venerdì 14 dicembre 2012

A come attrazione. A come amore.

Credo che gli opposti si attraggano, ma che siano i simili in fondo ad amarsi.
L'attrazione ti acceca come un faro dritto negli occhi che non ti permette di osservare il sentiero, costringendoti a percorrerlo ad occhi chiusi, senza ammirare la bellezza del paesaggio, la semplicità di un tramonto che cede il passo alla notte, non consentendoti di alzare gli occhi al cielo lasciando che il tuo viso sia illuminato dalla luce fioca ma eterna delle stelle. In fondo è quando ti approccerai a ciò che è diverso da te, a ciò che è nuovo e tremendamente accattivante che ti illuderai che questo sia l'unico scambio in grado di farti sentire viva, piena abbastanza da non desiderare altro. Ma l'attrazione ti avvolge, ti brucia e con la medesima rapidità ti spegne. Non segue tempi, non ascolta parole, non annovera il silenzio nella scala delle scelte possibili, non rivolge domande nè pretende risposte, è dunque forse più semplice ma a tratti banale. Segue l'istinto. Quell'istinto che è carne, pulsioni, molto spesso confuso con il cuore che è invece anima, emozione. Gli opposti non si cercano ma si trovano per caso, in un bar, ad un angolo di strada, alla fermata della metro. Si trovano per poi perdersi senza mai più ritrovarsi. In fondo le loro strade non hanno nulla che possa accumunarli, per cui avranno la fortuna di incontrarsi ma quando si perderanno non riusciranno più a ritrovarsi, perchè a causa di quel faro che li ha accecati, costringendoli a starsene ad occhi chiusi, non conosceranno quale sia la possibile via per la riconciliazione. Ma se mai dovesse accadere non riusciranno più a riconoscersi nello sguardo dell'altro perchè in fondo i loro occhi non avranno mai sperimentato la compenetrazione, saranno l'un per l'altro soltanto un vago ricordo, una parentesi da collezionare. 
Credo che invece i simili avvertano l'esigenza di guardarsi negli occhi, perchè non ci sarà un faro ad accecarli, ma sarà la luce che vicendevolmente si trasmetteranno attraverso gli sguardi ad accendere una piccola fiamma, che con cura alimenteranno per trasformarla in un focolare sempre più intenso, sempre più rovente. Percorreranno insieme un sentiero che sentiranno di conoscere sin dal principio, fermandosi di tanto in tanto ad ammirare la bellezza del paesaggio, la semplicità di un tramonto, le stelle che dall'alto faranno da cornice al loro percorso. Avrai forse come la sensazione di essere avvolto in delle lenzuola fresche, profumate, pulite, che non ti bruceranno, ma che ti terranno al caldo senza mai spegnerti. Seguirai un tempo senza averne la benchè minima percezione, riempirai spazi di parole ma molto più spesso di silenzi, silenzi fatti di domande e di risposte nonostante il loro non prender forma attraverso l'emissione di suoni gutturali. Non sarà mai banale ma complicato, perchè oltre a seguire l'istinto ascolta anche il cuore. I simili in realtà non sempre si trovano per caso, molto spesso sarà necessario cercarsi per trovarsi. Molti si cercano, si trovano senza poi andare avanti, per paura che tutto si tramuti in un gioco complicato a tratti ingestibile, in un gioco dove le emozioni potrebbero essere così forti da rischiare di perdere la bussola e non poter più tornare indietro. Ma certe anime perdute riusciranno a sfuggire da questi schemi pericolosi, allora si cercheranno, si troveranno e da qui cominceranno. Probabilmente si perderanno. Ma i simili si ritroveranno, perchè le loro strade sono state costruite per combaciare perfettamente, quelle strade non sconosciute perchè per quei sentieri hanno passeggiato ad occhi aperti, lentamente, avendo così la possibilità di conoscerli nel minimo dettaglio. Si ritroveranno se lo vorranno, ed in genere lo vogliono. Lo vogliono senza mai chiedersi il come, il quando nè il perchè. Lo vorranno ad ogni costo, nel preciso istante in cui il pensiero si insidierà nelle loro menti, perchè in fondo è un sentiero che va percorso insieme. 
Gli opposti si attraggono, ma l'attrazione può essere rapida, rumorosa, istintiva, carnale, abbagliante, trovata senza mai essere cercata, destinata in fondo a consumarsi. L'amore, quello è un'altra cosa. L'amore è lento e silenzioso, segue l'istinto senza mai dimenticare di ascoltare il cuore, è una compenetrazione di anima e corpo, illumina senza mai accecare, è frutto di un'ostinata ricerca che i meno caparbi abbandonano spenti dalla disillusione, è un cercarsi a lungo senza mai trovarsi, per poi trovarsi così, quasi come per caso, senza accorgerci talvolta che quel trovarsi è frutto invece di quella ricerca mai spenta del tutto. E' un cercarsi, un trovarsi, un perdersi, per poi ritrovarsi, riconoscendosi nello sguardo dell'altro, per quella luce che saranno in grado di trasmettere sempre, quella luce che li renderà simili. 
Ho sempre pensato di aver collezionato opposti, tra cui qualche simile. Ma dopo aver lasciato che il flusso dei miei pensieri prendesse forma in ciò che ho scritto, mi rendo conto che anche quelli che credevo simili in realtà si siano rivelati dei banali opposti. Perchè in fondo li ho persi e sono certa di non ritrovarli.

