sabato 24 febbraio 2018

Il tuo profumo e anche i tuoi occhi

Non manca molto, in fondo.

Per iniziare il mio ultimo anno che avrà il due come primo numero.
Chi lo sa come mi sentirò tra dieci anni, quando sarà il tre a lasciare posto al quattro.
E chi lo sa come mi sono sentita dieci anni fa. Questo nemmeno me lo ricordo.

Quando sono in prossimità di un traguardo, mi concedo del tempo per guardare tutto quello che ho lasciato alle spalle. Devo capire se merito di oltrepassare la striscia bianca segnata sull’asfalto, asciugarmi la fronte per poi ripartire in una nuova corsa. 

Una di quelle che avrà un selciato più o meno tortuoso, ma sicuramente un’altra destinazione. 
Una di quelle che comprenderà altri 365 insegnamenti, racchiusi spesso in dettagli che restano inosservati allo sguardo dei più. 
Una di quelle in cui saper cogliere quando sarà opportuno ingranare la marcia, e quando invece decelerare.

Lo faccio non per contare cosa ci abbia guadagnato, ma soprattutto cosa ho sbagliato. Cosa ho perso. Cosa non ho imparato. Cosa mi ha tenuto legata. Cosa non mi ha permesso di vincere con maggiore agilità. Perché, in fondo, è anche questo che la vita ci chiede ogni tanto, come fosse una sorta di conto da pagare. 

Un rendiconto che scrivi tu. Davanti ad un foglio bianco, senza remore, né paura di tradirti. 

Allora, nel mio penultimo anno con il due davanti, non ho ancora imparato a non dar troppo peso. Alle circostanze avverse, ai volti di plastica, alle sagome di cartone, alle parole scritte sulla sabbia.
Piuttosto, ho cominciato a dar peso al tempo che scorre, a considerare sacro ogni attimo, così da essere incapace a sprecarlo. Per tutte quelle cose destinate a diventare brutti ricordi nello stesso istante in cui le si vive, e con tutti coloro destinati ad essere chiusi in uno scatolone da custodire nell’angolo di una casa, come fossero l’ultimo pacco da scaricare.

Ho imparato a sbiadire quella linea di demarcazione che ostinatamente ricalcavo tra me e quella porzione di mondo che un tempo mi faceva paura. 
Ho imparato a lasciar sbiadita anche quella che custodivo dentro di me, per separare le parole da pronunciare dal mio reale stato d’animo. 
Ho avuto la conferma, però, che quello che sono lo esprimo soltanto scrivendo. Così, ho imparato a fregarmene: di quello che vede la gente, di quello che pensa, di come mi etichetta. 

Perché la verità é che ci sarà sempre qualcuno pronto a puntarti il dito, per farti un elenco di tutte le tue manchevolezze.

Ci sarà quello che ti biasimerà di non averlo amato abbastanza, o di averlo amato troppo. Così ho imparato ad amare e basta, senza preoccuparmi della dose da offrire, né di quella che forse non riceverò in cambio. E ho imparato che non amare non é peccato. Lo è imporsi di farlo, solo perché é scritto sul copione di un film che non sei più disposto a recitare. 

Ci sarà sempre qualcuno che ti darà dell’incapace, dell’inferiore, dell’inetto. Ho imparato che sono quelli che hanno paura di te. Allora se non sarai in grado di insegnar loro a non averne, dovrai imparare a scansarli. L’ho imparato, ma troppo tardi.

Ci sarà sempre qualcuno detentore di una verità che non collima con la tua. Perché, alla fine, ognuno avrà il diritto della verità che gli spetta. L’ho imparato, questo, a mie spese, appurando che ogni verità è il prodotto di diversi ingredienti che si miscelano, e la consistenza dipenderà dalle dosi. Una verità è fatta di coraggio, di amor proprio, di umanità, di senso del dovere, quello morale. La paura no, non c’entra niente. Quella produce solo grandi bugie.

Così, alla fine, ho capito anche un’altra cosa.
Che non sarò mai quella donna in grado di godermi il traguardo, senza però prefissarmene subito un altro. 

Che sarò sempre quella donna che sente di non meritare di appoggiare il suo piede oltre la striscia bianca segnata sull’asfalto. Potevo essere più svelta, decelerare in alcuni momenti per godere della bellezza del paesaggio circostante, potevo sudare di più.

Ma sarò quella che non avrà mai più paura di perdere ogni cosa, perché ha imparato a costruire quel poco che conta. Quella che agli altri mostra sempre di essere pronta, perché ha imparato a lanciarsi anche senza paracadute.
Quella che non conterrà nulla: né il troppo amore, né la paura di essere infelice.
Quella che, alla fine, avrà imparato a miscelare pochi ingredienti per creare un prodotto che non debba necessariamente piacere a chiunque, ma soprattutto a se stessa, al punto da non smettere mai di creare. 
Quella che, alla fine, avrà poco da insegnare, ma avrà imparato una cosa importante: sentirsi bene in dei piccoli spazi che l’immaginazione trasforma in regni incantati, e ad essere felice, con le piccole cose.


È così che immagino il mio ultimo anno, prima di salutare il numero due: pieno di tutta quella vita, anche quella che fa male, da cogliere a piene mani, che attraverso sentieri stretti ti conduce verso il mare, dove tutto é più familiare, perché avrà il tuo profumo, e anche i tuoi occhi.

domenica 11 febbraio 2018

Goccia dopo goccia

L’ho fatto tante volte. Riempire gli spazi, in cui non riuscire ad identificare un punto d’inizio ed una fine. Così, con una goccia dopo l’altra, credevo di riempire il bicchiere. A volte ho aspettato lo facesse il tempo, raramente è stato il tempo ad aspettare me. 

