mercoledì 12 dicembre 2012

C'è chi parla, c'è chi scrive.

Questa è decisamente la mia postazione preferita. 
Un thea fumante dopo un pomeriggio di sano e terapeutico shopping, io, uno schermo, la tastiera e tanti pensieri che sembrano sempre troppo confusi ma che solo qui riescono a trovare un ordine di cui spesso avverto l'esigenza. E' come se riuscissi a parlare di me solo in questo modo, quasi come se parlassi solo scrivendo. Non posso certo dire di non averci mai provato, ma la verità è che non ci sono mai riuscita.
Lo faccio poco, a singhiozzo, solo con chi ho instaurato una confidenza tale da non vergognarmi di quella che definisco la mia più tenera intimità. Talvolta solo quando mi viene chiesto, ma non ricordo di averlo mai fatto totalmente. Ci ho provato con qualche uomo entrato nella mia vita ma il risultato era sempre lo stesso. Non appena riuscivo a togliermi la maschera mi veniva chiesto implicitamente di indossarla di nuovo. E quando mi accorgevo che la maschera non era più conforme al mio viso, quasi come se si fosse ristretta, costretta a gettarla via, quell'uomo andava via. E nonostante si fosse allontanato io continuavo a vivere nell'attesa. Non so nemmeno io perchè lo facevo, nè cosa attendevo. Forse mi piaceva il pensiero di aspettare qualcosa ma se mi avessero chiesto cosa, io non avrei saputo rispondere, avrei tentennato rispondendo che aspettavo lui, quell'uomo che il cuore me l'aveva aperto per poi sputarci sopra e richiuderlo come fosse un cassetto contenente calzini, ma in realtà sapevo bene che una volta andato non sarebbe più tornato. Perchè a me è sempre successo così, ecco perchè ai ritorni non ci ho mai creduto molto. Ho sempre assistito a volti che mi davano le spalle senza mai più voltarsi. Avrei venduto l'anima pur di avere torto, solo una volta. Ma la ragione è sempre stata tristemente dalla mia parte. Anche quando decido di partire. Carico il bagaglio del necessario, metto le ali della buona sorte e corro. Corro per sentirmi viva, per nutrire lo spirito di esperienze fuori dall'ordinario, per sperimentare ogni gradazione di colore, dalla più tenue alla più intensa, per vivere di amore e di passione, di quel sole caldo che riscalda il corpo e la mente, per crescere, per diventare una donna. Nessuno mi ha mai imposto nè implorato di restare. E forse io non l'avrei nemmeno fatto, ma non perchè sono un'inconstante incapace di restare, ma forse perchè sono restata sempre accanto ad uomini che hanno poi deciso di abbandonare il campo. Non so se esista una capacità nel restare o nel trattenere qualcuno. Credo di saper restare, anche all'ombra, in un angolo, in attesa, dedicandomi intanto alla cura addirittura di foglie ingiallite che non potranno più rifiorire. Ma non so trattenere. Lo trovo malsano imporsi nella vita di qualcuno, puerile, poco dignitoso, mortificante per la propria indole. Forse perchè sono una che quando decide di andare è sempre andata, spesso correndo, a volte con gli occhi lucidi. Ma almeno una volta avrei voluto avere torto anche in questa circostanza, avrei voluto che qualcuno mi avesse chiesto di restare. Anche questa volta la ragione è sempre stata dalla mia parte, banalmente dalla mia parte. Il punto è che tutto questo non lo riesco mai a dire, non sono sincronizzata, sbaglio rigorosamente i tempi giocando o d'anticipo o arrivando in ritardo, quando