giovedì 13 dicembre 2012

Inizio di primavera.

Anche il cuore ha le sue stagioni.
Il mio quest'anno è passato da un lungo ed estenuante inverno, ad una breve primavera che ha ceduto subito il passo ad una rovente ma ancor più breve estate, per passare di nuovo all'inverno, poi all'autunno, infine di nuovo ad una fresca primavera e ad una calda estate, durata ancora una volta troppo poco, cedendo il passo di nuovo all'inverno, intervallato da sprazzi autunnali, ma pur sempre freddi. In fondo le stagioni più belle, più tiepide o addirittura roventi durano sempre troppo poco. Sono le foglie ingiallite d'autunno che spesso fatico a rimuovere. Ed è sempre quel freddo rigido che si insidia sin nelle ossa, che ti provoca quel fastidiosissimo raffreddore che comincia con un insolito rossore del naso, non facendoti più avvertire la presenza di mani e piedi, a durare sempre troppo. Ma nonostante tutto spesso mi capita di volerci restare, forse perchè so che le mie primavere e le mie caldissime estati sono destinate a durar poco, a volte meno di quanto basti, forse per paura di abituarmici preferisco il freddo. Ma molte altre volte mi capita di volere che quel gelido inverno intervallato da periodi autunnali ma pur sempre freddi rimangano ad aleggiare sul mio cuore per consentirmi di contemplare i rami secchi. Non ho mai ben capito da cosa nasca questo mio ostinato tentativo di curare le foglie che ingiallite cadono dagli alberi spogliandoli completamente di quel colore vivo che dopo poco non mi sembra nemmeno più così intenso. Allora raccolgo le foglie, le conservo e mi siedo ai piedi dell'albero ormai spoglio a contemplarne i rami secchi pur essendo cosciente che quell'albero non riserverà più alcun bocciolo, nè un qualche frutto che diverrà maturo, abbastanza per poi raccoglierlo. Spesso ho così paura che quei rami li stacco per tenerli stretti nelle mie mani, contemplandoli quasi come se stessi ascoltando un poeta recitare dei versi, nonostante a volte avverta la sensazione che quei versi non esistano, ma sono semplicemente frutto della mia immaginazione che teme di lasciare, di archiviare malinconicamente un altro pezzo di vita al punto tale da aggrapparmi ai ricordi, quei ricordi che spesso offuscano la mia mente al punto da irrigidire le mie gambe come se stessi in delle sabbie mobili da cui temi di uscire per ritrovarti con un'anima vuota, colma di assenze e di parole che avresti potuto pronunciare ma che per vigliaccheria non sei riuscita ad emettere. Spesso mi capita di circondarmi delle foglie ingiallite tenendo in pugno strettissimo quei rami così secchi da rendere ruvidi i polpastrelli, e poi li conto. Sì li conto ed ogni tanto li innaffio anche, pur non ricevendo alcuna