Ho poggiato una tazzina di caffè bollente sul tavolo.
La musica passava in sequenza, tra Life In Technicolor e Lovers in Japan.
Ho alzato gli occhi verso i due finestroni sul soffitto della cucina.
Il cielo era pieno di nuvole ma a tratti i raggi di un sole tiepido quanto potente riuscivano a filtrare attraverso i vetri facendomi sentire quasi a casa. Quasi al caldo. Forse al sicuro.
E ho pensato che per tanto tempo ho fatto a meno di quell’altra parte di me.
Quella di cui avevo bisogno per sentirmi così.
A stretto contatto con quella parte di me che non aveva bisogno di chiedere niente.
Quella che aveva l’esigenza di distruggere tutto in mille pezzi solo per l’innato bisogno di ricostruire tutto da capo. Di ricrearsi, in una forma diversa che avesse quella sostanza cui aveva imparato ad attribuire orecchie sorde ed una bocca che pur muovendo le labbra non riusciva ad emettere alcun suono.
Quella che ha la necessità di sentirsi, prima di sentire.
Che vuole.
Che scoppia dentro. Come dinamite.
Avevo dimenticato di come potesse essere la vita.
Così imprevedibile.
Così attenta ad incastrare i momenti come pezzi di un puzzle, facendoci spesso sentire impotenti impartendoci lezioni di inerzia quando ci identificherà come figure incapaci di cambiare le cose.
Ma così magnanima nel darci la possibilità di scoprirne di nuovi, da incastrare tra loro a ritmi incostanti, modellandosi con la morbidezza che ci appartiene, quando tra una lezione e l’altra, riusciremo a capire che niente é dato per scontato. Nulla può essere già deciso, solo perché un percorso lineare possa sembrare più comodo da seguire.
Perché un giorno ti sveglierai accorgendoti di non aver scelto fino in fondo tutto ciò che riempie la tua vita. Almeno non del tutto.
Ma se c’é stato un tempo in cui abbia concepito tutto questo come la più bizzarra delle maledizioni, oggi credo sia stato quasi un dono. Come quelle scatole chiuse che apri e scopri che dentro ci sono tante cose che un tempo ti erano appartenute, che avevi dimenticato, ma che in fondo, se lo vorrai, da quel momento potrebbero far parte di nuovo della tua vita, incrociando, per caso, il tuo stesso destino.
Perché le cose belle sono così.
Capitano mentre pianificavi la tua vita, come fosse una strada dall’asfalto lineare privo di dossi.
Come fossi un treno in corsa che non potesse permettersi deragliamenti.
Come pezzi di un puzzle che avevi messo insieme perché andava bene così. O perché forse erano gli unici che avevi trovato. E ti eri adattato. A quella strada, a quel vagone, a quella andatura, a quel modo blando di mettere insieme le cose, come fosse una sequenza che lasciavi andare. Che seguiva te, mentre tu, in fondo, ti lasciavi abbindolare.
Poi un giorno comprendi che la tua priorità è di sentire.
Lo scricchiolio delle ruote su di un asfalto impervio.
Il rumore di un treno in corsa. Ma anche i colori dei paesaggi circostanti che attraversa.
L’entusiasmo e la fatica di scoprire tu quali siano i pezzi mancanti e di metterli insieme, come fosse un puzzle che alla fine sia in grado di rappresentare qualcosa di bello, come un dipinto d’olio su tela.
E scopri che le cose belle sono così.
Capiteranno sempre nel momento sbagliato, ma sarà una prova per capire se tu sia diventato uomo o donna abbastanza.
Per comprendere che i sensi di colpa seguono un processo naturale e fanno bene solo fin quando non ci si annulla.
E spetterà a te la maturità di comprendere che le cose belle vanno prese al volo, così come sono, a dispetto del tempo e di qualsivoglia circostanza.
Altrimenti il tempo le trasforma.
E non significa che non doveva accadere.
Privarsene é sintomo di incapacità di riempire la vita di cose belle e continuare a vivere nei panni di qualcun altro che avrà sempre lo stesso rimpianto: quello di non averci provato abbastanza.
Sono strane, le cose belle.
Quando senti una morsa allo stomaco, quella sarà una cosa bella.
E ci si dovrà munire di occhi in grado di saper guardare.
Di un cuore nuovo mai pieno abbastanza.
Di un animo pronto a lasciarsi andare nella perlustrazione di orizzonti inesplorati.
E di mani grandi, per saperle raccogliere.
Perché le cose belle sono anche queste: la più meravigliosa delle scoperte di quella parte di te che riesce a sentirsi esattamente così, una cosa bella.
Così che tutti quei pezzi dentro di te, quelli che hai scoperto, o solo riverniciato, rimessi in fila, potranno dirlo: in fondo, stanno tutti bene.
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