il sipario è calato. Allora esplodo nella mia passionale esagerazione, facendo credere a chi mi è accanto che io possa essere una ragazza dolce e comprensiva quanto tremendamente brusca ed aggressiva, quando forse basterebbe sedersi e con calma spiegare che quella tua indicibile aggressività, il tuo sbattere porte, le tue urla perforanti i timpani, nascono da una profonda insicurezza, da un'eccessiva sensibilità che spesso e per poco mi capita di sentir ferita. Ma forse dovrei fermare le lancette e invece di proferire parole che scivoleranno via col vento, scrivere. Ma il punto è che sembra quasi che le persone non abbiano tempo da dedicarti. Potrai giocarti una carta, ed una volta sprecata sarai per loro semplicemente ciò che in qualche minuto avrai mostrato. Sarai un prodotto confezionato e la tua etichetta sarà "donna difficile, poco accomodante, dai modi bruschi, carica come un proiettile già fumante, donna con cui meno si parla forse e meglio è". E' difficile scrollarsi di dosso un'etichetta che spesso ti appioppano semplicemente perchè non tutti hanno occhi per guardare oltre, due orecchie per sentire, un cuore per capire. Allora ogni giorno dovrai svegliarti sapendo di dover lottare il doppio per far capire agli altri chi sei, ossia una donna complicata forse da comprendere in ogni suo minuzioso quanto contraddittorio dettaglio, con pregi ed infiniti difetti, ma nessuno che coincida con l'etichetta appioppatami, almeno non nella piena essenza. Prima ogni giorno mi svegliavo sapendo di dover faticare il doppio degli altri per vincere i pregiudizi. Ma da quando ho capito che forse nemmeno i miei genitori capiranno mai chi sono veramente non lo faccio più. Mi sveglio la mattina e me ne frego, circondandomi di quei pochi che a furia di starmi vicino hanno compreso ogni mio gesto, persino la ragione talvolta di ogni singolo atteggiamento, mostrandomi affetto con una mano stretta, un abbraccio caloroso, una parola dolce, facendomi capire che è di loro di cui non posso fare a meno e che non importa se qualcuno non capirà, l'importante è che lo facciano loro. I miei genitori dicono sempre che parlo poco, in fondo ho poco da dirgli da quando ho deciso di adottare questa tecnica di salvataggio. Salvataggio non dagli altri, ma dal rischio di poter diventare qualcun'altro solo per l'esigenza di compiacere. La verità è che il mio parlar poco di me è sintomo di estrema, forse esagerata ed ossessiva riservatezza che so bene che probabilmente molti intenderanno come un tenere tutti distanti, ma il punto è che forse esistono due categorie di persone: chi parla, e chi scrive. I primi a cui non sarà richiesto necessariamente di comprendere i secondi, i secondi a cui sarà permesso di esprimersi nel modo che risulti per loro più congeniale, ma imponendogli di comprendere necessariamente i primi, perchè in fondo la parola è sempre il mezzo ufficiale di comunicazione ed è per questo che i secondi si sentiranno talvolta bistrattati, avendo l'esigenza di camuffarsi tra la folla dei parlanti pur restando muti. Ed io appartengo alla seconda, a quella categoria di persone che riesce a parlare di sé soltanto scrivendo, come in questo momento, nonostante la riservatezza, poichè è solo in questo spazio che la vinco. Ma i miei genitori ancora non lo sanno. Non so a che categoria appartengano, ma credo non alla mia.

