giovedì 21 marzo 2013

Un anno in più.

Sono trascorse quattro stagioni, è di nuovo primavera, ho ancora una volta un anno in più, un numero in più da aggiungere. Un anno in cui ho avvertito presenze piene, qualche volta incostanti, altre che si sono man mano svuotate divenendo ineccepibili mancanze. Un anno in cui mi sono rimessa in gioco, come un giocatore di poker inesperto, riscuotendo talvolta la fortuna del principiante, altre pagando invece la mia inesperienza. Un anno di avventure, di valigie, di ricordi, di emozioni autentiche, di legami di cui ho appurato la triste fugacità. L'anno di un tempo che mi ha concesso, ma che mi ha anche tolto. L'anno delle parole e dei gesti, delle lacrime che dicevano addio pur sperando in un arrivederci, delle grasse risate che pronunciavano grazie, degli sguardi che volevano dire ci sono, delle spalle che una volta girate mi dicevano sto andando via.
L'anno dei sacrifici, della forza di volontà, della maturità nell'accettare che bisogna lasciare le persone libere di scegliere per coglierne la reale natura che si riscontra nelle scelte ed in ogni minuzioso dettaglio, dell'impotenza nel comprendere che tutti arrivano ma pochi restano, e che bisogna lasciare che le cose prendano il loro corso naturale per evitare di svegliarci un giorno con poche briciole inconsistenti nelle tasche di una vita che sembrerebbe poi non così piena. L'anno del risveglio delle passioni, dell'apertura dei cassetti in cui avevo riposto i miei sogni, dell'esigenza di avvertire calore come quello che filtra attraverso le piume di una rondine, bistrattando tutto ciò che non è in grado di darmene. 
Un anno in cui ho rinsaldato legami, coltivato quelli già esistenti, in cui ognuno mi è stato accanto, ciascuno a suo modo. Un anno in fondo pieno di scoperte, nonostante ancora nessuna prenda il nome di certezza. 
Un anno pieno di castelli di sabbia e di bolle di sapone, in cui ho cercato di godere comunque del Sole che tramontava all'orizzonte, abbassandosi mano mano nelle acque cristalline di un mare calmo, in cui ho tentato comunque di alzare gli occhi, lasciando perdere il mio sguardo verso ciò che avrebbe potuto nascondersi dietro le nuvole mentre le bolle scoppiavano una ad una senza riuscire a fermarle. 
Un anno in cui c'è stato tutto quello di cui avevo bisogno, o di cui a ventiquattro anni avrei potuto farne a meno. Un anno di A di amicizia, ma non di amore, nemmeno a pagarlo, nemmeno illusorio. 
Ma forse non importa ciò che c'è stato, ciò che non è accaduto, ciò che avrei voluto ci fosse, ciò che avrei desiderato tanto evitare. Conta che un altro anno c'è stato. Un po' l'ho riempito io, in parte ho lasciato che fosse, ma nessuno l'ha mai riempito al mio posto. Un anno di me, di me diversa, di un più che ho seminato per coglierlo col tempo, in attesa che giungesse di nuovo la primavera.

domenica 17 marzo 2013

Un universo di funamboli

Mentre casa mia veniva messa a soqquadro senza che facessi nulla per impedirlo, nelle case degli altri sono sempre dovuta entrare in punta di piedi, talvolta travestendomi addirittura da funambola. Il mio desiderio di occupare uno spazio che non mi vedesse con i piedi a mezz'aria, ha dovuto sempre fare i conti con l'esigenza, o forse il dovere, di diventare un'acrobata, ma quest'ultimo non ha mai vinto nonostante gli sforzi. Nonostante in equilibrio su di un filo non ci sapessi stare, tutti hanno sempre preteso che lo facessi ed io ho cercato di accontentarli pur di restare in uno spazio che appartenesse a qualcun altro, anche se paradossalmente non lo occupavo mai. Ho provato ad imparare nonostante abbia messo sempre tutti a sedere nelle prime file e quando cadevo ci riprovavo nonostante sentissi di non avere abbastanza forza nelle gambe, nonostante l'imbarazzo nel sentirmi schernita da un pubblico di funamboli di professione. 
Ho cercato di spiegare che il funambolismo non fa per me, ma sono stata sempre rimproverata e cacciata perché nessuno mi ha mai creduta, "Tutti ci sanno stare", mi dicevano, "perché non dovresti farlo anche tu?"
Mi sono convinta che avessi io qualcosa che non andasse, pensavo di non avere abbastanza forza nelle braccia e nelle gambe, né sufficiente concentrazione che me lo permettesse. Ho tentato di fare pratica, ma inevitabilmente cadevo e nel rialzarmi non desideravo mai di risalire sul filo, ma di strisciare sporcandomi di tutto ciò che ci fosse sul pavimento, mantenendo gli occhi aperti nonostante vi entrasse la polvere. 
Ma la verità è che ci vedo così tanta poca naturalezza e spontaneità, così poca umanità in questa pratica per me a tratti perversa, che non posso rivedermici. Non ho mai voluto che qualcuno dovesse alzare lo sguardo per vedermi in perfetto equilibrio, né io ho voluto mai realmente abbassarlo nonostante il suo sguardo tra la folla non riuscissi sempre ad incrociarlo. Non l'ho mai voluto eppure è accaduto, nonostante non ne ricorda il motivo ed il perché non abbia scelto una strada diversa prima di posizionarmi con i piedi a mezz'aria. 
Si innesca un meccanismo perverso nella mentalità di un funambolo: sta lì facendosi forza nelle gambe cercando di rimanere in equilibrio su di un filo, attento ad attraversarlo tutto per più di una volta, non occupando alcun volume, accaparrandosi gli sguardi della folla seduta sugli spalti che lo fissa dal basso, acclamandolo come grande artista. Ma io vorrei alzarmi tra la folla ed invece di acclamare chi paventa quest'arte che sembra contraddire i limiti umani, spezzare quel filo e vederlo scaraventato sul suolo. Vorrei vederlo strisciare o alzarsi mantenendosi in equilibrio con i piedi sul pavimento e nel constatare la sua mancata propensione dirgli: questa è la vera natura dell'essere umano, perché non dovresti farlo anche tu?

giovedì 14 marzo 2013

Fino ad innamorarci.

Facciamo come quelli che guardano attraverso il finestrino di un treno in corsa, potendone a mala pena ammirare la bellezza dei paesaggi, indicandoli con un dito attraverso i vetri sporchi del vagone, quel dito che abbasseremo quando man mano il nostro sguardo sarà lontano da quell'immagine, venendo irreprensibilmente catapultato su quella matassa di mattoni posti in malo modo l'uno sull'altro, senza forma, né odore, né voce, perché è esattamente lì che ogni volta ci fermiamo, in stazioni desolate che non offrono ampio spazio all'immaginazione. Saremo uno fra i tanti passeggeri, non gli unici, mai i primi ad accomodarsi, solo qualche volta gli ultimi a scendere. Parleremo con chiunque scelga di sedersi di fianco o probabilmente con nessuno, mentre la nostra mente potrà essere trasportata sull'onda dell' inconscia quanto irrealizzabile fantasia di voler far spuntare freschi germogli tra mattoni di una stazione ove nessuno passerebbe, nemmeno per caso, ad innaffiarli. Lasceremo che la nostra fervida immaginazione ci conduca all'ombra di un cipresso, in una tiepida giornata di primavera, ritagliando per noi due uno spazio che abbia l'odore del caffè o della spremuta di un'aranciata fresca e come voce il cinguettio degli uccelli, non privandoci di volare, ma nemmeno di sostare e dire ciò che siamo, così su due piedi, invece di invidiare chi per strada si tiene per mano, significando che ciò che si dovevano dire, per poi passeggiare in quel modo così vicini, già l'hanno pronunciato, in un tempo prossimo o remoto, quel tempo che noi non riusciamo mai a catturare, perché non sembra mai il momento, perché il nostro treno è pronto a ripartire. La fantasia sembra essere l'unico spazio in cui il vento non ci scompiglia i capelli nascondendoci il viso, in cui il tempo non ci è avverso ma nostro fedele alleato, in cui non serve zuccherare il caffè o temporeggiare con la cannuccia immersa nella spremuta, in cui il silenzio non innalza mura incomprensibili ma unisce in parole che non vanno necessariamente scandite una ad una, in cui l'unica premura è l'incrocio di sguardi senza mai abbassarli per timore di scoprirsi troppo, in cui possiamo rimuovere l'immagine di innamorati che passeggiano come a ricordarci quanto siamo infelici nel nostro essere bugiardi.

Ma cosa succederebbe se mancasse quella fantasia a tratti armoniosa, sotto altri aspetti perversa, ma fingessimo di ritrovarci in essa ricreando tutto senza tralasciare alcun dettaglio?
Come se il tempo non fosse una priorità, non un alibi alle nostre menzogne, come se le nuvole avessero già la nostra forma, gli uccelli la nostra voce, l'aria il nostro profumo, parleremo fino ad innamorarci, forse. 
Ma nella nostra vulnerabilità ogni cosa sembrerà renderci schiavi. Anche la fantasia.

La borsa: il contenuto dell'anima.

