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domenica 25 ottobre 2015

Le conseguenze dell'autunno

Sarà che mi lascio cullare dalla stagione autunnale.
Dall'aria fresca, dalle foglie ingiallite che coprono l'asfalto, dalla sequenza di alberi quasi spogli che il mio sguardo segue come a volerne disegnare le curve.

Sarà che in autunno sento di mancarmi. Un po' e solo qualche volta.
Quando vorrei farmi entrare nei polmoni tutta l'aria respirabile.
Quando vorrei colorare le foglie ed immaginare di accogliere una nuova primavera in anticipo.
Quando vorrei prepararmi una tazza di cioccolata calda, solo per annusarne il profumo, perchè non ho bisogno che il suo tepore mi riscaldi le mani.

Perchè mancarsi significa perdere quella parte di sè che respirerebbe a pieni polmoni, senza mai fermarsi anche quando sono pieni, senza mai avvertirne il freddo.
Significa non riuscire a vedere i colori della natura, se non immaginando di ridipingerla su tela.
Significa cercare qualcosa, non perchè ci faccia bene, ma perchè ci siamo convinti che faccia parte della scala dei nostri bisogni, che ad ogni scadenza imposta arrivano puntuali a bussarci alla porta.
Significa che non ci manca niente. Niente che faccia pensare ad un vuoto da colmare. 

Solo quella parte, quella che si imponeva di non lasciare mai i sogni in un cassetto, che sfidava le cose impossibili perchè sapeva che un giorno sarebbe stata in grado di afferrarle, quella che alzerebbe una cornetta per togliersi dei pesi dal cuore, quella che voleva essere grande non per gli altri, nè per se stessa, ma per ciò che sarebbe stata in grado di fare. Quella parte, che a volte sembra nascondersi sotto i binari di un treno, dietro uno schermo di un apparecchio elettronico qualunque, dietro silenzi che sono come singhiozzi che ci salgono in gola ad intermittenza. 

Quella parte manca, un po' e solo qualche volta.

E non so se sia l'autunno o semplicemente la consapevolezza che occorre mancarsi.
Quando cambia la scala delle nostre priorità, quando si comprende che procedere spesso significa lasciare pezzi di te sparsi ovunque, raccoglierli senza mai dimenticarli, pur prospettando per essi una posizione differente. 

Ed è forse questa la sfida più importante: imparare a mancarsi, senza perdersi mai del tutto.
Mancarsi, senza mai lasciare vuoti.
Mancarsi, un po' e solo qualche volta.

giovedì 17 settembre 2015

Homesick: la nostalgia non é una malattia

Nel posare la tazza di tea fumante sul tavolo, ho guardato il grigiore delle nuvole fuori dalla finestra che facevano da cornice ad una sequenza di tetti spioventi color rame, e ho realizzato quanto la stagione autunnale fosse oramai alle porte. Diciamo che in Inghilterra il suo spirito aleggia nell'aria anche prima, facendo in modo che tu non subisca alcun cambiamento climatico radicale e tenendo sempre la maglieria pesante su di una mensola dell'armadio anche in pieno agosto. Ma forse con l'ufficializzazione dell'autunno data dal calendario, mi sentirò in dovere di indossare il cappotto nuovo e di guardare alle decorazioni natalizie non più come fosse una data troppo lontana.

L'aria più fredda, i colori spenti del paesaggio circostante, le foglie ingiallite che tra poco cominceranno a staccarsi dai loro rami, lasciano pensare ad una nostalgia che non può risparmiare nessuno. E ci pensavo proprio quando in un vagone della metropolitana ho avvertito d'un tratto i profumi di casa, prima che una donna mi si sedesse accanto sgranocchiando patatine al formaggio, la cui puzza non avrebbe risparmiato nessuna narice, nemmeno se avessi avuto il raffreddore.

Come quando torni a casa e alla domanda "come stai?" vorresti trovare un termine adatto. Uno soltanto che eviti la perifrasi sto bene ma a volte ci si sente molto soli. Non soltanto in autunno. Non solo quando cadono le foglie. E neppure solo quando hai una tazza di tea tra le mani che ti riscaldi.
É come un singhiozzo che dura 365 giorni l'anno, anche quando pensavi di aver deglutito abbastanza per lasciartelo passare. È una nostalgia che non si attutisce mai, ma che può essere domata concependola non come fosse una malattia da cui non si guarisce.

Ogni volta basta pensare al tragitto fino ad ora percorso, a quei mattoncini che abbiamo con cura posto gli uni sugli altri, a tutti quei granelli di sabbia che abbiamo fatto scivolare tra le dita, a quella linea all'orizzonte che ogni volta appare sempre più nitida al punto da immaginare di oltrepassarla. Occorre pensare al perchè si è iniziato, ed allora anche la nostalgia diventerà meno amara.

Siamo noi a decidere anche questo: se morire di malinconia, o vivere di aspettative.

Io ho scelto di sentire i profumi di casa prima di realizzare che l'unico profumo esistente fosse quello di patatine al formaggio sgranocchiate dal vicino. Ed ho scelto di farmi entrare nelle narici anche quello, in un vagone che segna un viaggio verso una nuova destinazione. Ho scelto di bere una tazza di tea per riscaldarmi, di essere pronta alla caduta delle foglie prima del previsto e di guardare gli schizzi di pioggia che formano pozzanghere sull'asfalto perchè non posso guardare il mare.

Ma chi conosce la direzione da seguire, non si ammala di nostalgia, piuttosto impara a domarla.