martedì 7 gennaio 2014

L'altra parte di me.

Oggi é uno di quei giorni in cui fa freddo, fuori e anche dentro. Sono stata svegliata da schizzi di pioggia che battevano sui vetri come il rumore di tamburi. Mi piace alzarmi dal letto quando piove, immaginare che quegli schizzi di pioggia siano come pennelli che si intingono in colori ad olio per realizzare un dipinto. Ma stamattina non ho visto nulla di tutto questo: solo rumore e confusione, anche nel modo in cui gli schizzi di pioggia scorrevano sui vetri. Fa sempre molto freddo nel silenzio di una stanza che sembra vuota nonostante si stia in due, in cui quando si sceglie di rompere il silenzio lo si fa in modo sgraziato, o almeno non nella maniera più appropriata.
Ma ad un certo punto é uscito il sole, tiepido, timido, tra cupi nubi che lo accerchiavano, tentando di nasconderlo. Allora ho pensato che oggi é così, domani andrà meglio. Ma forse andrà meglio quando riuscirò a domare quella che chiamo "l'altra parte di me". Quella che si sente sotto pressione per futilità, quella che non gode il presente perché pensa al futuro, che per la sua incertezza le fa spesso paura. Quella che preferisce sbattere i piedi per terra, proferire parola per dire la propria, anziché fare un passo indietro e dare qualche carezza in più. Quella che aspetta l'inaspettato, quella che crede nell'incredibile, quella che ancora, alla sua età, piange quando non si sente capita.
Sono come due poli, il bianco e il nero: il bianco che con la sua luce prova a ritagliarsi uno spazio, come il sole tra nuvole di pioggia, e il nero che incombe e che come di consueto lo neutralizza, come quando ad un certo punto comincia a piovere nonostante guardando il cielo non l'avessi previsto.
Una parte che esercita pressione, l'altra che chiede di non pensare. Una parte che vorrebbe una palla di cristallo per sapere come andrà a finire, l'altra che chiede di guardare solo a questo momento, quest'ora, questa vita, qui ed adesso. Una parte che urla, l'atra che chiede solo attenzione, carezze, amore.

Allora forse non vale la pena aspettare a domani, quando domani può essere adesso.

giovedì 2 gennaio 2014

A me, a voi, buon 2014!

Ho cominciato questo nuovo anno mangiando grappoli d'uva, dicono che qui sia di buon auspicio. Ho alzato gli occhi verso un cielo cupo ma illuminato da fuochi d'artificio che rendevano il London Eye qualcosa di incantevole. Per la prima volta ho lavorato, tanto. Ho servito del pollo a clienti che sembravano così lontani dalle nostre consuete tradizioni, quasi come se fosse un giorno qualunque. Ho sempre festeggiato queste feste in famiglia e a dire il vero non mi è mai sembrato una gran cosa. Minimizzavo il riunirsi attorno ad una tavola con bicchieri, posate e tovaglioli rossi da cui ci si alzava con almeno tre chili in più. Detestavo il pomeriggio del giorno di Natale: mi trasmetteva un'insolita malinconia, simile a quella di un'ordinaria domenica pomeriggio. Detestavo la scontata domanda nei giorni che precedevano il 31 "Cosa fai a Capodanno?" ed io che con aria annoiata rispondevo "Non lo so", per poi organizzarmi all'ultimo minuto perché l'importante era stare insieme. Come insieme alla mia famiglia sono stata per 23 anni a scartare i regali sotto l'albero, aspettando ciascuno il proprio turno. Quest'anno la mia famiglia non c'é stata, né un albero di Natale sotto il quale scartare i regali, nemmeno la consueta tavola imbandita, né la fastidiosissima domanda pre-Capodanno. 
Ed è in queste circostanze che capisci che forse stai crescendo, e crescere significa anche questo: dare valore a ciò che prima sembrava scontato quando scontato forse non lo è mai stato. 
Ma crescere significa anche abituarsi a nuove cose, allargare i propri orizzonti, aprirsi a nuove culture, modi di pensare, tracciare nuovi sentieri che possano farti gioire comunque, nonostante tu conosca sempre dentro di te il reale significato di "casa", pur tentando di costruirne un'altra, o più di una.
Nel mese di dicembre nel posto dove lavoro sono state arrestate tre persone senza regolare permesso di soggiorno, due del Pakistan ed un ragazzo dello Sri Lanka. Quest'ultimo si trova ancora in prigione, con una vita spezzata, i cui pezzi sono appesi ad un filo sottilissimo, in attesa di conoscere il suo futuro, se restare, o più presumibilmente tornare nel suo Paese, dove non esistono leggi né forse morale, dove se sei macchiato lo sarai per la vita, come un portatore di peste, relegato agli ultimi posti di una società già retrograda di per sé.  Ma nonostante tutto, la sua fidanzata va a trovarlo ogni lunedì, con la disperazione negli occhi, ma con un'invidiabile costanza, che fa crescere la sua speranza ogni giorno nonostante l'esito di questa triste storia sia quasi certo, in uno Stato, come questo, in cui leggi di ferro sotterrano ogni traccia di sentimentalismo. Ma lui, in uno dei loro incontri, le ha chiesto: "Se devo andare via, tu vieni con me?" E lei, senza alcuna esitazione, con la voce rotta dal pianto, ma con un amore che avrebbe sciolto anche la legge più ferrea, gli ha detto: "Ovvio, vengo con te!"