Una volta qualcuno ha detto che gli occhi sono lo specchio dell'anima. 
Ma senza paventare la presunzione di essere un giorno definita quel Qualcuno che abbia inteso modernizzare questo detto antichissimo, credo che almeno il contenuto di un' anima femminile lo si possa scorgere semplicemente guardando in una borsa. Almeno per me è esattamente così. E' incredibile quanta gente tema di guardarsi dentro, mentre invece io ho più paura di guardare dentro la mia borsa che dentro di me, quasi come se in effetti non trapelasse alcuna differenza evidente, ma come se le due cose si compenetrassero divenendo l'una la metafora dell'altra.
Perchè in effetti ho così tante borse nell'armadio, di qualsiasi dimensione, forma e colore, ma utilizzo ordinariamente sempre la stessa perchè l'unica più capiente, l'unica in grado di reggere il peso, l'unica di cui non senta mai l'esigenza di riordinarne il contenuto sebbene sarebbe opportuno. 
La mia borsa è veramente un disastro. Spesso dimentico di gettare le buste di tabacco oramai finite, lasciandole nella tasca laterale, in cui si nasconde quella appena comprata che inevitabilmente non riesco mai a trovare. Ad uno dei due lati casca sempre il borsellino, su cui si poggiano un libro, un'agenda, una penna che ovviamente non scrive ma non so perché dimentico sempre di gettarla via. Se sono fortunata mi capita di pescare anche vecchi biglietti del treno, nonostante non lo prenda da mesi, la cartina della metropolitana di Londra che sembra voglia farsi pescare proprio per far rivivere i ricordi che in certi momenti vorrei opacizzare ed ammutolire, addirittura biglietti dell'aereo, pacchetti di fazzolettini sparsi qua e là che penso sempre di non avere dietro quando qualcuno cortesemente me li richiede. 
In effetti c'è tanto disordine, la necessità di ordinare, ma la noia al solo pensiero. C'è tanto passato che spesso nasconde il presente, lasciando al futuro uno spazio irrisorio, quasi inesistente. C'è tutto, ma spesso manca l'essenziale, perchè in effetti spesso dimentico il cellulare e le chiavi di casa sulla scrivania portandomi dietro ciò che non serve e che pesa, come un libro, un'agenda, una penna che però non scrive.  
E allora, avvalorando questa mia modernizzazione, potrei dire che la mia anima pesa, è ingombrante, come se ci fosse tutto ma niente che sappia di necessario, disordinata, immersa in un passato faticando a godere il presente ed angosciata al pensiero del futuro. Un po' come quando in preda alla confusione dei pensieri, lascio loro il tempo necessario per dispiegarsi, di trovare da sé il giusto ordine senza esserne l'autrice. 
Ma la verità è che in questo disordine io ritrovo quella che sono. Non temo di svuotare la borsa, non temo di guardare avanti, temo soltanto che nella schematizzazione e nell'ordine artificiale e non naturale degli eventi io non riesca più a trovare me stessa ed i miei reali voleri. 
La mia paura più grande è quella di guardare così oltre da disperdere i miei ricordi in un'aria rarefatta senza mai più sentirli, senza che non riescano mai più a strapparmi un sorriso nel loro riviverli, pescando tra l'accozzaglia una cartina della metro di Londra, un biglietto aereo, una penna che non scrive che non tolgo perchè me l'hanno regalata e se non me la portassi dietro avrei paura di perderla. 
Ho paura di perdere i ricordi, ma non di accostarli al presente e ad un ignoto futuro, per questo li porto dietro, come se in un'apparente inutilità si nascondesse l'essenzialità, la mia.

lunedì 11 marzo 2013

E mentre mi affannavo, scoprivo ...

E mentre mi affannavo nella ricerca di una strada di cui mi imponevo la precisa definizione nonché la percorrenza, come se volessi scrivere pagine di concetti matematici esatti e dimostrabili pronti per la rilegatura, ho scoperto una scorciatoia, un sentiero impreciso ma immacolato, non una strada larga, ma un viottolo celato tra le siepi, che mi ha indotto a scrivere pagine e pagine di pensieri non dimostrabili, quelle inesattezze che nella profondità di un'anima trovano i loro contorni più esatti. 
E mentre mi affannavo per il mio inconscio desiderio di mettere radici, ho scoperto di non esserne capace con chiunque, ho scoperto che le mie radici si sarebbero rinsecchite lasciandomi così morire, ho scoperto che non voglio chiunque, né chiunque vorrò mai esserlo, perché nel non mettere radici c'è più vita che nell'imporsi ostinatamente di farlo con chiunque. 
E mentre mi affannavo nella ricerca di stimoli e di appagamento di bisogni insoddisfatti, ho scoperto di farlo ogni giorno a piccole dosi, usufruendo soltanto di me stessa.
E mentre mi affannavo nell'immaginare quante possibili vite avrei potuto dipingere sulla mia tela, ho scoperto di poterlo fare bastandomi un pennello e pochi colori da combinare per poterne creare naturalmente altri.
E mentre mi affannavo nel voler leggere gli altri, intanto scrivevo me stessa.
E mentre mi affannavo precipitando inesorabilmente in storie impossibili, ho scoperto che si trattava semplicemente di storie, tutte possibili quanto giuste nella loro impossibilità ed ingiustizia morale, perché mi hanno indotto giustamente a decifrare quante possibilità esistano di essere felicemente amati, quante possibilità di reinventarsi possano essere partorite, quante possibilità io abbia di comprendere chi desideri diventare, inducendomi a catalogare in comparti ciò a cui mi avvicinerei e ciò da cui mi distanzierei, essendo tutti strumenti definitori e selettivi nella loro estraneità.
E mentre mi affannavo nel decidere dove andare, avevo optato intanto per un dove enigmatico, inesplorato ma meraviglioso, un luogo in cui puoi rifugiarti quando vorrai senza pagare alcun biglietto, standoci per sempre pur spostandoti da città in città, quel luogo in cui puoi immaginare colline sinuose, vaste praterie, prati fioriti, campagne dorate senza scrutarne l'orizzonte, quel dove che si chiama semplicemente anima.
E mentre mi affannavo nel ritagliarmi un piccolo spazio, sentendomi spesso una toppa di cotone ricucita maldestramente su di un tessuto di seta, dentro quest'anima cucivo ed imbastivo abiti dalle tinte pastello e dai tessuti più pregiati.
E mentre mi affannavo, perdendomi in grandi progetti, raccoglievo briciole. 
Oggi le briciole le chiamo possibilità, ciò che da' senso alla fatica, le uniche che nella loro irrisoria compattezza nascondono un'immaginaria grandezza. 
Ed è proprio mentre mi affannavo, che alla fine lo scoprivo.

sabato 9 marzo 2013

Le persone speciali.

Esistono persone che hanno scritto "ti voglio bene" sulla fronte, nel luccichio dei loro occhi, sul palmo della mano e sulle labbra anche senza pronunciarlo. E lo scriveresti per loro anche tu ovunque, su ogni parte del tuo corpo, lo grideresti al mondo scandendo il suono delle vocali ed accentuando quelle delle consonanti in modo da perforare i loro timpani. Esistono persone a cui riservi inispiegabilmente il miglior posto nel tuo cuore, e sai che loro fanno lo stesso perché te lo ripetono, perché una volta ti hanno definito "il loro cuore". Esistono persone con cui puoi sederti al tavolino e alla domanda "Come stai?" potrai rifiutarti di raccontare la convenzionale storiella del "tutto bene grazie...", cominciando a raccontare come un fiume in piena la tua vita in quel dato frangente, cosa vada e cosa manca, perché è come se ti sentissi costretta a non mentire, nella convinzione che sia seduto al tavolo chi avrà orecchie per ascoltare e comprendere. Esistono persone che sanno senza chiedere, illuminandoti il viso quando pronunceranno "L'ho sempre saputo". Esistono persone che avrai la sensazione di tenere sempre per mano nonostante non siano presenti fisicamente ogni santo giorno della tua vita, ma la loro anima sarà impressa come un' incisione eterna nel tuo cuore. E ti chiederai da quando quella persona sia entrata a far parte della tua vita e la risposta sarà da sempre, perché non ne ricordi il momento esatto, ma c'era quando eri solo una bambina e ti facevi tante domande sul mondo adulto non ottenendo le risposte spesso che speravi, c'era quando cadevi e nel rialzarti ti tendeva la mano pulendoti il ginocchio dal fango, talvolta aggredendoti a voce alta dietro la quale si celava un'incredibile tenerezza, lo star male anche per te, gridando perché voleva che non sbagliassi più. C'era quando pian piano sbocciavo per diventare una piccola donna, c'era quando donna lo sono diventata. C'eravamo, insieme, quando la vita ci toglieva le nostre certezze, ci attanagliava con incomprensibili dubbi, ci faceva assaporare la ruvidità dell'asfalto di una strada ignota ove l'unica certezza siamo stati sempre noi, insieme anche quando eravamo lontani. Qualcuno la definisce "chimica" ma non credo che rapporti così abbiano a che fare con equazioni matematiche, non c'è alcun senso logico nel nostro stare insieme, non esistono domande né la frenesia di dover rispondere, solo meraviglia quando ci si incontra anche per caso, sorrisi che restano stampati sul tuo viso quando si pensa. Esistono persone che saranno sempre il tuo articolo determinativo, il primo, al di là di tutto, sempre il migliore, perché ti ha sempre consentito di comportarti come avresti voluto con tanti uomini entrati ed usciti dal retro dalla tua vita, spiegando le tue ali senza timore di esser te stessa. Ed il paradosso è che non solo me lo ha permesso in maniera naturale, non me l'ha mai recriminato, ed è sempre restato. Qualcuno vorrà sapere se l'amicizia tra uomo e donna sia possibile, molti ne dubitano, ma io dico di sì, perché l'ho conosciuta e la percepisco sulla mia pelle. E' qualcosa che va oltre il semplice affetto, oltre anche all'amore, è  quella amicizia che si sposa con l'aggettivo speciale, ma che ti sembra così riduttivo definirlo solo tale che sei costretta ad aggiungerci un "Più", accentuando il suono della prima consonante, come se la "u" fosse di una profondità immensa. Ho la sensazione ogni volta che mi prenda per mano e mi dica "andiamo a casa" ovunque e con chiunque altro io stia, ho la sensazione di non voler cercare più nessun'altra strada perchè quella mi basta.
Lui è casa, è Amicizia, è quel di più che pochi comprendono ma ci basta che lo capiamo noi.

giovedì 7 marzo 2013

Un cuore da Oscar.

