Quel rumore fioco emesso dai tasti della mia tastiera, costante, che talvolta si prendeva delle pause per tornare indietro o proseguire, ad un certo punto si è arrestato. Conto i caratteri, faccio un respiro, guardo fuori dalla finestra: ho finito. È il primo pensiero che la mia mente sia stata in grado di partorire, mentre con gli occhi rossi ed un accenno di sorriso che riuscivo a scrutare attraverso lo schermo del computer, lo chiudevo per non pensarci più. Ancora con il fiatone, come se avessi fatto una corsa nonostante non ci fosse stata in fondo alcuna fretta.
Eppure sentivo dentro di me quel tremolio che mi imponeva di continuare e non perdere nemmeno un minuto prezioso. Ho finito, l’ho fatto di nuovo, e questa volta nemmeno tutto d’un fiato, per questo forse avevo fretta: non avrei di certo disperso i pensieri ma non volevo raffreddarli. Volevo fare tutto quando il fuoco fosse ancora caldo.
Ma questa volta non mi sono seduta ritagliandomi uno spazio dalle pareti rosa senza alcuna scadenza giornaliera. Le pareti erano bianche ed il soffitto più basso, e spesso, pur perdendomi tra le ore che scorrevano, ad un certo punto dovevo fermarmi. Non ho immaginato come potesse andare a finire, né chi metterci dentro che desse forma ai caratteri che seguivano al rumore della tastiera. Sapevo già come doveva andare a finire, le storie le conoscevo già. Ho immaginato, ma prima ho parlato con la gente, le ho conosciute, in parte. Non ho scritto tutto d’un fiato, mi sono presa del tempo. Dopo il lavoro, prima di fare la doccia, spesso in metropolitana. Non avrei avuto il tempo di concedermi quasi completamente come era già accaduto.
Ma ora che le mie dita hanno già scritto di altri, tocca a me rispondere a quella domanda che a questi ho formulato: Quando torni?
Credevo che ciascuno di loro potesse fornirmi degli indizi per provare a mettere insieme, come in una ricongiunzione di punti, quella che poi sarebbe stata la mia. Ma quelle sono le loro vite, le loro risposte.
Ho puntato l’attenzione sul quando, e ad essere onesta non sono stata in grado di segnare alcuna data sul calendario che ponesse fine alla mia permanenza in una terra che non è la mia, ma a cui ho imparato a concedermi come se lo fosse. Allora ho cerchiato il verbo tornare, quasi come a spremerlo per carpirne l’essenza, credendo ci fosse un significato oggettivo da non lasciare alcun beneficio del dubbio. Ma non l’ho trovato.
Cosí ho pensato che forse non ci sia alcun luogo fisicamente esistente che ci imponga di tornare o anche di restare, se non siamo noi a crearlo. Ed io probabilmente non ho mai concesso alla mia mente di farlo, o almeno non del tutto e non nei modi precostituiti. Perché ho sempre creduto che ci fosse un luogo in cui non esistono orologi né calendari, in cui possiamo creare e disfare senza il bisogno di spostarci, in cui ci si perde, si resta e talvolta si torna. Siamo noi quel luogo in cui è sempre possibile ridisegnare il paesaggio, dare curve diverse ai sentieri, plasmarli così come il cuore ci impone di fare o non fare. Quello in cui a volte ci si perde, o basta restare per tornare.
Perchè il tornare non implica necessariamente voltarsi all’indietro e dirigere i propri passi verso la direzione di partenza. Riscoprirsi, mettere ordine, reinventare: anche questo può assumere le parvenze di un ritorno, quello che ha come meta non un luogo fisico, ma una condizione, quella di star bene con se stessi, ed un volto, il nostro.
Allora si può tornare, sempre, ed ovunque ci troviamo.
Perchè a volte tornare non significa per forza abbandonare, ma anche restare. Era a me alla fine che toccava rispondere a quella domanda per chiudere il cerchio, un grande vero e proprio capitolo che ho tentato di racchiudere in tanti.
Mamma in oriente ha segnalato il tuo post e mi ha colpito subito, lo trovo molto profondo e molto vero!
RispondiEliminaProprio in questo momento della mia vita anch'io penso spesso che vorrei tornare a casa ma la mia casa interiore, quella dove sono centrata, dove mi sento bene, a tratti felice e che non necessariamente si trova a due giorni di volo ma solo nel benessere interiore come dici tu. Se lo si e' provato allora e' vero che casa e' la' e bisogna solo ritrovarla.
Mi fa piacere che tu ti sia ritrovata. E' proprio come dici tu: sì può essere a casa ovunque nel mondo se si sta bene con il proprio io interiore.
RispondiEliminaSono curiosissima di saperne di più sul tuo lavoro compiuto che immagino sia un libro...
Ciao, ti ringrazio per il tempo che dedichi alla lettura del mio blog e naturalmente per le tue segnalazioni. Spero di poterti dare presto qualche notizia in più sul progetto su cui sto lavorando.
RispondiEliminaIntanto, complimenti per quello che fai, perché grazie il tuo "spazio virtuale" sto venendo a conoscenza di innumerevoli blog interessanti, anche se la tua classifica del lunedí oramai la aspetto come le rose nel mese di maggio :)
Ti abbraccio,
A.
Grazie! Fa piacere che il mio lavoro sia apprezzato!
EliminaAspetto notizie allora sul tuo progetto.
e' stato molto strano per me imbattermi in questo post! Proprio ieri scrivevo qualcosa a questo riguardo, qualcosa che come spesso accade e' rimasto nelle bozze perche' forse sentivo troppo intimo e troppo mio! Sto vivendo un periodo di conflitti interiori, inutili aggiungerei, perche' una parte di me si dice felice dove vivo adesso e un'altra vorrebbe tornare in quel posto chiamato "casa".
RispondiEliminaMi ha fatto piacere scoprirti...sempre bello avere nuovi spunti di riflessione!
Grazie! :)
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