sabato 31 dicembre 2016

Caro Paolo Fox, a noi due

Succede a tutti di guardare l'oroscopo per prepararci a dare la colpa agli astri o sperare che Paolo Fox ci sorteggi finalmente come segno dell'anno. Anche a chi aveva giurato di metterci una pietra sopra. E anche a me che, lo ammetto, dopo averne letto tanti, ho scelto di prediligere la previsione più ottimistica che dice che le ceneri si trasformeranno in diamanti. Il peggio è passato, dice Paolo.

Perché in fondo c'é sempre quest'abitudine un po' strana di considerare ogni anno che ci si prepara a salutare come quello a cui dare un calcio (o più di uno) per inaugurare un nuovo anno da cui si pretende sempre qualcosa in più. E qualche disgrazia di meno.
Ma quest'anno saluto un anno diverso.
Uno di quelli in cui le singole scelte quotidiane si sono compattate in una sola, che poi è diventata grande.
Quello che 365 giorni fa mi ha visto ragazza e oggi, forse, mi saluta da donna.
Quello che non mi ha risparmiato schiaffi in pieno volto da cui ho cercato di prendere sempre il buono: mi hanno svegliata. 
Quello delle porticine chiuse con la doppia mandata, perché passare dal retro non sarebbe stato a me destinato. Questo l'ho capito soltanto con il tempo.
Quello delle delusioni amare, che ho digerito man mano, deglutendole con tanta acqua che gradatamente me ne ha fatto dimenticare il sapore.
Quell'anno in cui ho imparato a ricucire. 
I rapporti, cosí come il mio cuore.
Prima di capire che forse certe cose devono scoppiare completamente prima di ricostruirsi, pezzo dopo pezzo. Piano piano.
Quello in cui ho girovagato per le strade di una grande città carica di valigie in cerca di qualcosa, pensando tante volte che fosse finita. Ed invece era appena cominciata: tutta quella vita che avrei avuto davanti. 
Quella che mentre mi accarezzava si preparava a colpirmi di nuovo, avendo ogni volta la percezione che mi colpisse sempre più forte e sempre lì, in quel punto che forse non avevo curato abbastanza.

Ma poi, sul finire, mi sono riscoperta.
E ho capito che nelle mie 365 scelte del 2016 si è annidata una consapevolezza che avrei preparato a proteggere per tutta quell'altra vita che mi avrebbe condotta dove sono adesso.
Che nella vita si sceglie se essere acqua cheta o dinamite. È spesso una questione di predisposizione. É quel metro di misura che ti farà affrontare ogni decisione con le spalle curve ed il busto chinato in avanti oppure a testa alta. Quello che ti permetterà di scegliere se accendere ogni miccia che senti di possedere con l'auspicio di alzare gli occhi al cielo, in un giorno qualunque, e di vederne tutta la bellezza in fuochi d'artificio, oppure se continuare a navigare nelle stesse acque. Tiepide quanto tranquille.
E sarà allora che come in un processo naturale sarai costretto a lasciare andare, abbandonare, cancellare. Cosí come trattenere, restare, riscrivere tutto da capo. Qualcosa di nuovo, con qualcun altro o più di uno, una vita diversa.

Questa è sempre la giornata dei bilanci e dei buoni propositi, ma io quest'anno non ne ho e sono cosciente che domani saró la stessa persona che sono oggi. 
Li ho scritti ogni giorno, saranno forse anche più di 365.
Li ho trovati negli occhi delle persone.
Li ho buttati via.
Ne ho poi trovati altri.
Li ho buttati via di nuovo.
Li ho scoperti, in fondo al mio cuore.
Perché salutare un anno complesso è frutto di un lavoro impegnativo.
Un anno è fatto di 365 opportunità e momenti che non si contano.
Ed io credo di esserci riuscita, quest'anno, nel bene e nel male, più di tutti i precedenti. A cogliere tutte quelle che potevo. A riscrivere tutto da capo. A cancellare ciò che a me non era destinato.

Quindi caro Paolo quest'anno non ti addosserò nessuna colpa. 
La fortuna é di chi se la crea. 
L'amore é di chi ce l'ha dentro. 
Le emozioni di chi é in grado di sentirle.
Le sfide sono di chi é pronto ad abbracciarle.
La vita é un progetto. È di chi é in grado di trasformare schiaffi in carezze. Di chi non ha paura.


Caro Paolo, io sono pronta.

martedì 6 dicembre 2016

Quella porzione di mondo

Qualcuno una volta mi ha detto che il mondo è come ce lo si mette in testa.
Ed io pensavo ad una prateria di cui non si scorge il confine, al punto da poter correre senza mai sentire la fatica.
Ad un prato fiorito, così da poter ammirare gli alberi in fiore e cogliere quelli che più catturino la nostra attenzione. I più belli, i più profumati. A piene mani.
Pensavo a qualcosa che non si riducesse ad uno sterile binomio.
Bianco o nero.
Tondo o quadrato.
Dentro o fuori.
Pensavo ad un mondo in cui ogni sfumatura potesse giocare il proprio ruolo.
In cui ciascuna intrecciandosi con altre potesse contribuire a farci girare, tra l'una e l'altra.
Pensavo ad un mondo colorato.
Ad un mondo appassionato.
Ad un mondo cui guardare come si guarda un cielo stellato in attesa di una stella cometa.
Ad uno in cui si è in grado di creare.
Anche le forme d'amore più disparate.
Per tenerle per sé, come per insegnarle ad altri cui avremmo deciso di donare il nostro pezzo di mondo.