martedì 11 dicembre 2012

Lo straniero del caffè parigino.

Eppure se qualcuno le avesse detto cosa le sarebbe accaduto in una fredda e piovosa mattina di novembre, tra il tintinnio delle posate da asciugare e dei cappuccini da servire in quel caffè parigino, Sofie non ci avrebbe creduto. La sveglia suona alle 5.30 e alle 6.30 è già lì, in quel caffè sporco, ben lontano dalle note malinconiche ma a tratti fresche e romantiche della vie en Rose, dove tutti i dipendenti riempiono le loro facce di sorrisi finti per compiacere il cliente, e così anche Sofie. Quella mattina non si era svegliata tra le lenzuola profumate del suo letto caldo. Era stata con un uomo, anche quella notte, come molto spesso accadeva. Ma da qualche mattina si svegliava ancor più stanca, quasi come se nemmeno il gettito di una doccia rinfrescante servisse a pulirla dal senso di colpa, dal sesso di routine che cominciava ad essere per lei una puzza ostile e perseguitante, dal desiderio di altro seppellito dalla rassegnazione che sarebbe stata una ricerca impossibile perchè le sue ricerche non avevano portato mai ad alcun risultato sperato. Ci aveva creduto, ma dopo l'ennesima delusione scottante aveva deciso che forse il suo inguaribile romanticismo, il pensare di poter attrarre un uomo con la penetrazione di uno sguardo, la luce di un sorriso, la melodia delle parole, a nulla contasse di fronte due corpi gelidi capaci di compenetrarsi senza che in sottofondo suonassero le note della vie en rose, ma solo il rumore di porte sbattenti, di un vento troppo forte, di gemiti che al di là del piacere fisico non saranno in grado di rievocare nulla di diverso se non un letto, delle lenzuola, un pavimento troppo freddo. Nessuna emozione. Niente. E a Sofie era proprio quello che serviva. Ma non ci riuscì sin dall'inizio, dovette impegnarsi per poi diventare una professionista del sesso cinico e selvaggio, per annullare la sua anima, la sua capacità di trasmettere calore intrisa a dolcezza, la tenerezza dei movimenti, il suo bisogno di amore che all'inizio si avvertiva dagli occhi lucidi che portava fuori da quelle quattro mura. Diventò un'altra senza sapere nemmeno come nè quando nè perchè fosse successo. Seducente, una bomba di erotismo carnale, talvolta era lei a prendere l'iniziativa appena adocchiava la sua preda. Non aveva freni, nè fuori nè dentro un letto spesso troppo stretto per restarci.
Ma quella mattina in quel caffè parigino entrò un uomo. E così per molte mattine di seguito. Era un uomo elegante, con un paio d'occhialini e pizzetto da vero artista, un borsello contenente il romanzo Les Miserables ed una cartina di Parigi. Quell'uomo era seduto nell'angolo in fondo alla sala del caffè, il posto riservato ad i solitari, agli intellettuali, a coloro che non amano confondersi con la gente comune. Non parlava il francese e Sofie ne fu incuriosita, come avrebbe fatto quell'uomo a leggere il romanzo di Victor Hugo senza conoscere il francese? Avrebbe voluto tanto chiederglielo ma quell'uomo sembrava restio a farsi capire anche a gesti. Allora ordinava sempre il solito cappuccino indicandolo dal menù. Perchè a quell'uomo in doppio petto che girava per Parigi senza conoscere il francese, con un ridicolo copricapo ed un look d'altri tempi, non sarebbe importato cosa mai la gente avesse pensato di lui. La sua diversità, il suo non volersi omologare, il suo modo di restare in silenzio senza che questo potesse costituire un problema, poteva essere motivo di scherno per gli altri omologati della società parigina, ma era in realtà la sua forza e ben presto si tramutò anche in quella di Sofie. Oramai per tutti era lo straniero. Per Sofie forse stava diventando qualcosa di più, era forse una speranza mai del tutto spenta. Sofie lo guardava e nei suoi occhi avvertiva una luce particolare, una luce che solo chi è forte può emanare, nonostante fosse solo lì in quell'angolo a sorseggiare per ore il suo cappuccino. Una forza di valori, di amore, di integrità, di stringente necessità di solitudine e bisogno di nient'altro che di lui e del suo libro, che pervadevano l'intero corpo, un corpo che sebbene non emanasse alcun suono era invece come se parlasse. Il suo volto sembrava per tutti inespressivo ma per Sofie non lo era, soprattutto quando dopo qualche settimana cominciava ad accennarle un lieve sorriso e a risponderle "mercì". Ma dopo qualche tempo, una mattina quel tavolino nell'angolo in fondo alla sala rimase vuoto. Lo straniero era forse partito. Ma Sofie riuscì a comprendere che quell'uomo, forse reale o probabilmente immaginario, era venuto per trasmetterle un messaggio ben preciso, era giunto per donarle una speranza. Una speranza spenta ma rifiorita negli occhi lucenti di quell'uomo che non era mai riuscito a dirle niente se non un mercì dall'improponibile accento. Eppure Sofie avvertì di essersi quasi innamorata di quell'uomo, senza mai parlarci, senza mai toccarlo, senza che mai l'idea di portarlo a letto l'avesse sfiorata, proprio come solo i bambini sanno fare. Aveva ripreso quell'innata dolcezza e puerile tenerezza. Sembrava quasi che però nonostante tutto non le fosse rimasto niente, in fondo quell'uomo sarebbe stato soltanto nei suoi ricordi. Eppure aveva recuperato tutto, aveva di nuovo lei, fresca e profumata, quella puzza di quelle lenzuola fredde oramai non riusciva più a sentirla. Era come se le sue orecchie nonostante il tintinnio delle posate da asciugare ed i rumori della cucina non riuscissero ad ascoltare altro che le note della vie en rose, melodiose e quasi a tempo con gli schizzi di pioggia che battevano sull'umido asfalto. Talvolta le persone che senza far rumore entrano nella nostra vita all'improvviso e allo stesso modo vanno via servono a questo, servono a guarirci. Tutti in fondo devono guarire da qualcosa ed anche Sofie era guarita. Era guarita dall'imposizione che a se stessa faceva di omologarsi, che a tratti la rendeva estrema. Era guarita dal pensiero di non poter più amare nè sfiorare un uomo teneramente, senza doversi strappare necessariamente i vestiti. Era guarita dalla disillusione del mondo degli adulti. Era tornata ad esser bambina.

