domenica 13 gennaio 2013

Le regole della casa del sidro.

Cosa fate quando siete particolarmente pensierosi?
Io spesso preferisco sedermi in poltrona, preparami una tazza di thea e guardare un film.
Molto spesso finisco tra una valanga di fazzoletti, e quando sono particolarmente bagnati, all'occorrenza, utilizzo anche i cuscini per asciugarmi le lacrime. Ma se sono fortunata riesco a trarre le risposte ai miei pensieri in una geniale ripetizione di suoni, in quella incessante concatenazione di immagini che raccontano storie, che trasmettono esempi, che divulgano messaggi, che hanno poco a che fare con l'inverosimile, molto più attinenti invece alla vita vera.
L'ultima volta mi sono seduta in poltrona e sono stata per due ore con gli occhi che ogni tanto divenivano umidi a vedere "Le regole della casa del sidro", un film del 1999. Racconta della storia di un giovane infermiere, Homer, cresciuto in un orfanotrofio sotto la tutela di un medico convinto abortista, il dottor Larch. Quel luogo per tutti coloro che ci vivono rappresenta un'isola incantata, una campana di vetro che tiene tutti lontano dal dolore, dalle amarezze, dai pericoli, tiene tutti distanti dal cinismo della vita, ove l'unico motto è rendersi utile, fare qualcosa per l'altro. Homer, nonostante sia un adulto, nutre la stessa freschezza, genuinità d'animo, lo stesso disincanto di un bambino. Ma un giorno arriva in orfanotrofio una coppia benestante, un uomo ed una donna che chiedono un aborto. Dopo l'operazione, una volta che la donna si è rimessa, Homer decide di unirsi a loro, di lasciare quell'ambiente ovattato che sino ad allora lo aveva visto crescere, per darsi finalmente alla vita, per vedere l'oceano che non aveva mai visto, per vedere un'aragosta di cui non conosceva nemmeno le sembianze. Si dedicherà alla raccolta delle mele, mansione ottenuta dal marito della donna che poco dopo parte per la guerra, credendo di lasciare sua moglie in ottime mani. Ma a quella vita Homer non era pronto, le regole dell'orfanotrofio erano troppo sane, troppo pure, troppo poco reali per combaciare con quella vita spesso cruda e violenta. Allora Homer le dovrà imparare, da solo, ogni giorno, per sentirsi uno di loro, per sentirsi uno che come il resto del mondo trascura la volontà di essere utile per qualcosa, l'esigenza di far qualcosa per l'altro. Scoprirà l'amore per quella donna che alla notizia del ritorno del marito, tornato paralizzato, abbandonerà Homer, affermando di averlo amato nonostante sappiano bene entrambi che non è stato così. Lui l'ha amata, lei aveva soltanto bisogno di qualcuno che le stesse accanto, per timore di restar sola. Ciò che accade in questa vita, violenta, cruda ed oltremodo vera, ma non sotto quella campana di vetro, non dove si respira gioia e freschezza nonostante il triste destino di quei bambini che forse non troveranno mai una casa, in quell'orfanotrofio dove non c'è bisogno, nè desiderio, nè esigenza, ma lo scambio di calore, di amore, il voler fare sempre qualcosa per l'altro è naturale, loro in fondo sono nati esattamente così, ed in questo stato ci sono restati, per un tragico scherzo del destino, o per fortuna, perchè sono riusciti a mantenere quella che è l'essenza di ogni essere umano, quella che si perde per colpa della meschinità delle vicissitudini, ma che dovremmo esser più attenti a preservare. C'è un bambino che teme di non essere mai adottato, ma Homer gli ripete sempre che è il migliore, ed i migliori devono attendere persone eccezionali, non si danno via così. In quel luogo tutti sono migliori. Tutti lo sono perchè sanno ridere, sanno gioire dei dettagli, di un libro che gli viene letto la sera prima di addormentarsi, della frase rituale prima di spegnere le