Non manca molto, in fondo.
Per iniziare il mio ultimo anno che avrà il due come primo numero.
Chi lo sa come mi sentirò tra dieci anni, quando sarà il tre a lasciare posto al quattro.
E chi lo sa come mi sono sentita dieci anni fa. Questo nemmeno me lo ricordo.
Quando sono in prossimità di un traguardo, mi concedo del tempo per guardare tutto quello che ho lasciato alle spalle. Devo capire se merito di oltrepassare la striscia bianca segnata sull’asfalto, asciugarmi la fronte per poi ripartire in una nuova corsa.
Una di quelle che avrà un selciato più o meno tortuoso, ma sicuramente un’altra destinazione.
Una di quelle che comprenderà altri 365 insegnamenti, racchiusi spesso in dettagli che restano inosservati allo sguardo dei più.
Una di quelle in cui saper cogliere quando sarà opportuno ingranare la marcia, e quando invece decelerare.
Lo faccio non per contare cosa ci abbia guadagnato, ma soprattutto cosa ho sbagliato. Cosa ho perso. Cosa non ho imparato. Cosa mi ha tenuto legata. Cosa non mi ha permesso di vincere con maggiore agilità. Perché, in fondo, è anche questo che la vita ci chiede ogni tanto, come fosse una sorta di conto da pagare.
Un rendiconto che scrivi tu. Davanti ad un foglio bianco, senza remore, né paura di tradirti.
Allora, nel mio penultimo anno con il due davanti, non ho ancora imparato a non dar troppo peso. Alle circostanze avverse, ai volti di plastica, alle sagome di cartone, alle parole scritte sulla sabbia.
Piuttosto, ho cominciato a dar peso al tempo che scorre, a considerare sacro ogni attimo, così da essere incapace a sprecarlo. Per tutte quelle cose destinate a diventare brutti ricordi nello stesso istante in cui le si vive, e con tutti coloro destinati ad essere chiusi in uno scatolone da custodire nell’angolo di una casa, come fossero l’ultimo pacco da scaricare.
Ho imparato a sbiadire quella linea di demarcazione che ostinatamente ricalcavo tra me e quella porzione di mondo che un tempo mi faceva paura.
Ho imparato a lasciar sbiadita anche quella che custodivo dentro di me, per separare le parole da pronunciare dal mio reale stato d’animo.
Ho avuto la conferma, però, che quello che sono lo esprimo soltanto scrivendo. Così, ho imparato a fregarmene: di quello che vede la gente, di quello che pensa, di come mi etichetta.
Perché la verità é che ci sarà sempre qualcuno pronto a puntarti il dito, per farti un elenco di tutte le tue manchevolezze.
Ci sarà quello che ti biasimerà di non averlo amato abbastanza, o di averlo amato troppo. Così ho imparato ad amare e basta, senza preoccuparmi della dose da offrire, né di quella che forse non riceverò in cambio. E ho imparato che non amare non é peccato. Lo è imporsi di farlo, solo perché é scritto sul copione di un film che non sei più disposto a recitare.
Ci sarà sempre qualcuno che ti darà dell’incapace, dell’inferiore, dell’inetto. Ho imparato che sono quelli che hanno paura di te. Allora se non sarai in grado di insegnar loro a non averne, dovrai imparare a scansarli. L’ho imparato, ma troppo tardi.
Ci sarà sempre qualcuno detentore di una verità che non collima con la tua. Perché, alla fine, ognuno avrà il diritto della verità che gli spetta. L’ho imparato, questo, a mie spese, appurando che ogni verità è il prodotto di diversi ingredienti che si miscelano, e la consistenza dipenderà dalle dosi. Una verità è fatta di coraggio, di amor proprio, di umanità, di senso del dovere, quello morale. La paura no, non c’entra niente. Quella produce solo grandi bugie.
Così, alla fine, ho capito anche un’altra cosa.
Che non sarò mai quella donna in grado di godermi il traguardo, senza però prefissarmene subito un altro.
Che sarò sempre quella donna che sente di non meritare di appoggiare il suo piede oltre la striscia bianca segnata sull’asfalto. Potevo essere più svelta, decelerare in alcuni momenti per godere della bellezza del paesaggio circostante, potevo sudare di più.
Ma sarò quella che non avrà mai più paura di perdere ogni cosa, perché ha imparato a costruire quel poco che conta. Quella che agli altri mostra sempre di essere pronta, perché ha imparato a lanciarsi anche senza paracadute.
Quella che non conterrà nulla: né il troppo amore, né la paura di essere infelice.
Quella che, alla fine, avrà imparato a miscelare pochi ingredienti per creare un prodotto che non debba necessariamente piacere a chiunque, ma soprattutto a se stessa, al punto da non smettere mai di creare.
Quella che, alla fine, avrà poco da insegnare, ma avrà imparato una cosa importante: sentirsi bene in dei piccoli spazi che l’immaginazione trasforma in regni incantati, e ad essere felice, con le piccole cose.
È così che immagino il mio ultimo anno, prima di salutare il numero due: pieno di tutta quella vita, anche quella che fa male, da cogliere a piene mani, che attraverso sentieri stretti ti conduce verso il mare, dove tutto é più familiare, perché avrà il tuo profumo, e anche i tuoi occhi.