Ci vuole pazienza a riempire la vita con un contagocce. Troppa fantasia ad immaginare il mondo riflesso in una goccia che brilla solo in controluce. Follia, un pizzico, a credere che possa bastare, ma resilienza, smisurata, per convincersi che, goccia dopo goccia, il mare non sia poi così lontano.

Allora, ho riempito il contagocce, l’ho agitato sino a svuotarlo tutto in una volta. Credevo bastasse un unico grande sforzo. Ma non sono riuscita a sentire il rumore del mare, delle sue onde che battono alle pareti rocciose per poi perdersi nell’aria, tornare indietro e ricominciare tutto da capo.

Così, ho riempito il contagocce, prestando attenzione. Al modo, alla misura, al tempo. Un gesto svelto, preciso, di un secondo appena. Istanti intervallati da silenzi così lunghi da sembrare quasi eterni, prima di essere interrotti da un altro istante, in cui la goccia si posa sul fondo del bicchiere, potendone avvertire persino il rumore. Ma il mare mi è apparso sempre troppo lontano.

Ho pensato, per un breve periodo, che ci si dovesse appropriare di uno strumento per equilibrare la vita, così da farla sembrare lineare in cui addirittura le sbavature riescono a seguire una linea retta. Uno strumento con cui misurare lo spessore delle persone da avere accanto, così da poter essere presenti ma non troppo. Uno strumento con cui misurare le relazioni, che avessero la parvenza di qualcosa di umano, senza necessariamente esserlo, restando in superficie. 

Uno strumento per essere cauti, ma non troppo.
Per fare delle scelte, ma non quelle che fanno paura.
Per concedersi, solo a piccole dosi.
Per immergersi in acque che abbiano la giusta temperatura, mai troppo calde o gelate.
Per arrivare a metà, tra la superficie ed il fondale, così da essere pronti a tornare indietro.
Per essere coraggiosi, senza però mai commettere sciocchezze.
Per dire sempre la cosa giusta al momento giusto.
Per credere solo alle parole scalfite sui muri, non a quelle sulla sabbia portate via da una folata di vento.
Uno strumento per discernere una sagoma da una persona, un volto da lineamenti facciali che esprimano un’emozione qualsiasi sia l’espressione assunta.

L’ho fatto, prima di capire che quello strumento non aveva nulla a che fare con me. Così, ho cominciato a credere che non dovessi farmi piacere necessariamente quello a cui per natura non mi sarei nemmeno mai accostata. Solo per riempire uno spazio. Ed è stato allora che ho appurato che ho sbagliato, senza credere però di aver commesso necessariamente un errore, perché poi ho imparato. 

Tutte le volte che ho usato il contagocce per voler essere cauta, quando forse avevo solo paura di fare delle scelte importanti. Quelle che poi sono esplose, alcune soltanto in un gran fracasso, altre in fuochi d’artificio colorati durati solo pochi minuti, di quelli che però agevolano lo slancio. Altre ancora silenziose, di quelle che però riesci a scriverti dentro, diventando non uno strumento ma un punto da cui partire con cui misurare la vita. 

Così ho sbagliato, tutte le volte che ho creduto di dividermi in dosi, perché sono una persona, tutta intera. Tutte le volte che ho voluto constatare la temperatura dell’acqua prima di immergermi e tutte le volte che sono rimasta a metà, tra la superficie ed il fondale. Perché alla paura di scottarmi, di gelarmi, di non riuscire a tornare indietro, ne è sopraggiunta un’altra: quella di non vivere abbastanza.

Così ho sbagliato, come tutte le donne convinte di possedere un’innata insicurezza, a temere di commettere sciocchezze. Il coraggio non è mai sciocco, ma consapevole che essere umani significa non essere esenti da errori, ma provarci comunque. 
Così ho sbagliato, a credere solo alle parole che sembravano eterne perché scalfite nella pietra, perché il tempo le consuma, anche quelle. Ed ho sbagliato, tutte le volte che mi sono imposta di capire chi avessi di fronte, perché anche a quello ci penserà il tempo. 

Così ho sbagliato, ma poi ho imparato. 
Che non sarò mai quella persona dedita a misurare il tempo, le persone, me stessa.
Che non ho bisogno di riempire il mio tempo, perché il mio tempo è tutto ciò che conta: non vuole che riempia vuoti con vuoti, che sia precisa a centellinare ogni singola goccia, che lo svenda con ciò che non voglio, che non trasmette, che non mi sa di vita.
Che non si può immaginare il mare se non si riesce prima a crearselo dentro.

Me ne dovevo liberare e adesso riesco a sentirlo.
Che con le sue onde batte violentemente contro le pareti di una scogliera, per poi perdersi nell’aria, tornare indietro e ricominciare tutto da capo.
Riesco a sentire il rumore delicato di quelle che sul bagnasciuga riescono a toccare a malapena i piedi che sprofondano nella sabbia umida.
Riesco a sentire il profumo della salsedine.
Il tiepido calore di una giornata di fine estate.
I colori pastello del sole che si nasconde all’orizzonte.
Il mare. Adesso riesco a vederlo.