato non si realizza mai, trovando però per strada nel corso dell'anno cose nuove, cose che non mi aspettavo accadessero, speranze che non nutrivo ad inizio anno, cose che non desideravo ma che hanno poi arricchito la mia vita molto più di quelle che ad inizio anno speravo si realizzassero. Quasi allo scadere del nuovo anno generalmente faccio un bilancio cercando di dare un titolo all'anno che sta per terminare tra il vociare di chi puntualmente afferma che l'anno è volato in un batter d'occhio. Non so se quest'anno sia effettivamente volato come dicono, so solo che è stato ricco, così tanto da non riuscire a dargli un unico titolo, così ricco da pensare a tanti titoli diversi, uno per ogni mese, quasi come fosse un calendario. Gennaio avrà allora questo titolo: "Fare un passo avanti per non avere rimpianti". Per non averne mi sono data solo la possibilità di esprimermi, senza provare vergogna per delle sensazioni che custodivo gelosamente, per ciò che ero in quel dato frangente temporale, un passo avanti che avrebbe portato ad un no o ad un sì, molto meglio di un forse che mi avrebbe soltanto trascinato nel tunnel del rimpianto, che avrebbe solo procrastinato in fondo il momento del "no" che è arrivato comunque, appesantendo in un primo momento quell'ombra del fallimento che ho creduto mi seguisse ogni volta tentassi di instaurare un rapporto personale. Poi ho capito che se almeno ci hai provato non puoi dire di aver fallito, perchè fallisce solo chi non ci ha mai provato, chi prova un'inutile vergogna nell'accingersi a muovere un passo che serve solo a definire ciò che si sente, ciò che si è in un dato momento. Allora febbraio avrà quest'altro titolo: "Ci ho provato, non ci sono riuscita, non ho fallito, ho vinto lo stesso", perchè in fondo non ho perso nulla, ma recuperato una parte di me che se fosse rimasta nascosta avrebbe vissuto in un insoddisfacente rimpianto. I rapporti falliscono, alcuni non riescono nemmeno a decollare, ma noi no. Se abbiamo dato voce al nostro io interiore abbiamo preso il volo comunque, abbiamo vinto al di là del risultato che spesso può non dar merito al nostro palesarci. Il mese del mio compleanno è sempre stranamente confuso. Forse perchè sapere di compiere gli anni mi incute una strana sensazione di ansia, quasi come se temessi di crescere. Ma per quest'anno lo intitolerei "E' solo un anno in più, ma le esperienze sono state ancor di più". Non ho creduto che compiere 23 anni fosse sintomo di maggiore saggezza o maturità. Forse le posseggo nonostante la mia famiglia sia sempre dietro l'angolo a ricordarmi il contrario, forse queste doti non mi appartengono, probabilmente nemmeno le desidero. Ho avvertito soltanto la sensazione di essere diventata più umana rispetto l'anno precedente, ecco perchè forse il mese di marzo merita un secondo titolo: "Umanità". Ad aprile mi sono sentita stranamente leggera, il suo titolo inevitabilmente sarà : "Libertà, scoperte, viaggi ". Una sensazione quest'ultima che ha dato il titolo al mese di maggio, che intitolerei appunto "Leggerezza". Una leggerezza che a giugno mi ha trascinato in qualcosa di sorprendentemente inaspettato, a cui darei il titolo "Apri il cuore, provaci ancora". E' come se dopo quasi sei mesi la vita mi mettesse ancora una volta alla prova, nonostante la diversità delle circostanze. Mi sono tuffata, ho vinto le paure, ho idealizzato qualcosa che in realtà non c'era, ho sperimentato circostanze che da tanto non provavo, non cercavo, nè forse desideravo. Ci ho provato, non ci sono riuscita, di nuovo. Per giorni ho avvertito il peso dell'ombra del fallimento, di nuovo, ingiustamente. Ma poi senza alcun rimpianto, con un cuore che attendeva solamente di riempirsi e traboccare di me stessa e non più per volontà di qualcun'altro, ho spiccato il volo, mi sono data la possibilità ricrearmi, di vincere ancora, credendo che quando forse qualcosa va perso si vince sempre qualcosa di molto più forte ed importante. A luglio sono partita per Londra con un biglietto di sola andata ed una valigia non troppo piena che avrei voluto riempire strada facendo, una valigia che effettivamente al ritorno pesava di 60 vite, o di molte di più. Avevo perso, non fallito, capita, ma alla fine avevo anche stravinto, così tanto che i mesi di luglio agosto e parte di settembre hanno tanti, troppi titoli. Si intitoleranno: basta, ancora, ci provo, mi tuffo, emozioni, perdite, conquiste, scoperte di persone incredibilmente sorprendenti, scoperta di una me stessa che in fondo non è poi così debole, solitudine, divertimento, leggerezza, grasse risate, lacrime, non ce la faccio, ce la posso fare, andrà meglio la prossima volta, speranze, non voglio perdere nessuno, ho perso tutti e me ne infischio, ciò che conta non ci lascia mai, i cervelli vuoti sono sempre quelli che danno più aria alla bocca, lascia che le critiche ti scivolino addosso rendendoti solo più luminosa, il rintocco del Big Ben che ti dice che il tuo cuore ancora batte, un cuore che batte troppo forte, un cuore che può fermarsi ma non sarà mai la fine, io ci sono e basta questo, le anime perdute sono destinate ad incontrarsi, pazzie, nottate che si riempiono di silenzi, parole come versi delle poesie più belle, il lavoro è duro ma tu intanto sei leggera come una piuma, abbracci che riscaldano, persone idiote e persone tremendamente affascinanti, specialità, addii che speri siano arrivederci. Quante vite ci sono in tutti questi titoli? Forse infinite, perchè infinita mi ci sono sentita anch'io quando mi sono tuffata nel tunnel dell'incertezza da sola, recuperando da sola o grazie a qualcuno la certezza di ciò che sono, il destino che per me vorrei costruire, ciò che in fondo da sempre voglio essere ma che tentennavo ad esprimere. I mesi di ottobre e novembre sono stati però incredibilmente pesanti. "Pesantezza, malinconia, nostalgia, senso del dovere" saranno i loro titoli. Ma stavolta aggiungerei un sottotitolo: "nei periodi più bui ascolta il tuo cuore ed assecondalo". Ho assecondato le richieste del cuore che mi diceva di alleggerirlo dal peso del dovere con un velato ma profondo piacere. Questo piacere ha preso il nome di "Flying Swallow", che non è soltanto il titolo di un blog. Flying Swallow è una passione eterna che aspettava di rifiorire come boccioli in primavera, per lungo tempo seppelliti dalla neve di rigidi inverni, è esprimersi nel modo per me più congeniale, è amore, sono in fondo semplicemente io. E me ne accorgo ogni volta che rileggo qualcosa che ho scritto, specchio di uno stato d'animo del momento, di quello che in quel momento mi andava di raccontare parlando talvolta di qualcosa di esteriore, improntato sul mio punto di vista, in grado di racchiudere sempre, in ogni parola anche parte di me. Sembrerà per molti un'assurdità, ma in tanti momenti in cui avrei voluto dire basta, non ce la faccio, sono stanca di tutto è stato proprio questo che mi ha dato la spinta per dire invece ancora, ce la posso fare, sono stanca di tutto ma non posso esserlo di me stessa. Tutto questo mi ha condotto al mese di dicembre con qualche consapevolezza in più su me stessa, con un pizzico di coraggio e profonda volontà senza le quali non avrei finito gli esami, giungendo ad un traguardo in fondo non completamente ultimato, in fondo piccolo, ma per me immenso, perchè è stata la conferma che quando pensi che tutto stia per crollare da un momento all'altro, se tu ci sei, se tu non crolli insieme al resto, sei in grado di reggere anche una montagna che frana. "Traguardo" è il titolo del mese di dicembre. Per la prima volta sono triste che quest'anno sia già quasi terminato, perchè voltandomi mi sono accorta di aver lasciato alle spalle troppa vita, ma al contempo spero di ripercorrere i prossimi dodici mesi che verranno nella stessa maniera, lasciando che sia, cogliendo le possibilità che la vita regala ogni giorno di cui a volte preferiamo ingiustamente farne meno o nemmeno ce ne accorgiamo, sperando di imparare ancora e di avere sempre nuove conferme, sperando di avere ancora una volta numerose ricchissime vite. Ed è questo l'augurio che faccio a tutti voi lettori. E' oltremodo scontato augurare amore, pace e serenità. E' bello ma irreale. La vita può esserlo come non. Credo che in 365 giorni sia impossibile essere sempre felici, innamorati, con pace e serenità nei cuori. La vita spesso ti porta a rifiorire solo se prima ti sarai appassito. Il mio non è un augurio cinico, ma vuole essere un augurio vero, reale, semplice, autentico, come la strada che ho scelto di seguire. Allora il mio augurio più sincero non può essere che augurare 12 vite, o anche molte di più, anche 365 vite se necessario, vite la cui prerogativa è una soltanto: esserci con tutto ciò che si è, nel bene e nel male. Svegliarsi sempre come fosse un nuovo inizio e addormentarsi come fosse sempre la fine, vivere nella semplicità dei gesti quotidiani, non disdegnando gesti estremi, nutrirsi di tutto ciò che troverete lungo il tragitto, cogliere una forma di vita ovunque e con chiunque vi troviate, calpestare erba fresca senza mai dimenticare il ruvido asfalto delle strade già percorse, non aver timore di rimanere delusi, di piangere, di sbattere porte, di urlare, di rischiare, di tuffarsi in ciò che è incerto, di dar voce ai propri sogni senza lasciare che sia la notte ad alimentarli ed il mattino seguente a portarli via, amare nonostante non si abbia un compagno o una compagna che ci renda il letto più caldo, amare significa anche ascoltare ciò che il cuore vorrà sussurrarci, riuscire a contemplare il silenzio, riuscire ad intravedere una timida luce nonostante il buio, e questo è anzitutto il risultato di amarsi, cogliendo spesso nelle proprie fragilità il proprio punto di forza. 
Solo a fine anno, al momento del mio puntuale bilancio credo che in fondo io mi sia ubriacata della sostanza più letale di tutte: mi sono ubriacata di vita ed è stato semplicemente meraviglioso, soprattutto strappare sorrisi dietro lacrime di malinconia, strappare un ancora, ce la posso fare da un basta, non potrò mai farcela. Allora è questo che auguro a voi tutti: UBRIACATEVI DI VITA, non di una soltanto, ma di tante, troppe, infinite vite.

lunedì 24 dicembre 2012

... Si deve pur sempre credere in qualcosa.