luci "Buonanotte principi del Main, buonanotte re della nuova Inghilterra". Tutti lo sono anche perchè sono capaci di piangere, di esclamare a gran voce "Non andare via", ma anche di lasciare che un dignitoso silenzio si renda lo scenario di quell'ingestibile dolore provocato dal dover lasciare andare. Tutti lo sono anche perchè si dilaniano a causa di un allontanamento che provoca una mancanza simile ad una profonda voragine sino a morire, come il dottor Larch, morto per una mancanza troppo profonda da poter contenere a lungo. Morto per quel troppo amore che lo aveva spinto a far credere ad Homer di avere una malformazione al cuore, per tenerlo lontano dalla guerra, per tenerlo in fondo accanto a lui. Un amore così in quella vita reale cui Homer si era voluto affacciare per conoscere il mondo non c'era. Perchè l'amore dilania ed il timore di perdere qualcuno considerato come un nostro "prodotto", un "figlio", come Homer per il dottor Larch, ogni giorno ci ferisce e a poco a poco ci uccide. In quella vita reale c'è invece una cinica assuefazione alla violenza, alla crudezza, alla menzogna, c'è il sostenere di doversi abituare a mancanze perchè è così che la vita ci vuole: freddi, spenti, senza emozioni nè lacrime. In quella vita c'è un lasciare andare senza mai pensare di chiedere se si preferisce invece restare, c'è un gettare prepotentemente in  faccia scomode verità in virtù di quell'amore tanto osannato. Ma forse per il troppo amore si è anche in grado di mentire, semplicemente perchè quella potrebbe essere l'unica strada di non perdere qualcuno che poi perderemo forse lo stesso, ma quanto meno avremo avuto la possibilità di tenerlo in vita, al sicuro, al caldo. Quando si ama forse basta questo, e forse questa è tra le bugie la più bella delle verità, è forse la menzogna più sincera, il manifesto del più naturale dei sentimenti. In quella vita vera, in quella "casa del sidro" qualcuno alla fine l'ha capito. Un operaio che molestava la figlia credendo così paradossalmente di proteggerla, quella figlia che poi, dopo aver abortito grazie l'ausilio di Homer, dopo la redenzione paterna, decide di scappare nel cuore della notte. Il padre quella volta non voleva fermarla, aveva capito, solo dopo i suoi innumerevoli sbagli, proprio come accade nella "vita vera", che era giunto il tempo di lasciarla andare, ma prima avrebbe voluto soltanto toccarla, per l'ultima volta. Perchè in fondo quando qualcuno decide di andare il nostro timore è di non poter più palpare quell'epidermide, è quello che manca, altrimenti il dolore per una mancanza non avrebbe alcun senso se riuscissimo ad incamerare tutto lì, in quella soffice scatola dei ricordi. Ma lei non l'aveva capito e allora lo colpisce con un pugnale. Ma prima di spegnersi quell'uomo dirà ad Homer di dire alla polizia che si è ucciso perchè triste al pensiero di non poter rivedere più sua figlia, in modo da non crearle alcun problema. Homer avrà forse assorbito tanti insegnamenti affacciandosi a quel mondo, ma lì, ai piedi del letto, stava forse realizzando un miracolo: il ritorno all'essenza, alla protezione dell'altro, al desiderio di morire perchè senza l'amore più grande della vita non si riuscirebbe comunque a vivere. Ma la vita reale è meschina, e te lo fa capire soltanto dopo esser scivolati nel fango, perchè, come dirà quell'uomo in fin di vita "talvolta occorre violare le regole per rimediare". A quali regole si riferiva? A quelle che crediamo ci assicurino una degna sopravvivenza, ma che in effetti dalla vita ci allontanano: un possesso che confondiamo con l'amore, uno scrollarci di dosso scomode verità per sentirci meno colpevoli fatto spesso passare per sincerità, la più meschina e la più vigliacca che poco sa