Non accettate sogni dagli sconosciuti!

Non accettate sogni dagli sconosciuti, per carità!
Ci sono persone che ve li venderanno a metà prezzo come fossero automobili usate.
Ci sono persone che vi si avvicineranno e approfitteranno della vostra fragilità e momentanea confusione emotiva per propinarvi un prodotto già confezionato senza che vi sforziate a realizzarlo.
Ci sono persone che con un'incredibile cavalleria vi porgeranno la mano per essere accompagnati in una danza i cui passi appariranno dapprima confusi per poi definirsi un po' alla volta perchè in fondo saranno sempre gli stessi e riuscirete ad impararli in fretta, sino ad auto-convincervi che quella sia l'unica danza adatta per voi.
C'è chi quel sogno lo paga a caro prezzo o lo riceve semplicemente in dono da chi se ne sarà stufato. 
Ma non accettate sogni dagli sconosciuti, per carità!
Il sogno non si compra, non si vende, nè si regala. Il sogno è tuo e non sarà mai di altri. 
Non si tratta di caramelle, nè di automobili da rottamare. Il sogno nasce dal cuore e si espande con la veemenza dirompente di un fiume in piena sino ad arrivare a coprire ogni parte del corpo. 
Dal cuore passerà ai polmoni quando vi sentirete mancare il respiro ad una porta che vi sarà chiusa in faccia senza che vi sia data una spiegazione. Quando vi sentirete mancare il fiato alla visione di una porta che per voi sarà invece semplicemente socchiusa ed occorrerà soltanto spalancare con la forza che intanto dal cuore è giunta al cervello sino a pervadere la vostra anima. Dal cuore passerà allo stomaco quando sarà chiuso per i troppi bocconi amari digeriti, o vuoto, necessitante di cibo e del buon vino da mandare giù che vi sarà servito su di un piatto d'argento. Il sogno matura in ogni piccola parte di noi e quando sarà grande abbastanza, troppo perchè un corpo possa contenerlo, esploderà. Sarà in quel momento che dovremmo essere bravi abbastanza, scrupolosi ed attenti, da fare in modo che nessun pezzo venga tralasciato, che tutto venga confezionato con cura, ordinando tutti i pezzi come fosse un puzzle con estrema pazienza, con la consapevolezza che ci vorrà una settimana, un mese, un anno o talvolta molto di più. Ma una volta finito avremo un prodotto su cui porremo l'etichetta di sogno, e che sarà nostro, portato a spasso come fosse un cane, indossato come fosse il nostro più prezioso gioiello, un libro custodito in una borsa le cui pagine saranno infinite ma che mai ci stancheremo di leggere. Una fiamma che sarà nata e cresciuta in noi sino ad occupare ogni nostro spazio corporeo e mentale, sino poi a scoppiare in una forza dirompente che non avremmo potuto ostacolare. Un prodotto a cui avremmo dato tutta la nostra attenzione e avremmo definito sogno. Non si può vendere qualcosa che nasce in noi sino a pervadere l'intera anima, sino a compenetrarsi con essa. Non si può vendere un cuore, uno stomaco, un polmone. Non si vendono sogni nè si accettano. 
Tutti hanno la propria strada e chi ancora non l'avrà trovata non dovrà riempire una personalità che gli sembrerà vuota con sogni impacchettati come fossero souvenirs. Non sarà questo a farvi sentire meno vuoti, ma soltanto pieni di qualcosa che in fondo non vi apparterrà mai. Perchè un sogno è come un figlio che cresce dentro di te per poi venir fuori allo scadere del tempo necessario.

lunedì 10 dicembre 2012

Esigenza di spegnersi.