Ma qualcuno una volta mi ha anche detto che non puoi salvare chi non vuole essere salvato.
Così ho capito che per una qualche strana ragione, sebbene il mondo è forse come ce lo si mette in testa, non è detto che tutti tendano verso le medesime scelte.
Non tutti vorranno correre su di una distesa prateria.
Non tutti avranno gli occhi per ammirare alberi in fiore.
Non tutti avranno l'accortezza nello sciogliere fiori, i più belli, i più profumati, e di coglierli a piene mani per annusarne il profumo.
Non tutti cederanno all'intreccio delle sfumature.
Nè guarderanno i colori come fosse l'attesa di una stella cometa.
Non tutti vorranno imparare.
A creare forme d'amore, come a riceverle.
Non tutti saranno coscienti dell'esistenza di queste porzioni di mondo, in cui non esisteranno metodi, schemi o regole che seguiranno una logica di merito.

Esisteranno loro che avranno avuto la fortuna di incontrare qualcuno disposto a concederglielo.
E noi, con il privilegio di custodirlo. 

Ma nonostante tutto, saremo noi i più forti.
Anche quando ne usciremo a brandelli.
Anche quando ci sentiremo fragili come schegge di vetro.
Anche allora, saremo quelli forti con la sola pretesa di insegnare loro le sfaccettature di un mondo inesplorato pur non volendo nulla in cambio, ma per quella bizzarra attitudine atta a voler proiettare all'esterno tutta la bellezza di quel mondo, a cercarla o crearla anche in chi ci circonda. Perché in fondo a se stessi ci si basta.

E così avremo imparato che la vita, in fondo, è una scommessa. 
Si può vincere quando credevamo non vi fossero possibilità.
Si può perdere, anche quando credevamo di avere la mano giusta.
Ma solo se si gioca.
Che ci saranno seconde possibilità, forse.
Ma solo se si ha il fiuto di coglierle.
Chi non lo fa, perde sempre, tutto.

Così avremo capito che quell'adrenalina non è per tutti. Solo per i coraggiosi, per quelli che un giorno sperano di uscirne vincenti.

E sarà naturale scegliere chi far entrare e chi escludere da quella porzione di mondo che qualcuno, forse dall'alto, ci ha offerto come un dono prezioso che si avrà sempre il privilegio di custodire.

Insieme a lui, non si perde mai.

mercoledì 23 novembre 2016

Passo dopo passo, scalino dopo scalino

Le metropolitane hanno sempre sortito quest'effetto su di me. Come fossero un metro per misurare chi fossi diventata e dove stessi andando. 
Passo dopo passo.
Scalino dopo scalino.
Corsa dopo corsa.

Sgomitando tra la folla rumorosa per cercare di superare tutti, anche quando ci si imbatte nella coppietta di turno che tenendosi per mano ti impedisce di farlo.
Guardando l'orologio con la consueta corsa contro il tempo.
Ammettendo che arriverai tardi tutte le volte. Ad ogni appuntamento. Anche quando ti sarai svegliata con due ore d'anticipo. 
Cercando di ascoltare il rumore dei passanti. Quella voce che come un disco rotto annuncia la prossima fermata, anche se sarai sempre con lo sguardo fisso sul tabellone a contare quei due minuti come fossero due ore. 
Preferendo di non ascoltare poi più nulla, mettendoti le cuffie nelle orecchie e ascoltando musica che non sapevi nemmeno di aver scaricato.
Imprecando perchè il ragazzo di turno si è lanciato sul primo sedile disponibile sgomitando manco fosse l'ultima scialuppa di salvataggio a disposizione.
Restando in piedi, tutte le volte.
Perchè tanto, ti dici, il tempo scorre in fretta o forse avrai solo imparato ad attendere con pazienza.

Lo penso, tutte le volte.
Che in fondo la vita può essere un po' così. Nascosta tra tunnel sotterranei che ti indichino una qualunque direzione senza assumersi la responsabilità delle scelte ma pronti, alla fine, a mettere in luce che se giuste o sbagliate ti hanno permesso di arrivare sempre ad un punto. Da cui proseguire, o ripartire.

Allora forse capirai che un tempo avresti voluto superare tutti. 
E forse lo fai anche oggi, pur rallentando dietro la coppietta che si tiene per mano.
Che pur abituandoti alla tua consueta corsa contro il tempo, oggi preferisci prenderti il tuo di tempo. Per ascoltarti di più.
Che non si arriva mai tardi, perché c'è sempre tempo.
Per cambiare.
Per essere in grado di sentire.
Per perdonare.
Per ammettere gli errori.
Per ammettere che poi, in fondo, forse nemmeno lo sono stati.
Per riscoprirsi diversi.
Per rallentare.
Per ripartire.
Per rimanere in piedi.

Perchè è questo tutto quello che conta.
Quello che si riesce a dare alla vita, prima di pretendere.
Ammettere che fare passi indietro non è sintomo di debolezza, quanto la consapevolezza di cosa si vuole essere. Spesso sono invece passi in avanti.
Ricordando che, in fondo, tutto quello che conta è essere una brava persona.

Passo dopo passo.
Scalino dopo scalino.

Corsa dopo corsa.
Punto dopo punto. Per proseguire, o ripartire.
Con un cuore nuovo, perché non si ha paura.

domenica 18 settembre 2016

Come granelli di sabbia

Pensavo non sarebbe mai accaduto ed invece quei giorni sono arrivati anche per me.
Quelli in cui non avevo più parole. Nè da pronunciare, e nemmeno da scrivere.
Quelli in cui ho deciso di cristallizzare tutto.
Di bloccare un flusso di sensazioni che sapevo stesse sgorgando, ma l'ho lasciato fare, impedendo a quella mia sfrontata attitudine di mettere tutto e tutti sotto esame di prevalere.