Il cuore è il nostro organo migliore. Vivrà nel tiepido venticello primaverile annusando il fresco profumo dei primi germogli, suderà sotto il sole rovente di una calda estate senza bisogno di dissetarsi, osserverà le foglie oramai ingiallite cadere ai piedi di un albero oramai spoglio, sopporterà il gelo invernale intervallato da tempeste e nevicate senza mai smettere per questo di battere. E si meraviglierà ogni volta all'inizio di una nuova primavera, anche se l'inverno sia durato più del dovuto, anche se la primavera sembrerà a tratti precaria e fugace. Il cuore parla anche quando pensiamo non lo faccia. Lui parla di continuo senza mai stancarsi, anche quando fingiamo di non ascoltarlo, come la voce dell'uomo in metropolitana che va come un disco rotto. E potremo fingere di non ascoltarlo, potremo credere nel suo silenzio, ma dopo un po' esploderà nel suo essere dirompente, come se si fosse fatto a brandelli, ma un cuore può sempre essere riparato. Il cuore chiede sempre grazie per le persone ed i luoghi che diverranno suoi ospiti, offrirà loro il cibo più buono con il servizio migliore, anche quando quei luoghi diverranno ricordi sbiaditi, quelle persone clienti che dopo un po' sgattaioleranno via, talvolta senza pagare il conto. E si scusa per il ritardo, nonostante sia stato sempre lì, in quella concavità protetto tra le costole e lo sterno, a sussurrarci qualcosa che eravamo soltanto noi a non voler capire, a ritardare la scelta che ci avrebbe posto nudi, muti ed in silenzio al cospetto del cuore cui è impossibile desistere.
Il mio cuore ha sempre fatto entrare chi pensavo valesse la pena far entrare, senza mai nemmeno pagare l'ingresso, e non rimpiango le scelte sbagliate, nè gli uomini che ho selezionato in modo sbagliato, nè le circostanze ed i luoghi forse sbagliati. Non rimpiango ciò che il cuore ha sempre scelto di darmi per poi categoricamente togliermi, perchè in questo costante movimento ci ho visto sempre tanta vita, paradossalmente incostante nella sua costanza, ma pur sempre una vita, mai sbagliata ma la più giusta nonostante i demeriti. Ed è per questo che al mio cuore ho sempre permesso di abituarsi. Si è abituato agli incontri fugaci, all'inesorabilità di un tempo che ha visto molti scappare, alle amarezze e alle delusioni, agli arrivederci tramutatisi in addii. Così tutto quello che di buono c'è stato, è come se avessi avuto la sensazione di essermelo sudato e mi è sembrato di una bellezza enorme anche un sorriso, un abbraccio, un ti voglio bene disinteressato. L'ho fatto abituare a tutto questo senza permettergli mai di stancarsi. 
Vorrei che si stancasse soltanto quando sarò vecchia, dopo aver innaffiato le piante della passione ed averle riposte al sole per lasciarle maturare, dopo aver medicato il cuore tante volte senza mai pensare che valesse la pena stare fermi ma ogni volta ripartire, dopo aver fatto piovere burrascosamente su un cuore che poi avrà visto o solo immaginato l'arcobaleno. Vorrei che il mio cuore si stancasse soltanto dopo aver reso la mia vita un film da Oscar, così che potrò consegnare la statuetta direttamente nelle sue mani e sussurrargli in quell'istante che potrà allora anche stancarsi. Il cuore ha sempre deciso al mio posto ed io gliel'ho lasciato fare perchè sono sempre stata convinta che quello fosse il mio reale volere. 
Ma sul quando stancarsi voglio decidere io, è l'unica richiesta per cui voglio impormi. E fin quando continuerà a battere, non pretendo soltanto di essere viva, ma voglio sentirmici.

mercoledì 6 marzo 2013

Le strade del cuore.

Tracci una strada con il gessetto, con estrema cura, attenta a che non si spezzi. Poi ad un certo punto del tuo percorso il gessetto si spezza ma continui con insolita ostinazione ad usarne ciò che resta, limitandoti a tracciare il percorso con dei trattini che man mano sembreranno sempre meno visibili. Oramai consumato, il gessetto lo getti nella cesta dei sogni dimenticati e dei desideri inconsci. E allora sei spaesata, perchè non sai più come tracciare il tuo percorso, ma ti dirigi lo stesso verso i viottoli di quella strada che sembra al momento un passaggio obbligato, di cui pian piano scorgi, tra steppa ed arbusti spogli, finalmente la fine. Ma quando sarai giunta al traguardo dovrai immaginare una nuova strada, dove per arbusti spogli e steppa non ci sarà più spazio, dove vorresti che il tuo sguardo si perda nella natura incontaminata ove è possibile scorgere ruscelli di tanto in tanto e qualche bel fiore variopinto da cogliere qua e là. Ed in giornate come queste, in cui fuori piove, decidi di aprire quella cesta in cui hai gettato il tuo gessetto consumato facendo in modo che dentro ci resti soltanto quello, lasciando che la superficie della cesta si bagni, ma non anche i sogni che non vuoi dimenticare, i desideri che vuoi finalmente palesare e la grinta che vuoi impiegare per qualcosa che piace. Ti accorgi che solo i passaggi obbligati necessitano di gessetti per tracciare un percorso in cui altrimenti perderesti il senso dell'orientamento. Ma ci sono le strade del cuore per cui basta aprire una cesta e lasciare che il sogno ed il desiderio spicchino il volo attraverso la forza del vento che si mischia con una grinta che poco sa di obbligato, ma molto più di naturale, perchè sei in fondo spontaneamente te stessa, e allora non ci sarà bisogno di alcuna penna, matita o gessetto con cui tratteggiare un percorso, ma sarà il cuore a guidarti come se conoscessi con intrepida meraviglia ogni contorno di quel paesaggio in cui si ritaglia la tua strada, come se già fosse riflesso nei tuoi occhi senza nemmeno esserti mai  cimentata. Le ragioni del cuore non conoscono alcun perchè, se, ma o può darsi, non sentono il fallimento di chi comunque decide di provarci, non possono essere ingabbiate né tratteggiate nè definite entro schemi minimizzanti rischiando di stigmatizzare anche le passioni. Le ragioni del cuore sono quelle e basta, inutile spiegarle, le possiamo soltanto aprire e lasciarle volare come rondini alla ricerca del loro posto caldo in un inizio di primavera, quasi come se dicessero "Vai!" . Ascoltarsi e seguire le ragioni del cuore senza farsi troppe domande può aprire infinite possibilità ed è questo l'indice del maggior cambiamento che per te devi pretendere. 
Aprirsi possibilità non significa vincere per forza, ma solo non provarci mettendo al tuo cuore un bavaglio è indice di sconfitta, perchè perdi non solo la possibilità di riuscirci, ma soprattutto la possibilità di essere te stessa con un cuore che batte e che ti fa sentire viva ovunque sceglierà di condurti.

martedì 5 marzo 2013

Ho perso il conto.

Ci sono mattine in cui ti svegli e nonostante il cinguettio degli uccellini sul davanzale, l'aria è fresca, non sembra essere una di quelle giornate che ti fanno pregustare la primavera, ma quest'aria fresca rigenera la mente e rinfresca l'epidermide. E' strano come io riesca a tollerare questo freddo più di quello delle persone.
Ci sono giornate che ti portano il conto delle persone incrociate nella tua vita che oggi hai perso, non avendo la benché minima idea di dove siano e con chi, non conoscendo alcun dettaglio della loro vita che è proseguita dopo essere usciti dalla tua, o forse non entrandoci mai.
E sono tanti, più di cento, o forse il doppio o probabilmente mille.
Non so il numero esatto, oramai ho perso il conto, o probabilmente è inutile mettersi a contare, perché in effetti alla lista se ne aggiungeranno ancora molti. Sono così tanti che spesso mi capita di non ricordare nemmeno i loro volti, il loro modo di parlare, addirittura i loro nomi. Quando sono fortunata c'è una fantasia collettiva nel pronunciare la frase "un giorno ci rivedremo, ci possiamo sempre vedere quando vogliamo", ma questo giorno sembra così lontano, questo sempre così irreale, da estirpare il senso da quel ci rivedremo perché in fondo non lo si vuole abbastanza, se ne può fare anche a meno. Tutti parlano di un perdersi e ritrovarsi, ed anch'io lo faccio talvolta per convincermene, ma la verità è che in fondo ho conosciuto solo un perdersi, o un perdersi due volte intervallato da un ritrovarsi fugace. Ma il conto di chi ha scelto di restare non lo perdo mai, perché sono così poche che delle loro vite conosco quasi ogni dettaglio, potrei farne una lista con i loro nomi e cognomi ed attaccarla al frigo come un post it.
Questo conto resta intatto, non aumenta, a limite diminuisce, allora contare le persone che restano sarebbe senza dubbio più semplice. Ed è per questo che non comprendo perché io debba svegliarmi una mattina qualunque pensando di voler portare il conto di chi ho perso strada facendo, quando probabilmente per contare una sola giornata non basterebbe.
Forse perché chi sceglie di restare lo fa in silenzio, con estrema naturalezza, senza pretendere che tu te ne accorga. O forse perché il più delle volte non era importante chi andasse via, ma che indipendentemente da chi fosse, non avesse scelto di restare, allungando la mia lista interminabile.

In questi casi avrei preferito imparare a contare solo fino a dieci, o forse avrei voluto imparare ad ascoltare il silenzio di chi resta senza attendere il rumore di una porta che si chiude per far uscire il prossimo. C'è ancora tempo per imparare, ma spesso sento di aver perso il conto anche di quello. E allora basta, non conto più.

domenica 3 marzo 2013

Solo tre domande.

Per i miei genitori la domenica è il giorno del Signore, è il giorno in cui il pranzo non comincia se non dopo aver fatto la preghiera, ed io allora per far contenti i miei cattolicissimi genitori mi faccio anche il segno della croce, ma ogni tanto faccio presente che quel rituale in fondo non lo sento pienamente, che per me è in fondo una pura formalità di cui poter fare a meno perchè non ha senso recitare una preghiera per poi proseguire il pranzo in silenzio o, a limite, pur di colmarlo, dando voce ad inutili battibecchi e frasi polemiche che dopo qualche minuto sfociano sempre in quel silenzio che poco sa di rassicurante, molto più di incapacità di volersi conoscere attraverso il confronto. Preferirei che si iniziasse il pranzo con domande del tipo: "Come ti senti oggi?Hai dormito bene?Nella tua vita cosa vuoi fare?" e non perchè io muoia dal desiderio di dare risposte a questi interrogativi, perchè probabilmente risponderei che in fondo mi sento come un fiore che non riesce a sbocciare nonostante la primavera sia alle porte, che dormo a fatica e mi risveglio stanca, che nella mia vita sono riuscita a dare un quadro definito di ciò che non voglio fare, che ciò che desidero fare per definire chi in fondo voglio diventare forse lo so, ma non lo riesco a pronunciare, come se avessi la bocca piena facendone di questo il mio alibi, o probabilmente perchè tra i discorsi dell'uno e poi dell'altro sento che il mio turno deve ancora attendere. Non muoio dalla voglia di rispondere, ma muoio dalla voglia che qualcuno queste domande me le rivolga lo stesso, perchè ho un tremendo difetto: esprimermi a singhiozzo, approfittare di domande per cacciare tutto fuori, come un boccone amaro difficile da digerire. Ma per molte persone che ignorano questo dettaglio, io forse appaio come una persona che poco dice di sé, una che tende a mettere paletti con chiunque e ovunque si trovi, che riesce a trascinare in pochi dentro il suo mondo, la maggior parte ne restano esclusi. In realtà vorrei dire tanto, i paletti li brucerei, farei entrare chiunque ne mostrasse il benché minimo desiderio se solo mi chiedesse di farlo, se solo me lo dimostrasse.
Ma oggi era domenica e c'era il rituale della preghiera, domani sarà lunedì e non ci sarà tempo, ricomincerà una nuova settimana e chiunque pranzerà ad un orario differente e sarà complicato riunirsi, chiunque riprenderà le proprie vite ritagliandoti uno spazio nei momenti di pausa con l'orologio alla mano.
Non è che non sopporti il recitare una preghiera prima di iniziare il pranzo domenicale, questa è semplicemente una metafora di quello che spesso accade nella mia vita, ma sono le formalità non sentite che mi affaticano, il trovarmi in contesti io cui non mi senta me stessa, in cui però mi sento costretta ad entrare per buon senso nonostante un senso non ce lo veda, nonostante non ci veda niente di buono ad esser presente con il corpo lasciando lo spirito piegato in dei cassetti a far compagnia alla tua biancheria intima, la propensione a rispettare sempre gli altri bistrattando me stessa rivelandosi in dei momenti un'indicibile tortura. Non credo che sia possibile abbattere le formalità, ma sono oramai stanca del tempo che mi viene detratto, preferirei di gran lunga un compromesso che non mi veda unica preda passiva degli eventi. Allora reciterò la preghiera la domenica, ascolterò i vostri problemi e sarò anche disposta ad aiutarvi, sarò spettatrice delle vostre formalità pur non calandomi in esse completamente, in cambio vorrei che mi rivolgeste solo tre domande: "Come ti senti oggi, come hai dormito, cosa vuoi fare nella tua vita?"

giovedì 28 febbraio 2013

Pensieri nello zucchero.