Ci sono momenti in cui ho necessità di spegnermi.
Ma il mio spegnermi non è un'imposizione, il mio è un bisogno, un desiderio forse.
Il mio spegnermi non è come starsene al buio, a rimurginare una potenziale vita che avresti voluto avere e che non hai avuto il coraggio di scrivere nel libro della tua vita. Perchè quando mi spengo in realtà mi accendo. Mi accendo di ricordi, come il proiettore su di uno schermo che mi fa ripercorrere il film della mia vita. Quella vita vera, in cui ci sono state battaglie perse e molte altre vinte, quella vita fatta di piccole soddisfazioni o grandi traguardi, quella vita in cui nel momento in cui pensavi di non farcela ti sei rimboccata le maniche per vincere le tue paure, quella vita in cui ti sei sentita pesante, demotivata, come una mina vagante alla ricerca della sua meta perduta, quella vita in cui un giorno ti svegli e ti accorgi di esser diventata donna in un batter d'occhio. Quella vita in parte scritta, ma mai programmata, quella vita che non hai ancora finito di scrivere, che sai che non smetterà di sorprenderti, quella vita in cui hai ogni tanto l' esigenza di spegnerti per poterla guardare da spettatrice. 
E stasera allora mi spengo. Mi spengo perchè voglio accendere i ricordi. Voglio accendere quella che ero con le ginocchia sbucciate che da bambina si è procurata quella cicatrice sul ginocchio destro perchè durante una corsa tra amici voleva arrivare prima, quella che dopo sono diventata con un cuore spesso fatto a pezzi e poi ricomposto, quella che oggi sono. Una che non ha niente se non un libretto universitario le cui righe non dovranno essere più riempite. Una che al traguardo finale in fondo non ci è ancora arrivata. Una che voleva mollare ma le sue priorità gliel'hanno impedito. Una a cui quando le chiedono che progetti ha per il futuro le viene la pelle d'oca, perchè nel suo mondo rigidamente programmato, dove tutti sanno già dove andare, con chi andare e cosa vogliono dalla vita, lei non lo sa, o forse sì, ma vuole tenerlo segreto, al sicuro, al caldo, per timore che il sogno si disperda come una bolla di sapone. Una che non fa a tempo a gioire che viene inondata da mille domande a cui crede sia prematuro rispondere, una che le risposte le darà solo a se stessa e alle persone giuste, non di certo a chi accecato dalla curiosità vorrà saperlo solo per trarre bilanci. Una che ha paura del futuro come di deludere le aspettative di chi la vorrebbe già in toga. Una che per non deludere le aspettative di questi ultimi in questi ultimi tempi si alzava dal letto col magone di chi sentiva di indossare scarpe troppo strette, di chi correva senza avere abbastanza fiato nei polmoni, di chi sui libri sognava ciò che avrebbe voluto invece fare perchè questo era l'unico modo che aveva per riempire il cuore, un cuore spento, all'ombra, che non aveva il coraggio di mostrare. Una che ha pensato sempre agli altri e poi a se stessa. Una che oggi non ha paura di dire che il futuro le fa paura ma non così tanto da non poterci provare. Un futuro che se programmato perde in fondo di consistenza, di realismo, della sua profonda essenza. Una che ha un sogno ma non si precluderà la possibilità di poterne trovare altri per strada lungo il tragitto. Una che, sebbene non abbia avuto il tempo di gioire, questa volta invece di lasciare che ancora una volta gli altri si intromettano decide di spegnersi. Sì allora mi spengo, per avere la possibilità di accendermi, e se la luce per alcuni sarà troppo forte consiglio di abbassare le persiane perchè io, questa volta, nel brusio di chi giudicherà per sport mi ci metterò fino al collo, perchè io questa volta, dopo aver accontentato tutti, dopo esser giunta ad un piccolo traguardo che vale per me quanto una tappa importante, una soddisfazione immensa, nell'ombra non mi ci metto più. Mi spengo come solo io so fare, accendendomi.

giovedì 6 dicembre 2012

Dalla prima lettera di una discepola al Papa.

