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mercoledì 11 giugno 2014

Un giorno, così, senza preavviso.

Mentre tutti gli altri genitori portavano i loro figli al parco giochi, quando avevo cinque anni i miei mi portavano in parecchi ospedali. Ne ho visitati tanti, anche fuori regione. Ma nessun specialista ha alleviato la preoccupazione dei miei genitori, non venendo mai a capo di un referto concreto. Rigurgitavo tutto ciò che ingerivo, per più di un anno, ogni singolo giorno, non ricordo per quanto l'abbia fatto.
Mia madre e mia nonna pregavano tutti i giorni, ed io mi sentivo in colpa, già a cinque anni, delle loro sofferenze. Così tentavo strade alternative. Inventavo per esempio che la causa fosse il televisore posizionato nell'angolo della stanza. Era nero e durante la notte immaginavo fosse un mostro. Loro lo rimossero, ma ovviamente io continuavo a vomitare. Allora dissi che avevo cominciato da quando avevo visto Casper. Mi comprarono tante video cassette, di ogni singolo cartone animato esistente, che avesse una trama felice, così da dimenticare quel fantasmino che in fondo mi era simpatico, ma non potevo dirlo. Nemmeno quest'espediente diede l'esito sperato. Capendo che additare cause poco veritiere non avrebbe portato a nulla, tentai da sola di farmi passare questo "qualcosa", ignaro persino a me stessa. 
Dopo aver cenato, prima di addormentarmi, se mia madre era intenta a lavare i piatti in cucina, tentavo di associare ad ogni rumore di stoviglie un suono, così da immaginare una melodia che mi avrebbe cullata come una dolce ninna nanna. Nemmeno quest'esperimento ebbe successo. "Antonia, mi raccomando, non vomitare anche questo!" Più me lo ripetevano, e più puntualmente riaccadeva. Più sentivo quella retorica raccomandazione, più mi sentivo in colpa, perché sapevo che avrei disubbidito, pur contrariamente alla mia volontà, tanto che talvolta rassicuravo mia madre dicendole: "mamma, tranquilla, stasera non lo faccio", oppure, di fronte l'evidenza: "mamma, però sto guarendo, ho vomitato solo un poco".

Poi un bel giorno mi è passato. Così, senza preavviso. Non ricordo quel giorno, ma mi piace pensare che sia stato un giorno bellissimo, di quelli di sole pieno, all'inizio della primavera, magari domenica, l'unica giornata in cui ci si riposa ed i tuoi ti infilano in macchina per portarti al parco giochi. Quel giorno in cui forse ho inconsciamente capito che, nonostante avessimo cambiato casa, l'amore dei miei genitori non mi avrebbe mai lasciata sola, ovunque fossimo andati. Anche se prima vivevo nell'appartamento sopra quello dei miei nonni che mi hanno cresciuta e viziata come si fa con ogni primo nipote, loro ci sarebbero sempre stati, anche dopo la morte. 

E questo è stato a grandi linee lo schema che ho seguito per tutta la vita. Mi ammalo di qualcosa e mi sento in colpa verso me stessa, che sia innamoramento, insoddisfazione, delusione, solitudine. E mi invento scuse, che irrimediabilmente mi daranno torto. Allora cerco il modo per curarmi. Le provo tutte, dal lasciarmi condizionare dall'oroscopo alla meditazione alla vita sfrenata per non pensare. Ma basta poco per ricaderci. Faccio finta di far tesoro delle raccomandazioni, ma riesco a disubbidire con un'innata maestria. 
Poi un giorno mi sveglio, e tutto sembra un lontano ricordo che nemmeno mi sfiora. Così, senza preavviso, proprio quando ho smesso di cercare medicine, leggendone perfino il foglietto illustrativo. Ed il cielo mi sembra più blu, il sole più caldo, il lunedì mi sembra una domenica, ogni luogo un parco ricreativo. E' quel giorno in cui scopri che sei abbastanza grande da capire che non servono certezze ogni giorno, l'amore lo è già di per sé, e te lo fai bastare. Quello verso te stessa. Quello che ti concede ogni meraviglia.

lunedì 24 marzo 2014

Imparare da quando si era bambini.