L'ho fatto quando ho capito che avrei potuto evitare di porre un'etichetta su tutti i pezzettini della mia vita che con cura avevo deciso di ricostruire, mettere insieme, per poi forse accorgermi che non era insieme che dovevano stare.

L'ho fatto quando ad un certo punto ho capito che la vita talvolta può essere come un elastico: torna sempre tutto indietro. E laddove non lo faccia, è indietro che lo dobbiamo lasciare, ma a noi spetta di andare avanti.

L'ho imparato, con il trascorrere dei giorni, quando forse mi sono resa conto che per tanto tempo mi sono dimenata nel tentativo di cogliere il momento giusto, che costantemente mi facevo sfuggire tra  le mani come granelli di sabbia portati via dai primi venti autunnali.
Quando ho capito che forse la vita non vuole che tu sia sempre puntuale, ma imparerai ad esserlo nel momento giusto.
Ed arriverai prima tu e poi lui.
Lo attenderai sul ciglio della porta quanto basta.
Lui busserà alla porta.
E riuscirai a prenderlo.
Perché vi riconoscerete.
E vi stringerete forte.

E non c'é forse più nulla che per il momento vorrei conoscere.
Mi basta quello che sento. Quello che vivo.

Che non possiamo passare un'intera vita ad etichettare tutto come fossero mono porzioni da riporre in frigorifero e scongelare quando crediamo faccia comodo.
E nemmeno investire tutte le nostre energie nel creare qualcosa che non sia destinato ad esistere quando sentiamo che non lo sia.
Nè limitarci. O pensare che sia sempre il momento meno propizio.

Possiamo soltanto sdraiarci con la schiena sul mondo e lasciare che questo dipinga per noi contorni di paesaggi mai esplorati.
Quelli che non avevamo mai pensato di poter toccare.

Perché forse preferisco vivere così.
Scegliendo che selciato calpestare, lasciandomi a tratti portare via dalla forza del vento.
Con la profondità di chi sceglie sempre di sentire tutto, ma la leggerezza di chi talvolta sceglie anche di non pensare, lasciando che vada tutto così: come granelli di sabbia portati via dalla brezza.

Perché tanto lo so già: andrà tutto bene alla fine, e se non andrà non sarà la fine.

domenica 28 agosto 2016

Sentire


Ci ho impiegato ventisette anni per capirlo.
Che non possiamo costruire ali di cartone a qualcosa che per sua natura non era destinato a decollare.
Che la paura d’innamorarsi è giá una forma d’amore, silenzioso.
Che non esistono momenti perfetti, ma ogni attimo può permetterci di raggiungere quella perfezione che, nonostante le sue sbavature, possa appartenerci.
Che la vita é troppo breve per non maturare il coraggio di tuffarvisi dentro, sino forse a rischiare di annegare. Ma avremo vissuto soltanto quando avremo imparato a lasciare le cose a noi non destinate. Ed anche a restare. Quando qualcosa ci fa sentire che potrebbe essere una cosa bella. Quando la sentiamo. Solo in quel caso.
Che la complicità é anch’essa una forma d’amore, eppure la più sottovalutata.
È un brivido. Un pugno allo stomaco. Succede e basta. Nessuno può evitarlo.
Non te lo puoi far venire nel tempo. Non puoi fartelo dare di proposito. E nemmeno affaticarti per porne le basi.
Che se avesse un suono sarebbe una risata fragorosa, di quelle che ricordi perchè intanto ti ci guardi negli occhi e capisci, prima di ogni cosa, che tu esisti, sei vivo, ci sei.
Ma che potrebbe averne anche un altro, che sentiremo a fatica o che avremo paura di sentire. Tipo tac. Sí proprio quello. Tac.
Che non si può evitare qualcosa che in noi si sia già insinuato.
Che quando un giorno, per caso, avrai imparato a scegliere, attorno a te tutti ti sembreranno immobili. Incapaci. Inutili. E tu non vorrai nè potrai impartire lezioni su come si faccia, perché lo saprai già: che non si può salvare chi non vuole essere salvato.
Cosí, a fatica, ti sforzerai di imparare un’altra cosa: cancellare, tutto quanto, nonostante dentro di te i giardini appaiano già in fiore.

Ma se c’è una cosa che mi sono sempre chiesta non riuscendo a venirne mai a capo è se tutti abbiano la stessa capacità di sentire.
Perchè ho sempre fatto lo stesso errore, io.
Pensare che tutti fossero in grado di sentire nello stesso modo.
Pensarlo, forse, anche soltanto perchè lo stessi facendo io.
Ma forse ho scoperto che anche quando te lo fanno credere, in realtà non lo stiano facendo.
Pensano di farlo, non ammettendo a se stessi che quello non è sentire, ma il bisogno di farsi accettare, per quello che non si è.

Cosí come quando penso alle forme infinite di comunicazione e quella che ognuno di noi pensa di scegliere, quando forse è invece lei a scegliere noi, quando hai bisogno di esprimere quello che senti.

Ed è forse per questo che abbia scelto di scrivere.
O forse è stata lei a scegliere me.
Come tutte le cose che devono appartenerci di diritto e farà di tutto per imporsi nella nostra vita, anche quando tenteremo di scacciarle via.
Come tutte le cose che potrebbero apparire pericolose, solo per la loro tendenza a distruggere piani precostituiti, rompere reti, aprire cancelli che avevamo chiuso con la doppia mandata.
Poi un giorno, per caso, capisci il motivo perchè tu e lei vi siate scelte.
Perchè gli ho sempre dato troppo valore.
A quelle parole che non riesco mai a dire.
A quelle che nascondo dietro altre.
Perchè forse mi sono sempre fatta bastare quello che sentivo.
Pensando lo potessimo fare tutti nello stesso modo.
Perchè ho sempre attribuito un significato ad ogni dettaglio.
Pensando che lo vedessero anche gli altri.
Lasciandomele bruciare dentro.