Credo negli incontri, in quell'inatteso perdersi per poi ritrovarsi di persone destinate semplicemente ad intrecciare i fili delle loro vite. Credo in spalle che si scontrano, in occhi che si incrociano, in parole che si mischiano in maniera caotica, perchè a me talvolta è accaduto di aver toccato delle spalle per caso che sono poi in seguito inaspettatamente divenute il mio sostegno, di aver incrociato degli occhi la cui luce si è presto tramutata in un faro durante le notti più buie, parole confuse che divenivano via via sempre più nitide e che silenziosamente prendevano la strada del cuore. Credo che nulla accada per caso e che ogni persona incrociata lungo il sentiero della vita serva a trasmetterci qualcosa, che si tratti di una semplice informazione o di un qualcosa che solo col tempo fungerà da insegnamento di vita. Persone incrociate per caso, anche solo per pochi minuti, che sarebbero stati solo dei semplici passanti se il destino non si fosse offerto di donarci una seconda possibilità, o anche una terza, ricongiungendo le nostre strade, rendendo spesso quel cammino sorprendentemente meraviglioso. Credo negli incontri come nei luoghi silenziosi, come quei caffè in cui non entra nessuno in giornate piovose dove gli schizzi di pioggia sui vetri sembrano comporre dei dipinti ad olio, non permettendoti di osservare cosa c'è fuori l'ingresso. E' come se entrassi e ti riparassi nell'attesa di qualcuno o semplicemente per startene seduto ad un tavolino nell'angolo a leggere un libro mentre hai davanti una tazza di thea fumante che attendi si raffreddi, nell'attesa di nessuno in particolare, potendo restare lì per ore nel tuo nostalgico quanto poetico silenzio, nell'attesa forse di recuperare un po' di te o di far sedere al tavolo qualcuno che riuscirà come te a contemplare il silenzio ove poter cogliere risposte, o penetrarti con lo sguardo mentre ti rivolge domande e alle tue risposte starle ad ascoltare pazientemente. 
Credo che gli incontri veri si svolgano qui. In posti dove non c'è musica assordante, non affollati, dove la gente entra per desiderio di starsene in silenzio con se stesso o con qualcuno che avrà naturalmente la premura di stare ad ascoltare. Un po' come ripararsi dalla pioggia per rinchiudersi in un ambiente ovattato.
Ma purtroppo non tutti ci credono e allora sprecano occasioni. Non tutti credono in occhi che avrai incrociato per qualche minuto per poi ritrovarli dopo giorni, mesi o anni fuori la tua porta mentre ti chiedono di entrare. Non tutti sanno che la vita regala possibilità, che saremo noi a dover sfruttare una volta individuate. Certe persone lasciano che la vita gli passi accanto senza mai afferrarla per la gola, capovolgerla e racimolare ciò che contiene. Alla fine non tutti gli incontri saranno frutto del destino, nè tutti i caffè vuoti saranno il luogo perfetto per conversare o contemplare un religioso silenzio. Ho trovato spesso banali degli incontri al punto da sperare di perderli e non ritrovarli mai più, mi sono ancor più spesso trovata a sedere al tavolo e fingere di ascoltare discorsi poco stimolanti, che non reputavo interessanti, non introducendomi mai ma standomene lì, in quel silenzio che in certe occasioni mi ha creato una morsa allo stomaco, mi ha fatto quasi dimenticare di avere ossigeno nei polmoni. Ma nel dubbio credo che tutti lo siano, in modo da non rischiare che le infinite possibilità offerte dalla vita mi passino accanto senza esser colte, perchè è sempre meglio un'amara delusione che un irrecuperabile rimpianto. 
Allora ci credo, forse perchè in fondo in questa vita si deve pur sempre credere in qualcosa.

sabato 22 dicembre 2012

Dalla responsabilmente!

Tutte le donne ce l'hanno e "darla" non costituisce di certo un peccato mortale ma qualcosa di tremendamente sano, naturale, fisiologico. Il punto è darla responsabilmente, utilizzando ciò che in fondo dovrebbe caratterizzare la categoria, un equilibrio simbiotico di cuore e cervello. In passato la "donna oggetto" aveva esclusivamente questa funzione: darla al migliore offerente. Poi grazie ad esponenti che sono col tempo divenute l'emblema di una società che stava crescendo verso il principio della parità dei sessi, cucendo un ruolo di certo maggiore per le donne le cui idee hanno preso il volo come rondini nell'aria fresca di primavera, le cose sono cambiate. Alla funzione primigenia se ne sono affiancate delle altre che hanno reso la donna più forte e completa, al punto da farne un gran centro decisionale con forte senso persuasivo sugli uomini, sbaragliando stereotipi obsoleti. Le donne oggi possono votare, leggere, studiare, avere un certo peso professionale nella società moderna, riescono a mandare avanti intere famiglie, trasmettono un amore incommensurabile al punto da riuscire a riempire ogni singolo spazio vuoto, al punto da renderle indispensabili, per tutti. Le donne oggi hanno acquistato libertà, e se per libertà intendiamo la negazione di qualsivoglia forma di dipendenza, significa che del sesso maschile, considerato forte, duro, a volte feroce, possono farne a meno, talvolta sarà necessario per rimarcare la propria libertà, per secoli negata, ma alla fine dopo tante battaglie vinta. 
Ecco perché credo che le donne che alle porte del 2013 girano ancora con un cartello appeso al collo con scritto "Te la do", quelle donne volutamente vuote perchè non fanno nulla per nutrirsi di qualcosa di diverso, quelle donne che dipendono dal sesso maschile al punto da ridicolizzarsi più che dal profumo delle idee fresche, libere, profondamente femminili, non siano amorali, nè voglio etichettarle con simpatici appellativi riecheggiando le antiche cortigiane di corte perchè per quei bigotti quanto irrealistici luoghi comuni secondo cui le donne sono delle gran bagasce se vanno con chiunque, mentre gli uomini saranno sempre e comunque giustificati, non c'è più spazio attualmente, non ce ne deve essere. Non saranno amorali ma paradossalmente obsolete, quasi uno schiaffo ed una mortificazione per chi ci ha rimesso addirittura la pelle per farci credere nella forza delle nostre idee, per inculcarci che anche da sole le donne valgono, perchè sono forti, belle, intelligenti, speciali. Non so se credere molto nella comune affermazione "gli uomini cercano solo quello", perchè in fondo può darsi sia anche vero ma Madre Natura con gli uomini non è stata così generosa, gli uomini crederanno di cercare ma in realtà spesso si "accontenteranno" di ciò che saranno le donne ad offrire, saremo dunque noi donne a cercare, a scegliere, a trovare, ad ottenere, gli uomini saranno spesso solo e semplici prede, nonostante non se ne rendano conto. E data la poca generosità di Madre Natura, agli uomini "prenderla" e "gettarla via" come fosse un sacchetto della spesa, in modo semplice, futile, senza alcuna forma di complicazione, andrà bene, ma andrà bene come quando vai al cinema e non trasmettono nessun film particolarmente interessante, allora nella programmazione sceglierai il "migliore fra i peggiori", di quelli con una trama così scontata che sembrerà già visto, di quelli che il giorno dopo non ricorderai. 
Le donne non si possono distinguere per un qualcosa che in fondo avranno tutte ed il sesso non può essere oggetto di una compravendita, credo non sia amorale, ma appunto naturale, fisiologico, assolutamente normale, ma a noi donne è richiesto qualcosa in più proprio perchè dovremmo possedere potenzialmente qualcosa in più: il decoro, il buon senso, un innato senso di libertà che ci rende fresche e piacevoli senza dover svendere necessariamente il nostro corpo. Non lo si deve fare per piacere di più nè per preservare una certa integrità agli occhi degli altri, perchè ci sarà sempre un motivo per criticarci, anche quando apparentemente non ci sarà. Lo dobbiamo fare per guardarci allo specchio e sentirci profondamente donne, quelle donne che hanno lottato vincendo una parità di diritti non una trasformazione in uomini poco intelligenti anche per esser cinici che agiscono semplicisticamente utilizzando solo il loro organo genitale in mancanza di altro. Per sentirci donne piene di quella libertà che si sposa con la freschezza delle idee ed il profumo dei desideri. Per sentirci donne aperte mentalmente, senza cadere nella falsa visione che l'apertura mentale significhi "darla necessariamente a chiunque". 
Nessuna nasce "santa", ma molte donne dovrebbero cominciare a sfruttare quel potenziale che Madre Natura gli ha donato, quella combinazione fra cuore e cervello che ci permette di lasciarci andare quando le emozioni saranno così forti da traboccare, che ci permette di dire sì ma anche no quando sarà necessario, che ci permette di capire quando è il momento di dire basta, quando sarà il momento di manifestarci nel pieno delle nostre funzioni senza minimizzare la nostra anima ad una sola funzione, quella primigenia, quella che non ci distingue, quella che in fondo è da tutte esercitata. Ognuno sceglie di essere ciò che vuole. Vado forse controcorrente ma ho scelto di essere un film dalla trama non scontata, di quelli con un finale che non ti aspetti, di quelli con una trama ingarbugliata che può annoiare o appassionare tremendamente, quei film che sono in programmazione ma poco pubblicizzati, quelli che guarderanno in pochi ma che ricorderanno tutti, di quelli che necessiteranno di tempo per riscuotere successo.

giovedì 20 dicembre 2012

Come se non avessi scritto un bel niente.

