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mercoledì 17 settembre 2014

Ritrovarsi tra le note di un violino.

L'altro giorno passeggiavo per le strade di Londra in una tiepida giornata di fine estate. Pochi minuti prima avevo avuto una delle conversioni più piacevoli da quando sono sbarcata nella capitale britannica. Una di quelle in cui non temi di pronunciare la parola ispirazione, né di ammettere che i 40 minuti in metropolitana ti hanno regalato minuziosi dettagli per cui sentirsi ispirati, da cui poter trarre cose belle da poter scrivere o semplici riflessioni quotidiane, senza mai sentirmi inadeguata agli occhi del mio interlocutore che mi scrutava quasi come per saperne sempre di più su questa mia bizzarra mania.

Poi, mentre passeggiavo, mi sono imbattuta in un artista di strada che suonava L'Hallelujah con il violino. Mi sono fermata ad osservarlo per pochi minuti. Era in piedi, all'ombra di un albero al centro di una piazzetta circolare. Nessuno, a parte me, era fermo ad ascoltare quella meravigliosa melodia. Le persone gli passavano di fianco con la solita frenesia londinese. Mentre quel giovane uomo era nella sua dimensione, gli altri stavano per iniziare la loro corsa quotidiana verso chi sa quale destinazione. 

Ed è lì che ho riflettuto su quanto talvolta lo stare fermi o il proseguire con i propri mezzi a disposizione ed i propri tempi, anche soli, possa beneficiare più dell'omologarsi a contesti in cui non ci sentiremo mai noi stessi, a corse fatte insieme, ma presumibilmente inappaganti. E' come se mi fossi posta da spettatrice in un angolo di strada, attratta non da quel via vai rumoroso, ma da una persona ferma offuscata da altre, dove il suono del suo violino era fioco perché acuito dal rumore che c'era in strada. Ed ho capito che siamo noi a decidere cosa vedere o ascoltare, nonostante ciò che possa sembrare, i rumori, i silenzi o l'incuranza, se i dettagli o la forma senza alcuna sostanza.

Per un attimo mi sono sentita come quel violinista: ferma a lasciare che quella musica mi entrasse dentro, la sola che avrei voluto ascoltare in quel momento. Ferma mentre tutti gli altri nella loro incuranza mi passavano di fianco correndo alla volta della loro chi sa quale destinazione, perdendo per la loro disattenzione l'occasione di imbattersi in qualcosa di dolce e di soave. Ferma di fronte quell'uomo ho capito che in pochi minuti mi ero ritrovata nella mia dimensione già due volte, che la mia destinazione non ha un indirizzo se non quello che porti il mio nome nella sua più autentica essenza, facendo un passo alla volta, ai miei tempi.

E allora ho capito che non importa dove tu sia e quali siano i tuoi piani: l'importante è circondarsi di cose belle. Quando non riusciremo a trovarle saranno loro a farlo e quando si nasconderanno sta a noi scegliere cosa osservare, su cosa focalizzare la nostra attenzione. 

Prima di andare via ho messo una moneta nel cappello capovolto del violinista. Lui mi ha semplicemente guardato, in segno di ringraziamento. 
C'è chi avrebbe potuto ascoltare i rumori delle automobili e vedere la folla frenetica in strada. 
Per me c'eravamo soltanto noi e la sua musica, fermi, perchè talvolta occorre fermarsi per poter proseguire meglio.

Gli altri non sapranno mai a cosa hanno scelto di rinunciare.

martedì 15 aprile 2014

Per diventare grande.

L'estate è volata mentre ero intenta a riprendere ciò che di me era andato perduto, emozionandomi per ogni raggio di sole che riscaldava la mia pelle. Ed è passato anche l'autunno con le sue foglie ingiallite, mentre cadevo anch'io, come loro, di tanto in tanto in un'insensata nostalgia, lasciandomi abbracciare da una fresca brezza che non avrei mai pensato arrivasse a toccarmi, ed invece l'ha fatto. Ed è alle spalle anche un freddo inverno, in cui aspettavo la neve che non è mai arrivata ad imbiancare i tetti, intenta a riempire d'inchiostro le pagine di un nuovo diario. E poi, d'un tratto, la primavera, con nuovi colori, profumi ed un Sole nuovo.
E mentre le stagioni scorrevano veloci, cambiavano così anche le mie priorità, le mie giornate ed i miei weekends. Mutavano nella mia totale consapevolezza, cambiando una vita che al contempo stava cambiando me stessa, in una apparente passività che conosceva solo moti attivi, perché ero io in fondo a tenerne i fili. Come una giostra che ti fa girare, ma che va a gettone, solo se ce lo metti dentro.