reazione. Che patetica ossessione, che inutile e vigliacca mania di tener stretto ciò che ti ha tenuto in vita con il fresco profumo delle foglie di primavera e con il caldo rovente dell'estate, per poi morire, così, troppo presto o inaspettatamente, ma come in fondo sempre accade. Ho cercato anche questa volta di conservare ed ogni tanto innaffiare le foglie ingiallite cadute dall'albero, ho contemplato quest'albero spoglio come se fosse un poeta intento a recitare versi, ho addirittura staccato quel ramo per tenerlo stretto fra le mie mani, per tenerlo più vicino al mio petto. E' una cosa insensata e ho sempre pensato che talvolta anche le cose al di fuori di schemi logici aiutino a tenerti in vita. Ma poi ragionando ho capito che ciò che è stato non può più tornare, o forse tornerà in una forma diversa, non lo so, ma non nella forma delle foglie che ho conservato, nè del ramo che ho staccato per tenerlo più vicino al cuore. Ho capito che questo mio vano tentativo mi fa vivere in un passato così ingombrante da non permettermi di avvicinarmi ad altro, di seminare qualcosa da innaffiare con cura per poi assistere a nuove fioriture. Ho capito che forse questo può aiutarmi a tenermi in vita, ma si tratta di una vita precedente, già vissuta, che potrà servire a rievocare emozioni ma non più a viverle standoci dentro. Esiste un momento nella vita in cui ciascuno dovrà decidere se vivere nel presente in attesa del futuro, o se vivere nell'ossessione del passato, rievocando le fresche primavere e le calde estati, ma vivendo pur sempre nel pungente freddo invernale. Esiste un momento in cui realizzi già cosa vuoi fare tempo prima, pur mantenendo stretti quei rami che capirai essere troppo secchi per riscaldare il cuore, ma riuscirai ad esprimerlo soltanto tempo dopo, perchè prima di quel momento non saresti riuscita a gettarli via. Esiste un momento in cui comprendi che devi andar via, che non c'è più spazio, che devi lasciare che le cose riprendano il loro corso regolare. Il mio momento è in questo preciso istante. Allora prendo le foglie ingiallite ed insieme al ramo secco, nonostante avrei voluto trattenerlo, lascio che il vento porti tutto via. Lascio che oggi, in questa fredda giornata di dicembre inizi per il mio cuore ufficialmente la primavera, senza che essa si tramuti velocemente in estate. Non so cosa accadrà, ma il fresco profumo delle foglie, i boccioli che stanno per sbocciare, il tiepido sole di primavera, mi piacciono, e sola, è questo che da oggi decido di contemplare. Sola, senza di te, diventato da un bocciolo che non ha avuto il tempo di fiorire, un ramo secco da gettar via, in questo preludio di primavera che non posso più rimandare.

Scelte giuste, scelte sbagliate.