di verità; un abituarsi in fretta a mancanze provvedendo a celeri sostituzioni invece di lasciare che lacrime solchino il viso, che il silenzio nella sua dignità prenda il sopravvento, di arrenderci al pensiero che qualcuno sia andato via solo quando siamo certi di aver fatto tutto ciò che era in nostro potere per trattenerlo, e non per possesso, ma per amore, per quel bisogno naturale di avere accanto chi andandosene via potrebbe procurare un dolore insostenibile, perchè sì una mancanza dilania, ferisce, uccide se è troppo profonda. Ma possiamo rimediare violando queste regole congetturali ed ipocrite, sprigionando un'incredibile energia che sa di libero amore che vuol fermarti ma che al contempo ti lascia andare, sperando presto in un ritorno.
Ed infatti Homer alla fine ritorna. Ritorna in quell'orfanotrofio a fare il dottore pur essendo un infermiere, perchè nonostante non avesse i titoli richiesti di quella professione conosceva ogni cosa. Perchè un titolo non fa di te necessariamente chi desideravi diventare. Chi vuoi essere spesso lo decide il tuo cuore, ponendoti di fronte scelte che non potrai ignorare, quella scelta che illuminerà il tuo tragitto come un faro, rendendoti libero, vicino al cuore, dentro la vita. Ritorna dai sorrisi raggianti di quei bambini, in quell'ambiente così magico, puro e disincantato. Alcuni penseranno che alla fine torna perchè oramai dalla vita aveva appreso tutto ed era pronto ad insegnare ciò che aveva imparato anche a loro. Ma forse non è proprio così. Forse Homer ha avvertito semplicemente il bisogno di ritornare alle origini, di tornare alle sue radici che lo avevano reso forse non abbastanza cinico per superare all'inizio le vicissitudini di quella vita cruda e violenta, ma paradossalmente forte, una forza derivata da una profonda umanità, dall'essere così diverso eppure così simile a ciò che ogni uomo dovrebbe essere, dal suo essere migliore, come chi era cresciuto in quell'orfanotrofio, dove non c'erano regole perchè talvolta occorre violare le regole per rimediare, ma chi vive in questo modo non ha bisogno di rimediare a niente se non di trasmettere all'esterno questa straordinaria essenza capace di compiere miracoli. L'unica regola è sempre stata quella di fare qualcosa per l'altro, è questo che rende migliori, è questa l'unica regola di cui necessitiamo, e le regole servono a questo, non ad allontanarci dalla vita, dall'umanità, dalle nostre radici. Solo se ci sforziamo ad essere migliori saremo capaci di incontrare persone migliori, di rendere migliore l'ambiente in cui viviamo, o a compiere miracoli avvicinando altri al miglioramento, avvicinandoli in fondo alla vita. Spesso è proprio dalle radici che trarremo le nostre risposte, è proprio alle radici che occorre tornare per capire dove siamo, dove siamo diretti, chi vogliamo essere, sono spesso le stesse radici a renderci migliori.

Un film che consiglio di vedere, quanto prima, a tutti. Sono certa che anche a voi piacerebbe conoscere un posto come quell'orfanotrofio, che trasmette un ineguagliabile scambio di naturale amore, un posto ove il dovere di aiutare l'altro si mischia alle calce delle pareti perchè in assenza di quell'imprescindibile dovere la stessa vita non avrebbe senso. Un film che insegna, che cela una tremenda bellezza in un'ineguagliabile semplicità, che finisce esattamente come aspettavi e speravi, proprio come la piega che la stessa vita dovrebbe prendere, ma che nonostante tutto non può non commuoverti.

Un libro, un film, una canzone, tutto ciò che sa di comunicazione, serve anche a questo: a trarre le risposte che cerchiamo, se siamo fortunati, o forse semplicemente particolarmente attenti.

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