Mentre tutti quelli che lasciavo alle spalle continuavano le loro vite in quella che allora consideravo un'insolita indifferenza, intanto io mi nutrivo di quest'ultima pur consapevole di quanto fosse velenosa. Mi entrava nelle vene suadente, ed io la lasciavo scorrere permettendole di rendermi prigioniera come di un peccato che non avevo commesso. Fin quando poi, ad un certo punto, rilevavo la presenza di qualcos'altro. Allora cominciavo ad espellerlo, a poco a poco, come se volessi allontanarmi da una realtà, qualcuno o qualcosa che già in fondo non mi apparteneva più solo a piccole dosi, senza avvertirne troppo la mancanza. E mentre rigurgitavo gradatamente, lasciavo spazio a quella nuova sostanza che stavo assorbendo, che inevitabilmente di lì a poco, avrebbe assunto le sembianze di un altro veleno. Come quando versiamo dell'acqua in un bicchiere che prima conteneva del vino, senza averlo ripulito con cura. Il suo aroma incontrerà le nostre papille gustative nonostante tutto, ne basterà una goccia.
In questo modo, anche qualcosa di sano e potenzialmente non dannoso, può trasformarsi nel suo opposto, se non si è pulito ed asciugato del tutto la superficie su cui giaceva quel veleno.
Ed ho pensato che quando ascolto una canzone che mi piace faccio più o meno la stessa cosa. L'ascolto di continuo, in ogni momento utile. La metto una, due, tre, cento, mille volte. Non ne ascolto altre, soltanto quella. Imparo a memoria il testo, gli accordi, la musica, il momento dell'attacco e quando sta per volgere al termine. Mi entra dentro, come un veleno che tramortisce, perché magari lascia che la tua mente vaghi alla ricerca di ricordi, di quel luogo in cui vorresti ritornare, di quelle mani che vorresti sfiorare e a cui lasceresti fare, ad una fervida illusione o ad una speranza che hai nel cuore ma che non hai mai confidato a nessuno.
Poi però ad un certo punto metti le orecchie su di un'altra canzone e cominci ad ascoltare anche questa. Così, gradatamente, prenderà posto nella tua playlist giornaliera, trasformandosi in un'altra droga. Forse quanto la prima, meno, o molto di più. Ed è una catena che non si arresta mai: ogni canzone, man mano, lascerà spazio ad un'altra, riponendo la precedente nel nostro dimenticatoio personale. Ma a volte basterà che la radio passi una fra queste, in un giorno di sole pieno in cui per la prima volta hai indossato una maglietta a maniche corte ed un sorriso che sa di primavera, per ricordare che in un momento della tua vita quella canzone ti sortiva lo stesso effetto di un vizio che pensavi non avresti mai smesso.
Se me l'avessero chiesto qualche tempo fa, avrei risposto che magari ascoltare quella canzone mi avrebbe procurato uno strano effetto, come un tuffo in un passato di cui se per un verso hai consapevolezza sia velenoso, dall'altra hai una paura commisurata di espellerlo del tutto.
Se me lo chiedessero oggi, direi esattamente lo stesso. Trovo ancora che l'indifferenza sia una pratica piuttosto insolita. Lascio ancora che ogni cosa mi scorra dentro, sino all'ultima goccia ed anche oltre, quando ne resta anche solo una massa indefinita di ricordi. Ed ancora scorro la mia playlist trovando qualcos'altro di cui nutrirmi quando avverto la stanchezza. Qualcosa è diventato ambrosia, altro si è trasformato in veleno che forse non riuscirò mai ad espellere perché avrei nostalgia anche di ciò che fa male.
Ma in una città come Londra, ho imparato a convivere con tutte queste lacune. Ho imparato a riempirle, non trascurandone la dannosità, imparando però a non considerare tutto come veleno da cui non si torna più indietro.
Potrebbe andare sempre meglio, ma basta dire che va bene. Certi posti ti induriscono, in ogni senso in cui una persona possa farlo.
Non si diventa egoisti per necessità, ma è il cuore che te lo impone. Per imparare a rispettarsi di più, associando a quella che credevi fosse da sempre una priorità cui badare stringendo i denti e cacciando fuori le unghie, ossia quella di vivere con e di cuore, anche un'altra: camminare a testa alta, senza pesi sul cuore. E a volte egoisti si deve essere, nella sua accezione positiva, che significa badare a se stessi.
Imparo questa lezione ogni giorno, e man mano la assorbo. Ma ammetto che ogni tanto mischio ancora l'acqua con il vino, trattengo veleni perché ho paura di perderli anche se sono loro i primi a decidere di andarsene, ed il dito resta sempre lì senza scorrere la mia playlist. Lo faccio ancora, ogni tanto, la sera, quando nessuno mi vede perché al mattino la luce del sole è come se ti ponesse al cospetto dell'intero mondo.
Lo faccio perchè in fondo ogni tanto mi manca e penso se ed in quanti altri dimenticatoi io mi possa trovare. La differenza è che i miei sono tascabili, li porto con me dappertutto, e non hanno lucchetto. Gettarli è una lezione che non ho ancora imparato. Sarà per la prossima volta.
Ti leggo spessissimo, sia qui che su #QuiLondra. Ma qui non commento perchè quello che scrivi è così intimo che non trovo mai le parole giuste. Finirei per spezzare un incantesimo, un equilibrio saggiamente costruito. La bellezza della scrittura sta, a mio parere, nella sua interpretazione. Magari tu hai scritto questo post in preda a determinati sentimenti, eppure io leggendolo ci ho visto un po' di me e del mio rapporto col binomio ricordo/canzone. E trovo che tu sia davvero una maestra delle parole.
RispondiEliminaVabbè alla fine niente, tutta questa prosopopea perchè qui non esiste un tasto 'mi piace un sacco' e io volevo esprimere la mia 'piacitudine'.
Un saluto,
Lile.