giovedì 14 marzo 2013

Fino ad innamorarci.

Facciamo come quelli che guardano attraverso il finestrino di un treno in corsa, potendone a mala pena ammirare la bellezza dei paesaggi, indicandoli con un dito attraverso i vetri sporchi del vagone, quel dito che abbasseremo quando man mano il nostro sguardo sarà lontano da quell'immagine, venendo irreprensibilmente catapultato su quella matassa di mattoni posti in malo modo l'uno sull'altro, senza forma, né odore, né voce, perché è esattamente lì che ogni volta ci fermiamo, in stazioni desolate che non offrono ampio spazio all'immaginazione. Saremo uno fra i tanti passeggeri, non gli unici, mai i primi ad accomodarsi, solo qualche volta gli ultimi a scendere. Parleremo con chiunque scelga di sedersi di fianco o probabilmente con nessuno, mentre la nostra mente potrà essere trasportata sull'onda dell' inconscia quanto irrealizzabile fantasia di voler far spuntare freschi germogli tra mattoni di una stazione ove nessuno passerebbe, nemmeno per caso, ad innaffiarli. Lasceremo che la nostra fervida immaginazione ci conduca all'ombra di un cipresso, in una tiepida giornata di primavera, ritagliando per noi due uno spazio che abbia l'odore del caffè o della spremuta di un'aranciata fresca e come voce il cinguettio degli uccelli, non privandoci di volare, ma nemmeno di sostare e dire ciò che siamo, così su due piedi, invece di invidiare chi per strada si tiene per mano, significando che ciò che si dovevano dire, per poi passeggiare in quel modo così vicini, già l'hanno pronunciato, in un tempo prossimo o remoto, quel tempo che noi non riusciamo mai a catturare, perché non sembra mai il momento, perché il nostro treno è pronto a ripartire. La fantasia sembra essere l'unico spazio in cui il vento non ci scompiglia i capelli nascondendoci il viso, in cui il tempo non ci è avverso ma nostro fedele alleato, in cui non serve zuccherare il caffè o temporeggiare con la cannuccia immersa nella spremuta, in cui il silenzio non innalza mura incomprensibili ma unisce in parole che non vanno necessariamente scandite una ad una, in cui l'unica premura è l'incrocio di sguardi senza mai abbassarli per timore di scoprirsi troppo, in cui possiamo rimuovere l'immagine di innamorati che passeggiano come a ricordarci quanto siamo infelici nel nostro essere bugiardi.

Ma cosa succederebbe se mancasse quella fantasia a tratti armoniosa, sotto altri aspetti perversa, ma fingessimo di ritrovarci in essa ricreando tutto senza tralasciare alcun dettaglio?
Come se il tempo non fosse una priorità, non un alibi alle nostre menzogne, come se le nuvole avessero già la nostra forma, gli uccelli la nostra voce, l'aria il nostro profumo, parleremo fino ad innamorarci, forse. 
Ma nella nostra vulnerabilità ogni cosa sembrerà renderci schiavi. Anche la fantasia.

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