Non ho propositi per questo nuovo anno, per voi, né per me stessa, ho sempre odiato le solite liste della spesa che divengono dopo poco carta straccia. 

Ma se dovessi dare nomi a questo nuovo anno vorrei si chiamasse: crescita, costanza, amore.
Vorrei si chiamasse "trasformare-disperazione-in-speranza", "amare-senza-timore-perché-si-é-piú-forti-del-ferro", "pazientare-in-attesa-di-successi-piú-propizi", "porre-un-mattone-su-di-una-superficie-fangosa-per-costruire-una-casa-dalle-pareti-indistruttibili".
Vorrei che quest'anno si coniugasse con il verbo "restare".

Perché é vero che gli anni passano, ma noi possiamo scegliere di restare, sempre, ovunque e con chiunque ci capiti di trovarci.

A voi, a me, buon 2014!


domenica 24 novembre 2013

Come una macchia d'olio.

Mi piacciono le donne che osservano in silenzio, raccogliendo idee e dettagli come fossero semi da cui germogliano fiori di campo, che staranno attente a non calpestare quando i loro piedi saranno inumiditi dall'erba fresca su cui la rugiada si sarà posata di primo mattino.
Mi piacciono le donne che sanno piangere. Sí perché non tutte lo sanno fare. Quando piangi il viso deve essere bagnato, completamente, le lacrime devono corrugare le gote sino al collo. Mi piacciono quelle donne che non si preoccupano se il loro make-up sarà sbavato, perché ogni lacrima avrà pian piano lavato parte del dolore che le avrà ridotte in quello stato, ogni macchia sarà cicatrizzata ovunque sul loro corpo, e sí poi andranno avanti, come sempre.
Mi piacciono le donne che sanno ridere, non quelle che starnazzano, ma quelle che ridono con gli occhi illuminando il viso al punto da eliminare ogni ruga, al punto da rendere perfetta ogni minuziosa imperfezione.
Mi piacciono le donne che non si arrendono, ma che al contempo hanno paura di non farcela, allora non dormono, se ne stanno in silenzio, corrono per sentirsi più veloci di un tempo che le consuma, scrivono, urlano, si mettono a dieta.
Mi piacciono quelle donne che se vogliono qualcosa fanno di tutto per prenderselo, quelle che scendono dal loro piedistallo per rincorrere qualcuno nonostante appaia troppo distante da afferrare.
Mi piacciono le donne che leggono, che si informano, che vanno al cinema o al teatro, che sposano una causa portandola avanti con ineguagliabile passione, quelle che fanno della mente la più irresistibile arma di seduzione, un'arma a doppio taglio, ove l'ultimo taglio sarà sempre riservato a chi avranno di fronte.
Mi piacciono quelle donne che sanno aspettare e che in egual misura saranno capaci di restare, quelle che guardano un aereo decollare sperando non lo faccia, o un treno partire sperando deceleri per dare loro la possibilità di raggiungerlo. Ma mi piacciono quelle donne che non si ingannano, quelle che con egual costanza vanno via quando apprenderanno che per loro non c'é più spazio.
Mi piacciono le donne così, quelle che non hanno bisogno di trasformarsi in uomini per sentirsi più forti, quelle che faranno della loro sensibilità la loro più grande forza, quelle che cadono in tunnel bui e silenziosi per poi risalire gradatamente, senza far troppo rumore. Mi piacciono quelle donne che profumano di libertà, che trasudano passione, verità, umanità.
Mi piacciono le donne che sono così, come un'araba fenice, un caffè caldo di buon mattino, una candela profumata accesa sul comodino, una macchia d'olio, piccola, che si camuffa con la tinta scura dei pantaloni: capaci di risorgere, di reinventare e ricrearsi dalle ceneri, capaci di scottare ma di riscaldare al punto da diventare qualcosa di cui non riuscirai a fare a meno, capaci di inebriare ogni stanza in cui saranno entrate, per restare sempre lí, nascoste ma indelebili, come una macchia d'olio.

martedì 12 novembre 2013

L'amore é una cosa semplice.