Non so che momento sia.
Non so se sia il momento di mettere tutto in stand by o il momento giusto per ripartire.
Non so se sia il momento per illudersi o mantenere le fredde e statiche solite convinzioni.
Non so se aprire il cuore o chiuderlo come un ventaglio che non serve, perchè sì, in effetti in certi momenti è quello che mi chiedo: "A che serve lasciarlo lì ad occupare spazio?"
Non so nemmeno se devo partire o è giusto che rimanga.
Non so nemmeno cos'è che veramente mi manca, nonostante avverta la presenza di una qualche mancanza che si ostina a ripresentarsi ogni qual volta tenti a fatica di abituarmi, di adattarmi, di lasciare che il passato scivoli via lentamente sul mio corpo, lavando i ricordi, accorciando i desideri, sino quasi a pensare che siano scomparsi. Non so che momento sia perchè in genere ciascuno ha una propria guida che può indicare la strada giusta da seguire, o semplicemente offrire un suggerimento, che potrà esser colto o meno, ma sarà pur sempre un faro che ci seguirà ovunque sceglieremo di andare.
Io non ho mai avuto una guida, se non me stessa. Giuro che in certi momenti avrei voluto averne una, ma alla fine ho sempre scelto da sola e comunicato le mie scelte a chi mi era accanto, a chi accanto a me ha deciso di restare, a chi poi ha deciso di andare. So quello che manca, ma non posso cercarlo, nè tanto meno riesco ad esprimerlo, forse perchè nemmeno esiste. Il punto è che mi sono trovata sempre così sola davanti alle scelte che adesso ne sono un po' stufa. Ho dovuto imparare a starmene per conto mio, mi sono fatta piacere tanto, a volte troppo, questa solitudine che spesso mi ha abbagliato, altre volte mi ha fatto rimanere al buio, perchè in fondo le scelte sono solo nostre, è questo che mi sentivo sempre ripetere. Allora sono cresciuta, ho preso scelte per sentirmi sempre più grande, l'ho fatto sempre da sola, perchè in fondo io mi bastavo, a volte mi bastavo al punto da sentirmi decisamente troppo. Mi sono lanciata in cose che sembravano piccole diventando poi troppo grandi, troppo ingombranti per me al punto da costringermi a fare un passo indietro. Mi sono invece immersa in ciò che apparentemente mi sembrava troppo grande, di una così profonda ma incerta consistenza, sino a sperimentare tutte le mie possibili gradazioni di colori, sino ad espandermi così tanto da considerare ciò in cui mi ero immersa poi non in fondo così grande, ma alla mia altezza. Ho sempre comunicato ma mai condiviso. Per una volta nella mia vita avrei voluto condividere prima di comunicare, per sentirmi forse meno sola, per sentire di fare per una volta qualcosa in cui fossero partecipi anche altri e non solo la mia persona, per nutrire me stessa e della stessa sostanza anche qualcun'altro. Talvolta ho creduto di condividere il tutto con chi incontravo lungo le strada al di là del cancello che si apre sempre ogni volta che scelgo, sino poi a pensare che in realtà non condividevo mai del tutto, perchè chi incontravo lungo il tragitto non era altro che lo stesso frutto delle mie scelte, parte di quel progetto in cui mi ero addentrata, come se avessi acquistato un pacchetto all inclusive, per una persona, sempre e solo per una persona. Una persona che ha scelto di vivere in questo modo ma che adesso si sente grande abbastanza, che adesso è forse semplicemente stanca di ripetere sempre tutto come fosse un copione già scritto. Una persona che adesso forse desidererebbe dormire e svegliarsi domani con una vita già pianificata da altri, nonostante vada contro i suoi principi, solo per avere qualcosa di diverso, solo forse per pensare che ci sia qualcuno che abbia scelto di vivere con lei, che abbia scelto in fondo di condividermi con tutti i miei pro e tutti i miei contra. Perché si insegna che si diventa grandi affrontando e scegliendo tutto da soli, ed in effetti ci sono giorni in cui mi sveglio ed ho 23 anni ma in realtà me ne sento il doppio. Ma qual è il giusto equilibrio per sentirsi meno soli ma grandi lo stesso? Ci sono giorni in cui ti svegli ed hai solo 23 anni nonostante te ne senta il doppio, in cui non sai che momento stai vivendo, cosa vuoi e soprattutto dove vuoi dirigerti. Ci sono giorni in cui ti accorgi che quello che volevi forse non esiste, che la tua stanchezza ti ha condotto all'abituarti, a startene in silenzio, a non lamentarti più. Ci sono giorni in cui addirittura vuoi restare, sei addirittura stanca di prendere come al solito i tuoi bagagli e partire, come fai sempre, quando ti stanchi di dare spiegazioni, di risolvere problemi privi di consistenza, quando sei stanca di tutto ed anche un po' di te stessa, come se ora fossi stanca anche del solito modo di reagire, come se volessi cercare qualcosa che potrebbe essere più vicino di quanto immagini ma che in effetti non si palesa e ti rende impaziente.
Ci sono giorni in cui scrivi tante parole, ma è come se il realtà non avessi scritto un bel niente.

mercoledì 19 dicembre 2012

Come lancette di un orologio.

La regola è la seguente.
Quando vorrai Marco, lui non ti cercherà, ma lo farà tempo dopo, quando tu avrai smesso di cercarlo e vorrai intanto Mattia, che a sua volta non ti cercherà, forse lo farà, ma quando avrai smesso di cercare anche lui. E' una regola imprescindibile che vale per entrambe i sessi, come quella del due più due che come risultato darà il quattro. Insomma, non si scappa, inutile illudersi.
Quando ho incamerato questa regola mi sono chiesta se fosse possibile spiegarne la ragione, se fosse insomma dimostrabile come un teorema di matematica, cercando di risolverlo dandomi dell'incostante, dell'eterna insoddisfatta, di una che non fa a tempo a desiderare qualcosa che quando lo ottiene lo guarderà come fosse già qualcosa di tremendamente vecchio, al punto da partorire nuovi desideri, aventi sempre tutti lo stesso immancabile destino. Ma poi ho appreso che questa spiegazione non poggiava su criteri di matrice universale, perchè in fondo se fosse così significherebbe che è un mondo di incostanti e di eterni insoddisfatti. Può anche darsi, ma col tempo ho raggiunto una tesi più adeguata, una che forse fa sentire tutti un po' meno colpevoli. Non si tratta di qualità personali bensì fisiologiche, un qualcosa che attiene a tutti, da cui non si scappa, che non si può frenare, un qualcosa di cui non si ha nemmeno la benché minima percezione: è una questione di tempi. Sì, una questione di tempi, ove ognuno ha i propri ed è complicato scovare due corpi che abbiano stessi tempi, due anime perfettamente sincronizzate. E' complicato comprendere se le lancette dell'altro sono più avanti, indietro o in linea con le nostre, ed è ancor più difficile mettersi a tempo con l'altro, spostare le nostre lancette per conformarle a quelle dell'altro o fare in modo che lo faccia anche l'altro per rendere il lavoro più semplice e collaborativo. Troppo spesso capita di appurare che le lancette dell'altro non siano perfettamente in linea con le nostre e, senza nemmeno capire se siano avanti o indietro rispetto le nostre, abbandoneremo il campo, nell'ostinata ricerca di qualcuno che nutra invece i nostri stessi tempi, ma anche quando lo incontreremo potrà capitare di non accorgersene ed abbandoneremo il campo lo stesso, perchè la verità è che oggi si parla troppo poco, si ascolta e ci si guarda ancor meno, non sappiamo più aspettare. E' forse questa la verità più orribile fra tutte. Avremo la presunzione di voler capire stando ore incollati con gli occhi su di uno schermo, uno schermo che vorrà fungere da occhi, ma che occhi non saranno. Alcuni si nasconderanno addirittura dietro il raccapricciante nonché puerile tentativo dell'addescamento da "social network", facendosi bastare un futile commento, un "mi piace" ad una fotografia, fiumi di chiacchiere prive di consistenza, non contemplando più la freschezza di parole pronunciate dal vivo, davanti una tazza di thea, un caffè, una sana risata. Allora le nostre lancette scorreranno così, fino a quando il nostro tempo sarà tristemente scaduto, attribuendo la colpa al fato, a quel tempo che inesorabilmente scorre, ma mai puntando il dito su di noi, noi che non sappiamo più ascoltare nè parlare, noi che non sappiamo più guardarci nè aspettare l'altro ma paradossalmente attendiamo che chi o ciò che desideriamo ci giunga come la manna dal cielo. Ma statene certi che non succederà. La vita non regala niente, talvolta è doveroso strappare alla vita ciò che desideriamo. Talvolta è doveroso fermare le lancette e aspettare l'altro se lo desideriamo ardentemente. Si dice che talvolta occorra "rischiare", ma credo non sia il termine più adatto. Si rischia gettandosi con il paracadute, da un ponte, da un automobile in corsa, ma non si rischia niente semplicemente esprimendosi. Il nostro non sarà di certo un tentativo di vincere il tempo, il tempo non si vince, ma potremmo cominciare una danza che ci vedrà pian piano a pieno ritmo, facendo apparire quel tempo meno inesorabile, meno distruttivo. Allora non vinceremo forse il tempo, ma avremo vinto qualcosa forse di molto più importante: la nostra dignità, il nostro essere pienamente così come si è dando voce ai nostri desideri, avremo vinto in fondo una vita. Non sto dicendo di aspettare Mattia nè Marco finchè le nostre ossa non si saranno consumate, ma sto dicendo che forse è opportuno parlare, ascoltare, muovere un passo, guardarsi negli occhi, capire e soltanto dopo agire di conseguenza, abbandonando il campo o restandoci, allineando le nostre lancette. Dobbiamo forse abbandonare l'idea del tutto e subito, del tutti fuori o tutti dentro, danzare col tempo, dobbiamo riprenderci quello si era, essere meno futili, semplici e banali perchè la vita, quella vera, in fondo non lo è mai. E l'obiettivo del gioco, per sfidare le rigide regole matematiche che ci vengono propinate, sarà in fondo proprio questo: vincere una vita sentendoci padroni del nostro tempo.

martedì 18 dicembre 2012

Certi uomini ne capiscono ben poco.