Non credo esistano scelte giuste o sbagliate. Credo esistano semplicemente scelte. Scelte che potranno essere semplici o più complicate, ma pur sempre e solo scelte.
Niente sarà sbagliato, nè giusto, ma semplicemente scelto come un qualcosa di apparente astrattezza e vaga consistenza che servirà a definirti. Perchè la verità è che spesso ci affanniamo a dare ad ogni piccolo dettaglio una definizione appropriata per catalogarlo in una qualche categoria. Allora per mettere ordine distingueremo il bene dal male, ciò che è giusto da ciò che è malsano, scelte appropriate da quelle che non lo saranno. Ma la verità è che niente di tutto questo necessita di una definizione se prima non riusciremo noi a definirci. E noi ci definiamo soltanto e semplicemente scegliendo. Ciò che è giusto o sbagliato non esiste, è solo una nostra fervida invenzione, un prodotto che nasce dalle mura di cinta e da quegli inestricabili schemi che avremo accantonato nella nostra mente, quasi come per salvarci o semplicemente per avere un alibi all'occorrenza. Per puntare il dito su chi avremo classificato come cattivo, per dare ad altri la colpa della nostra infelicità, di una vita insoddisfacente, per crogiolarci sul finto stereotipo delle scelte sbagliate, della nostra incapacità nel prendere il giusto sentiero, per sentirci in fondo meno colpevoli. Ma la verità è che questo non è altro che un fragilissimo castello di sabbia, perchè basta scegliere permettendoci solo poche volte di scendere al compromesso dell'essere scelti, perchè a volte è doveroso ma mai profondamente giusto ed è proprio quando lo permettiamo sin troppo che erriamo, pericolosamente, vigliaccamente direi. Si è felicemente se stessi in quella frazione di secondo in cui avvertiamo di aver scelto senza lasciare che siano altri a farlo per noi, ad assumersi responsabilità che in fondo sono prive di consistenza. Ho sempre pensato che le scelte che mi hanno resa troppo fragile, a tratti scontata, a volte umiliandomi, lasciandomi dell'amaro in bocca difficile da far passare, fossero state scelte sbagliate solo perchè mi avevano fatto male. Forse invece quelle sono state le migliori, perchè mi hanno fatto arrivare qui, adesso, in questo preciso istante, con la forza necessaria, il calore nel cuore, l'umidità degli occhi. Forse è solo quando bandiremo l'idea di una necessaria quanto futile ed irrealistica classificazione che riusciremo a guardare dinanzi a noi solo potenziali scelte, possibili strade da poter seguire secondo le nostre attitudini, potenziali persone che si avvicineranno al nostro mondo a tal punto da pensare di poterle accogliere e che forse resteranno per quel modo diverso da altri, che avremmo convenzionalmente definito come sbagliati, di starci accanto.
Ci libereremo dall'idea di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, semplicemente scegliendo. E quando l'esigenza di scegliere necessiterà di un pizzico di coraggio in più, perchè meno semplice del previsto, basterà forse chiudere gli occhi, aprire la mente e seguire il cuore. Il cuore non sbaglia mai e nemmeno noi lo faremo se rimarremo ad ascoltarlo in silenzio. Il cuore non sbaglia nemmeno se nel seguirlo ti condurrà verso una strada ostruita, un percorso così impervio da procurarti fratture e graffi lungo tutto il tuo corpo. Ciò che è giusto non significa che ti debba rendere necessariamente felice. Sarà stato giusto anche trovarsi tra rami secchi e strade rocciose che ti avranno condotto ad un burrone senza via d'uscita o addirittura cascarci dentro. Ma alla fine il cuore ha sempre ragione, e tra scelte che convenzionalmente hai voluto definire sbagliate, ti condurrà su un nuovo sentiero, fresco, pulito, che ti renderà libero. Dovrai esser tu in grado e caparbio abbastanza ad esplorarlo. E sarà solo quando lo farai che avvertirai la sensazione che in fondo nulla è stato sbagliato, che non c'è sbaglio più giusto che sbagliare con il cuore, che in fondo hai scelto e nel farlo sei stato semplicemente te stesso.

mercoledì 12 dicembre 2012

C'è chi parla, c'è chi scrive.