Poi ho immaginato che se ci si tiene sempre tutto dentro è come se non avessi niente.
E non per il bisogno di dimostrare ad altri quello che si è.
Ma perchè, forse, potrebbe farci sentire meglio.

Ed io voglio imparare un’altra cosa.
A non avere paura della felicità.
A non temere quando sento troppo.

Perchè comunque andrà a finire, me lo ricorderò per sempre: sono viva.

E se altri non riescono a sentirlo, devo ricordarmi anche questo: se lo sono è perchè ho scelto di esserlo. Fino in fondo.

domenica 21 agosto 2016

Dalla A alla Zeta

Pensavo che andare al supermercato da sola e mettere in tavola monoporzioni mi avrebbe fatto male.
Credevo che l'entusiasmo di imparare a cucinare qualcosa che andasse al di là di un piatto di pasta sarebbe gradualmente svanito.
Cosí come osservarmi dall'esterno tra le pareti bianche di una stanza a cui avrei dovuto regalare ancora una volta il mio profumo, i miei colori, in parte anche il mio nome.
E cosí come riempire gli spazi vuoti e silenziosi di musica, film, tanti libri.
Poi mi sono accorta che avevo fatto già tutto.
Sin dal momento in cui avevo deciso di muovere il mio primo passo.

Allora ho pensato a tutte quelle volte in cui mi convincevo dell'idea che se ci piace A non possiamo desiderare anche Zeta.
A tutte quelle volte in cui mi convincevo che A dovesse essere la mia vita per sempre.
E a tutte quelle in cui mi dicevo che Zeta sarebbe stato soltanto un desiderio inconscio che non sarebbe mai esploso, altrimenti avrebbe rovinato tutti i miei piani.

Poi ho realizzato che se la vita decide di prendere pieghe inaspettate sia un buon segno, perché significa che ti stai muovendo.
Che cucinare da sola non è poi così male, così come ripartire da pareti bianche su cui dipingere il tuo nome ancora una volta e riempire la solitudine di musica, film e tanta lettura.
Non immaginavo di stare bene, e forse addirittura felice.

Mi sono ricordata che tanto tempo fa avevo scelto A.
Ma non perché disdegnassi Zeta.
Credevo che A potesse sopperire a tutte le mie mancanze.
Immaginavo fosse la scelta giusta perché forse tutte le altre si erano sempre rivelate malsane.

Ma col tempo ho appurato che può accadere: di desiderare due cose diametricalmente opposte.
Di desiderare Zeta, pur restando in A.
Di convincerti che è con A che devi stare, pur immaginando che raggiungendo Zeta tu possa conoscere un'altra parte di te, quella a cui molto spesso non attribuiamo pari dignità soltanto per il suo essere qualcosa di inconscio. Ma esiste, é reale, é ciò che ci rende autentici.
La sfida sta nel cacciarlo fuori. Rischiare di essere felici, di avvicinarci a quell'essere donna o uomo cui abbiamo sempre immaginato di tendere.

C'é stato un momento in cui ho avvertito tutto il peso di quelle scelte fatte soltanto perchè sembravano giuste. Quel momento in cui ho assunto consapevolezza che avrei forse perso l'occasione di compiere scelte che non si collocavano in alcuna logica di giustizia, ma le avrei sentite, rumoreggiare nel mio stomaco come schegge impazzite.

Così ho capito che esiste anche un'altra opzione.
Che sia necessario trovarsi in A per accorgersi un giorno, per caso, di volersi invece tuffare in Zeta.
Che la vita ci pone dinanzi al confronto ripetutamente per lasciare a noi la facoltà di scegliere da che parte tendere, pur indicandoci quale sia la strada più appropriata, facendocela sentire già nostra.
Ma non ci regala consapevolezze, né il coraggio di scegliere.
Scoprire chi siamo spetta a noi, in cui maturare la facoltà di sentire il nostro battito cardiaco riveste un ruolo fondamentale.

Ho capito di desiderare Zeta da sempre.
E potevo scoprirlo soltanto vivendomi A, sino ad ossidarmi.
Sono questi i miracoli della vita.
Essere in grado di ascoltarla, anche quando tutto intorno a te appaia muto.






domenica 14 agosto 2016

Come un pugno allo stomaco

Tutte le volte qualcuno mi ricorda quanto sia forte.
Ed io tutte le volte rido.
Perchè vorrei raccontargli una storia diversa. Ma forse come è vero che non puoi salvare chi non vuole essere salvato, è vero anche che non puoi regalare occhi diversi a chi ha deciso di essere cieco.
Cosí penso, tra me e me, che l'essere forte è un impegno che prevede, tra le tante, un' imprescindibile condizione: consapevolezza.

Delle proprie priorità.
Di quello che si è.
Di quello a cui non si é disposti a rinunciare perchè ci rende felici, o semplicemente migliori.
Di quello che desideriamo dalla nostra vita.
Di chi ci vogliamo circondare.
La consapevolezza che le cose belle ad un certo punto scompariranno ed allora converrà munirci di occhi belli, prima che sia tardi.
Solo se si vuole una vita bella però.