Sua Santità,
sono una dei tanti discepoli che ha appreso la notizia della sua presenza su Twitter.
Un social network divertente, semplice, fresco, creato apposta per i giovani. E' forse per quel suo tentativo di avvicinarsi a questo mondo, troppo confuso, privo di esempi di onestà ed integrità troppo spesso mortificati, forse marcio e come direbbe lei di "peccatori", che ha creduto fosse congeniale cominciare ad utilizzare un mezzo di comunicazione "giovanile".
Troppo buffo ma originale il suo account, "Pontifex". Pontifex che fa rima con "Durex". Sì è una marca di preservativi, non lo sapeva? Cioè, mi scusi, ma lei sta usando un mezzo di comunicazione creato apposta per noi giovani, per uno scambio di idee nuove, fresche, divertenti, e non sa che il suo account fa rima con una marca di preservativi? Ecco. Allora forse prima di usufruirne occorra che le descriva il mondo in cui viviamo, a cui lei vorrebbe avvicinarsi, ma che non conosce o forse non vuole nemmeno conoscere. Un po' come quell'ospite che invitato al tavolo tra gli altri commensali decide di restare in poltrona e che siano gli altri a portargli le portate del pasto.
Sa prima che lei gridi allo scandalo, vorrei comunicarle che la maggior parte dei giovani d'oggi decide di fare sesso prima del matrimonio, di condividere in un letto, su un tavolo, in un'automobile momenti di piacere. E se c'è amore tra di loro, sa, lì diventa ancora più bello. Perchè è una compenetrazione di anima e corpo, di piacere ed energia. Ed usano i preservativi. Sì, chiamasi "rapporto protetto", non ne ha mai sentito parlare? I preservativi proteggono da malattie sessualmente trasmissibili, come l'AIDS, malattia che pullula specie tra gli omosessuali. Sì su twitter, su facebook, al supermercato, nella fila alle poste, ci sono anche loro. Gli omosessuali, quelli che in questa nostra società logora e vecchia sono costretti al silenzio e all'ombra per timore di essere derisi, per timore di essere definiti, da quell'istituzione che segue le orme di Cristo che incitava all'amore e a dover essere tutti come fratelli, "peccatori", gente "contro natura", persone con "chiari disturbi psichici". Su twitter non ci troverà chi è costretto in un letto d'ospedale, nutrito quotidianamente nonostante non riesca a rendersene conto, versando in uno stato vegetativo, da settimane, mesi, anni, anni lunghissimi.
E nonostante quell'uomo abbia deciso di non voler vivere in quel modo solo grazie ad un tubo che in realtà gli toglie un pezzo di vita ogni giorno, nonostante quell'uomo in fondo sia già morto, per lei la vita è un dono di Dio, sacra, inviolabile. Ma non posso dargli colpe su questo. Chiamasi ingerenza nelle faccende dello Stato, o forse, sudditanza psicologica a dettami su cui la Chiesa si erge da parte della maggioranza parlamentare che sino a che vedrà la Chiesa contraria non riuscirà a presentare alcuna proposta di legge sul caso, alcuna possibilità per vite che così vissute mancano di dignità, a vite il cui donatario dovrebbe disporne ampiamente, come generalmente si fa con qualsiasi "dono", senza prendere direttive.
 Le dirò, su twitter pagano tutti l'IMU. Ma dubito che lei sappia cosa sia. Eppure certe persone ci piangono quando hanno anche troppe bocche da sfamare.
Alla fine Santità, non vorrei sembrarle presuntuosa, ma mi sembrava giusto metterla al corrente della vita reale a cui lei cerca di avvicinarsi. Ma non sarà un mezzo di comunicazione giovanile come quello di twitter ad accattivare i giovani. Prima di mezzi "giovanili" occorrono idee "giovanili", posizioni fresche, nuove, realistiche, umane. E non pretendo che accetti il sesso prematrimoniale, ma che forse ne cominci ad avvalorare per lo meno l'ipotesi e se ne cominci a parlare senza che nel 2012 sia ancora un taboo, un qualcosa per cui gridare allo scandalo. Pretendo che invece i divorziati e gli omosessuali non siano considerati peccatori, gente contro natura, con chiari disturbi psichici, anche se credo che è grazie proprio a questi beceri appellativi che se il Regno dei Cieli esiste, passeranno prima loro, per tutte le umiliazioni che hanno dovuto subire. Pretendo che nel mio Stato non ci sia più un confessionismo strisciante e si attui quel principio di laicità ad oggi solo formale, e si cominci a legiferare nelle giuste misure su questioni che riguardano la sola istituzione Stato, che è ora che faccia cessare questa sua inopportuna sudditanza verso l'istituzione Chiesa. L'IMU? L'IMU la paga la gente comune. Sa la gente comune non vede mai di buon occhio chi si arroga privilegi eccessivi, un po' come il rapporto fra dipendente e datore di lavoro, suocera e nuora. Non pretendo che lei mi risponda, in fondo i Corinzi hanno scritto lettere per un'intera vita senza mai essere risposti, ed io non sono certo una di loro. Però forse le suggerisco di cominciare a studiare questo mondo in cui vuole addentrarsi. Mi riferisco a Lei, perchè è la sua persona a rappresentare quell'istituzione cui desidero rivolgermi. Noi giovani soprattutto non abbiamo bisogno di esempi che si pongano in poltrona o su un alto piedistallo, abbiamo bisogno di esempi che siano realistici, che non siano coperti di polvere, che non sappiano di marcio, vecchio e stantio. Non abbiamo bisogno di un Papa su twitter, abbiamo bisogno di un Papa che prima di mettersi su twitter si cali nella realtà quotidiana, dove la gente comune paga l'IMU e non solo. Abbiamo bisogno di realismo e di umanità.