Ogni tanto ho un'insolita paura: quella di non essere, un domani, in nessun vecchio album di fotografie, da sfogliare di domenica pomeriggio, quando fuori piove e si diventa nostalgici.
Quella, in fondo, di non essere nei ricordi di nessuno, nonostante io ne abbia parecchi.
Quando ero piccola, per esempio, non ricordo di essere mai stata seduta sulle ginocchia di mio nonno paterno, ma sempre di fronte. Ero la prima nipote, quella grande, ed è per questo che forse mi ha sempre trattata da adulta. Lo faceva con le sue domande su quali fossero le mie prospettive di vita, seduti al tavolo, uno di fronte all'altro, come il maestro e la sua allieva. Come quando mi chiedeva cosa volessi fare da grande. Al contrario di molti bambini, non ho mai sognato di fare l'astronauta. Volevo fare la scrittrice. Ma nonostante la mia giovane età, mi ponevo anche alternative nel caso in cui non ci fossi riuscita: la scultrice o la pittrice. In poche parole, avrei voluto essere un'artista. Mio nonno mi trattava da adulta, nelle domande, quanto nelle risposte. E allora mi fece presente che non avrei avuto bisogno di una rigida istruzione per fare tutto questo. Ed è per questo che forse ho represso tutto d'un tratto i miei desideri: perchè sin da piccola ho creduto che una buona educazione fosse la base per poter condurre una vita fatta di successi. Nessuno mi disse che avrei potuto fare entrambe le cose, l'ho capito strada facendo, quando sono diventata grande sul serio.
Appena ho imparato a leggere e scrivere, mi dilettavo nella scrittura di pensierini, su piccoli fogli di carta, che accartocciavo con cura e riponevo dietro la statua della Madonna, che mia nonna aveva sul mobile della cucina durante il mese di maggio. "Lei ti ascolta", mi diceva nonna, e allora ogni tanto le scrivevo, un po' come quando si scriveva a Babbo Natale, o come quando si credeva nella fatina dei denti. Un giorno però non ero a casa dei miei nonni, ed in casa non c'era nessuna statua cui potessi affidarmi, e allora dato che nonna mi aveva detto che "la Madonna ci ascolta sempre, ovunque noi siamo", ho incominciato a fare una preghiera, stringendo le mie manine più forte che potevo. La mia generazione è nata nei tempi in cui alle elementari esisteva una sezione, che comprendeva due classi, due diversi moduli. Io ero nella sezione F, modulo G. Ma per qualche strana ragione, le insegnanti avevano deciso di spostarmi nell'altra classe, nel timoroso modulo E. Io non ci volevo stare. Volevo i miei compagni. E allora chiesi alla Madonna di far tornare tutto come era prima. Il giorno seguente, appena entrò la maestra, mi disse di tornare nell'altra classe. Ricordo che in quel momento capii che i tuoi desideri diventano realtà, solo se realmente ci credi con tutto te stesso. Se lo fai, stringendo forte le mani sino a farle sudare, qualcuno ti ascolterà.
All'età di otto anni cominciai a scrivere il mio primo libro: Polvere di Stelle. Presi un vecchio diario, di quelli che si chiudevano con il lucchetto, e lo riempii scrivendo a mano almeno una ventina di racconti frutto della mia fantasia. Ognuno era intervallato da giochi o quiz che avrebbero intrattenuto il mio lettore immaginario. Quando mia sorella lo ebbe tra le mani, lo distrusse con una serie di scarabocchi. Anch'io ero piccola e ci rimasi molto male, ma pensai che avrei potuto un giorno scriverne un altro, e che quello era in fondo soltanto una bozza.

E' vero forse che il nostro presente è, in fondo, un tempo assurdo, in cui viene chiesto di mantenere l'ingenuità e la freschezza dei bambini, anche se non lo si è più, ed alimentare quella saggezza che cresce solo in età avanzata. Oppure possiamo fare una cosa più semplice, restando nel nostro presente: imparare da noi stessi, ricordare quello che si era quando ancora ci chiamavano bambini. E oggi capisco di aver imparato dai miei nonni le cose più importanti, quei pilastri che pur sgretolandosi man mano che l'età avanzava, con il tempo si sono ricostituiti:

  • la fantasia non è solo una prerogativa dell'infanzia, ma può accompagnarci per tutta la vita. A nulla serve reprimere passioni o desideri, perchè il destino avrà già scelto per noi, e quello che ci viene chiesto di fare è solo di assecondarlo.
  • Non bisogna mai smettere di credere in qualcosa. Possiamo chiamarlo Dio, fato, karma, o semplicemente qualcosa di superiore, in cui confluiscono forze positive, che ci permettono di credere che c'è sempre una via d'uscita, che la felicità non appartiene solo ai protagonisti di un film o ai personaggi di un libro di fiabe, ma è una cosa meravigliosa che può toccarci se non smettiamo mai di crederci, se mettiamo un tassello ogni giorno, se stringiamo forte le mani, quanto i denti, e andiamo dritti per quella strada che il nostro cuore avrà scelto di percorrere.
  • Che c'è sempre una seconda possibilità, ma anche una terza, una quarta, una quinta, cento, mille. La vita stupisce, ma anche noi possiamo stupirla. Lei, che ogni giorno ci abbatte e ci rialza, in un ciclo continuo di scommesse, sconfitte, e vittorie.
E tutto è già ricordo appena un istante dopo averlo vissuto. Ma i ricordi insegnano. Tutti.