Qualcuno una volta, intonando una canzone, ha detto che l'amore é una cosa semplice, e forse é davvero così.
Tra le sue molteplici ed enigmatiche facce la più semplice e delicata é lo stare bene, per questo motivo forse la più importante, perché é con il tempo che ho imparato a capire che sono le cose più semplici quelle più importanti, le uniche forse in grado di dare un valore inestimabile a qualsiasi cosa si tratti.
Allora forse l'amore é soprattutto stare bene. É stare seduti a pensare fermando il tempo in uno spazio piccolo, fatto di pareti tappezzate di posters, di una luce fioca sul comodino e di un letto scomposto, troppo piccolo per contenere emozioni che tingerebbero di rosa tutto ciò che ci circonda. É tremare quando i nostri sogni cedono il passo ad un incubo che ci vedrebbe lontano, é sentirsi al sicuro al nostro risveglio, realizzando che si é ancora lí, nel nostro soffice nido. É sentire il respiro dell'altro nelle nostre orecchie, quello che riesce ad insinuarsi sin dentro la nostra pelle. É trascorrere giornate, ma soprattutto vivere attimi, perché come le cose più semplici, sono questi ad ingigantire intere esistenze, spesso apparentemente grandi anche se fatte di niente, perché mancanti della sostanza primigenia, quella che si può cogliere in un semplice gesto, sguardo o parola, così, semplicemente.
É pianificare perché si ha desiderio di stare insieme, senza mettere paletti, senza paura di affondare nell'enigmatico mare delle domande che non trovano risposta, dei "se-ma-forse-é troppo tardi", perché laddove succedesse, lo si farebbe insieme, ed in due non occorre avere paura.
Molti si interrogano su quale possa essere il celato significato dell'amore, che spesso ci avvolge in un'aurea maledetta senza appiglio alcuno. Ed anche io, dall'alto della mia inesperienza l'ho fatto, e di tanto in tanto inciampo nello stesso errore, ponendomi domande che non trovano risposte, polverizzandosi come sabbia tra le dita trascinata dalla forza del vento.
Ma se é vero che l'amore é una cosa semplice, significa che lo si può anche comprendere nonostante la sua latente imperfezione, lo si può gustare nonostante sia dolce quanto amare, sentire anche nel silenzio e riconoscere nonostante il frastuono, persino annusare come il profumo delle viole che preannunciano l'arrivo della primavera. E forse nella sua forma più fresca e delicata é lo stare insieme, lo stare bene, così, semplicemente.

martedì 5 novembre 2013

Almeno era domenica.

Due giorni fa era domenica e per la prima volta l'ho avvertito.
Ho sentito sulla mia pelle il calore appena sveglia di tiepidi raggi di sole che filtravano attraverso i vetri di una finestra socchiusa. Ho sentito il profumo di deliziosi manicaretti, di quelli che si preparano solo quando si ha tempo. Ascoltavo la telecronaca del campionato spagnolo di calcio mentre si inveiva, un po' come faceva mio padre in un'ordinaria domenica in cui giocava il Napoli. E ho parlato di calcio con un tifoso del Manchester United, come se fossi al bar di domenica mattina. Sono andata a comprare del pane, dei dolci che sarebbero stati serviti a fine pasto e del vino, italiano, perché ero l'unica italiana e pensavo che sarebbero stato carino offrire un po' del mio Paese.
Un pranzo che é terminato con una tazza di caffè alle sei del pomeriggio, con un piumone sulle gambe che mi teneva calda perché intanto fuori era cominciato a piovere. Ho condiviso un bicchiere di vino, una barretta di cioccolato, addirittura anche uno stupido videogame era diventato per due, un turno a testa.
Mi ricordo quando ero ancora una bambina ed ogni domenica la mia famiglia si riuniva a casa di mia nonna per pranzo. Si sentiva che era domenica, nell'aria, negli sguardi, nei sorrisi, nel rumore di quei pochi motorini che nell'attraversare la strada era come se portassero con se una scia di sottile malinconia, quella che di consueto si respira in un tipico pomeriggio domenicale.
L'altro giorno non c'era la mia famiglia, non il ragù, nemmeno il sapore del caffè era lo stesso.
L'altro giorno non ero a casa, ma almeno era domenica.

sabato 2 novembre 2013

Il treno dei desideri.

