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domenica 19 luglio 2015

Quando torni?

Quel rumore fioco emesso dai tasti della mia tastiera, costante, che talvolta si prendeva delle pause per tornare indietro o proseguire, ad un certo punto si è arrestato. Conto i caratteri, faccio un respiro, guardo fuori dalla finestra: ho finito. È il primo pensiero che la mia mente sia stata in grado di partorire, mentre con gli occhi rossi ed un accenno di sorriso che riuscivo a scrutare attraverso lo schermo del computer, lo chiudevo per non pensarci più. Ancora con il fiatone, come se avessi fatto una corsa nonostante non ci fosse stata in fondo alcuna fretta.

Eppure sentivo dentro di me quel tremolio che mi imponeva di continuare e non perdere nemmeno un minuto prezioso. Ho finito, l’ho fatto di nuovo, e questa volta nemmeno tutto d’un fiato, per questo forse avevo fretta: non avrei di certo disperso i pensieri ma non volevo raffreddarli. Volevo fare tutto quando il fuoco fosse ancora caldo.

Ma questa volta non mi sono seduta ritagliandomi uno spazio dalle pareti rosa senza alcuna scadenza giornaliera. Le pareti erano bianche ed il soffitto più basso, e spesso, pur perdendomi tra le ore che scorrevano, ad un certo punto dovevo fermarmi. Non ho immaginato come potesse andare a finire, né chi metterci dentro che desse forma ai caratteri che seguivano al rumore della tastiera. Sapevo già come doveva andare a finire, le storie le conoscevo già. Ho immaginato, ma prima ho parlato con la gente, le ho conosciute, in parte. Non ho scritto tutto d’un fiato, mi sono presa del tempo. Dopo il lavoro, prima di fare la doccia, spesso in metropolitana. Non avrei avuto il tempo di concedermi quasi completamente come era già accaduto.

Ma ora che le mie dita hanno già scritto di altri, tocca a me rispondere a quella domanda che a questi ho formulato: Quando torni?

Credevo che ciascuno di loro potesse fornirmi degli indizi per provare a mettere insieme, come in una ricongiunzione di punti, quella che poi sarebbe stata la mia. Ma quelle sono le loro vite, le loro risposte. 

Ho puntato l’attenzione sul quando, e ad essere onesta non sono stata in grado di segnare alcuna data sul calendario che ponesse fine alla mia permanenza in una terra che non è la mia, ma a cui ho imparato a concedermi come se lo fosse. Allora ho cerchiato il verbo tornare, quasi come a spremerlo per carpirne l’essenza, credendo ci fosse un significato oggettivo da non lasciare alcun beneficio del dubbio. Ma non l’ho trovato.

Cosí ho pensato che forse non ci sia alcun luogo fisicamente esistente che ci imponga di tornare o anche di restare, se non siamo noi a crearlo. Ed io probabilmente non ho mai concesso alla mia mente di farlo, o almeno non del tutto e non nei modi precostituiti. Perché ho sempre creduto che ci fosse un luogo in cui non esistono orologi né calendari, in cui possiamo creare e disfare senza il bisogno di spostarci, in cui ci si perde, si resta e talvolta si torna. Siamo noi quel luogo in cui è sempre possibile ridisegnare il paesaggio, dare curve diverse ai sentieri, plasmarli così come il cuore ci impone di fare o non fare. Quello in cui a volte ci si perde, o basta restare per tornare. 
Perchè il tornare non implica necessariamente voltarsi all’indietro e dirigere i propri passi verso la direzione di partenza. Riscoprirsi, mettere ordine, reinventare: anche questo può assumere le parvenze di un ritorno, quello che ha come meta non un luogo fisico, ma una condizione, quella di star bene con se stessi, ed un volto, il nostro. 

Allora si può tornare, sempre, ed ovunque ci troviamo.

Perchè a volte tornare non significa per forza abbandonare, ma anche restare. Era a me alla fine che toccava rispondere a quella domanda per chiudere il cerchio, un grande vero e proprio capitolo che ho tentato di racchiudere in tanti. 

Quindi rispondo che non torno, perché in verità sono già tornata. E probabilmente non sarà nemmeno l'ultima volta.

lunedì 2 febbraio 2015

Per essere migliori

Ho sempre creduto che gli obiettivi, di qualsiasi natura si tratti, fossero la parte più importante nella vita di una persona. Perché ti dicono dove vuoi andare e chi sogni di diventare, ma soprattutto chi sei.
Li seguirai, allungando la mano pronta ad afferrare quanto seminato, o talvolta sembrerá come tu stessi afferrando quella che poi si rivelerá la tua solita immagine riflessa in uno stagno.
Ci saranno sempre svariate ragioni che ti porteranno a perderli di vista, ma ne ce ne sará sempre una che ti permetterá di recuperarli, se sono quelli giusti.

Ma credo che il primo obiettivo, al di lá di quanti ne possano esistere nella propria sfera lavorativa e personale, sia cercare di essere una persona migliore. Per nessuno, se non soltanto per se stessi. Quando ci si ama, funziona così: non si é mai troppo pretenziosi nei propri confronti.

Sono forse ancora troppo giovane per comprendere quando avvertiamo che sia giunto il momento in cui si diventa la persona migliore che volevamo diventare. O forse, semplicemente, non si smette mai di imparare e di essere migliori di quanto lo si fosse il mese precedente.
Lo si puó essere anche sbagliando. Anzi, talvolta i nostri sbagli si riveleranno la nostra parte migliore. In tal caso, non é detto che lo sia stato.