Cosí quando mi dicono che sono forte vorrei raccontargli di quando non lo ero.
Di quando ogni mattina mi alzo e sorseggiando il mio caffè bollente mi accorgo di non esserlo poi abbastanza.
Ma essere forte implica forse anche questo.
È come un viaggio con noi stessi in cui sperimenteremo l'intera tavolozza di colori in cui ci tufferemo con la stessa intensità.
Ce ne sporcheremo le mani, il viso, l'intero corpo, senza timore di mostrarci in pubblico.
Le persone forti lo sanno: che le emozioni, di qualsiasi natura siano, si esprimono attraverso il linguaggio del corpo ed è necessario buttarle fuori, cosí gli si attribuirà dignità.

Allora vorrei raccontare di quando il non essere forte abbastanza mi ha fatto perdere un amico per sempre.
Quando il non essere forte abbastanza mi ha fatto perdere in idealizzazioni consumate dall'idea di quanto riuscissi ad essere imprecisa nelle mie blande constatazioni in cui ci mettevo soltanto il cuore e mai la testa.
Quando il non essere forte abbastanza mi ha fatto perdere in calcoli approssimativi di cui sin dal principio immaginavo il risultato, ma ci volevo provare comunque.
Quando il non esserlo mi impediva di lasciare ciò che sentivo a me non destinato.
Ed anche quando il non esserlo mi ha fatto precipitare in labirinti che la mia mente aveva deciso di creare solo perchè avevo deciso di restare, anche quando l'altro aveva deciso di abbandonare già il campo.
E poi quando il non esserlo mi ha fatto credere che quel pugno allo stomaco di cui parlano tutti fosse un miracolo destinato a pochi, ed io probabilmente non ero destinata ad essere parte della cerchia.
Quando il non essere forte abbastanza mi ha dato l'illusione di poter trascinare situazioni in cui non riconoscevo nemmeno più chi fossi. Quando ho creduto di potercela fare, nonostante non fossi più in grado di sentire il mio battito cardiaco.
Quando ho creduto che questo mi potesse rendere forte ed invece ho realizzato di non aver mai scelto.

Talvolta ho pensato di collezionare fallimenti.
Ma poi ho scoperto di non poterli chiamare cosí.
È un privilegio. Un dono. Quasi un miracolo.
Il fatto che abbia deciso di pormi al centro tra il dire ed il fare ed applicare le mie consapevolezze nel quotidiano.
E non falliamo mai, anzi cresciamo.
E la crescita è sinonimo di vita.
Quella vera. Piena. Appassionata. Innamorata. Sorridente. Quella che sancisce una linea di demarcazione tra superficialità e leggerezza.

La prima sa bene che non conosci a fondo te stesso. O gioca sul fatto che continuerai inerme a non farti domande, per timore di conoscerne le risposte. Allora andrai avanti, per inerzia, collezionando momenti in cui sarai cieco, sordo e muto. Non per scelta, ma per tacita sottomissione. Non sentirai niente. Lascerai scorrere i dettagli su cui avresti potuto soffermarti se solo avessi scelto invece di sentire. Proprio quel pugno allo stomaco. Quel pugno lì.

La leggerezza è invece un percorso incidentato, dove quello che senti non lo scegli tu ma il tuo destino, che accompagnerai per mano in una danza che non credevi potesse essere cosí ritmata, vivace, viva, bella. Non ti farai domande perchè sarai troppo impegnato a vivere quelle risposte in cui ti sarai tuffato, e non per pura follia, ma perchè sarai stanco di vivere una vita che non ti appartiene, che hai il dovere di portare a termine seguendone le tappe con metodica precisione.
Capirai che la vita è un pugno allo stomaco.
Un brivido.
Certe cose succedono e basta.
Che puoi evitare qualsiasi cosa.
Poi verrà a prenderti.
Dunque tanto vale abbandonarsi.
A quei dettagli che meriteranno occhi profondi, orecchie in grado di sentire, bocche che riusciranno a trasmettere qualcosa anche quando resteranno chiuse.

Ed è cosí che ho scelto.
Di essere forte, come le radici di una quercia.
Ma anche debole, come le schegge di un cristallo.
Di essere leggera, come un soffio di vento.
Perchè la vita è una e dobbiamo vivere la nostra.
La vita è bella solo se fatta di cose belle che non scanseremo per il becero timore di deviare traiettorie già consumate.
Ed è questo tutto quello che alla mia età mi basta sapere.
Che ci sarà sempre qualcuno o qualcosa che ci farà riscoprire migliori di quello che credevamo.
E saranno le sole per cui varrà la pena tentare.

Ecco. Questa è la vita secondo me.

mercoledì 10 agosto 2016

Prendetela, questa vita

Tutto dovrebbe essere come un dolce dondolio, la cui intensità si percepisce dalla forza con cui ci si abbandona ed il desiderio dalla costanza di non smettere mai.
Come un soffio di vento che ti scompiglia i capelli che non riesci a toglierti dalla fronte.
Come una goccia di rugiada che si poggia sui primi fiori di primavera.
Come un'armonia che sa di leggerezza, perché allo stesso tempo ti incanta creandoti un vortice dentro e te lo riempie.
Come una bussola dietro cui perderti, per visitare luoghi prima mai esplorati.
Così che si possano ridisegnare i contorni, anche quando apparivano già calcati.
Sceglierne i colori, ed anche i profumi.

Ecco. È cosí che immagino la vita. O la più alta forma d'amore, verso l'altro, ma soprattutto se stessi.

Come uno spicchio di vita in cui ci siano dentro tante cose.