Questa è decisamente la mia postazione preferita. 
Un thea fumante dopo un pomeriggio di sano e terapeutico shopping, io, uno schermo, la tastiera e tanti pensieri che sembrano sempre troppo confusi ma che solo qui riescono a trovare un ordine di cui spesso avverto l'esigenza. E' come se riuscissi a parlare di me solo in questo modo, quasi come se parlassi solo scrivendo. Non posso certo dire di non averci mai provato, ma la verità è che non ci sono mai riuscita.
Lo faccio poco, a singhiozzo, solo con chi ho instaurato una confidenza tale da non vergognarmi di quella che definisco la mia più tenera intimità. Talvolta solo quando mi viene chiesto, ma non ricordo di averlo mai fatto totalmente. Ci ho provato con qualche uomo entrato nella mia vita ma il risultato era sempre lo stesso. Non appena riuscivo a togliermi la maschera mi veniva chiesto implicitamente di indossarla di nuovo. E quando mi accorgevo che la maschera non era più conforme al mio viso, quasi come se si fosse ristretta, costretta a gettarla via, quell'uomo andava via. E nonostante si fosse allontanato io continuavo a vivere nell'attesa. Non so nemmeno io perchè lo facevo, nè cosa attendevo. Forse mi piaceva il pensiero di aspettare qualcosa ma se mi avessero chiesto cosa, io non avrei saputo rispondere, avrei tentennato rispondendo che aspettavo lui, quell'uomo che il cuore me l'aveva aperto per poi sputarci sopra e richiuderlo come fosse un cassetto contenente calzini, ma in realtà sapevo bene che una volta andato non sarebbe più tornato. Perchè a me è sempre successo così, ecco perchè ai ritorni non ci ho mai creduto molto. Ho sempre assistito a volti che mi davano le spalle senza mai più voltarsi. Avrei venduto l'anima pur di avere torto, solo una volta. Ma la ragione è sempre stata tristemente dalla mia parte. Anche quando decido di partire. Carico il bagaglio del necessario, metto le ali della buona sorte e corro. Corro per sentirmi viva, per nutrire lo spirito di esperienze fuori dall'ordinario, per sperimentare ogni gradazione di colore, dalla più tenue alla più intensa, per vivere di amore e di passione, di quel sole caldo che riscalda il corpo e la mente, per crescere, per diventare una donna. Nessuno mi ha mai imposto nè implorato di restare. E forse io non l'avrei nemmeno fatto, ma non perchè sono un'inconstante incapace di restare, ma forse perchè sono restata sempre accanto ad uomini che hanno poi deciso di abbandonare il campo. Non so se esista una capacità nel restare o nel trattenere qualcuno. Credo di saper restare, anche all'ombra, in un angolo, in attesa, dedicandomi intanto alla cura addirittura di foglie ingiallite che non potranno più rifiorire. Ma non so trattenere. Lo trovo malsano imporsi nella vita di qualcuno, puerile, poco dignitoso, mortificante per la propria indole. Forse perchè sono una che quando decide di andare è sempre andata, spesso correndo, a volte con gli occhi lucidi. Ma almeno una volta avrei voluto avere torto anche in questa circostanza, avrei voluto che qualcuno mi avesse chiesto di restare. Anche questa volta la ragione è sempre stata dalla mia parte, banalmente dalla mia parte. Il punto è che tutto questo non lo riesco mai a dire, non sono sincronizzata, sbaglio rigorosamente i tempi giocando o d'anticipo o arrivando in ritardo, quando il sipario è calato. Allora