
Ma ieri ero in metropolitana ed accanto a me era seduta una donna che maneggiava con un' inconsueta calma dei referti, forse sulla quarantina, visibilmente scarnita, di un pallore malato in volto ed un foulard colorato sulla testa che nascondeva la totale calvizia causata presumibilmente da cicli ripetuti di chemioterapia. Come d'incanto i miei pensieri si erano assottigliati sino a ridursi in poltiglia, quasi come se mi vergognassi nel pensare ciò che la mia mente aveva riprodotto, sentendomi una stupida alla visione di quella donna. Non conosco la sua storia, ma il suo volto parlava nonostante stesse in silenzio, mostrando la sua malattia senza alcun imbarazzo né volontà di generare compassione. Il suo sguardo fiero che non osava mai abbassare era sintomo di coraggio e desiderio di colorare la sua vita di tinte ben più vivaci di quel foulard che le copriva il capo, come se rappresentasse una battaglia tra la vita e la morte, una corsa contro il tempo in cui le scadenze non avrebbero mai preso il sopravvento, non prima di averci almeno provato.
Credo che ognuno a suo modo consegua una personale corsa contro il tempo che il più delle volte sfugge rendendoci impotenti. Anche quella donna ne aveva una, ma per la prima volta avevo visto una vittoria nonostante il traguardo non fosse stato ancora superato, nonostante la corsa non fosse ancora terminata, addirittura prima del tempo, come se le scadenze fossero illusorie. Allora aveva dato in quel preciso istante una lezione a me e a tutti quelli che come me giocano col tempo sapendo a priori di uscirne forse sconfitti: non aveva avuto paura di palesare la sua corsa contro un tempo che le remava contro come un vento sfavorevole. Forse questo è l'unico modo di sentirci padroni del tempo, di sentirci vincitori nonostante tutto.
E mentre me lo stava insegnando, per la vergogna, ho detto grazie zittendo i pensieri.