Qualche giorno fa ero ad un tavolino di un bar. Non ero sola, c'erano anche i miei pensieri a farmi compagnia che ho tentato di zittire ma purtroppo hanno preso il lato peggiore di me: ognuno deve rigorosamente dire la propria. Così si accavallano le voci, non trasuda alcuna linea di pensiero ben definita, sollevando soltanto un gran clamore che si disperde tra i fumi di pagine di libri bruciati. Ho tentato anche di affogarli in un caffè con  poco zucchero che continuavo a girare con la sfrontata ostinazione di chi vorrebbe diluire quei pensieri insieme alla zolletta di zucchero, fin quando da quella tazzina ho sentito "Basta, non si sciolgono, è inutile, falla finita e bevimi!" 
Così l'ho sorseggiato fino a riporre la tazzina sul tavolo. In quel caffè avrei potuto versare anche una quantità industriale di zucchero, ma sarebbe stato sempre amaro lo stesso. Lo zucchero ed i pensieri sono un binomio errato, nella loro reazione chimica il pensiero vince sempre sullo zucchero, ci sono anni di studio alle spalle ma io come al solito ci ho provato lo stesso, pur fallendo. E mentre sperimentavo la pur fallimentare reazione chimica insistendo nel voler vedere la vittoria dello zucchero sui pensieri, comincio ad ascoltare le parole di un ragazzo e due ragazze al tavolino di fronte al mio. Quei discorsi che non vorresti ascoltare di proposito, nonostante l'orecchio li segua comunque involontariamente nella loro totale indifferenza. Il ragazzo appariva particolarmente agitato, gesticolava molto, mentre le sue amiche sembravano delle statue di cera, pronunciando di tanto in tanto delle frasi ovvie sul come doversi comportare o a limite ribadendo il suo concetto cambiando termini ed aggettivi, che non avrebbero di certo lenito il suo stato d'angoscia. Il problema che gettava quel carinissimo ragazzo sedutomi di fronte nello sconforto era una litigata con la sua fidanzata che gli aveva chiesto del tempo per pensare. Strano. Tante persone invocano tempo per pensare nello stesso istante in cui qualcun'altro si accontenterebbe che qualcuno inventasse uno zucchero in grado di superare la reazione chimica con i pensieri. Diceva che non era la prima volta che accadeva e che ora come ora era avvilito, come fosse preda di un tempo che non sarebbe riuscito a spezzare perchè nonostante la sua fugacità il suo amore ancora intatto non glielo avrebbe permesso. Allora non gli restava che aspettare non staccando mai le sue dita dal cellulare, come una preda cacciata e sbranata dal carnefice che non era lei, ma la sua pretesa di aver tempo. Tutto d'un tratto arriva un messaggio sul suo cellulare che gli illumina il viso con un sorriso che non riusciva a contenere ed un entusiasmo tale da leggere quel messaggio a voce alta. La ragazza si scusava per la sua reazione eccessiva dettata dal forte nervosismo e gli assicurava che non sarebbe più accaduto. Parole scritte in sequenza, da copione, sentite e risentite, ma che sono bastate per farlo sorridere e riaccendere un barlume di speranza. Basta così poco per legare due vite, così poco per scioglierne i nodi, ma ancora meno talvolta per riunirli. Allora mentre al tavolo di fronte il tempo, spesso mio invincibile nemico, era stato sconfitto, l'aver occupato la mente con discorsi che mi appartenevano pur non facendone parte, servì a sciogliere parte dei pensieri nello zucchero, non tutti, ma questo è servito per partorire una considerazione: l'amore può vincere il tempo, come dell'olio versato in un bicchiere d'acqua che resterà sempre in superficie; se è il tempo a vincere si tratterrà di un suo surrogato, qualcosa che si spaccia per amore perchè sembra avere la stessa etichetta, qualcosa di simile ma in fondo diverso.
Quel ragazzo lo stava insegnando ad una come me che dal tempo ne è uscita sempre a brandelli. 

mercoledì 27 febbraio 2013

Persone come strade.

Mi piacciono le persone che ti attraversano e nel farlo consentono a te di attraversare loro. Quelle che ti attraversano come fossi un'autostrada a gran velocità, decelerando solo per pagare il biglietto al casello per poi proseguire senza mai scalare la marcia. Come fossi una strada sterrata, dalla difficile percorribilità, a tratti fangosa o impervia, eppure l'unica alternativa possibile. Come fossi una strada larghissima o strettissima, che finisce per condurre ad un vicolo cieco o la sola a condurti a destinazione. Come fossi una stradina assolata di campagna di cui fatichi a vedere la fine, un sentiero all'ombra dei cipressi da attraversare lentamente a piedi o in bicicletta, mentre il tiepido venticello ti scompiglia i capelli e all'orizzonte il rosso si combina con il giallo e l' arancione di un Sole che sembra perdersi tra le colline lasciando spazio all'imbrunire, come fosse un dipinto su tela in cui la compenetrazione dei colori della tavolozza consacra un'unione simbolica ove è impossibile comprendere dove inizia una tinta e dove finisca l'altra.
Quelle persone che ti attraversano nonostante sembri una strada vietata, un sentiero nascosto il cui asfalto non era mai stato calpestato nemmeno da te, generando stupore. Mi piacciono le persone così, quelle che fanno di te una strada da percorrere in silenzio, una strada che avrai l'impressione di attraversare anche tu insieme a loro, tenendogli la mano. Quelle persone che ti vedranno come una strada da attraversare infinite volte senza mai stancarsi, conoscendone ogni angolo, in cui scorgere una fontana in cui di tanto in tanto dissetarsi, o una strada percorribile soltanto in un dato momento per poi uscirne mentre la loro sagoma si confonderà con l'orizzonte in una giornata di solleone. 
Mi piacciono quelle persone che nell'attraversarti lasciano una traccia del loro passaggio, un'orma sull'asfalto ancora fresco, che possa guidarti verso altre strade che dentro di te ci sono sempre state ma che avevi imparato ad ignorare, essendo l'un per l'altro in fondo un labirinto inesplorato in cui nascono i sogni, in cui avrai la sensazione di perderti ma persa non ti ci sentirai mai.

martedì 26 febbraio 2013

Sintesi? No, grazie. Preferisco una birra.

Forse proprio per la mia incapacità di sintesi, non amo particolarmente le definizioni attraverso aggettivi secchi, lapidari, identificatori ma mai totalmente, sempre in fondo a metà. 

La definizione sterilizza, minimizza, comprime, stigmatizza, conduce per forza ad una categoria piuttosto che ad un'altra. Ed io detesto stigmatizzare nella stessa misura in cui io soffra nel vedermi spesso stigmatizzata, ridotta, compressa come fossi un salume sotto vuoto. Nella cerchia delle definizioni si nasce, talvolta ci si perde, spesso si muore.  

In effetti non saprei nemmeno che definizioni attribuirmi. 
Non credo che le definizioni facciano per me, non sono una di quelle a cui chiedere una breve presentazione di se stessi, una che risponderebbe in maniera lapidaria pescando dalla cesta di quelle convenzionali qualità che sembrano in questi casi appartenere un po' a tutti
Ma se proprio dovessi riconoscermi qualcosa, direi probabilmente di essere una persona in grado di amare tanto che spesso diventa un troppo, in un tempo sempre troppo piccolo o troppo grande. Il troppo sarebbe un rafforzativo ma quello che poi definirebbe realisticamente il mio modo di amare. E non mi riferisco soltanto ad un amore nei confronti di un potenziale uomo. Amore per i dettagli, per i miei pensieri, per quell'idea di preservare la mia dignità che equivale ad accettarmi esattamente per quella che sono, per le passioni, i miei tentativi, amore per chi standoti accanto riesce a farti sorridere anche quando non ci sarebbe alcuna ragione per farlo, fin quando comprendi che in fondo non ci deve essere una ragione per sorridere, lo devi fare e basta, e se proprio la vuoi trovare avrà il nome di chi ti avrà procurato quella smorfia sul viso che in fondo ti dona. Amore per un film, un libro, un interesse, un posto. Amore nella sua accezione più ampia e totalitaria del termine.

Allora se mi chiedessero di attribuirmi una definizione io direi di essere "una che ama troppo"
Una che ama troppo per il suo fare scelte impulsive che potrebbero sembrare troppo grandi, esagerate, avventate, spesso incomprensibili per gli altri ma che lei non avvertirà mai come tali. Una in grado di pronunciare "mi manchi" ed in egual misura "ti vengo a prendere" anche se significherebbe percorrere chilometri o addirittura cambiare Stato. Una che probabilmente farebbe spazio ai vestiti dell'altro nel suo armadio senza mai pronunciare il termine "ingombrante", nonostante trovandosi nella circostanza opposta si sentirebbe forse costretta a lasciare i suoi indumenti in valigia. Una che nonostante la stanchezza aspetterebbe sveglia fin quando lui non ritorna soltanto per sentirsi dare la buonanotte. Una che forse andrebbe da un capo all'altro della città soltanto per domandare "Come stai?" senza pretendere che le sia rivolta la stessa domanda. Una che ogni mattina si prodiga nel fargli il nodo alla cravatta anche se ne potrebbe fare a meno insegnandoglielo, ma non lo farebbe lo stesso, perchè quella sembra essere la più tenera delle abitudini, come un luogo in cui ritrovarsi ancora una volta più vicini dopo aver abbandonato le lenzuola, un fare qualcosa per l'altro che potrebbe anche imparare ma che tu speri in fondo non impari mai per poter essere sempre la sua insegnante. Una che ama troppo e nella stessa misura si strazia. Una che vive nell'attesa e che resta nonostante lui magari non la stia aspettando, nè le abbia mai chiesto di restare. Una che per timore che lui scappi dalla finestra, gli aprirebbe probabilmente la porta principale per constatare almeno il momento esatto in cui abbia scelto di andare via, per avere almeno la possibilità di salutarlo con un viso imperturbabile che si trasformerà in uno corrugato dalle lacrime non appena chiuda la porta alle sue spalle.