La verità è che certi uomini hanno paura delle donne. Temono le donne complicate, quelle che sanno reggere un discorso al punto talvolta da sopraffarli, quelle troppo sicure, quelle che ad una domanda sanno rispondere solo con un sì o con no, perchè il loro vocabolario non conoscerà i "forse", i "se" ed i "ma". Temono le donne che sono belle in gonna e tacchi a spillo, ma ancor più belle in jeans e scarpe da ginnastica. Temono le donne intelligenti, versatili, le donne "per tutte le occasioni". Temono le donne con cui potrebbero parlar per ore, spaziando da un discorso all'altro, senza mai stancarsi. Temono le donne che trasmettono un'innata sensualità con le curve sinuose del loro corpo, ma ancor di più con la luce di uno sguardo. 
Gli uomini temono le donne complete, quelle che sanno ridere, di quelle assolutamente stimolanti. Temono quelle donne che potrebbero silenziosamente entrare nel cuore e nella vita di uomini spaventati al punto da farsi bastare la loro presenza, il suono della loro voce, la freschezza delle loro idee, senza necessariamente volerle portare a letto. Temono quelle donne che potrebbero chiudere la loro porta dinanzi ad uno sbaglio, temono le donne esperte, che conoscono quanto possa far male un uomo al punto da non credere alle frasi da copione, quelle donne che spesso e volentieri, nonostante la disillusione, non smettono di sperare, ed entrano in quell'uomo con tutta la loro penetrante forza, con tutta quell'anima che rischia di traboccare. Temono le donne che potrebbero fargli conoscere qualcosa di diverso da quello che hanno sempre visto. Certi uomini hanno paura di un confronto così forte, temono di perdere la loro virilità, temono la sopraffazione, quasi come se il rapporto tra un uomo ed una donna debba trasformarsi in un duello dove solo uno ne uscirà vincitore. E certi uomini hanno paura di perdere. Allora tutte queste donne diventeranno amiche, collezionando intanto ragazzine più facili da gestire, quelle che non pronunceranno mai un "no" ma sempre e solo "sì", quelle che temeranno di uscir di casa senza trucco, quelle con cui si potrà parlare al massimo per 15 minuti, quelle ragazzine di "rappresentanza" che spesso si porterà al cinema per giustificare ore di silenzio, quelle che confondono la sensualità con l'essere provocanti con una sola maglia scollata, uno shorts e tacchi a spillo, quelle che ridono come anatre, quelle da cui poter trarre solo ciò che gli uomini da sempre in fondo cercano perchè non avranno idee originali al punto da poter immaginare qualcosa di diverso, quelle inesperte che non sanno che gli uomini possono mentire e crederanno per questo ad ogni singola parola, ritendendosi talvolta addirittura colpevoli del fatto che quell'uomo abbia avuto paura, perchè si stava correndo troppo, perchè forse è meglio tirare il freno, invece di scorgere in quelle inopportune frasi un "non ti voglio così come sei e basta". Questi uomini avranno anche la faccia tosta di lamentarsi dicendo di non trovare mai la persona giusta, che le donne in effetti sono tutte tremendamente uguali, sono tutte delle bagasce da quattro soldi, contemplando da lontano senza mai avvicinarvisi quelle che potrebbero rovesciare il loro punto di vista sull'universo femminile. Credo che non sia uomo chi temendo un confronto troppo forte che possa mortificare la sua virilità lo evita, ma chi farà di tutto per poterlo avere, chi crede che un rapporto fra un uomo ed una donna non sia un duello con vincitori e vinti, ma semplicemente uno scambio da cui si esce perdenti solo se non ci si entra dentro, chi negli occhi di quella donna non scorgerà una donna complicata da cui distanziarsi, ma semplicemente una donna, e le donne si amano, le ragazzine fanno solo divertire.
Ma l'amore oltre ad essere bello, puro, intenso, può essere anche tremendamente divertente. Certi uomini spesso si accontentano di una metà, una metà che lascia insoddisfatti, una metà che piace perchè è semplice. Certi uomini in fondo ne capiscono ben poco.

lunedì 17 dicembre 2012

Ci sono momenti in cui ...

Un ragazzo che se ne va è pur sempre solo un ragazzo che se ne va.
Un amico che si toglie la vita è un amico che si toglie la vita, un cuore fatto a brandelli, un'anima calpestata, un senso di colpa che non si lava, la rivalutazione delle tue priorità, il capovolgimento di quello che sei, guardarsi allo specchio e sentirsi schifosamente vuota.
Quella fredda domenica di gennaio appresi la notizia al telefono, mentre ero intenta a pettinarmi i capelli prima di uscire con il mio fidanzato di allora. Un gesto semplice, abitudinario, come quello di pettinarsi i capelli, quei capelli che dopo qualche minuto avrei voluto strapparmi dalla radice, masticarli, ingoiarli, ma non sarebbe servito comunque, perchè oramai era troppo tardi per tutto, perchè lui in fondo non c'era già più. Non sono riuscita a versare molte lacrime se non dopo 24 ore, cominciando a piangere a dirotto e quando le mie lacrime finirono cominciai a vomitare. Vomitare di un dolore che rendeva fragili le ossa avvertendo la percezione che si stessero quasi sgretolando, vomitare di una colpa che mi ero cucita addosso, che aveva invaso ogni singola cellula del mio corpo, fino ad offuscare la mente. Ricordo che mi guardai allo specchio e vidi una persona in cui non mi riconoscevo, vidi tanti valori in cui avevo sempre creduto, ma mai praticati fino in fondo, vidi un'anima schifosa, vuota, a tratti superficiale, una persona che non sapeva vivere ma che arrancava, una persona che non aveva capito niente e che cercava di capire in quel momento, quando oramai il comprendere non avrebbe riportato in vita più nessuno. Perchè la giovinezza è un'arma a doppio taglio, è sintomo di bellezza, di spensieratezza, di libertà, ma noi giovani siamo anche così inesperti ed immaturi, non siamo pronti alla vita, ma nemmeno alla morte. Non riusciamo a guardare oltre, ci chiudiamo nelle nostre convinzioni non volendo ascoltare quelle degli altri, siamo pronti a puntare il dito all'occorrenza ma troppo poco spesso ad abbassarlo, ad avvicinarci, a comprendere cosa ci sia veramente dietro un allontanamento, un parlare a singhiozzo, perchè potrebbe esserci un'anima spenta che non riesce più ad accendersi, un bisogno di aiuto che se fossimo più esperti, più maturi, meno superficiali, più pronti alla vita, forse sapremo comprendere senza nemmeno tante parole. Non abbiamo la saggezza nè la maturità dei nostri nonni, allora non riusciremo a capire subito, ma solo quando qualcosa si rompe provocando un gran clamore, solo quando accade qualcosa per cui ci sentiremo quasi investiti da un treno, e solo dopo comincia la nostra rinumerazione, solo dopo saremo in grado di modificare il nostro approccio alla vita. E a me è successo più o meno così. Una telefonata che è stata come un treno in corsa trucidando interamente il mio corpo. Una morte che mi ha fatto comprendere come avrei dovuto vivere, quasi come se dall'alto lui mi stesse dicendo "Io sono morto, ma tu, non sei forse morta anche tu senza nemmeno accorgertene? "
Ed in fondo era così. Avevo ossigeno nei polmoni ma non riuscivo a percepire aria fresca, a volte avevo la sensazione come se il respiro si fermasse, avevo addirittura frenato i battiti del cuore. Alla fine ero morta anch'io, nonostante esistessi ancora. Ma esiste un momento nella vita di una persona in cui ti accade qualcosa che per quanto possa essere doloroso risulta necessario per dare una nuova direzione alla tua vita, nonostante ne avrei fatto volentieri a meno. Esiste un momento in cui una morte può generare una nuova vita, in cui un ramo secco, morto, ne risveglia un altro e apre la strada a boccioli. Allora da un senso di colpa da cui non riuscivo a ripulirmi del tutto, ho cercato di trarre un insegnamento, perchè forse è questo che ci chiede la vita di fare quando con la sua forza dirompente ci travolge faticando a rimanere a galla. Allora ho imparato che bisogna vivere il doppio, ed effettivamente da allora è come se dentro di me avvertissi tante persone, un sovraffollamento di idee, di anime cariche di entusiasmo, di persone stanche di arrancare che necessitano di vivere. E' per questo forse che quando comincio a raccontare a qualcuno della mia vita comincio spesso proprio da quel momento, quasi come se la mia vita abbia avuto inizio da quella morte.
Ho iniziato a rompere tutta quella vita che si poggiava su colonne troppo fragili.
Ho ammesso di non amare più, ho lasciato, e quando l'ho fatto mi sono sentita di nuovo libera, senza più catene. Da quel momento l'amore, quello semplice ma intenso, è diventato il filo conduttore della mia vita. Ho rotto un'amicizia, lunga ma inconsistente, che poggiava oramai da troppo tempo sull'interesse e su un affetto troppo fioco, ma non più vero, autentico. Ho cominciato a seguire la direzione dell'autenticità e di quella rigida coerenza che faceva parte di lui, che presto ho assorbito diventando parte di me. Ho poi preso i miei bagagli e sono partita, dieci mesi lontana da casa, perchè volevo crescere, volevo fare nuove esperienze, volevo vivere qualcosa che nella mia vita non avrei più fatto, volevo forse dimenticare o semplicemente mettere in pratica ciò che dentro di me stava nascendo, volevo capire chi ero diventata e cosa avrei potuto fare per cambiare, per alimentare una sagoma spenta, vuota, era questo che sentivo di essere. Talvolta le persone hanno bisogno di terremoti per sentirsi mancare la terra sotto i piedi e decidere di ripartire da zero, per decidere di essere migliori di come si era, per abbandonare la corazza della superficialità e cominciare a seminare su di un terreno fatto di emozioni sincere, autentiche, coerenti con il proprio spirito, colorando di rosa come la tenerezza e la spontaneità o di bianco come la genuinità e la purezza la propria vita, come una rosa su una tomba che ricorda di quanta vita talvolta si nasconda dietro una morte, tremenda ed inaspettata. Quegli eventi che ti costringono a reagire, a svegliarti, a dire basta, a cercare risposte senza mai trovarle perchè forse non ci sono, a tormentarti, ma a dire anche tra le lacrime semplicemente grazie, nonostante avresti voluto farne a meno, nonostante avresti voluto essere già allora quella persona migliore che avrebbe potuto porgere una mano come sollievo, avrebbe potuto evitare forse ciò che era inevitabile, se lì, allora, in quella vita passata, sarebbe stata già la persona che ha scelto di diventare, che ogni singolo giorno da allora cerca di essere, di innaffiare, come un frutto mai maturo abbastanza.

domenica 16 dicembre 2012

In un mondo tremendamente uguale cerca di essere diverso.