E poi c'è quella nostalgia che ti prende alla gola, che ti fa pensare alle cose passate che non possono tornare, addirittura a quelle persone che avrai incrociato a mala pena una volta sola per poi sparire volatilizzandosi in un cosmo dagli infiniti punti, troppi per incontrarsi ancora.
Ho sempre meno tempo per me e ho cominciato a truccarmi in metropolitana, perché è l'unico momento in cui sono costretta a sedermi per aspettare di giungere a destinazione.

Londra e tutto ciò che ne concerne sono la mia metropolitana, la cui destinazione talvolta sembra lontana, ma l'ho scelta io, i cui posti a sedere sono le persone che anche in silenzio e a distanza mi sostengono, in un calore che si chiama famiglia, amicizia, affetto vero.

Perché forse si da' più importanza al cosa che al come, io invece ho smesso di pensarci e ho mescolato tutto, guardando al come e al cosa come fossero un binomio imprescindibile, il cui risultato, se entrambi intrisi nel sacrificio e frutto di ciò che il cuore detta, è amore per noi stessi, è soddisfazione per ciò che siamo in grado di creare, è felicità.
E sarà felicità anche se la destinazione non sarà come la si aspetta, perché la meta l'abbiamo scelta con il nostro cuore che ci avrà donato occhi per guardare oltre e piedi che attraverseranno l'asfalto del sentiero che sentiremo di tracciare.

Se mai dovesse esistere una strada che conduca alla felicità, quella si chiama libertà.
Quella che porta il cuore in alto, facendoti sentire leggera.

sabato 21 settembre 2013

Learning and teaching.

C'è sempre qualcuno che mi ripete che è la vita cercando a suo modo di impartirne lezioni ed io forse ai loro occhi appaio come una studente ribelle che non vuole mai imparare. In realtà è che forse semplicemente non avevo chiesto di imparare da loro. In realtà forse sono semplicemente stanca di apprendere lezioni già sentite, che se un tempo mi trafiggevano come spine, ora quasi non le sento più, e non so quale delle due sensazioni sia la peggiore. Ma ciò che più mi stanca è il valore che ostinatamente tento di dare loro. Sarà forse vero che sono una studente ribelle, ma forse devo imparare a considerare anche l'eventualità opposta: che tutti questi si pongano forse come insegnanti senza possederne alcun titolo.
Perché forse nella vita si sceglie chi essere e talvolta i ruoli si confondono. Ma non sarà colpa di chi si porrà come insegnante pur potendo a mala pena assumere il ruolo di studente somaro. Sarà colpa di chi avrà tante cose da insegnare ma per colpa delle sue insicurezze le terrà per sé. Sarà colpa di chi si sentirà sempre su di un gradino inferiore, di chi pur potendo insegnare qualcosa si siederà tra i banchi e pur ascoltando lezioni sbagliate resterà in silenzio, talvolta auto-convincendosi dell'opposta realtà.
Ma la verità è che desidero essere insegnante nella stessa misura in cui io desideri mantenermi studente, come facce della stessa medaglia, imprescindibili. Voglio dare e ricevere, in un sano equilibrio che è umano. Non è possibile essere una cosa sola, per sé ma soprattutto quando ci si relaziona. E' questo il primo insegnamento che sento di dare, anche se non so bene da chi l'abbia appreso, forse da chi non mi ha mai dato nulla mentre io ci speravo.

There is always someone who tells me that's life trying to give lessons and maybe in their eyes I look like a rebel student who never wants to learn. But maybe I just did not ask to learn from them. Maybe I'm just tired of learning lessons already heard, that if one time pierced me as thorns, now almost do not feel them anymore, and I don't know which of the two sensations is worse. But what makes me tired is the value that stubbornly I try to give them. It could be true that I'm a rebel student, but maybe I have to learn to consider also the opposite possibility: that all of these ones will show themselves perhaps as teachers without possessing any title.
Because maybe in your life you choose who to be, and the roles are sometimes confused. But it will be the fault of those ones who will arise as teacher while barely being able to assume the role of dunce student. It will be the fault of those ones who have much to teach but because of his insecurities will keep them for him/herself. It will be the fault of those ones who always feel on a lower level, who although may teach something will sit in the classroom and even if they will listen to wrong lessons, they'll remain silent, sometimes self-evident to the opposite reality.
But the truth is that I want to be a teacher in the same measure that I want to keep the role of student, as the faces of the same coin, essential. I want to give and receive, in a healthy balance that is human. We can't be just one thing for ourselves but especially when we relate. And this is the first lesson that I feel to give, even if I don't know from who I have learned, perhaps from those ones who don't ever give me anything while I hoped it.