Di quelle che apparentemente sembrino non avere un senso logico, ma riscaldano, perché ti fanno sentire pienamente te stesso.
Di quelle che dondolano, come un'altalena su cui siede un bambino che chiede al papà di spingerlo sempre più forte, immaginando di poter toccare il cielo con un dito.
Di quelle che ti soffiano in faccia purché tu riesca a vederle e non riuscire ad ignorarle.
Di quelle che ti rinfrescano, sentendoti sempre come un bocciolo in primavera.
Di quelle che ad un ritmo incalzante ti si insinuano dentro e fanno rumore, come il suono di tamburi.
Di quelle leggere, che riempiono e svuotano ad un andamento costante.
Di quelle che il cuore te lo fanno in mille pezzi e te ne restituiscono uno nuovo il cui battito sarà accelerato quanto basta per sentire tutto quello che non credevamo possibile.
Di cose semplici, ma autentiche.
Mai banali.
Semplici.
Come una poesia a rima baciata.

Perché se c'è una cosa che ho imparato mentre mi affaticavo a rimettere in ordine i pezzi con l'ostinata caparbietà di oscurare pensieri che consideravo malsani solo perché non si sposavano con quanto la realtà invece raccontasse, è che non abbiamo nessun dovere, di dire o fare, se non quello di sentirci felici.
Pienamente. Follemente. Con tutta la passione che abbiamo dentro.
Che non significa vivere in una realtà avulsa dal quotidiano.
Ma plasmarla, a nostra immagine e somiglianza.
Così da lasciare sempre il nostro profumo.
Così da avere sempre un cuore pieno abbastanza da lasciarne pezzi a caso qua e là, per far sì che siano quelle le nostre impronte.

Si dice che le cose semplici siano quelle più belle.
E le cose belle hanno bisogno di profondità.
Quelle che spettano solo a chi ha il coraggio di osare.
A chi si munirà di occhi belli, così da poterle guardare.
Da trattenerle, in quello spicchio di vita, finché si è in tempo.

Afferratela allora, questa vita.
Prendetevela, tutta questa vita.



domenica 7 agosto 2016

Creatrice di momenti

Ho creduto per un attimo che questa città stesse diventando troppo grande.
Troppo per trattenermi senza che mi sgretolassi.
Troppo per le mie aspettative.
Troppo per ricostruire una dimensione dalle pareti morbide e schizzi di pittura colorata versati a caso.

L'ho pensato quando gli ero seduta di fronte, portandomi le dita alla bocca, come una bambina inesperta che si chiedeva come e da cosa potesse cominciare.

Ho per un attimo avallato una tesi che non mi è mai appartenuta fino in fondo.
Quella secondo cui le cose giuste arriveranno sempre al momento sbagliato, mentre le sbagliate sempre nel momento più propizio che ci renderà pronti ad afferrarle e a trattenerle, chi lo sa poi per quanto altro tempo ancora.

Poi mi sono ricordata di quanto fosse importante la parte che si svolge nella creazione di un momento.
Come un attore sul palcoscenico che dimentica il copione e deve andare avanti sperimentando l'arte dell'improvvisazione.
Quella intelligente, che stimoli, che mantenga l'attenzione di tutti. Quella in cui se sarai bravo abbastanza troverai un filo logico che metta in fila una serie di battute che ad un ritmo incalzante condurranno alla fine della storia, così come all'inizio di scoperte importanti: qualsiasi siano le condizioni, basta volerlo.

Ed è stato allora che l'ho capito.
Che avrei potuto scegliere di diventare una persona che non sente più niente.
Che si ciba di decisioni altrui per timore di prenderne di proprie.
Che di fronte ad un bivio si domanda quale sia la strada più comoda da seguire.
Che si racconterà un'altra storia.
Che fingerà di non ascoltare il rumore che ha dentro.

Ma ho scelto di diventare una creatrice di momenti.
Una di quelle che in un giorno di sole i cui raggi, filtrando attraverso i vetri della finestra, riescono a riscaldare l'ambiente, decide di spazzare via le foglie ingiallite per piantare nuovi semi.
Quando nessuno se lo sarebbe mai aspettato.
Quando tutti credevano non potesse mai accadere.

Perché quando lasci che un pensiero si insinui con prepotenza nella tua mente, sarà già fatta e toccherà a te porre rimedio, creando un momento.
Perché quando inizi, non potrai tornare indietro. Dovrai creare momenti che ti spingano in avanti.
E se avrai dei dubbi su quale sia la strada giusta da seguire, ascolta il rumore che hai dentro.
Sarà la via segnata dal tuo destino, forse.

Così, mentre ero intenta ad immaginarmi ancora troppo piccola ed inesperta, ho scoperto che questa città mi volesse far capire quanto grande fossi diventata e quanto ancora potessi esserlo.
Altrove.
Con un carillon sul comodino e le valigie sotto il letto.
Con delle tende retrò ed un lampadario improvvisato alla carlona.
Con delle candele aromatiche riposte sulle mensole.
Con tutta quella vita che mi porto sulle spalle.
E con quella che ancora riesco ad immaginare.
Con una casa da dover ricostruire, mattone su mattone.
Una di quelle meravigliose perché ci sarà dentro tutto quello che sento, che sono diventata e a cui non vorrò più rinunciare: il mio cuore.



mercoledì 3 agosto 2016

Scatole di cartone

Circondatevi di persone che conoscano non soltanto l'odore del mare, ma che sappiano meravigliarsi al suono di ogni sua onda.
Che sappiano guardarlo ed ascoltarlo come fosse una creatura da ammirare, la più meravigliosa mai incontrata prima. Che con cosciente onnipotenza ne constateranno la grandezza, ma sempre ad un passo dal sentirsi della sua stessa portata: infiniti.