Sono un po' stanca. Sono un po' stanca di un mondo che gira sempre nella stessa direzione nonostante la mia implacabile ostinazione di andare controcorrente. Sono stanca dei "ciao come stai" seguiti da un convenzionale "tutto bene grazie", perchè in fondo a pochi interesseranno risposte a domande che molto spesso rivolgeremo solo per non sembrare disinteressati, nonostante sapranno di poco, di banale, del "così si fa, così fanno tutti". Sono stanca dei complimenti che non hanno mai seguito, dei "sei bella, sei speciale, sei intelligente" senza mai che l'altro ammetta "ma io troppo immaturo, troppo coglione, troppo uguale agli altri per volerti così come sei". Sono stanca dei mi manchi mai seguiti da un ti vengo a prendere. Sono stanca delle chiacchierate telematiche senza mai ammettere di essere diventati pigri manichini che si accontentano di poco, del non guardarsi negli occhi, del non tenere stretta una mano, troppo poco empatici, troppo in fondo omologati. Sono stanca dei corteggiamenti da quattro soldi, un paio di birre e momenti frenetici, rumorosi, fugaci come quel tempo che scorre e che quando passa ti farà sentire quasi come se in fondo non sia cambiato nulla. Sono stanca delle sigarette accese e lasciate nel posacenere, lasciando che sia il vento a fumarle come a disperdere nell'aria la cenere. Sono stanca delle parole scontate, dette a metà per paura di ferire o per timore di sembrare così simili da volersi tremendamente. Sono stanca della generazione che siamo diventati, di quelli che vivono di una serata in discoteca dove l'obiettivo sarà l'offerta di labbra o dell'intero corpo, di quelli dalle camicie sbottonate ed i capelli perfettamente in ordine, di quelli di un paio di shorts e tacchi a spillo. Sono stanca dell'inespressività di corpi che prevale sulle note melodiose di certe anime. Sono stanca dei pettegolezzi, di chi si parla alle spalle per poi apparire come figuranti in fotografie dove spiccano finti sorrisi su quelle facce ancora più finte, quasi come se l'autenticità sia oggi un bene di lusso. Sono stanca delle mie illusioni, delle mie aspettative che spesso devo chiudere in un cassetto, lasciandole tra la polvere. Sono stanca di gente che mi tira l'amo lasciandomelo tra le mani senza mai avanzare. Sono stanca di quei film che terminano con il lieto fine, dove due anime perdute si cercano per poi ritrovarsi alla fine l'uno di fronte all'altro, pronti a rimuovere le loro finte barriere, a giurarsi eterno amore, a baciarsi mentre gli schizzi sottili di pioggia scorreranno sulle loro gote, rosse dall'imbarazzo, dal troppo amore scambiato. Mi piacerebbe vedere qualcosa di più realistico, come porte sbattute, gente che si dispera, che si scambia parolacce invece dei "ti amo, ti vorrò per sempre", perchè in fondo è quello che a volte accade, nonostante riesca a sperare in qualcosa di diverso solo guardando questi film, che considero banali, ma che in fondo lasciando spazio all'immaginazione lasciano per qualche minuto ben sperare in qualcosa di diverso, in qualcosa che sembra banale eppure così bello. Sono stanca delle emozioni che nascono, che bruciano, che ti scottano al punto tale da dovertene distanziare, al punto tale da farti sentire come un fiammifero spento, inutilizzabile, da gettar via. Sono stanca delle promesse e dei sogni che pensi essere inossidabili ma per cui talvolta basta poco per accantonarli. Sono stanca di chi non va mai oltre, di chi dietro un sorriso non percepisce una lacrima, di chi dietro parole intrise di cinismo non avverte un bisogno, di chi dietro un corpo non è mai in grado di scorgere un'anima perduta, un cuore che batte. Sono stanca degli stereotipi, delle definizioni riduttive, degli appellativi che minimizzano, della necessità di misurare l'astrattezza riducendo la possibilità che ci viene concessa di esternare il nostro essere pienamente, dei pregiudizi, dei luoghi comuni, dei "così si fa, allora lo faccio anch'io". Sono stanca di quegli uomini che fanno delle donne scimmie da ammaestrare, e di quelle donne che glielo lasciano fare. Sono stanca di chi ostenta una felicità che non sarebbe necessario palesare ai quattro venti se fosse autentica, come la tristezza. Sono stanca della gente tutta uguale, che riempie spazi di parole futili senza mai contemplare il silenzio. Sono stanca della carenza di contatto, del piacersi ma mai troppo per lasciarsi andare, del cercarsi senza mai trovarsi, del volere approfondire conoscenze senza in realtà mai muoversi di un passo, stando nell'attesa, quell'attesa che ci rende troppo spesso impazienti, sempre in fondo insoddisfatti. Sono stanca di chi è stanco ma continua a non ammetterlo, continua a girare insieme ad un mondo per inerzia, non sentendosene mai il padrone. Perchè in un mondo così tremendamente uguale e rigidamente schematico nessuno mai sceglie di fare la differenza, nessuno mai cerca di essere diverso, nessuno mai si pone l'obiettivo di diventare migliore, non degli altri, ma di quella fragile corazza di cui si riveste, continuandosi a lamentare senza mai capire che solo se si diventa "migliori" si sarà in grado di attrarre persone "migliori", cessando così le inutili ed immancabili lamentele? Perchè forse si è pigri, o semplicemente poco coraggiosi e non forti abbastanza per scontrarsi con la folla che potrebbe travolgerci camminando nella direzione opposta, o perchè forse si ha paura, paura della solitudine.

Cominciare a poggiare una mano sul cuore.

Occorrerebbe poggiare una mano sul cuore. Forse dovremmo cominciare così, con una mano che tenera e calda possa percepire i battiti del cuore, il nostro e di chi ci è accanto. Un gesto così semplice che in effetti nessuno pensa di fare mai, nessuno in fondo forse sa più fare. Perchè spesso capita di pensare in grande, capita di superare quei momenti considerati inutili, banali, sin troppo semplici, andando subito oltre, quasi come se volessimo costruire una casa in mattoni senza constatare la qualità dei materiali, senza cemento che possa servire a legarli. Allora si tocca tutto, al di fuori del cuore. Le nostre mani scorreranno veloci, con movimenti rapidi ed insensati che bruceranno per spegnersi poco poco, sul quel corpo che che nulla avrà raccontato, su quel corpo da cui non riusciremo a trarre alcuna verità, perchè abbiamo toccato tutto ritenendo di essere entrati nell'intimità dell'altro, ma non il cuore, l'unico che possa raccontare qualcosa di vero, la parte in fondo più intima di un corpo. Ma il cuore verrà sottovalutato, quasi come se non fosse importante percepirne i battiti, ascoltare ciò che vorrà sussurrare attraverso la lucidità degli occhi. Ed è proprio quando lo si sottovaluterà che faremo a brandelli il nostro cuore, o permetteremo implicitamente ad altri di fare a pezzi il nostro cuore, non rispettando la nostra intimità, la nostra essenza, ciò che siamo, ciò da cui in fondo tutto parte e a cui tutto ritorna. Penseremo che in fondo fare a pezzi un cuore sia normale, sia ciclico. Ma un cuore a pezzi è pur sempre un cuore a pezzi. E' un'intimità denigrata, fatta a brandelli, in fondo mai toccata, nonostante mani che avranno percorso il nostro corpo con la presunzione di volerci conoscere, senza però mai conoscerci abbastanza. E baciamo anche in questo modo, senza mai mettere una mano sul cuore. Quei baci rubati, regalati, svenduti al miglior offerente, quasi come se quel gesto sia così semplice e naturale da non meritare rispetto. Ecco, questo è un altro pezzo di intimità che in fondo va via. Non credo che un cuore a pezzi possa essere evitato, ma credo che possa non esser denigrato, mortificato, poco rispettato, ponendo una mano sul cuore. Una mano sul cuore e poi su tutto il resto. A volte basterà semplicemente quella, basterà al punto tale da non desiderare di far scorrere impietosamente lungo il corpo dell'altro le nostre mani, perchè in fondo con quella semplice mano poggiata sul cuore avremo già carpito le nostre verità, ciò che quel corpo vorrà raccontare, penetrando nell'assoluta intimità dell'altro, come due anime sole che si saranno a lungo cercate per ritrovarsi in un'alchimia simbiotica a cui non servirà altro, a cui non servirà riempire spazi di parole inutili, a cui non servirà toccare il superfluo più del dovuto, a cui basterà il silenzio perchè la mano sul cuore servirà a percepire quei battiti che saranno come versi melodiosi, che si sposano con il silenzio di un corpo che sarà già così complesso abbastanza. Forse dobbiamo recuperare questo. Dobbiamo placare le nostre continue lamentele sul fatto di non riuscire mai a trovare la persona giusta per noi, smettere di dire che in fondo è sempre tutto così precario, tremendamente banale ed inevitabilmente veloce, cominciando a valutare tra le possibilità il silenzio, il cuore, una mano che lentamente si porrà sul cuore dell'altro senza necessitare sin da subito di scoprire altro, facendocelo bastare, perchè in fondo sarà proprio questa la più intensa delle penetrazioni, la più vera intimità. Allora attendo una mano sul cuore. Una mano che sappia accarezzare la mia nuda intimità, le mie fragili paure, la mia colorita essenza. Una mano che sappia ascoltare parole in un religioso silenzio. 
Attendo chi saprà baciarmi con una mano sul cuore nonostante io creda che pochi o forse nessuno sappia in fondo ancora farlo, perchè troppo semplice, troppo pulito, troppo intimo per chi si comporta come in fondo fanno tutti quasi come fosse la tendenza del momento, per chi vuole tutto e subito ritrovandosi dopo un po' tra le mani il niente, per chi vuole un'intimità limitandosi a toccare superficialmente un corpo senza mai cominciare a cercarla nella profondità di un cuore.