Una che si innamora troppo anche delle sue idee prendendosene cura in egual maniera, non lasciando mai che nessuno gliele sporchi.

Una che quando ama particolarmente un libro che ha letto, lo consiglia a tutti, così che il suo amore possa essere condiviso. Una che quando ama particolarmente un film sarebbe in grado di guardarlo milioni di volte, stupendosi, ridendo o piangendo a dirotto esattamente nello stesso punto, ogni volta.

Una che quando visita una nuova città, si immerge completamente camuffandosi tra i passanti non volendo mai apparire una turista, ed in questo suo entrarci dentro pienamente se ne innamora così tanto al punto da lasciare in ogni dove un pezzo del suo cuore che in cambio avrà contribuito ad arricchire la sua anima.

Non so se questo sia il modo di amare più giusto, perchè spesso in questo modo di amare mi ci perdo.
Non so se qualcuno avrà desiderio di ricambiare mai il "favore". Non so se si tratti contrariamente a ciò che credo di un amare quanto basti, a sufficienza, troppo poco o troppo di quel troppo che storpia. So soltanto che è il mio modo che sussume un come, un quando ed un perchè in cui non c'è ciò che giusto o sbagliato, non c'è un tempo che impedisca di farlo nè una ragione per cui valga la pena desistere. E' un modo che sento l'esigenza ogni volta di spiegare per non chiudermi nella categoria del "Chi ama troppo" , che in fondo non è nemmeno una definizione nel senso proprio del termine, perchè nel catalogarmi senza dare spiegazioni questo modo di amare sarebbe sterilizzato, stigmatizzato, compresso, minimizzato proprio come l'amore non dovrebbe mai diventare.
Io, invece, sarei nient'altro che una definizione, ciò che non vorrei mai essere.

sabato 23 febbraio 2013

Dal dizionario umano: significato di analfabetismo.

"Analfabetismo": ignoranza del sistema di scrittura e lettura, dovuta a mancata istruzione di base.

Chi più, chi meno, credo che la stragrande maggioranza ne sia esente. Tutti conosciamo l'alfabeto, tutti scriviamo, tutti sappiamo leggere.
C'è chi millanta più di una laurea, di leggere tanto, chi si riempie la bocca di citazioni di grandi autori cacciandole come un coniglio dal proprio cilindro, chi conosce almeno una lingua straniera.
Meritevoli, senza dubbio, al passo con una società in cui questo è dato per scontato se si vuol raggiungere una posizione degna di nota, prodotti di una società in cui sei valutato per ciò che fai nonostante spesso non coincida con chi vorresti invece essere. Ma la definizione è chiara, dunque perchè scomporsi. Non siamo analfabeti, perchè abbiamo certamente ricevuto un'istruzione di base che ci consente di saper leggere e scrivere.
Ma credo che all'analfabetismo bisogna dare un'accezione più ampia, e allora forse ci accorgeremo che non risparmia nessuno, o quasi.

Ciò che scriviamo dovrebbe essere il frutto di ciò che pensiamo.
Nonostante possa sembrare un paradosso Marzulliano, spesso si pensa più a ciò che si deve scrivere, ma non si scrive ciò che si pensa. Un punto in meno alla nostra idea di appartenere alla categoria dei non analfabeti.

Ciò che si scrive, il frutto di ciò che pensiamo, dovrebbe essere altresì pronunciato.
La scrittura è di certo una scappatoia più comoda attraverso cui trasmettere un'idea senza però mai in fondo vederci nelle prime file di un plotone, perchè se fossimo in grado di pronunciare ciò che scriviamo, il passo successivo sarebbe certamente di agire per la realizzazione di quanto detto perchè scritto e all'origine pensato. Scriviamo "mi manchi" perchè forse lo pensiamo ma non siamo in grado di urlarlo nè di fare il possibile per lenire la mancanza. Scriviamo "ti amo" e qualche volta lo diremo anche, ma di fronte ad una strada con possibili alternative da seguire che potrebbe condurci lontano, su di un binario differente, scegliamo spesso di mettere il nostro amore in secondo piano, pensando che con i nostri obiettivi quell'amore non c'entri, ma l'amore non solo ti fa restare, ma il distacco ti sbrana.

Leggiamo i best sellers della letteratura senza essere in grado di saper leggere un cuore, un cervello, le smorfie di un viso, la gestualità, uno sguardo, l'arricciamento del naso, il grattarsi la testa, un sorriso negato o offerto, un'anima. Spesso non sapremo in grado nemmeno di sfogliare le pagine della nostra vita, prima di quelle degli altri, libri impolverati che rimarranno sepolti nello stomaco senza mai rispolverarne la copertina ed aprirli. E a cosa varrà lo studio di interminabili manuali universitari, la lettura di Tolstoj o Victor Hugo, se gli unici libri cui non dovremmo mai negare la nostra attenzione resteranno chiusi per paura di non trovare la più corretta chiave di lettura?

Conseguiamo una laurea per diventare esattamente quello che abbiamo scelto di diventare: un avvocato, un medico, un insegnante, un ingegnere o un farmacista. Ma ignoriamo il mestiere più antico, naturale nella sua complicanza, la base di ogni istruzione, quello la cui priorità, nella sua più intima essenza, richiederebbe lo scrivere su un post it da attaccare al cuore per lasciare che esso ci conduca esattamente dove vorremmo trovarci senza alcun se nè ma, leggere un'anima, la propria e dell'altro, per scoprirsi in fondo a vicenda : l'essere umano.

Potremmo faticare per diventare chiunque, ma prima di scrivere, su un blog, un social network o un pezzo di carta, è necessario ricordare che la prerogativa è una concatenazione tra pensare-scrivere-esprimersi-agire. Prima di leggere un libro è necessario imparare a leggere le persone che si riveleranno forse il libro più bello o il più tremendo, ma nell'uno e nell'altro caso sarà l'unico ad insegnarti la vita. Conseguiamo una laurea o anche più di una ma se ignoriamo l'accezione più ampia del concetto di analfabetismo, potremmo diventare chi vogliamo, continuando ad essere soltanto una massa di analfabeti. La definizione di "analfabetismo" in qualsiasi dizionario di lingua italiana vincerebbe certamente una simile considerazione. Io le definizioni le detesto, sterilizzano, tolgono invece di aggiungere, appiattiscono, minimizzano, comprimono, sintetizzano. Sguazziamo in una sintesi che non ci definisce mai abbastanza, che in fondo rende tutti innocenti perchè basta appigliarsi ad un dettaglio, ad un sinonimo o ad un contrario per catalogarci in una categoria che fino in fondo non ci apparterrà mai abbastanza.

Siamo tutti in fondo analfabeti nell'accezione più ampia del termine, e non ce ne rendiamo nemmeno conto.


giovedì 21 febbraio 2013

Ma se aspettassimo Godot?

Il punto è che potrei incontrare anche un Romeo dei giorni nostri che mi dica alla finestra "...chiamami soltanto amore ed io sarò ribattezzato; da ora innanzi non sarò più Romeo ...", ma il mio istinto mi dice che dopo qualche tempo rivedrei in quel fantastico Romeo solo un gomitolo di belle parole che non sarei in grado di dipanare, un'espressione del mio tentativo fallimentare di costruire storie impossibili dove c'è più strazio che amore, una chimera priva di contorni definiti, in fondo una figura che si perderebbe nella tua individualità senza però averne una propria, mancando della dote per me fondamentale, alla base di ogni rapporto, che è quella della trasmissione di una parte di se stessi senza dover godere necessariamente di luce riflessa. 
Potrei forse riconoscere anche un Oliver Twist tra la folla, di quelli che in volto hanno scritto che sono una storia triste e allora ti commuovono al punto da desiderare di volerli salvare, perchè ti sarai convinta che nel salvare qualcuno salverai anche te stessa. Ma quando tutto culminerà in un lieto fine, quando la tua storia triste si sarà tramutata in una storia di successi, probabilmente avvertirai la sensazione che il tuo tempo sia scaduto, che la tua missione si sia conclusa. A questo punto non ci sarà forse bisogno di restare, perchè andrai via tu, o lo farà il tuo Oliver Twist. Non era una storia impossibile come quella con Romeo, ma una storia la cui prerogativa era che fosse triste, allora perchè continuare se non se ne riesce a trovare un senso anche dopo aver portato con successo a termine la nostra impresa di salvezza.
Avrò incrociato qualche bel Casanova in cui ho sperato di ricercare ostinatamente una sua celata sensibilità che potesse sposarsi con la mia, come se volessi scrivere una storia come quelle di Jane Austen, per poi accorgermi che l'unica che avrei potuto scrivere sarebbe stata forse molto più vicina agli Indifferenti di Moravia.
Ho tentato di assorbire il cinismo di Bukowski e la tagliente ironia di Palahniuk, ma quando mi sono imbattuta in persone che ne facevano il motore della loro esistenza, mostrando tutto questo cinismo e questa tagliente ironia come medaglie di cui andar fieri pronte a divenire un'arma, le ho detestate, cominciando a detestare inevitabilmente me stessa per quel mio tentativo di diventare una persona che in fondo non potevo essere. Perchè volevo essere una persona forte, ed una persona forte non smette mai di credere nelle cose belle nonostante non le piovano dal cielo, nel fresco profumo dei fiori di primavera nonostante sia inverno, perchè contrariamente non si tratta di forza, ma di uno scudo, di un inconsistente alibi per sopperire alla propria debolezza. 
Ma la verità è che io non ho mai preteso di essere la Giulietta del Romeo di turno, nè tanto meno rivestire i panni del signor Brownlow per il suo Oliver Twist, nè una delle tante donne di un sedicente Casanova che speravo diventasse il signor Darcy pur essendo nient'altro che uno dei protagonisti del romanzo di Moravia: mi ci sono semplicemente trovata, pur aspettando altro. Ma la più assurda delle verità è che intanto aspettavo Godot. Un po' a tutti capita di aspettare il personaggio misterioso dell'opera di Becket, che gli altri personaggi vanamente attenderanno sino alla fine seduti comodamente su di una panchina, parlando di cose futili quanto banali per essere in linea con uno spietato conformismo che sembra quasi elogiare il nonsenso della vita, senza mai andare incontro a Godot, che non arriverà mai. In fondo tutti lo aspettano perchè non si conosce che faccia abbia, nè quanto sia alto, se abbia un humor inglese, se preferisca il cinema al teatro, i Beatles ai Rolling Stones. Paradossalmente lo si aspetta senza conoscerne alcunchè, senza mai alzarsi da quella panchina nel tentativo seppur vano di cercarlo senza che sia lui ad apparire tutto d'un tratto.
Capita forse quando quello che abbiamo conosciuto non ci è mai piaciuto pienamente, allora cominciamo ad immaginare ciò che per sommi capi potrebbe invece piacerci, e sterilizzando nella figura di Godot tutto ciò che farebbe al caso nostro, cominceremo ad aspettarlo pur non sapendo dove si trovi e con chi e se esista realmente, ma sembrerà talmente meraviglioso ciò che stiamo aspettando che ci convinceremo che ne valga la pena. Ma se ne vale la pena, se stiamo aspettando Godot e se Godot sembra non arrivare, perchè non ci alziamo dalla nostra panchina per cominciare a cercarlo prima che il sipario si cali e la platea cominci ad applaudire?