Circondatevi di persone che sappiano ridere.
Che amino danzare a pieni nudi sotto la pioggia.
Che indichino col dito l'arcobaleno come fanno i bambini.

Circondatevi di persone che parlino il vostro stesso linguaggio.
Del corpo.
Della mente.
Del cuore.
Lasciatevi trascinare in questa danza, ammaliante tanto quanto pericolosa.
Perché quando oramai avrete imparato a ballare, non riuscirete più ad uscirne.
Ma vi concederete la più bella delle melodie mai ascoltate prima in cui i vostri piedi non saranno mai stanchi di battere il selciato.

Circondatevi di persone che abbiano degli occhi in cui sarete in grado di riconoscervi.
Bocche che sembreranno fatte apposta per toccarsi.
Orecchie che non vorranno sentire altro che il suono della vostra voce.

Circondatevi di persone che spruzzino libertà da ogni poro della pelle, cosí da raccoglierla a piene mani.
Circondatevi di quelle che sprigionano un'energia tale da generare una continua espansione, dentro e fuori.
Di quelle cui non avrete mai paura di mentire, perché sarete sempre così come siete, senza alcun freno. Senza nessuna paura.

Circondatevi di persone che sappiano sentire, così come sentite voi.
Di quelle che sentono cose che la vostra mente ha sempre creduto di tacere.
Di quelle da cui potrete imparare a sentire cose nuove o semplicemente in un modo diverso, così da metterle insieme alle proprie e produrre la melodia più dolce ed autentica mai suonata.

Circondatevi di persone che entrano un giorno nella vostra vita senza mai chiedere nulla.
Né di restare.
Nemmeno di andare via.
Di quelle che con la morbidezza di un vento primaverile spazzano via le foglie d'autunno senza che voi l'abbiate mai chiesto, per far germogliare boccioli cui sarà vostra premura innaffiare per far nascere nuove rose.
Di quelle che ad un certo punto non riuscirete più ad evitare.
Perché anche se lo farete, non lo vorrete mai abbastanza.

Circondatevi di persone che ricorderanno ogni smorfia del vostro volto, ma ne ameranno particolarmente soltanto una.
Di quelle che vi vogliono, anche quando sono in silenzio.
Circondatevi di quelle che vi bruciano dentro, prima di esplodere come dinamite.

Circondatevi delle scoperte più belle che vi offre la vita.
Imparate a guardare, anche quando credete non ve ne siano.
Circondatevi di pezzi di vita.
Imparate a riconoscerli.
Raccoglieteli.
Tratteneteli a piene mani.
Lasciateli andare soltanto quando vi accorgerete che per voi non ci sarà spazio.
Ma continuate a cercarne altri.

Imparate a lasciare tutto il resto.
Quelle sono scatole di cartone in cui abbiamo rinchiuso tutte le nostre cianfrusaglie per timore di deviare percorsi, di restare soli, di volere ed amare come non pensavamo fossimo capaci.

Quelle non saranno mai pesanti, perché portano soltanto tutto il vuoto che ci portiamo dentro.

Scopritelo in fretta, prima che sia troppo tardi.
Prima che quei pezzi di vita volino nell'aria, come soffioni che nessuno riuscirà a raccogliere.


domenica 31 luglio 2016

Stanno tutti bene

Ho poggiato una tazzina di caffè bollente sul tavolo. 
La musica passava in sequenza, tra Life In Technicolor e Lovers in Japan.
Ho alzato gli occhi verso i due finestroni sul soffitto della cucina. 
Il cielo era pieno di nuvole ma a tratti i raggi di un sole tiepido quanto potente riuscivano a filtrare attraverso i vetri facendomi sentire quasi a casa. Quasi al caldo. Forse al sicuro.

E ho pensato che per tanto tempo ho fatto a meno di quell’altra parte di me.
Quella di cui avevo bisogno per sentirmi così. 
A stretto contatto con quella parte di me che non aveva bisogno di chiedere niente.
Quella che aveva l’esigenza di distruggere tutto in mille pezzi solo per l’innato bisogno di ricostruire tutto da capo. Di ricrearsi, in una forma diversa che avesse quella sostanza cui aveva imparato ad attribuire orecchie sorde ed una bocca che pur muovendo le labbra non riusciva ad emettere alcun suono.
Quella che ha la necessità di sentirsi, prima di sentire.
Che vuole.
Che scoppia dentro. Come dinamite.

Avevo dimenticato di come potesse essere la vita.
Così imprevedibile. 
Così attenta ad incastrare i momenti come pezzi di un puzzle, facendoci spesso sentire impotenti impartendoci lezioni di inerzia quando ci identificherà come figure incapaci di cambiare le cose.
Ma così magnanima nel darci la possibilità di scoprirne di nuovi, da incastrare tra loro a ritmi incostanti, modellandosi con la morbidezza che ci appartiene, quando tra una lezione e l’altra, riusciremo a capire che niente é dato per scontato. Nulla può essere già deciso, solo perché un percorso lineare possa sembrare più comodo da seguire. 

Perché un giorno ti sveglierai accorgendoti di non aver scelto fino in fondo tutto ciò che riempie la tua vita. Almeno non del tutto.

Ma se c’é stato un tempo in cui abbia concepito tutto questo come la più bizzarra delle maledizioni, oggi credo sia stato quasi un dono. Come quelle scatole chiuse che apri e scopri che dentro ci sono tante cose che un tempo ti erano appartenute, che avevi dimenticato, ma che in fondo, se lo vorrai, da quel momento potrebbero far parte di nuovo della tua vita, incrociando, per caso, il tuo stesso destino.