venerdì 14 dicembre 2012

A come attrazione. A come amore.

Credo che gli opposti si attraggano, ma che siano i simili in fondo ad amarsi.
L'attrazione ti acceca come un faro dritto negli occhi che non ti permette di osservare il sentiero, costringendoti a percorrerlo ad occhi chiusi, senza ammirare la bellezza del paesaggio, la semplicità di un tramonto che cede il passo alla notte, non consentendoti di alzare gli occhi al cielo lasciando che il tuo viso sia illuminato dalla luce fioca ma eterna delle stelle. In fondo è quando ti approccerai a ciò che è diverso da te, a ciò che è nuovo e tremendamente accattivante che ti illuderai che questo sia l'unico scambio in grado di farti sentire viva, piena abbastanza da non desiderare altro. Ma l'attrazione ti avvolge, ti brucia e con la medesima rapidità ti spegne. Non segue tempi, non ascolta parole, non annovera il silenzio nella scala delle scelte possibili, non rivolge domande nè pretende risposte, è dunque forse più semplice ma a tratti banale. Segue l'istinto. Quell'istinto che è carne, pulsioni, molto spesso confuso con il cuore che è invece anima, emozione. Gli opposti non si cercano ma si trovano per caso, in un bar, ad un angolo di strada, alla fermata della metro. Si trovano per poi perdersi senza mai più ritrovarsi. In fondo le loro strade non hanno nulla che possa accumunarli, per cui avranno la fortuna di incontrarsi ma quando si perderanno non riusciranno più a ritrovarsi, perchè a causa di quel faro che li ha accecati, costringendoli a starsene ad occhi chiusi, non conosceranno quale sia la possibile via per la riconciliazione. Ma se mai dovesse accadere non riusciranno più a riconoscersi nello sguardo dell'altro perchè in fondo i loro occhi non avranno mai sperimentato la compenetrazione, saranno l'un per l'altro soltanto un vago ricordo, una parentesi da collezionare. 
Credo che invece i simili avvertano l'esigenza di guardarsi negli occhi, perchè non ci sarà un faro ad accecarli, ma sarà la luce che vicendevolmente si trasmetteranno attraverso gli sguardi ad accendere una piccola fiamma, che con cura alimenteranno per trasformarla in un focolare sempre più intenso, sempre più rovente. Percorreranno insieme un sentiero che sentiranno di conoscere sin dal principio, fermandosi di tanto in tanto ad ammirare la bellezza del paesaggio, la semplicità di un tramonto, le stelle che dall'alto faranno da cornice al loro percorso. Avrai forse come la sensazione di essere avvolto in delle lenzuola fresche, profumate, pulite, che non ti bruceranno, ma che ti terranno al caldo senza mai spegnerti. Seguirai un tempo senza averne la benchè minima percezione, riempirai spazi di parole ma molto più spesso di silenzi, silenzi fatti di domande e di risposte nonostante il loro non prender forma attraverso l'emissione di suoni gutturali. Non sarà mai banale ma complicato, perchè oltre a seguire l'istinto ascolta anche il cuore. I simili in realtà non sempre si trovano per caso, molto spesso sarà necessario cercarsi per trovarsi. Molti si cercano, si trovano senza poi andare avanti, per paura che tutto si tramuti in un gioco complicato a tratti ingestibile, in un gioco dove le emozioni potrebbero essere così forti da rischiare di perdere la bussola e non poter più tornare indietro. Ma certe anime perdute riusciranno a sfuggire da questi schemi pericolosi, allora si cercheranno, si troveranno e da qui cominceranno. Probabilmente si perderanno. Ma i simili si ritroveranno, perchè le loro strade sono state costruite per combaciare perfettamente, quelle strade non sconosciute perchè per quei sentieri hanno passeggiato ad occhi aperti, lentamente, avendo così la possibilità di conoscerli nel minimo dettaglio. Si ritroveranno se lo vorranno, ed in genere lo vogliono. Lo vogliono senza mai chiedersi il come, il quando nè il perchè. Lo vorranno ad ogni costo, nel preciso istante in cui il pensiero si insidierà nelle loro menti, perchè in fondo è un sentiero che va percorso insieme. 
Gli opposti si attraggono, ma l'attrazione può essere rapida, rumorosa, istintiva, carnale, abbagliante, trovata senza mai essere cercata, destinata in fondo a consumarsi. L'amore, quello è un'altra cosa. L'amore è lento e silenzioso, segue l'istinto senza mai dimenticare di ascoltare il cuore, è una compenetrazione di anima e corpo, illumina senza mai accecare, è frutto di un'ostinata ricerca che i meno caparbi abbandonano spenti dalla disillusione, è un cercarsi a lungo senza mai trovarsi, per poi trovarsi così, quasi come per caso, senza accorgerci talvolta che quel trovarsi è frutto invece di quella ricerca mai spenta del tutto. E' un cercarsi, un trovarsi, un perdersi, per poi ritrovarsi, riconoscendosi nello sguardo dell'altro, per quella luce che saranno in grado di trasmettere sempre, quella luce che li renderà simili. 
Ho sempre pensato di aver collezionato opposti, tra cui qualche simile. Ma dopo aver lasciato che il flusso dei miei pensieri prendesse forma in ciò che ho scritto, mi rendo conto che anche quelli che credevo simili in realtà si siano rivelati dei banali opposti. Perchè in fondo li ho persi e sono certa di non ritrovarli.

giovedì 13 dicembre 2012

Inizio di primavera.

Anche il cuore ha le sue stagioni.
Il mio quest'anno è passato da un lungo ed estenuante inverno, ad una breve primavera che ha ceduto subito il passo ad una rovente ma ancor più breve estate, per passare di nuovo all'inverno, poi all'autunno, infine di nuovo ad una fresca primavera e ad una calda estate, durata ancora una volta troppo poco, cedendo il passo di nuovo all'inverno, intervallato da sprazzi autunnali, ma pur sempre freddi. In fondo le stagioni più belle, più tiepide o addirittura roventi durano sempre troppo poco. Sono le foglie ingiallite d'autunno che spesso fatico a rimuovere. Ed è sempre quel freddo rigido che si insidia sin nelle ossa, che ti provoca quel fastidiosissimo raffreddore che comincia con un insolito rossore del naso, non facendoti più avvertire la presenza di mani e piedi, a durare sempre troppo. Ma nonostante tutto spesso mi capita di volerci restare, forse perchè so che le mie primavere e le mie caldissime estati sono destinate a durar poco, a volte meno di quanto basti, forse per paura di abituarmici preferisco il freddo. Ma molte altre volte mi capita di volere che quel gelido inverno intervallato da periodi autunnali ma pur sempre freddi rimangano ad aleggiare sul mio cuore per consentirmi di contemplare i rami secchi. Non ho mai ben capito da cosa nasca questo mio ostinato tentativo di curare le foglie che ingiallite cadono dagli alberi spogliandoli completamente di quel colore vivo che dopo poco non mi sembra nemmeno più così intenso. Allora raccolgo le foglie, le conservo e mi siedo ai piedi dell'albero ormai spoglio a contemplarne i rami secchi pur essendo cosciente che quell'albero non riserverà più alcun bocciolo, nè un qualche frutto che diverrà maturo, abbastanza per poi raccoglierlo. Spesso ho così paura che quei rami li stacco per tenerli stretti nelle mie mani, contemplandoli quasi come se stessi ascoltando un poeta recitare dei versi, nonostante a volte avverta la sensazione che quei versi non esistano, ma sono semplicemente frutto della mia immaginazione che teme di lasciare, di archiviare malinconicamente un altro pezzo di vita al punto tale da aggrapparmi ai ricordi, quei ricordi che spesso offuscano la mia mente al punto da irrigidire le mie gambe come se stessi in delle sabbie mobili da cui temi di uscire per ritrovarti con un'anima vuota, colma di assenze e di parole che avresti potuto pronunciare ma che per vigliaccheria non sei riuscita ad emettere. Spesso mi capita di circondarmi delle foglie ingiallite tenendo in pugno strettissimo quei rami così secchi da rendere ruvidi i polpastrelli, e poi li conto. Sì li conto ed ogni tanto li innaffio anche, pur non ricevendo alcuna reazione. Che patetica ossessione, che inutile e vigliacca mania di tener stretto ciò che ti ha tenuto in vita con il fresco profumo delle foglie di primavera e con il caldo rovente dell'estate, per poi morire, così, troppo presto o inaspettatamente, ma come in fondo sempre accade. Ho cercato anche questa volta di conservare ed ogni tanto innaffiare le foglie ingiallite cadute dall'albero, ho contemplato quest'albero spoglio come se fosse un poeta intento a recitare versi, ho addirittura staccato quel ramo per tenerlo stretto fra le mie mani, per tenerlo più vicino al mio petto. E' una cosa insensata e ho sempre pensato che talvolta anche le cose al di fuori di schemi logici aiutino a tenerti in vita. Ma poi ragionando ho capito che ciò che è stato non può più tornare, o forse tornerà in una forma diversa, non lo so, ma non nella forma delle foglie che ho conservato, nè del ramo che ho staccato per tenerlo più vicino al cuore. Ho capito che questo mio vano tentativo mi fa vivere in un passato così ingombrante da non permettermi di avvicinarmi ad altro, di seminare qualcosa da innaffiare con cura per poi assistere a nuove fioriture. Ho capito che forse questo può aiutarmi a tenermi in vita, ma si tratta di una vita precedente, già vissuta, che potrà servire a rievocare emozioni ma non più a viverle standoci dentro. Esiste un momento nella vita in cui ciascuno dovrà decidere se vivere nel presente in attesa del futuro, o se vivere nell'ossessione del passato, rievocando le fresche primavere e le calde estati, ma vivendo pur sempre nel pungente freddo invernale. Esiste un momento in cui realizzi già cosa vuoi fare tempo prima, pur mantenendo stretti quei rami che capirai essere troppo secchi per riscaldare il cuore, ma riuscirai ad esprimerlo soltanto tempo dopo, perchè prima di quel momento non saresti riuscita a gettarli via. Esiste un momento in cui comprendi che devi andar via, che non c'è più spazio, che devi lasciare che le cose riprendano il loro corso regolare. Il mio momento è in questo preciso istante. Allora prendo le foglie ingiallite ed insieme al ramo secco, nonostante avrei voluto trattenerlo, lascio che il vento porti tutto via. Lascio che oggi, in questa fredda giornata di dicembre inizi per il mio cuore ufficialmente la primavera, senza che essa si tramuti velocemente in estate. Non so cosa accadrà, ma il fresco profumo delle foglie, i boccioli che stanno per sbocciare, il tiepido sole di primavera, mi piacciono, e sola, è questo che da oggi decido di contemplare. Sola, senza di te, diventato da un bocciolo che non ha avuto il tempo di fiorire, un ramo secco da gettar via, in questo preludio di primavera che non posso più rimandare.

