Ed io in effetti, ancor prima di conoscerne la grandezza, penso di averne fatto quasi un credo.
Quando ho deciso ad otto anni di scarabocchiare un diario inutilizzato e farne il primo libro di storie inventate. Gli diedi un titolo a caso, 'Polvere di stelle', perché ho pensato che forse potesse avere la stessa consistenza della polvere.
Quella che nascondi sotto il tappeto fin quando non decidi di spazzarla via. Quella che nonostante tutto poi riappare in ogni fessura. Quella che tra le mani scivola.
Ma allo stesso tempo qualcosa di affascinante, di magico ed inesplorato, come il raggiungimento di una stella mai scoperta, cui darai il tuo nome, forse. Perché ogni parola attentamente ricercata ed ogni punteggiatura mai messa a caso racchiude una parte di te.
Quando poi ho deciso di scrivere su pezzi di carta.
Di digitare qualcosa alla rinfusa senza sapere cosa ne sarebbe uscito fuori dietro lo schermo di un computer.
Quando ho deciso di farne un romanzo.
E poi un altro.
Non soltanto perché avessi qualcosa da dire.
Piuttosto trovavo la concatenazione di parole, virgole e punti più congeniale al mio modo di essere. Di chi parla, sempre troppo o troppo poco. Forse mai abbastanza.
Perché forse ho creduto, da sempre, che le parole fossero veramente qualcosa di importante. Tutte quante.
Quelle che ringiovaniscono lo spirito per quanto appaiano fresche.
Quelle che ti attribuiscono responsabilità, perché certe volte occorrono parole perché tu ti senta finalmente addosso il peso dei tuoi doveri.
Quelle che ti accarezzano, come un soffio di vento primaverile.
O che ti bruciano, come i raggi ultravioletti in una giornata di solleone.
O che ti raffreddano, come il gelo pungente di una sera di gennaio. Come il silenzio.
Perché anche loro, le parole non dette, sono importanti.
E l'ho capito quando ho rischiato di perdere tutto in attesa di parole che non sarebbero mai arrivate soltanto perché avevo mani per scrivere ed una bocca per parlare, ma non degli occhi abbastanza profondi da poter vedere.
Perché col tempo, forse, si impara anche questo.
Non che le parole siano meno importanti delle azioni. Ma che queste, per la loro immensa portata, sono in grado di prendere le forme più disparate, di raccogliersi in un gesto, di intrappolarsi in uno sguardo, di incanalarsi in posti in cui non ci saremo mai diretti se non ce l'avessero chiesto o se noi non avessimo imparato a sentire.
Così ciascuno avrà i suoi modi.
I suoi canali.
Il proprio mondo di cui scoprire ogni confine, ogni angolo, ogni orizzonte.
La propria polvere di stelle.
L'importante sarà non rinunciarvi mai.
Farlo, a scadenze definite, solo quanto basta.
Quando non si avrà la voglia di spiegare.
Quando il nostro mondo ci sembrerà troppo caotico e non sapremo da dove partire per poterlo ordinare.
Perché non si potranno usare parole a casaccio.
Non si potranno porre virgole al posto di punti fermi, né punti interrogativi al posto di quelli esclamativi.
Si dovrà avere la calma di ricercare le parole, dove nessuna sarà giusta o sbagliata. Quando si impregna di quello che sentiamo, quella che ha il volto di chi siamo, che se strizzate lasciano scorrere tutto ciò che mai vorremmo fermare. Quelle saranno da apporre, l'una accanto all'altra.
Sarà allora che avremo creato un qualcosa di nostro. Un pensiero, un gesto, una frase che possa fermarsi ad essere tale o crescere per formare dell'altro. Sarà allora che lo sentiremo, lo leggeremo, lo guarderemo, lo assaporeremo come fosse un frutto maturo caduto dall'albero ed esclameremo: sono io.
Per questo le parole sono importanti.
O almeno è quello che diceva qualcuno.
È quello in cui mi è sempre piaciuto credere.
Perché se le leggiamo, le ascoltiamo, le scriviamo, ci donano consapevolezza.
Se le riconosciamo nei gesti, tepore.
Perché saremo a casa.
Nel nostro mondo.
Con la nostra polvere di stelle.
Ed avremo fatto un passo in avanti, perché indietro si torna solo per recuperarsi quando ci si perde.