Cordialmente,

Una discepola.

Dignità.

Ha dignità un ramoscello d'ulivo, un fiore di pesco, una foglia ingiallita che segna l'autunno.
Ha dignità una grassa risata, un accenno di sorriso, il rossore in viso per il forte imbarazzo.
Ha dignità una lacrima che scorre perchè siamo stanchi, spenti, poco stimolati.
Ha dignità lo strapparci i capelli perchè sembra quasi che gridare a squarciagola non basti.
Ha dignità il silenzio, il farci da parte quando capiremo di non aver spazio nella vita dell'altro.
Ha dignità il rumore delle porte sbattute, il pianto di chi grida il suo amore conservando fra le mani congiunte il suo cuore che gli è stato gettato contro dall'altro, senza alcuna protezione, così, sanguinante.
C'è dignità in un cuore spezzato che non avremo paura di mostrare.
C'è dignità in tutto ciò che esprimiamo o che facciamo se prima riusciremo ad ascoltarci palesando solo ciò che avremo sentito sussurrare.
C'è profonda dignità nel chiedere aiuto nel momento del bisogno senza vergogna, senza costringerci ad essere forti e a superare tutto da soli, perchè quando le nostre preoccupazioni peseranno troppo sulle nostre spalle qualcuno potrebbe aiutarci in un tragitto che sarà sempre e solo nostro, che dipenderà dalla nostra forza e dalla nostra pazienza, ma che condiviso ci renderà quel peso a tratti più leggero.
Ha dignità l'attesa, la pazienza, subire le decisioni altrui.
Ma ha anche dignità il voler rompere silenzi e decidere di propria iniziativa.
C'è profonda dignità nell'ammettere di amare qualcuno, che quel qualcuno ci manca, ammettere che senza di lui è uno strazio che non augureremo mai a nessuno. C'è profonda dignità nel manifestarlo, nel far seguire ad un "mi manchi" un "ti vengo a prendere", nel tentare di far cessare quell'incredibile strazio in cui versiamo.
C'è una dignità immensa nel seguire il nostro cuore senza pretendere che esso ci dia indicazioni, assumendoci le nostre responsabilità senza dover necessariamente prevederne le conseguenze.
La dignità. Troppo spesso confusa con l'orgoglio che è invece prodotto del cervello, seminato su inutili cliché da quattro soldi, pregiudizi e luoghi comuni, che vincola e nega una parte della nostra anima. Una dignità troppo spesso acclamata ma al contempo mortificata. Una dignità sulle bocche di tutti, ma nel cuore di pochi. Una dignità pesata, misurata, con quell'inutile metro che portiamo nelle tasche, con la presunzione di poter misurare ogni sentimento, quell'astrattezza che nasce proprio per non esser misurata, per comprimersi sino a scomparire ma espandersi senza limiti, a tal punto che contenerla in un corpo sarebbe una mortificazione, allora serviranno due corpi o anche di più. Una dignità che è in fondo parte di noi, una compenetrazione fra anima e corpo, una dignità che rispecchia noi, che siamo noi. Allora sarà proprio quando bandiremo quei pregiudizi e quei luoghi comuni insidiatisi nella nostra mente, quando ci faremo guidare dal cuore, quando entreremo a contatto con il nostro io interiore accorgendocene per quella incredibile sensazione di pienezza che avvertiremo, sarà allora che la nostra dignità sarà valorizzata. E' quando prevarranno le barriere e gli schemi che avremo costruito come forme di protezione o per conformarci ad uno stereotipo che ci allontana da ciò che siamo e dal calore che potremmo trasmettere, sarà allora che quella dignità andrà persa, e con essa un po' di noi. Andrà persa quando ci imporremo di comportarci in un certo modo solo perchè lo crediamo giusto, solo perchè così si fa, così fanno tutti, così fanno i forti, non pensando che in realtà anche i più forti hanno paura, anche i più forti sono fragili. Non quando correremo da qualcuno per manifestargli il nostro perdono, il nostro amore nonostante sembra che l'altro non voglia darcene. Andrà persa quando riempiremo il nostro viso di sorrisi finti, nascondendo le lacrime che scorreranno solo quando saremo soli nella nostra stanza, a luci spente. Andrà persa quando vorremmo mostrare a tutti una finta felicità solo per non apparire i soliti tristi, stanchi e demotivati. Andrà persa quando non daremo ad una nostra passione la possibilità di venir fuori, quando non ci paleseremo per ciò che siamo, con le nostre paure, le nostre fragilità, le nostre insicurezze.
Perchè avere e preservare la tanto acclamata dignità, significa essere autentici.
La dignità è soprattutto verità. Credo.