A volte idolatreremo un modello da seguire e sará quello per tutta la vita. Altre volte ne cambieremo tanti, assorbendo tutto quello che c'é di positivo da assorbire. Altre ancora non ne avremo, e allora ce ne costruiremo uno da soli. 
Ancora molto spesso capita, forse, di fare il percorso inverso: scovare un modello pessimo ai nostri occhi e cercare di distanziarcene quanto più possibile. Se il nostro modello avrebbe scelto il bianco, noi opteremo per il nero, sempre, in ogni caso.

Ed é qui che forse perdiamo di vista il nostro obiettivo. Non é la nostra una corsa a far del bene per dimostrare di essere diversi, ma un percorso lungo ed impervio, in cui non si corre né ci é dovuto dimostrare alcunché, ove l'unica prerogativa deve essere sempre la stessa: non bisogna aver paura di essere felici.

É il solo modo che conosco per vivere la propria vita, e non quella di qualcun altro.

Ammetto di essermi persa tante volte. A volte lo facevo di proposito, per quella voglia matta che susseguiva di sentirmi tutta intera. Altre, invece, l'ho fatto ed é stato proprio nel perdermi che ho ritrovato me stessa. Ma ancora più spesso in quella me stessa non ho avuto il coraggio di restare, trovando come alibi il fatto che nessuno in fondo me l'avesse chiesto, né che sarebbe stato con me.

Ma questo forse é lo sbaglio piú grande di cui possa macchiarsi un essere umano: rendere i propri obiettivi funzionali ad altre persone. Questi non dovranno mai congiungersi, altrimenti si riveleranno inevitabilmente deludenti. Dovremmo guardarci allo specchio e decidere chi essere ed esserlo poi per davvero, indipendentemente da ció che gli altri si aspettino.

Perché chi ti vuole davvero ti prende subito, non permette che tu possa diventare di qualcun altro.
Tutto il resto é un'orribile scusa, che non potremmo nemmeno perder del tempo ad ascoltare.
Ma tu non prenderti la briga di insegnare loro com'é se si fa per vivere la propria vita distruggendo i loro cattivi ideali. 
Si dice che chi sa fa, chi non sa insegna. Allora, comincialo a fare, solo per te stesso.




giovedì 29 gennaio 2015

Dove ognuno resta lí, perché é lí che scegliamo di farli stare

L'altro giorno sono entrata in una libreria. Era da tanto che non ci mettevo piede. Troppo impegnata a fare dell'altro, così da aver ridotto all'osso uno dei miei principali piaceri.
Ho comprato cinque libri. Tutti diversi. Nessuno me li aveva consigliati, ho creduto soltanto, con un pizzico di presunzione, forse, di essere capace di selezionarne i migliori anche da sola.

Era da tanto che non annusavo il profumo della carta. Quello che ti sale sin dentro le narici facendoti sentire una persona appagata. 

Ogni volta che apro la prima pagina di un libro qualunque che abbia scelto di cominciare, é come se, insieme a quei personaggi, stessi iniziando qualcosa anche io, sebbene resti ferma a sfogliarne le pagine tra il rumore della gente,   in un vagone della metropolitana o su di un autobus, magari accanto al finestrino, con lo sguardo rivolto altrove. Ed é forse per questo che ne ho comprati cinque. Per averne abbastanza. Per potermici catapultare dentro come fossi una delle protagoniste. Per poter essere partecipe di ogni vicenda che non fosse la mia, saggiare ogni tenero aforisma che diventa, inevitabilmente, la storia della mia vita, come se un libro sia in grado di dirmi esattamente quello che ho bisogno di sentire. O almeno, é quello che mi piace pensare.

Pian piano mi innamoro dei personaggi. Mi piacciono, alcuni. Altri meno. Non provo alcuna forma di indifferenza per nessuno di loro: se l'autore li ha messi lí, é proprio lí che devono stare. Come se ciascuno, seppure in maniera marginale, fosse funzionale per la vita dell'altro. Non mi sento ostacolata da nessun giudizio avventato, piuttosto dalla voglia di scoprire come andrá a finire. E tutto sommato mi piaceranno tutti. A loro modo, diventerá un unico prodotto su cui esprimere un giudizio personale, ma mai assoluto.

Ed é proprio mentre leggo che ogni tanto mi assale la paura. Quella che si prova, forse, quando si diventa adulti: quella di non essere in grado di amare più in senso assoluto. 
Perché da grandi impariamo a tessere su tela tutti gli sbagli ed i difetti. A farci carico di giudizi altrui, soltanto per la smania di piacere. Viviamo nel lungo termine. Dissacriamo l'infinito. Distruggiamo gli attimi. Ogni occasione diventerá non un motivo per rimetterci in gioco, ma un subdolo gioco che la vita ci piazza davanti per scombinarci i programmi. 

Sembreranno tutti meno intelligenti. Tutti che daranno qualcosa di sé per riceverne altrettanto in cambio. Sará una danza muta, in cui se é vero che ad ogni causa corrisponda un effetto, ci tratterremo su un filo di spago da cui sia proibito scendere perché si avrá paura delle conseguenze.

A volte ho paura che quando diventiamo adulti scegliamo di vivere con maggiori consapevolezze e che queste, a loro volta, ci rivelino una realtá spietata. Non quella che evitavamo di vedere prima, ma quella in cui mancavamo degli strumenti giusti per poterla comprendere. 
Ed é per questo che ogni tanto, leggendo, apprezzo il piacere di riapprodare lí, immaginando come vorrei che invece fosse.

Lí, dove ci innamoriamo dei personaggi nonostante i loro difetti. Dove non tesseremo su tela soltanto gli sbagli, ma anche le nostre vittorie. Dove ognuno resta lí, perché é lí che noi scegliamo di farli stare.