Scelte giuste, scelte sbagliate.

Non credo esistano scelte giuste o sbagliate. Credo esistano semplicemente scelte. Scelte che potranno essere semplici o più complicate, ma pur sempre e solo scelte.
Niente sarà sbagliato, nè giusto, ma semplicemente scelto come un qualcosa di apparente astrattezza e vaga consistenza che servirà a definirti. Perchè la verità è che spesso ci affanniamo a dare ad ogni piccolo dettaglio una definizione appropriata per catalogarlo in una qualche categoria. Allora per mettere ordine distingueremo il bene dal male, ciò che è giusto da ciò che è malsano, scelte appropriate da quelle che non lo saranno. Ma la verità è che niente di tutto questo necessita di una definizione se prima non riusciremo noi a definirci. E noi ci definiamo soltanto e semplicemente scegliendo. Ciò che è giusto o sbagliato non esiste, è solo una nostra fervida invenzione, un prodotto che nasce dalle mura di cinta e da quegli inestricabili schemi che avremo accantonato nella nostra mente, quasi come per salvarci o semplicemente per avere un alibi all'occorrenza. Per puntare il dito su chi avremo classificato come cattivo, per dare ad altri la colpa della nostra infelicità, di una vita insoddisfacente, per crogiolarci sul finto stereotipo delle scelte sbagliate, della nostra incapacità nel prendere il giusto sentiero, per sentirci in fondo meno colpevoli. Ma la verità è che questo non è altro che un fragilissimo castello di sabbia, perchè basta scegliere permettendoci solo poche volte di scendere al compromesso dell'essere scelti, perchè a volte è doveroso ma mai profondamente giusto ed è proprio quando lo permettiamo sin troppo che erriamo, pericolosamente, vigliaccamente direi. Si è felicemente se stessi in quella frazione di secondo in cui avvertiamo di aver scelto senza lasciare che siano altri a farlo per noi, ad assumersi responsabilità che in fondo sono prive di consistenza. Ho sempre pensato che le scelte che mi hanno resa troppo fragile, a tratti scontata, a volte umiliandomi, lasciandomi dell'amaro in bocca difficile da far passare, fossero state scelte sbagliate solo perchè mi avevano fatto male. Forse invece quelle sono state le migliori, perchè mi hanno fatto arrivare qui, adesso, in questo preciso istante, con la forza necessaria, il calore nel cuore, l'umidità degli occhi. Forse è solo quando bandiremo l'idea di una necessaria quanto futile ed irrealistica classificazione che riusciremo a guardare dinanzi a noi solo potenziali scelte, possibili strade da poter seguire secondo le nostre attitudini, potenziali persone che si avvicineranno al nostro mondo a tal punto da pensare di poterle accogliere e che forse resteranno per quel modo diverso da altri, che avremmo convenzionalmente definito come sbagliati, di starci accanto.
Ci libereremo dall'idea di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, semplicemente scegliendo. E quando l'esigenza di scegliere necessiterà di un pizzico di coraggio in più, perchè meno semplice del previsto, basterà forse chiudere gli occhi, aprire la mente e seguire il cuore. Il cuore non sbaglia mai e nemmeno noi lo faremo se rimarremo ad ascoltarlo in silenzio. Il cuore non sbaglia nemmeno se nel seguirlo ti condurrà verso una strada ostruita, un percorso così impervio da procurarti fratture e graffi lungo tutto il tuo corpo. Ciò che è giusto non significa che ti debba rendere necessariamente felice. Sarà stato giusto anche trovarsi tra rami secchi e strade rocciose che ti avranno condotto ad un burrone senza via d'uscita o addirittura cascarci dentro. Ma alla fine il cuore ha sempre ragione, e tra scelte che convenzionalmente hai voluto definire sbagliate, ti condurrà su un nuovo sentiero, fresco, pulito, che ti renderà libero. Dovrai esser tu in grado e caparbio abbastanza ad esplorarlo. E sarà solo quando lo farai che avvertirai la sensazione che in fondo nulla è stato sbagliato, che non c'è sbaglio più giusto che sbagliare con il cuore, che in fondo hai scelto e nel farlo sei stato semplicemente te stesso.

mercoledì 12 dicembre 2012

C'è chi parla, c'è chi scrive.