Come si chiama il tuo Godot? Qualsiasi nome abbia, che sia amore, serenità, amicizia, successo, o nella sua complessità semplicemente pienezza, non puoi aspettarlo seduto su di una panchina. Queste attese si rivelano generalmente vane, allora spenderai una vita aspettando Godot che non vedrai mai arrivare semplicemente perchè forse avresti dovuto cercarlo. Spenderai una vita nell'attesa di qualcosa di cui ignorarei persino la forma. Spenderai una vita avvolta dal fascino di un mistero che non riuscirai mai a palpare con mano.

In fondo, aspettare Godot fa comodo a tutti.

mercoledì 20 febbraio 2013

Vivere al contrario.

A volte sorseggio del caffè rimasto in cucina verso le 12.30, orario in cui dovresti preparare lo stomaco al pranzo ed invece io sorseggio un po' di caffè che favorisce la chiusura del mio stomaco, non perchè non mi vada di pranzare, ma per tenermi sveglia. Sì perchè in certe giornate, quando il Sole è a metà del suo giro, mi capita di imbattermi in una strana sonnolenza, come se non fossi sincronizzata con il movimento solare, come se la mia giornata non fosse giunta a metà del suo giro, ma è come se ne desiderassi già la fine.
Ma quando il Sole finalmente tramonta, talvolta vorrei che la mia giornata potesse iniziare da lì: con un cielo stellato che fa da cornice alla maestosità della Luna che vive di luce riflessa dal Sole, con il buio che oscura la tua stanza imponendoti la luce artificiale di una lampada perchè vuoi restare sveglia mentre tutti dormono, con il silenzio delle strade deserte che sembra talvolta dirti molto di più di quanto lo facciano i clacson delle automobili o il vociare dei passanti.
Un po' come vivere giornate al contrario, considerando che in realtà una giornata del genere si presta ad essere l'espressione di certi aspetti della tua vita. 
Quando ero piccola ho avuto dei problemi di salute, adesso, "nonostante l'età", a parte qualche capello bianco che comincia a spuntare, credo di essere sana come un pesce. 
Quando ero adolescente, mentre tutte le mie amiche prendevano una cotta passeggera per uno diverso ogni settimana, io invece mi innamoravo. Mi innamoravo ed inevitabilmente mi straziavo ad ogni gesto di indifferenza. Adesso invece non mi innamoro più, ma riesco ancora incomprensibilmente a straziarmi ad ogni singolo gesto di insana ed ingiustificabile indifferenza. Non so come sia possibile, eppure accade, anche se in una vita "normale" lo strazio dovrebbe succedere ad un amore perduto e non l'inverso.
Quando inizio un percorso, lavorativo o universitario che sia, lo intraprendo con invidiabile convinzione, come se cominciassi la corsa non aspettando altro che raggiungere la meta, ma quando sto per toccare la bandierina sopraggiunge la sensazione di voler quasi tornare indietro, come se preferissi partire dalla meta per fare il percorso inverso e godermi le singole tappe gradualmente in maniera più intensa.
Ogni tanto mi capita di guardare il calendario appeso alla parete ed invece di conteggiare il numero dei giorni per capire quanto possa ancora fare in quell'arco temporale, giro già la pagina al mese successivo come se volessi in fondo capire quanto manchi per non poter più realizzare ciò che ho in mente.
Quando parto mi convinco di sapere già cosa voglio fare, ma quando arrivo quello che voglio fare sembra perdersi fra i fumi di un'aria rarefatta che ti fa mettere in discussione l'obiettivo per cui sei partita, cominciando a valutare altre strade che avresti dovuto percorrere forse sin dall'inizio ma che probabilmente non avresti comunque considerato per quel tuo modo di valutare quasi alla fine, mai all'inizio, per quel tuo modo di straziarti per fini a tuo parere incomprensibili, ma non meno del tuo modo di non godere mai a pieno di un inizio.
All'inizio di un rapporto di qualsiasi tipo non riesco mai ad essere spontanea, la mia spontaneità emerge in maniera dirompente prestandosi a dei colossali fraintendimenti soltanto alla fine, quando non ce ne sarebbe in realtà alcun bisogno.
Parlo quando dovrei restare in silenzio, mi chiudo in un silenzio tombale quando sarebbe preferibile urlare.
Corro quando dovrei fermarmi, mi fermo quando sarebbe il caso di correre.
Rallento sempre troppo tardi, velocizzo i ritmi sempre troppo presto.
Mi dedico alla scrittura di un racconto qualunque per un concorso letterario quando dovrei proseguire nella scrittura della tesi, e trascorro l'intera giornata a scrivere la tesi nonostante la scadenza sia lontana mentre si avvicina quella per spedire il racconto.

Ammetto di vivere lentamente e al contrario, proprio come quelle giornate in cui ti svegli stanca e vai a dormire da sveglia.

Ma alla fine, chi stabilisce cosa sia l'ordine? Chi stabilisce quando una vita possa dirsi spesa al contrario?

Mi fido solo di Mahatma Gandhi, e lui in proposito mi pare non abbia mai detto niente. In fondo anche Woody Allen, con la sua storia del cominciare a vivere morendo e morire perdendosi in un orgasmo, sarebbe forse d'accordo.


martedì 19 febbraio 2013

Come le rondini.

Credo che di un social network come facebook ne avrei fatto a meno se non avessi avuto l'esigenza di recuperare dei contatti che altrimenti avrei perso.
Credo che di riapparire "virtualmente" ne avrei fatto a meno se non fosse che non so sparire in effetti.
Me ne so andare via, ma ogni volta, devo tornare.
E non perchè credo che qualcuno mi aspetti, in realtà nessuno me l'ha mai dimostrato, ma perchè credo che esistano due categorie di persone: le farfalle e le rondini.
Il ciclo vitale delle farfalle è breve e si articola in quattro fasi: uovo, bruco, pupa e adulto.
Dall'uovo esce il bruco che sceglierà uno stelo adatto su cui tessere un cuscinetto di seta cui attaccare la coda. La cuticola del bruco si fende lungo il dorso e la pupa inizia ad emergere. Una serie di contorcimenti sospinge la cuticola del bruco verso la coda, questa vecchia pelle viene abbandonata ed una serie di uncini sulla coda viene fissata al cuscinetto sericeo. A questo punto la pupa assume la sua forma definitiva. Poco prima dello sfarfallamento, il colore della farfalla adulta diventa vagamente visibile e la farfalla comincia faticosamente ad uscire. La vita di una farfalla sarà breve, può durare da qualche giorno ad una o al massimo due settimane e solo eccezionalmente per un mese. Poi la farfalla si spegne, in breve tempo perderà le sue tinte variopinte, sparirà e non avremo forse più occasione di incontrare la stessa a volteggiare nell'aria.
Certe persone sono come le farfalle. Ci sembrano incredibilmente belle, come se mai avessimo incontrato qualcosa di simile, ci sembrano così diverse che quasi questa diversità ci incute timore. Ci avvicineremo con estrema cautela e quando ne apprezzeremo quel tenero volteggiare, di lì a poco scompariranno senza mai più riapparire ai nostri occhi. E ci tormenteremo al pensiero al punto da vagare alla ricerca di quei colori meravigliosi che avranno colpito la nostra attenzione, senza mai più trovare la stessa. Saranno misteriosamente scomparse, così, nell'aria, senza nemmeno avvisarci, nè darci un ultimo saluto, perchè in effetti sono state programmate per apparire e colpire per la loro bellezza, ma poi per sparire nella fugacità di un tempo che non potremmo arrestare. Loro giungono e se ne vanno, ma non possono tornare.
Le rondini hanno invece l'attitudine di emigrare verso posti caldi. Da noi giungono in primavera e riemigrano con i primi freddi. Credo siano degli uccelli che abbiano bisogno di avvertire del calore sulle loro piume altrimenti morirebbero. Ai primi segnali, senza alcun timore, se ne vanno. Ma poi insieme all'intero stormo, con un'inusuale costanza, devono ritornare. Un partire e ritornare che diventa la costante della loro vita, lunga o breve che sia. E allora alla loro partenza ci si abitua, ma in fondo, anche un po' banalmente, si attende sempre un loro ritorno.
Allora ci sono anche persone così, persone che sono come le rondini. Persone in cui si annida un non so che di scontato e di banale nei loro gesti, perchè non sono mai del tutto inaspettati, l'imprevedibilità non è in fondo una dote che appartiene a loro sebbene qualcuno voglia riconoscerglielo. Ci sono persone che hanno l'esigenza di sentir caldo e quando avvertono i primi freddi vanno nel panico, perchè temono gradatamente di morire. Allora cercano di inventarsi qualsiasi cosa per sopravvivere, nutrendo la consapevolezza di non poter restare e allora se ne vanno, partono. Incrociano persone che credono possano fare al caso loro, persone che sperano facciano parte di quello stormo di rondini che viaggeranno sulla loro lunghezza d'onda, ma il più delle volte ne rimarranno tremendamente delusi, perchè in fondo quelle che pensavano fossero rondini non si riveleranno altro che farfalle. Delle bellissime ma precarie farfalle. Veloci, fredde, incostanti. E allora ritornano sperando di mettere radici che probabilmente non cresceranno mai, perchè il partire e il ritornare è un aspetto intrinseco della loro indole e non possono non esserne accondiscendenti. Queste persone se ne vanno ma non possono non ritornare, e non perchè gli altri se lo aspettino, nè perchè ci sia qualcuno che in fondo stia ad aspettarli, ma perchè riuscirebbero a restare se esistesse un luogo in cui facesse caldo per 12 mesi all'anno. La loro è una capacità che hanno dovuto sviluppare ma di cui in altre circostanze ne avrebbero fatto a meno, perchè è il freddo che incombe che gli impone di andar via, ma loro, riuscirebbero a restare.
Allora ho provato ad omologarmi alle farfalle che spesso ho incrociato volando, ma significava volar basso, colpire per appariscenza, non provare il bisogno di sentire calore, significava dopo poco sparire. Ci ho anche provato ma non ci sono riuscita, perchè forse sarò scontata o banale, ma io proprio non so sparire, devo andarmene ma con la stessa costanza ritornare, in una temporaneità che si chiama sempre "troppo tardi" o "troppo presto", c'è sempre un troppo di troppo nei miei comportamenti, ma ad un silenzioso niente ho sempre preferito un rumoroso troppo, ho sempre preferito traboccare che essere prosciugata.
Non credo che si preferiscano le rondini a delle farfalle. Non avranno la loro bellezza, il battito delle loro ali non sarà fresco e leggero, non avranno la loro luminosità nè il fascino di chi potrai incrociare solo per breve tempo e allora ti incanterai ad osservarle fin quando il tuo tempo non sia scaduto.
Vorrei tanto coltivare la dote dello sparire, del non tornare quando tutti un po' in fondo si aspettano che lo faccia, vorrei tanto comprendere cosa si provi a sapere che qualcuno ti aspetta ma tu intanto avrai scelto di sparire senza mai più voltarti. Ma in fondo non sono una persona-farfalla. Faccio esattamente quello che tutti si aspettano che io faccia, in primavera o anche fuori stagione, troppo tardi o troppo presto: ritornare.

