Ho pensato che il mondo dovrebbe sempre apparirci come quando mettiamo le cuffie nelle orecchie e ascoltiamo la nostra canzone preferita ad alto volume intonandola a squarciagola, nella nostra stanza, o per strada, incuranti dei passanti che ci guardano sbigottiti ma in fondo invidiosi della libertà di esprimerci nella nostra totale follia. Ho pensato che potremmo salire su di una panchina e gridare "Perché mi guardate così? Siete forse più comodi nelle gabbie costruite nelle vostre menti o forse più infelici?"
Ho pensato che le cose giuste si conformano a doveri, spesso morali, ma troppo poco spesso ad una felice appagatezza.
Ho pensato a quanto in fondo desideriamo tutti la stessa cosa, stare bene, nonostante spesso facciamo prevalere un cervello che ci guida dalla parte opposta.
Ho pensato a quanto sia complicato vivere il presente se già pensiamo al futuro, se ancora il passato ci annebbia, facendoci stupidamente cullare da un passato che non può tornare e da un futuro che non potrà esserci se non curiamo il presente.
Ho pensato alle mie paure, anche se oggi ne ho superata una: ho superato un camion in autostrada.
Ho pensato che ogni donna dovrebbe sperare di nascere un'oca giuliva, avendo come uniche preoccupazioni che vestito indossare, quando andare dall'estetista per ritoccarsi le unghie, quanto facciano male le scarpe alte.
Ho pensato al tempo che inevitabilmente consuma, ma intanto costruisce, anche se saremo legati solo al primo pensiero e mai al secondo, perché è più facile ricordare i momenti spiacevoli, meno quelli allegri.
Ho pensato alla mia costante idea di evasione, nonostante in fondo desideri che qualcuno mi prenda per mano e mi dica "resta", così che forse resterei.
Ho pensato a quanto ci si leghi ad idee che diventano convinzioni al punto da trasformarsi in caverne, buie e fredde, in cui ci rifugiamo senza che nessuno entri, perdendoci in fondo la meraviglia dei dettagli, la bellezza delle cose semplici e piccole, lasciando per strada pezzi di vita che avremmo invece potuto cucire come toppe, raccogliendoli come minuscole briciole, perché desideriamo cose grandi trascurando le piccole quando invece è dalle piccole che bisognerebbe cominciare.
Ho pensato che in ogni fine si nasconde un inizio, anche se non riusciremo a capirlo sin da subito perché troppo poco lucidi e grintosi per pensare che si possa sempre ricominciare perché in fondo il senso della vita è proprio questo.
Ho pensato a quanto sia complicato il mestiere di genitore, anche se a volte sono i figli ad impartire lezioni di maturità standone in silenzio anche se vorrebbero urlare.
Ho pensato a quanto in fondo scrivere mi liberi. A quelle persone che mi dicono che in ciò che scrivo si riconoscono. Ho pensato a quanti pensieri riesca a raccogliere. Ho pensato che riuscirli a dire piuttosto che scrivere davanti ad una tazza di caffé sia un autentico miracolo, piuttosto che limitarsi a futili chiacchiere da cortile che non ti lasciano nulla, se non la bocca più amara.
Ho pensato che talvolta mi riempio la bocca di belle parole, pur desiderando sentirle dagli altri, anche se forse dare sollievo mi ha sempre più appagato del riceverlo.
Ho pensato ai cambiamenti di rotta, ai contorni che si ridisegnano, a colorare la mia vita delle tinte più accese, sperando di trovare qualcuno per strada, che senza necessarie etichette, ruoli o esigenza di definizioni che spesso tolgono più che aggiungere, mi dica "Colora anche la mia"!
Nessun commento:
Posta un commento