Questa è decisamente la mia postazione preferita. 
Un thea fumante dopo un pomeriggio di sano e terapeutico shopping, io, uno schermo, la tastiera e tanti pensieri che sembrano sempre troppo confusi ma che solo qui riescono a trovare un ordine di cui spesso avverto l'esigenza. E' come se riuscissi a parlare di me solo in questo modo, quasi come se parlassi solo scrivendo. Non posso certo dire di non averci mai provato, ma la verità è che non ci sono mai riuscita.
Lo faccio poco, a singhiozzo, solo con chi ho instaurato una confidenza tale da non vergognarmi di quella che definisco la mia più tenera intimità. Talvolta solo quando mi viene chiesto, ma non ricordo di averlo mai fatto totalmente. Ci ho provato con qualche uomo entrato nella mia vita ma il risultato era sempre lo stesso. Non appena riuscivo a togliermi la maschera mi veniva chiesto implicitamente di indossarla di nuovo. E quando mi accorgevo che la maschera non era più conforme al mio viso, quasi come se si fosse ristretta, costretta a gettarla via, quell'uomo andava via. E nonostante si fosse allontanato io continuavo a vivere nell'attesa. Non so nemmeno io perchè lo facevo, nè cosa attendevo. Forse mi piaceva il pensiero di aspettare qualcosa ma se mi avessero chiesto cosa, io non avrei saputo rispondere, avrei tentennato rispondendo che aspettavo lui, quell'uomo che il cuore me l'aveva aperto per poi sputarci sopra e richiuderlo come fosse un cassetto contenente calzini, ma in realtà sapevo bene che una volta andato non sarebbe più tornato. Perchè a me è sempre successo così, ecco perchè ai ritorni non ci ho mai creduto molto. Ho sempre assistito a volti che mi davano le spalle senza mai più voltarsi. Avrei venduto l'anima pur di avere torto, solo una volta. Ma la ragione è sempre stata tristemente dalla mia parte. Anche quando decido di partire. Carico il bagaglio del necessario, metto le ali della buona sorte e corro. Corro per sentirmi viva, per nutrire lo spirito di esperienze fuori dall'ordinario, per sperimentare ogni gradazione di colore, dalla più tenue alla più intensa, per vivere di amore e di passione, di quel sole caldo che riscalda il corpo e la mente, per crescere, per diventare una donna. Nessuno mi ha mai imposto nè implorato di restare. E forse io non l'avrei nemmeno fatto, ma non perchè sono un'inconstante incapace di restare, ma forse perchè sono restata sempre accanto ad uomini che hanno poi deciso di abbandonare il campo. Non so se esista una capacità nel restare o nel trattenere qualcuno. Credo di saper restare, anche all'ombra, in un angolo, in attesa, dedicandomi intanto alla cura addirittura di foglie ingiallite che non potranno più rifiorire. Ma non so trattenere. Lo trovo malsano imporsi nella vita di qualcuno, puerile, poco dignitoso, mortificante per la propria indole. Forse perchè sono una che quando decide di andare è sempre andata, spesso correndo, a volte con gli occhi lucidi. Ma almeno una volta avrei voluto avere torto anche in questa circostanza, avrei voluto che qualcuno mi avesse chiesto di restare. Anche questa volta la ragione è sempre stata dalla mia parte, banalmente dalla mia parte. Il punto è che tutto questo non lo riesco mai a dire, non sono sincronizzata, sbaglio rigorosamente i tempi giocando o d'anticipo o arrivando in ritardo, quando il sipario è calato. Allora esplodo nella mia passionale esagerazione, facendo credere a chi mi è accanto che io possa essere una ragazza dolce e comprensiva quanto tremendamente brusca ed aggressiva, quando forse basterebbe sedersi e con calma spiegare che quella tua indicibile aggressività, il tuo sbattere porte, le tue urla perforanti i timpani, nascono da una profonda insicurezza, da un'eccessiva sensibilità che spesso e per poco mi capita di sentir ferita. Ma forse dovrei fermare le lancette e invece di proferire parole che scivoleranno via col vento, scrivere. Ma il punto è che sembra quasi che le persone non abbiano tempo da dedicarti. Potrai giocarti una carta, ed una volta sprecata sarai per loro semplicemente ciò che in qualche minuto avrai mostrato. Sarai un prodotto confezionato e la tua etichetta sarà "donna difficile, poco accomodante, dai modi bruschi, carica come un proiettile già fumante, donna con cui meno si parla forse e meglio è". E' difficile scrollarsi di dosso un'etichetta che spesso ti appioppano semplicemente perchè non tutti hanno occhi per guardare oltre, due orecchie per sentire, un cuore per capire. Allora ogni giorno dovrai svegliarti sapendo di dover lottare il doppio per far capire agli altri chi sei, ossia una donna complicata forse da comprendere in ogni suo minuzioso quanto contraddittorio dettaglio, con pregi ed infiniti difetti, ma nessuno che coincida con l'etichetta appioppatami, almeno non nella piena essenza. Prima ogni giorno mi svegliavo sapendo di dover faticare il doppio degli altri per vincere i pregiudizi. Ma da quando ho capito che forse nemmeno i miei genitori capiranno mai chi sono veramente non lo faccio più. Mi sveglio la mattina e me ne frego, circondandomi di quei pochi che a furia di starmi vicino hanno compreso ogni mio gesto, persino la ragione talvolta di ogni singolo atteggiamento, mostrandomi affetto con una mano stretta, un abbraccio caloroso, una parola dolce, facendomi capire che è di loro di cui non posso fare a meno e che non importa se qualcuno non capirà, l'importante è che lo facciano loro. I miei genitori dicono sempre che parlo poco, in fondo ho poco da dirgli da quando ho deciso di adottare questa tecnica di salvataggio. Salvataggio non dagli altri, ma dal rischio di poter diventare qualcun'altro solo per l'esigenza di compiacere. La verità è che il mio parlar poco di me è sintomo di estrema, forse esagerata ed ossessiva riservatezza che so bene che probabilmente molti intenderanno come un tenere tutti distanti, ma il punto è che forse esistono due categorie di persone: chi parla, e chi scrive. I primi a cui non sarà richiesto necessariamente di comprendere i secondi, i secondi a cui sarà permesso di esprimersi nel modo che risulti per loro più congeniale, ma imponendogli di comprendere necessariamente i primi, perchè in fondo la parola è sempre il mezzo ufficiale di comunicazione ed è per questo che i secondi si sentiranno talvolta bistrattati, avendo l'esigenza di camuffarsi tra la folla dei parlanti pur restando muti. Ed io appartengo alla seconda, a quella categoria di persone che riesce a parlare di sé soltanto scrivendo, come in questo momento, nonostante la riservatezza, poichè è solo in questo spazio che la vinco. Ma i miei genitori ancora non lo sanno. Non so a che categoria appartengano, ma credo non alla mia.

martedì 11 dicembre 2012

Lo straniero del caffè parigino.

Eppure se qualcuno le avesse detto cosa le sarebbe accaduto in una fredda e piovosa mattina di novembre, tra il tintinnio delle posate da asciugare e dei cappuccini da servire in quel caffè parigino, Sofie non ci avrebbe creduto. La sveglia suona alle 5.30 e alle 6.30 è già lì, in quel caffè sporco, ben lontano dalle note malinconiche ma a tratti fresche e romantiche della vie en Rose, dove tutti i dipendenti riempiono le loro facce di sorrisi finti per compiacere il cliente, e così anche Sofie. Quella mattina non si era svegliata tra le lenzuola profumate del suo letto caldo. Era stata con un uomo, anche quella notte, come molto spesso accadeva. Ma da qualche mattina si svegliava ancor più stanca, quasi come se nemmeno il gettito di una doccia rinfrescante servisse a pulirla dal senso di colpa, dal sesso di routine che cominciava ad essere per lei una puzza ostile e perseguitante, dal desiderio di altro seppellito dalla rassegnazione che sarebbe stata una ricerca impossibile perchè le sue ricerche non avevano portato mai ad alcun risultato sperato. Ci aveva creduto, ma dopo l'ennesima delusione scottante aveva deciso che forse il suo inguaribile romanticismo, il pensare di poter attrarre un uomo con la penetrazione di uno sguardo, la luce di un sorriso, la melodia delle parole, a nulla contasse di fronte due corpi gelidi capaci di compenetrarsi senza che in sottofondo suonassero le note della vie en rose, ma solo il rumore di porte sbattenti, di un vento troppo forte, di gemiti che al di là del piacere fisico non saranno in grado di rievocare nulla di diverso se non un letto, delle lenzuola, un pavimento troppo freddo. Nessuna emozione. Niente. E a Sofie era proprio quello che serviva. Ma non ci riuscì sin dall'inizio, dovette impegnarsi per poi diventare una professionista del sesso cinico e selvaggio, per annullare la sua anima, la sua capacità di trasmettere calore intrisa a dolcezza, la tenerezza dei movimenti, il suo bisogno di amore che all'inizio si avvertiva dagli occhi lucidi che portava fuori da quelle quattro mura. Diventò un'altra senza sapere nemmeno come nè quando nè perchè fosse successo. Seducente, una bomba di erotismo carnale, talvolta era lei a prendere l'iniziativa appena adocchiava la sua preda. Non aveva freni, nè fuori nè dentro un letto spesso troppo stretto per restarci.
Ma quella mattina in quel caffè parigino entrò un uomo. E così per molte mattine di seguito. Era un uomo elegante, con un paio d'occhialini e pizzetto da vero artista, un borsello contenente il romanzo Les Miserables ed una cartina di Parigi. Quell'uomo era seduto nell'angolo in fondo alla sala del caffè, il posto riservato ad i solitari, agli intellettuali, a coloro che non amano confondersi con la gente comune. Non parlava il francese e Sofie ne fu incuriosita, come avrebbe fatto quell'uomo a leggere il romanzo di Victor Hugo senza conoscere il francese? Avrebbe voluto tanto chiederglielo ma quell'uomo sembrava restio a farsi capire anche a gesti. Allora ordinava sempre il solito cappuccino indicandolo dal menù. Perchè a quell'uomo in doppio petto che girava per Parigi senza conoscere il francese, con un ridicolo copricapo ed un look d'altri tempi, non sarebbe importato cosa mai la gente avesse pensato di lui. La sua diversità, il suo non volersi omologare, il suo modo di restare in silenzio senza che questo potesse costituire un problema, poteva essere motivo di scherno per gli altri omologati della società parigina, ma era in realtà la sua forza e ben presto si tramutò anche in quella di Sofie. Oramai per tutti era lo straniero. Per Sofie forse stava diventando qualcosa di più, era forse una speranza mai del tutto spenta. Sofie lo guardava e nei suoi occhi avvertiva una luce particolare, una luce che solo chi è forte può emanare, nonostante fosse solo lì in quell'angolo a sorseggiare per ore il suo cappuccino. Una forza di valori, di amore, di integrità, di stringente necessità di solitudine e bisogno di nient'altro che di lui e del suo libro, che pervadevano l'intero corpo, un corpo che sebbene non emanasse alcun suono era invece come se parlasse. Il suo volto sembrava per tutti inespressivo ma per Sofie non lo era, soprattutto quando dopo qualche settimana cominciava ad accennarle un lieve sorriso e a risponderle "mercì". Ma dopo qualche tempo, una mattina quel tavolino nell'angolo in fondo alla sala rimase vuoto. Lo straniero era forse partito. Ma Sofie riuscì a comprendere che quell'uomo, forse reale o probabilmente immaginario, era venuto per trasmetterle un messaggio ben preciso, era giunto per donarle una speranza. Una speranza spenta ma rifiorita negli occhi lucenti di quell'uomo che non era mai riuscito a dirle niente se non un mercì dall'improponibile accento. Eppure Sofie avvertì di essersi quasi innamorata di quell'uomo, senza mai parlarci, senza mai toccarlo, senza che mai l'idea di portarlo a letto l'avesse sfiorata, proprio come solo i bambini sanno fare. Aveva ripreso quell'innata dolcezza e puerile tenerezza. Sembrava quasi che però nonostante tutto non le fosse rimasto niente, in fondo quell'uomo sarebbe stato soltanto nei suoi ricordi. Eppure aveva recuperato tutto, aveva di nuovo lei, fresca e profumata, quella puzza di quelle lenzuola fredde oramai non riusciva più a sentirla. Era come se le sue orecchie nonostante il tintinnio delle posate da asciugare ed i rumori della cucina non riuscissero ad ascoltare altro che le note della vie en rose, melodiose e quasi a tempo con gli schizzi di pioggia che battevano sull'umido asfalto. Talvolta le persone che senza far rumore entrano nella nostra vita all'improvviso e allo stesso modo vanno via servono a questo, servono a guarirci. Tutti in fondo devono guarire da qualcosa ed anche Sofie era guarita. Era guarita dall'imposizione che a se stessa faceva di omologarsi, che a tratti la rendeva estrema. Era guarita dal pensiero di non poter più amare nè sfiorare un uomo teneramente, senza doversi strappare necessariamente i vestiti. Era guarita dalla disillusione del mondo degli adulti. Era tornata ad esser bambina.