mercoledì 5 dicembre 2012

Ombre.

Degli uomini sono come il cancro.
Si insinuano in una piccola cellula del tuo corpo per poi estendersi progressivamente con una forza dirompente quanto ingestibile, man mano, sempre di più. E ne vorresti arrestare il flusso perchè il suo progressivo avanzare ti provoca un male atroce, una sofferenza che penetra sin dentro alle ossa, partendo dal cuore e giungendo al cervello, un qualcosa che ti impedisce di restare in equilibrio, che provoca vertigini, che a tratti ti immobilizza. Ci sono degli uomini che sono il peggior male in cui certe donne possano incappare eppure si troveranno a combattere tra il desiderio inconscio di liberarsene e l'ostinato tentativo di lasciarlo scorrere nelle nostre vene, come se realizzare che quest'uomo sia per noi un cancro non sia abbastanza per combatterlo, per annientarlo, per rimuoverlo. Ma cos'è questa tendenza all'autolesionismo?
E' paura forse di dimenticare, di finire, timore di archiviare un altro pezzo di vita. Perchè le cose finiscono solo quando le avremo rimosse, dimenticate, archiviate nel cesto di quei ricordi sin troppo lontani per averne un'immagine nitida. Temiamo la fine perchè conosciamo quanto sia faticoso ricominciare, quanto sia straordinario rinascere ma quanta pazienza occorra. Allora vigliaccamente preferiremo mancanze presenti solo con le loro ombre che si estenderanno in ogni singola cellula sino ad impadronirsi della nostra anima, condizionando il nostro umore, i nostri gesti, proprio come un cancro. Ma la verità è che non potrai permettere a quest'uomo di essere così forte, anzi, di renderti così debole ed impotente. Dimentica, rimuovi, archivia, non aspettare di morire. O se vuoi fallo, ma dopo, permettiti di rinascere! Liberati come un soffione trascinato dalla forza del vento, ma mai dalla forza di qualcun'altro.