(...e non parlo di un social network, ovviamente!)

domenica 3 febbraio 2013

Un post che sconsiglio di leggere.

Talvolta non sono le persone a mancarci, ma l'idea della loro presenza nella nostra vita.
Sarà allora una mancanza che si intersecherà con un bisogno, una ferita ben più profonda, da cui il sangue zampillerà senza essere in grado di fermarne il flusso.
Perché quando la mancanza si presta ad esser soltanto tale nel vero senso della parola, saprà di concretezza, avrà un nome, un volto, un corpo, un'immagine che potrà prestarsi ad essere la causa della nostra inappetenza, il colpevole del nostro rifugiarci nel groviglio dei nostri pensieri come fossimo in un labirinto, in fondo un po' anche il nostro alibi.
Ma quando una presunta mancanza si associa al bisogno, quando si tratterrà semplicemente di "idee che qualcosa o qualcuno ci manchi" la cosa è ben più complicata. Perchè tutto saprà di astrattezza, di irrimediabilmente vago, come se rincorressimo una piuma che intanto va verso il cielo trasportata dalla forza del vento, come se non ci fosse niente di umano, nessun nome, nessun volto, nessun corpo, nessuna immagine sarà la causa della nostra inappetenza, nessuno sarà in fondo il colpevole dell' alienarci nei nostri pensieri confusi, nessun alibi, solo un labirinto che in fondo siamo stati noi da soli a costruirci, come se l'avessimo fatto volutamente perchè l'alternativa a questo niente fatto di idee sarebbe il niente fatto del niente, come carne viva lasciata a bruciare in attesa di raccogliere le ceneri.
Ad una concreta mancanza c'è rimedio. Sapremo dove andare, a chi rivolgerci, sapremo cosa dire. Ed anche se non sarà placata il tempo lenirà la nostra mancanza insoddisfatta.
Ma quando la mancanza non è solo tale ma si interseca con un bisogno inconscio non è semplice trovar rimedio. Perchè saremo spaesati senza una meta, il tempo sembrerà lenire ma d'un tratto ci ricapulterà in un' assurda pesantezza, vagheremo perdendo la nostra capacità di riconoscere le persone in cui credere o meno e allora ci appiglieremo a chiunque troveremo lungo il nostro tragitto dai sentieri indefiniti, assaggiando un appagamento che sarà breve e che presto ci costringerà a vagare nuovamente. E quando ci chiederanno se avremo qualcosa da dire risponderemo "Niente", come se questo non valesse quel "tutto" che celiamo dietro un falso niente, minimizzando il nostro riempirci di idee che non trovano mai appagamento, come se riducessimo la dignità del nostro incessante vagare alla ricerca di una meta, come se in fondo non volessimo riconoscere noi stessi.
Abbandonare l'idea che manchi qualcosa sarebbe forse l'unico rimedio. Ma come si fa ad abbandonare un'idea che esercita su di te così una così grande pressione da essere il motore del tuo continuo vagare?Come si fa ad abbandonare un'idea se in fondo siamo noi stessi costituiti anche di idee?
Non lo so. Un tempo avrei saputo scrivere tante belle cose su come trovare un giusto rimedio. Non ho mai dato un indirizzo preciso al mio blog perchè in fondo mi capita di mettermi al computer e scrivere pensieri che a voce alta spesso non riesco ad esprimere, e nel lasciare scivolare le mie dita sulla tastiera riuscivo, alla fine, molto spesso a scorgere tra una parola e l'altra una "soluzione". Ma da un po' questo gesto del lasciare scivolare le dita sulla tastiera non mi aiuta più in questa impresa. E' come se avessi esaurito la mia capacità trasmettitiva, come se forse avessi esaurito cose da raccontare, come se nulla mi ispirasse, come se tutto in fondo si incanalasse in un'unica direzione che non trasmette positività. E non perchè una blogger debba necessariamente raccontare cose divertenti o ergersi a psicologa, ma il mio non dare un preciso indirizzo al blog si è sempre sposato con un voler trasmettere chiari segnali, stimolare magari la mente, far pensare a chi legge di scorgere in delle righe verità condivise o pensieri opinabili o alcuni che potessero da quel momento chiarire dei dubbi. Ma cosa c'è di vero o stimolante in quello che ho scritto, se non un groviglio di pensieri forse scritti correttamente ma che sanno di poco o forse di niente, cacciati con veemenza perchè sentivo il bisogno di farlo ma non condividerlo con nessuno. E' questa la giustificazione che presto a dare a me stessa sulla mia sparizione virtuale su facebook, di cui ne facevo uso nell'ultimo periodo quasi esclusivamente per promuovere il mio blog: riordinare i pensieri e le mie emozioni. Ho twitter dove in fondo seguo pochissime persone, dove le notizie sono così tante e veloci che sebbene lo pubblichi so bene che nessuno lo leggerà. Ci sono poi i soliti "affezionati" che forse lo faranno come no, ma in fondo chi è che sceglierebbe di leggere un post la cui lettura è sconsigliata dalla stesse autrice? Spero vivamente nessuno.

giovedì 31 gennaio 2013

Crederci nonostante tutto.

Penso che ognuno possa sforzarsi di credere in qualcosa, ma spesso per quanto ci si possa imporre le nostre convinzioni saranno dettate dal bagaglio delle nostre esperienze precedenti che comprenderanno scelte di vita, circostanze che ci abbiano visto vincenti o sconfitti, persone che nelle loro piccole sfaccettature abbiano colorato la nostra vita di un nero come la pece o tinte variopinte come fiori di primavera.
Perchè per quanto ci si sforzi a porre il nostro io al centro di tutto come se ciò che c'è attorno non riesca nemmeno a sfiorarci, in realtà questo mondo esterno condiziona tutti, e direi, soprattutto i cinici che continuano a raccontarsi la storiella del "sto bene così, sono meglio di tutti voi, non ho bisogno di nessuno se non di me stesso, andate al diavolo! ", da cosa in fondo avranno mai potuto incamerare questa loro convinzione?
Se una persona viene idolatrata per un'intera vita dagli altri che continueranno attraverso frasi o atteggiamenti a dargli conferma di quanto sia bello, bravo, simpatico ed intelligente, quella persona, pur non avendo le doti millantate, se ne convincerà al punto tale da non pensar mai di essere invece qualcosa di diverso e magari se nella sua vita avrà avuto la fortuna di incrociare soltanto una o al massimo due persone che avranno voluto sfoggiare la loro idea contrastante, queste persone non saranno credute, o a limite saranno la classica eccezione alla regola, venendo catalogate come "persone sbagliate", "persone che non ti hanno compreso", perchè quella persona, avendo solo in rare occasioni ascoltato qualcosa di diverso, continuerà a pensare di essere sempre bello, bravo, simpatico ed intelligente, ma non perchè creda particolarmente nei propri mezzi, ma perchè in fondo non gli si sarà mai presentata l'occasione concreta di analizzarli, facendosi bastare la voce della maggioranza, essendo condizionato da tutto questo senza nemmeno esserne a conoscenza. 
E così se ad una persona per un'intera vita viene detto di starsene in silenzio, la stessa crederà che parlare non sia importante, o troverà altri mezzi per farlo quando ne avvertirà il bisogno che non sia il proferire parola. E così se tutti quelli che sono attorno a te ti ripetono quanto sia fallito te ne convincerai al punto da non credere di poter vincere mai o viceversa.
Se nella tua vita hai conosciuto persone che in te si sono avvolte come ad un lenzuolo profumato senza mai lasciarti andare e senza mai pensare di abbandonarti, dubiterai del fatto che molte persone invece siano capaci del gesto diametricalmente opposto a quello che invece a te è stato riservato.
Ma se invece nella tua vita hai sempre assistito in veste di umile spettatore o di indiscutibile protagonista alla precarietà degli eventi, ad assaggi prelibati che però non ti hanno mai visto sazia abbastanza, a persone che in te si sono avvolte come attorno ad un lenzuolo che poi non facevi a tempo ad annusare che aveva già perso il suo profumo, a persone che da nuove in poco tempo erano riuscite già a portarsi addosso la puzza di stantio, a persone che hanno pronunciato un "ti amo" e con la stessa leggerezza dopo pochi giorni hanno fermamente cominciato a negartelo, a persone che in punta di piedi o rumorosamente sono entrate nella tua vita per poi improvvisamente dissolversi nell'aria come bolle di sapone senza darti il tempo di chiedere spiegazioni perchè ti hanno in fondo imposto il silenzio che col tempo hai cominciato a farti bastare, in cosa potrai mai credere o non credere? Crederai nel poco che non basta mai, nella fugacità come un treno in corsa su cui farai a mala pena in tempo a salirci e per rischiare talvolta ti schianterai sulle rotaie, crederai che non ci si può sedere a tavola per ore alzandoti solo quando sarai sazio perchè sei sempre stato portato a miseri buffet dove l'unica prerogativa era semplicemente assaggiare, crederai che tutto ciò che apparentemente possa profumare di lavanda in breve tempo potrebbe trasformarsi nella peggior puzza che ti sia mai passata sotto il naso, le parole le ascolterai senza mai crederci fino in fondo, nemmeno gli abbracci riusciranno a dirti qualcosa, crederai che nessuno vorrà restare e che da tutti, nessuno escluso, potrai aspettarti qualsiasi cosa, anche becere ed ingiustificabili sparizioni ove addirittura il silenzio sarà così rumoroso da perforarti i timpani. Ma non ditemi che questo approccio alla vita sia normale. Non ditemi che il non avere nessuna aspettativa sia appagante, che il lasciare che sia senza mai stringere le redini sia gratificante, nè che dobbiamo aspettarci di tutto dagli altri, anche quello in cui non vorremmo mai credere che le persone siano in grado di compiere, perchè non è normale l'essere classificati come persone per i soli tratti somatici ma poi assumere le vesti di fantasmi o risultare più fastidiosi di merde di cani che si incastrano sotto le suole delle scarpe. Forse il miracolo si verifica quando riusciremo a non farci condizionare, ma probabilmente dovremmo annoverare tra le possibilità quella di isolarci dal mondo, spegnerci, svuotarci di tutto, attualmente non troverei una diversa alternativa. O è possibile che si verifichi quando riusciremo a credere in qualcosa nonostante tutto, ma è proprio il "nonostante" il gradino più alto da dover superare, perchè è come spiegare ad un cieco la sinuosità delle colline, la lucentezza di un cielo terso, la compenetrazione del rosa, del giallo, del rosso e dell'arancione che lascia spazio all'imbrunire. Ma credo che se qualcuno si armasse di buona volontà, restando per ore, giorni, settimane, anni, come se il tempo non fosse una priorità, a spiegare a quell'uomo affetto da cecità ciò che non ha mai visto, probabilmente pur non riuscendo a spalancare gli occhi comprenderà ed assorbirà ogni minuziosa descrizione, sino a pensare di aver recuperato la vista, nonostante tutto, perchè l'immaginerà ad occhi chiusi, ne percepirà i sapori, nè annuserà i profumi. E' questo il più grande miracolo che può un uomo verso un altro, e questo non sa di divino, ma è profondamente umano. Ed il punto è sempre lo stesso: dovremo dare agli altri la possibilità di inculcarci nuove idee, le stesse in cui potremmo credere come no, ma certe convinzioni saranno in noi radicate perchè sono state le persone, nel modo a loro noto, a trasmettercele, o gli eventi, ma in fondo anche quelli nascono, vivono e muoiono entro una cerchia di persone che avremo avuto la fortuna o meno di incrociare.
Ma ai miracoli intesi in tal senso in fondo non ci si crede più perchè in fondo non c'è tempo. Chi vorrebbe perdere il suo prezioso tempo a raccontare della bellezza di paesaggi a chi non ha la vista? Credo che qui scatti la volontà o semplicemente il bisogno dell'essere "migliori", mai di qualcun'altro, ma semplicemente di ciò che potenzialmente potremmo invece essere. Non c'è tempo perchè in fondo non c'è desiderio, perchè in fondo è normale ciò che sa poco di una certa umanità e soltanto pochi non temono di essere inseriti nel girone degli "anormali". Ecco perchè è complicato "credere in qualcosa nonostante tutto", troppa fatica, troppi rischi, troppo di tutto che potrebbe rivelarsi niente.
Ma ad una convinzione oggi sono arrivata. Mi dicono di "saper scrivere" e allora me ne sono convinta, fin quando da giorni un pensiero mi si è inculcato autonomamente nel cervello: il non riuscire più a farlo trasmettendo qualcosa, come se avessi così tanti pensieri da non riuscire nemmeno a districarli. Ma forse uno dei tanti, al di là di ciò che possa arrivare e al di là del fatto che possa essere condiviso, l'ho scritto, comunque, nonostante tutto. Non so se si tratti di un "miracolo" o semplicemente di un crederci avendo superato il gradino più alto del nonostante tutto, o presumibilmente, di entrambe.