E allora ho lasciato la mia mondanità, gli aperitivi, le feste, le serate in cui esci a prendere una birra che diventava una tequila con sale e limone, o più di una. Ho lasciato uomini incompresi che avevano nell'armadio ancora lo scheletro di qualche ex che riappariva d'un tratto lasciandomi inerme, suscitandomi la sensazione di non essere mai all'altezza. Ho lasciato che le mie orecchie dimenticassero il fastidioso rumore delle parole "non è scattato nulla, ma vorrei che rimassimo amici". Ho lasciato raffreddare le mani, non accettando più di prendere parte al gioco in cui si tiravano patate bollenti che sceglievo di tenere come souvenir da appoggiare sul comodino, dove avevo l'impressione di vincere, ma alla fine perdevo sempre, già in partenza.

Ho lasciato ciò che si addice, in fondo, ad una ragazza della mia età, perchè ho capito di meritare qualcosa di più. Ho cominciato ad apprezzare a svegliarmi presto, perché spesso a Londra capita di avere un cielo terso solo di buon mattino, lasciando spazio a nuvole grigie nel corso della giornata, ed io non volevo perdermelo. Ho cominciato ad amare quelle giornate in cui termino di lavorare alle quattro, perchè ho tutto il pomeriggio per studiare, scrivere, intrattenermi in quattro chiacchiere senza per forza implorare il cuscino. Ho cominciato ad apprezzare quelle poche giornate di Sole, per fare una passeggiata al parco, anche da sola, per sentire il profumo dei miei pensieri che non lascio mai appassire. Ho cominciato a godere di quelle poche uscite che mi concedo, perché la città sembra sempre più bella, sempre diversa. Ho cominciato ad apprezzare quelle serate in casa, sotto il piumone, guardando un film gustando del cibo di una qualche cucina orientale. Ho imparato a condividere uno spazio, un cuscino, un percorso. Ho imparato a fare della mia vita un tavolo da ping pong, dove schizzo come una pallina tra scuola e lavoro, riuscendo ad additare quel poco tempo che mi resta per addentare una fetta di pizza seduta comodamente in poltrona come del tempo libero, comunque. Ho imparato a credere nei miei progetti, anche se ho paura, perché se qualcun altro ci crede, allora devo farlo anch'io. Ho imparato a gestire le distanze, a convivere con la nostalgia. Ho imparato a costruire all'esterno ciò che avevo da sempre pianificato dentro di me. Ho imparato la differenza tra l'essere modesti ed il sottovalutarsi. Ho imparato che nella vita bisogna avere pazienza, che non c'è niente di bello che non sia costato sacrificio. Ho imparato a portare i conti, per essere in grado di pagare a mie spese scuola ed affitto senza mai essere costretta a chiedere aiuto. Ho lasciato che l'ambizione superasse il pregiudizio, mi sono reinventata cameriera e sono ritornata tra i banchi.

Ho lasciato una vita giovane, per catapultarmi senza misure in una vita vecchia, fatta di responsabilità e di doveri. Ma tra la roba vecchia non ci sono libroni impolverati né oggetti antichi che risulteranno dopo un po' solo ingombranti. C'è un diventare grandi ponendosi delle priorità: orecchie che ascoltano solo melodie, mani che si aprono solo a teneri abbracci, occhi che guardano ad un mondo in cui avrò ancora tanto da imparare, in cui grande non ci si sentirà mai abbastanza. Ma almeno mi sento all'altezza e vinco sempre qualcosa d'importante: un pezzo del puzzle, un tassello di vita.