martedì 27 novembre 2012

Un cuore, dove tutto inizia e tutto muore.

Con il cuore faccio qualsiasi cosa. Rido, mi emoziono, parlo con il cuore. Riesco a piangere con il cuore, è come se avessi dei tubicini immaginari che dal cuore conducono agli occhi da cui escono lacrime che nascono dal cuore ed in cui spesso ci rimangono senza mai solcare il viso. Mi innervosisco, urlo con il cuore. Delle urla che dallo stomaco passano al cuore per fuoriuscire dalla bocca, urla che spesso resteranno mute, fermandosi al cuore. Riesco persino a respirare con il cuore. Vado sempre dove il cuore avrà deciso di condurmi. Faccio domande a cui do risposte che nascono dal cuore. Vivo con il cuore, o meglio, vivo di cuore. E' come se riuscissi ad annullare tutti gli altri organi o parti del mio corpo, è come se tutto venisse conglomerato in quel muscolo dalle dimensioni di un pugno, che da' avvio ad una danza di pensieri, ricordi, esperienze, delusioni, sconfitte, fallimenti, amori andati o semplicemente passeggeri, persone che restano, persone che decidono di andare, speranze lucenti o dalle tinte opache, passioni che hanno voglia di esplodere ma che restano mute, sorde, dentro quel muscolo in cui sembra che tutto inizi e tutto finisce, una melma aggrovigliata che spesso confonde amicizie con amori, grandi passioni con beceri obiettivi, piccoli fallimenti in battaglia con una sconfitta dell'intera guerra. Lascio che tutto nasca da lì ed in quel groviglio di danze confuse lascio che lì tutto muoia. Ma vivo di un cuore che scoppia, che è gonfio, che è stanco, un cuore che spesso farebbe a pugni con se stesso. Un cuore che vuol prendersi la sua parte e lasciare che anche le altre parti del corpo fungano a qualcosa. Un cuore troppo pieno ma appesantito. E' come se tutte le sensazioni, dalle più dolci a quelle più amare, venissero incanalate in quel muscolo dalle dimensioni di un pugno che tutto in fondo non riesce a sopportare. Allora a volte batte a fatica. Ecco perchè quando rido o quando piango, quando vinco o quando perdo, quando urlo o resto in silenzio, quando ricordo o smetto di sperare, congiungo le mie mani al petto. E' come se volessi far combaciare il battito del cuore con la veemente cascata dei miei pensieri ed il respiro come un dolce fruscio di vento che porta via con se le foglie ingiallite, come se volessi che tutto compenetrasse lì, in quel muscolo, dove tutto inizia e tutto muore.
Dovrei forse far funzionare anche il cervello e dare la giusta collocazione ad ogni cosa. 

I ricordi dovrebbero andare nel polmone destro, le speranze in quello sinistro. I polmoni permettono la respirazione, senza il respiro si muore. E si muore anche senza ricordi e speranze. Perchè il ricordo è la base da cui partire per proiettarci verso un futuro che sarà sempre troppo incerto, le speranze fungeranno da molla, da trampolino, senza le quali sarebbe impossibile tuffarci nel mare dell'incertezza. Ricordi che in certi momenti ci annebbieranno, in altri ci faranno sorridere, in altri ancora star male. Speranze che talvolta cesseranno di brillare per assumere tinte opache, sino quasi ad annullarsi. Ma i ricordi sono l'unica cosa che il tempo non può cambiare, se ne stanno lì e puoi disporne quando vuoi e per quanto tempo tu lo desideri. Nessuno te li toccherà, e nel rispolverarli alimenteranno le tue speranze. I ricordi saranno parte del tuo respiro quando vorrai mollare, quando sarai stanco, ma ti ricorderai di tutte quelle volte che avresti voluto farlo e non l'hai fatto, non hai mollato, ce l'hai fatta, sarai andato avanti comunque. Non avrai smesso di sperare grazie ad un ricordo vitale quando un respiro.
I rimpianti andranno nell'intestino, espulsi come scorie dal nostro organismo, perchè non dovremmo averne. La vita è fatta di scelte e talvolta dinanzi ad un bivio una sola sarà la strada che potremo intraprendere, e l'unico modo per non avere rimpianti, per non pensare mai a cosa sarebbe successo se fossimo andati dritto invece di svoltare a destra, è scegliere nel silenzio della stanza dei nostri pensieri, avendo come sottofondo solo il nostro respiro ed il battito del nostro cuore, senza lasciare che niente e nessuno condizioni il nostro tragitto. Così i rimpianti saranno scorie da riporre nell'intestino per essere dopo poco espulse.
Le esperienze che abbiamo vissuto, i posti che abbiamo visitato, le persone che avremo conosciuto e saranno giunte nella nostra vita per insegnarci qualcosa o per scaraventarci bruscamente sull'asfalto, quelle grazie alle quali saremo diventati donne o uomini, dal cuore risaliranno attraverso la gola e attraversando il naso finiranno agli occhi. Dovranno essere i nostri occhi, che ci permetteranno di osservare tutto ciò che ci circonda in modo più responsabile e sempre più consapevole. 
Le delusioni, le sconfitte, i fallimenti di un lavoro, di un amore, di un amicizia saranno invece i nostri piedi su cui dovremmo reggerci. Senza di loro saremo piccoli uomini o piccole donne che avranno imparato poco dalla vita. Tanto più le delusioni saranno dolorose, più le sconfitte forti, più i fallimenti logoranti, quanto più la pianta dei nostri piedi sarà larga ed in grado di reggerci, reggere noi che diverremo intanto sempre più robusti, perchè impareremo a perdere con la stessa umiltà e scaltrezza che utilizzeremo per vincere. Vittorie che saranno nate dai piedi per raggiungere addirittura il cervello.
Al cuore dovremmo lasciare l'amore e le passioni. E' il loro posto d'altronde. Ma non c'è spazio per la vergogna di amare, nè di coltivare passioni evitando che restino mute e pure sorde. Non ci sarà spazio per la vergogna nelle orecchie correndo il rischio di diventare sordi, nemmeno sulla lingua perchè potremmo divenire muti, negli occhi ci sono le esperienze ed è impossibile pensare di diventar ciechi. Allora la vergogna dove va? La vergogna non esiste. E' una creazione del cervello perchè stanco di non far nulla per il sovraccarico di lavoro del cuore, ha avuto bisogno di inventarsi qualcosa. Ma ora che ogni parte del corpo svolge le sue funzioni, non ce sarà più bisogno. 
Ma dubito che questa congeniale sistemazione possa durare. Dubito di non riuscire più a portare la mani al petto come se volessi far combaciare il battito del cuore con la veemente cascata dei miei pensieri ed il respiro come un dolce fruscio di vento che porta via con se le foglie ingiallite, come se volessi che tutto compenetrasse lì, in quel muscolo, dove tutto inizia e tutto muore, quel muscolo per cui in fondo vivo.

1 commento:

  1. Però poi, con gli occhi, specchio del cuore, reagisci, guardi, emozioni e ridi.
    Senza aprire bocca.
    Il viso s'illumina dicono, ma non è quello, bensì il cuore.

    Sempre lui.

    Come quando riescono a leggerlo da fuori, e capisci che il cuore tutto sommato è anche un libro, da leggere, come il tuo, per veri lettori.

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