esplodo nella mia passionale esagerazione, facendo credere a chi mi è accanto che io possa essere una ragazza dolce e comprensiva quanto tremendamente brusca ed aggressiva, quando forse basterebbe sedersi e con calma spiegare che quella tua indicibile aggressività, il tuo sbattere porte, le tue urla perforanti i timpani, nascono da una profonda insicurezza, da un'eccessiva sensibilità che spesso e per poco mi capita di sentir ferita. Ma forse dovrei fermare le lancette e invece di proferire parole che scivoleranno via col vento, scrivere. Ma il punto è che sembra quasi che le persone non abbiano tempo da dedicarti. Potrai giocarti una carta, ed una volta sprecata sarai per loro semplicemente ciò che in qualche minuto avrai mostrato. Sarai un prodotto confezionato e la tua etichetta sarà "donna difficile, poco accomodante, dai modi bruschi, carica come un proiettile già fumante, donna con cui meno si parla forse e meglio è". E' difficile scrollarsi di dosso un'etichetta che spesso ti appioppano semplicemente perchè non tutti hanno occhi per guardare oltre, due orecchie per sentire, un cuore per capire. Allora ogni giorno dovrai svegliarti sapendo di dover lottare il doppio per far capire agli altri chi sei, ossia una donna complicata forse da comprendere in ogni suo minuzioso quanto contraddittorio dettaglio, con pregi ed infiniti difetti, ma nessuno che coincida con l'etichetta appioppatami, almeno non nella piena essenza. Prima ogni giorno mi svegliavo sapendo di dover faticare il doppio degli altri per vincere i pregiudizi. Ma da quando ho capito che forse nemmeno i miei genitori capiranno mai chi sono veramente non lo faccio più. Mi sveglio la mattina e me ne frego, circondandomi di quei pochi che a furia di starmi vicino hanno compreso ogni mio gesto, persino la ragione talvolta di ogni singolo atteggiamento, mostrandomi affetto con una mano stretta, un abbraccio caloroso, una parola dolce, facendomi capire che è di loro di cui non posso fare a meno e che non importa se qualcuno non capirà, l'importante è che lo facciano loro. I miei genitori dicono sempre che parlo poco, in fondo ho poco da dirgli da quando ho deciso di adottare questa tecnica di salvataggio. Salvataggio non dagli altri, ma dal rischio di poter diventare qualcun'altro solo per l'esigenza di compiacere. La verità è che il mio parlar poco di me è sintomo di estrema, forse esagerata ed ossessiva riservatezza che so bene che probabilmente molti intenderanno come un tenere tutti distanti, ma il punto è che forse esistono due categorie di persone: chi parla, e chi scrive. I primi a cui non sarà richiesto necessariamente di comprendere i secondi, i secondi a cui sarà permesso di esprimersi nel modo che risulti per loro più congeniale, ma imponendogli di comprendere necessariamente i primi, perchè in fondo la parola è sempre il mezzo ufficiale di comunicazione ed è per questo che i secondi si sentiranno talvolta bistrattati, avendo l'esigenza di camuffarsi tra la folla dei parlanti pur restando muti. Ed io appartengo alla seconda, a quella categoria di persone che riesce a parlare di sé soltanto scrivendo, come in questo momento, nonostante la riservatezza, poichè è solo in questo spazio che la vinco. Ma i miei genitori ancora non lo sanno. Non so a che categoria appartengano, ma credo non alla mia.