Perché le cose belle sono così. 
Capitano mentre pianificavi la tua vita, come fosse una strada dall’asfalto lineare privo di dossi.
Come fossi un treno in corsa che non potesse permettersi deragliamenti.
Come pezzi di un puzzle che avevi messo insieme perché andava bene così. O perché forse erano gli unici che avevi trovato. E ti eri adattato. A quella strada, a quel vagone, a quella andatura, a quel modo blando di mettere insieme le cose, come fosse una sequenza che lasciavi andare. Che seguiva te, mentre tu, in fondo, ti lasciavi abbindolare.

Poi un giorno comprendi che la tua priorità è di sentire.
Lo scricchiolio delle ruote su di un asfalto impervio.
Il rumore di un treno in corsa. Ma anche i colori dei paesaggi circostanti che attraversa.
L’entusiasmo e la fatica di scoprire tu quali siano i pezzi mancanti e di metterli insieme, come fosse un puzzle che alla fine sia in grado di rappresentare qualcosa di bello, come un dipinto d’olio su tela.

E scopri che le cose belle sono così.
Capiteranno sempre nel momento sbagliato, ma sarà una prova per capire se tu sia diventato uomo o donna abbastanza. 
Per comprendere che i sensi di colpa seguono un processo naturale e fanno bene solo fin quando non ci si annulla.
E spetterà a te la maturità di comprendere che le cose belle vanno prese al volo, così come sono, a dispetto del tempo e di qualsivoglia circostanza.
Altrimenti il tempo le trasforma. 
E non significa che non doveva accadere.
Privarsene é sintomo di incapacità di riempire la vita di cose belle e continuare a vivere nei panni di qualcun altro che avrà sempre lo stesso rimpianto: quello di non averci provato abbastanza.

Sono strane, le cose belle.
Quando senti una morsa allo stomaco, quella sarà una cosa bella.
E ci si dovrà munire di occhi in grado di saper guardare.
Di un cuore nuovo mai pieno abbastanza.
Di un animo pronto a lasciarsi andare nella perlustrazione di orizzonti inesplorati.

E di mani grandi, per saperle raccogliere.

Perché le cose belle sono anche queste: la più meravigliosa delle scoperte di quella parte di te che riesce a sentirsi esattamente così, una cosa bella.
Così che tutti quei pezzi dentro di te, quelli che hai scoperto, o solo riverniciato, rimessi in fila, potranno dirlo: in fondo, stanno tutti bene.

venerdì 22 luglio 2016

Tutto quello che pensiamo non sia

Non so quando sia accaduto che abbia messo un punto fermo alla mia vita, senza riuscire a voltarmi,  a guardare oltre.
Sarebbe stato tutto più semplice, perchè mi sarei imposta di non sentire più nulla.
Né la fatica nel ricominciare, 
 l’entusiasmo di non smettere mai.
I profumi della primavera.
Il caldo tiepido delle giornate di mezz’estate.
Il rumore della pioggia.
E quello dei miei passi su di una distesa di foglie ingiallite.

Poi ho cominciato ad interrogarmi su quanto grande possa essere un nodo. Quanto stretto al punto da resistere per una vita intera. Quanto congeniale al punto da averne uno in ogni parte del corpo per trattenere tutto , per non sentire più niente. Né il battito cardiaco né il suono del tuo respiro.
Ed è stato allora che l’ho capito.

Che stavo riempiendo la mia vita di cose che non volevo, trascurandone altre.
Che stavo lasciando andare cose di cui avrei voluto riempire la mia vita al punto da farla scoppiare.
Cose che forse non mi sarebbero mai appartenute. Cose per cui ho deciso di tacere per paura di possedere. O cose per cui ho deciso di raccontarmi un’altra storia che potesse avere un inizio ed una fine pur perdendomi nel mezzo, senza alcuna ragionevole giustificazione che non fosse quella del lasciarsi andare alle cose belle.
Ma le voglio e le ho volute tutte. Quelle che non potrò avere, quelle che ho lasciato stramazzate sull’asfalto, ed anche quelle che forse non avrò.

Allora non so cosa sia l’amore.
Se guardarsi negli occhi e capirsi al primo battito di ciglia.
Se parlarne come fosse qualcosa che possa essere razionalmente spiegato mentre ci si perde l’uno nello sguardo dell’altro.
Se un bisogno, naturale, di sapere che c’è qualcuno accanto a te.
Se un volersi e non dirselo mai abbastanza.
Se sentire nello stomaco che sia lui o lei la persona che non stavamo cercando, ma che abbiamo trovato così, strada facendo, come una margherita in un campo di girasoli in una giornata di solleone.
Se sia come burro su marmellata.
O come una simbiosi che genera fuochi d’artificio. Dentro e fuori.

Qualsiasi sia la forma che gli si possa attribuire, gli opposti si attrarranno ma saranno i simili a restare insieme. 
Se riusciranno a riconoscersi.
Saranno quelli che si cercheranno anche quando si racconteranno di non volerlo.
E non so bene quali siano gli antidoti per creare tutto questo, ma ne conosco pochi che forse d'ora in poi riuscirò a farmi bastare.
Gli occhi.
Il sorriso.
Le parole, che non dovranno mai bastare.
Quella voce, dentro, che ti dice “lascia che sia”.
Sentirsi.
E sarà questo, forse, mentre ci affatichiamo pensando possa essere fatto d’altro.
Sarà forse tutto quello che pensiamo non sia.
E viviamo, spesso, tutto quello che non è e che non sarà mai.