mercoledì 30 gennaio 2013

Partenze e saluti.

Nella mia vita ci sono due costanti: partenze e saluti. 
Spesso sono partita io, qualche volta ho visto anche partire, con l'unica differenza che le mie partenze mi hanno visto sempre tornare, con tristezza e rammarico, ma alla fine, sono tornata, gli altri molto spesso non l'hanno fatto e mi hanno lasciato su di uno uscio della porta ad aspettare che si aprisse fin quando poi ho compreso che era necessario chiuderla.
Ho sempre salutato e l'ho fatto pronunciando frasi che in fondo volevano trovare conferme nell'altro, alcune che non necessitavano di tante parole, altre che hanno lasciato spazio ad un silenzio che solo col tempo ho capito che mi stava dicendo che non avrei dovuto chiederle, perchè in fondo non esistevano.
I miei saluti coincidevano con un "Ciao, ci vediamo presto", nonostante quel ciao talvolta si sia tramutato in un addio ingiustificabile, quel ci vediamo presto era invece per prendere in giro me stessa, per quel mio solito vivere nell'attesa, pur conoscendone in fondo l'epilogo, pur sapendo che non ci saremmo più visti, pur sapendo che presto tutto sarebbe stato spazzato via come le foglie d'autunno per lasciar spazio all'inverno, al fresco venticello primaverile ed infine all'estate, le stagioni che con il loro alternarsi avrebbero reso la mia immagine sempre meno nitida, una persona da dimenticare.
I miei saluti hanno visto porte sbattute e telefoni che continuavano a squillare a vuoto senza nemmeno lasciare un messaggio in segreteria.
I miei saluti si sono sempre fusi con abbracci. Per me l'abbraccio è importante più di ogni altro atto fisico. Parlo di quelli così stretti da farti mancare il fiato, di quelli dove non sai mettere le mani e allora le poggi sulla schiena dell'altro, chinando il capo sulla spalla, in un avvicinamento di busti così stretto che è come se i corpi si compenetrassero, come se non ci fosse bisogno di alcuna penetrazione perchè questo gesto bastava per sentirsi l'uno appartenente all'altro, come se un pezzo di anima si fosse fuso con quella altrui per danzare insieme. Ho dato anche abbracci che vorrei dimenticare, di quelli che dai solo tu pur non percependo il calore dell'altro, pur constatando che le mani altrui pendono senza mai appoggiarsi alla schiena, perchè sono fredde, vuote, come l'anima di chi ti sta dicendo addio e vorrebbe che tu non ti avvicinassi perchè nell'abbraccio non crede o ci crede così tanto al punto da dovertelo negare.
In fondo ho proprio innescato io questo meccanismo delle partenze, dei saluti, del seminare senza mai mettere radici, del tornare dove tutto era iniziato, ricominciando sempre da capo, con pochi superstiti o da sola, coltivando l'idea che nessuno resta e che tutto di punto in bianco potrebbe finire, come un libro, un film, una tazza di cioccolata calda, lasciandoti in bocca l'amaro, il dolce o il salato, a volte la sensazione che avresti desiderato un epilogo diverso o che tutto sia in fondo finito troppo presto.
Ma oggi non lo capisco. Perchè mi dico che dopo tante partenze, ritorni, saluti sono diventata esattamente questa. Ma forse sono anche diventata una persona che sa già a priori che il suo ciao potrebbe essere un addio, che lei partirà ma sicuramente tornerà ritrovando quei rapporti che non necessitano di conferme ma timorosa di perderne altri che probabilmente non torneranno e allora dovrà dire che è la vita, che va bene così, che tutto è tremendamente temporaneo, che bisogna vivere in fondo senza aspettative per non restare delusi, che tutto dovrà scivolarti addosso con distacco, pur sperando in fondo di avere torto, almeno una volta.
 
Non so se ne è valsa la pena correre invece di restare perchè si temeva di aver pazienza e che nulla sarebbe contrariamente arrivato.
Tutte queste partenze e questi saluti li ho voluti nella stessa misura in cui poi li ho detestati. Perchè in fondo ho innescato io tutto questo, io ho deciso di partire e deciso il momento in cui sarei tornata, ho deciso il momento in cui avrei dovuto salutare, ho assunto un atteggiamento che poco sapeva di certezze eppure fremevo al pensiero di non poterne avere. In fondo mi sono convinta che queste due costanti facessero parte di me, ma in realtà me le sono soltanto imposte quando pensavo che fossero l'unica alternativa, quando avevo ferite dappertutto, sensi di colpa che non riuscivo a lavare, bisogni di cui mi si negava il soddisfacimento.

Ma allora, è stato proprio necessario imporsi di abituarsi a tutto questo?

lunedì 28 gennaio 2013

Sorridere è essere belli.

Credo che la bellezza debba far sorridere.
Sarà bello il sole che ti riscalda in un pomeriggio d'estate che ti costringe a socchiudere gli occhi e provoca una smorfia sul viso, proprio simile ad un sorriso.
Trovo bello quel sorriso che compare sul volto di chi è come se volesse pronunciare la frase "E' tutto qui quello che volevo dire" dopo essersi confidata con un'amica, aver sbattuto i pugni per il troppo nervosismo, aver pianto di stanchezza, lasciando senza alcun imbarazzo scorrere lacrime rendendo gli occhi lucidi, come se il cuore stesse sussurrando "Grazie", come se quel sorriso successivo alle lacrime fosse un'arcobaleno dopo una tempesta, che riesca a racchiudere una bellezza incommensurabile.
Trovo bello quell'accenno di sorriso tra chi si perde fra la folla per poi ritrovarsi.
Trovo bello il sorriso di chi sa che c'è qualcuno fuori la porta ad aspettare.
Trovo bello il sorriso di chi nell'esprimersi paleserà il proprio sapere, ed il sorriso di chi dall'altra parte starà ad ascoltare.
Trovo bello il vento che spazza le foglie.
Trovo bello il sorriso degli innamorati, di chi è curioso di scoprirsi.
Trovo bello tutto ciò che in fondo faccia sorridere, perchè forse la bellezza, quella eterna ed intramontabile, consiste proprio in questo.
Ma noi, che alla cattura dell'essenza e alla scoperta della verità non siamo più così abituati, ci accontenteremo di una piacevole apparenza, che non è bellezza, perchè in fondo sarà fugace. 
E la bellezza, pronunciata con vocali aperte ed il suono rimbombante delle doppie consonanti, può essere eterna, proprio come un sorriso, quella smorfia delicata che compare sul viso di tutti, che è bellezza.
Ma siamo stati così imbottiti dell'idea che tutto sia profondamente temporaneo, che all'eternità non ci si crede più. Forse è anche per questo che si preferisce inciampare in piacevoli apparenze, vuote, spente, che non è detto che facciano sorridere.
Forse è proprio per questo che ci lamentiamo sempre troppo, ridendo sempre meno. 
Ma ogni sorriso negato è un pezzo di bellezza che ci abbandona.
Per essere belli bisogna anzitutto sorridere.