martedì 11 dicembre 2012

Lo straniero del caffè parigino.

Eppure se qualcuno le avesse detto cosa le sarebbe accaduto in una fredda e piovosa mattina di novembre, tra il tintinnio delle posate da asciugare e dei cappuccini da servire in quel caffè parigino, Sofie non ci avrebbe creduto. La sveglia suona alle 5.30 e alle 6.30 è già lì, in quel caffè sporco, ben lontano dalle note malinconiche ma a tratti fresche e romantiche della vie en Rose, dove tutti i dipendenti riempiono le loro facce di sorrisi finti per compiacere il cliente, e così anche Sofie. Quella mattina non si era svegliata tra le lenzuola profumate del suo letto caldo. Era stata con un uomo, anche quella notte, come molto spesso accadeva. Ma da qualche mattina si svegliava ancor più stanca, quasi come se nemmeno il gettito di una doccia rinfrescante servisse a pulirla dal senso di colpa, dal sesso di routine che cominciava ad essere per lei una puzza ostile e perseguitante, dal desiderio di altro seppellito dalla rassegnazione che sarebbe stata una ricerca impossibile perchè le sue ricerche non avevano portato mai ad alcun risultato sperato. Ci aveva creduto, ma dopo l'ennesima delusione scottante aveva deciso che forse il suo inguaribile romanticismo, il pensare di poter attrarre un uomo con la penetrazione di uno sguardo, la luce di un sorriso, la melodia delle parole, a nulla contasse di fronte due corpi gelidi capaci di compenetrarsi senza che in sottofondo suonassero le note della vie en rose, ma solo il rumore di porte sbattenti, di un vento troppo forte, di gemiti che al di là del piacere fisico non saranno in grado di rievocare nulla di diverso se non un letto, delle lenzuola, un pavimento troppo freddo. Nessuna emozione. Niente. E a Sofie era proprio quello che serviva. Ma non ci riuscì sin dall'inizio, dovette impegnarsi per poi diventare una professionista del sesso cinico e selvaggio, per annullare la sua anima, la sua capacità di trasmettere calore intrisa a dolcezza, la tenerezza dei movimenti, il suo bisogno di amore che all'inizio si avvertiva dagli occhi lucidi che portava fuori da quelle quattro mura. Diventò un'altra senza sapere nemmeno come nè quando nè perchè fosse successo. Seducente, una bomba di erotismo carnale, talvolta era lei a prendere l'iniziativa appena adocchiava la sua preda. Non aveva freni, nè fuori nè dentro un letto spesso troppo stretto per restarci.
Ma quella mattina in quel caffè parigino entrò un uomo. E così per molte mattine di seguito. Era un uomo elegante, con un paio d'occhialini e pizzetto da vero artista, un borsello contenente il romanzo Les Miserables ed una cartina di Parigi. Quell'uomo era seduto nell'angolo in fondo alla sala del caffè, il posto riservato ad i solitari, agli intellettuali, a coloro che non amano confondersi con la gente comune. Non parlava il francese e Sofie ne fu incuriosita, come avrebbe fatto quell'uomo a leggere il romanzo di Victor Hugo senza conoscere il francese? Avrebbe voluto tanto chiederglielo ma quell'uomo sembrava restio a farsi capire anche a gesti. Allora ordinava sempre il solito cappuccino indicandolo dal menù. Perchè a quell'uomo in doppio petto che girava per Parigi senza conoscere il francese, con un ridicolo copricapo ed un look d'altri tempi, non sarebbe importato cosa mai la gente avesse pensato di lui. La sua diversità, il suo non volersi omologare, il suo modo di restare in silenzio senza che questo potesse costituire un problema, poteva essere motivo di scherno per gli altri omologati della società parigina, ma era in realtà la sua forza e ben presto si tramutò anche in quella di Sofie. Oramai per tutti era lo straniero. Per Sofie forse stava diventando qualcosa di più, era forse una speranza mai del tutto spenta. Sofie lo guardava e nei suoi occhi avvertiva una luce particolare, una luce che solo chi è forte può emanare, nonostante fosse solo lì in quell'angolo a sorseggiare per ore il suo cappuccino. Una forza di valori, di amore, di integrità, di stringente necessità di solitudine e bisogno di nient'altro che di lui e del suo libro, che pervadevano l'intero corpo, un corpo che sebbene non emanasse alcun suono era invece come se parlasse. Il suo volto sembrava per tutti inespressivo ma per Sofie non lo era, soprattutto quando dopo qualche settimana cominciava ad accennarle un lieve sorriso e a risponderle "mercì". Ma dopo qualche tempo, una mattina quel tavolino nell'angolo in fondo alla sala rimase vuoto. Lo straniero era forse partito. Ma Sofie riuscì a comprendere che quell'uomo, forse reale o probabilmente immaginario, era venuto per trasmetterle un messaggio ben preciso, era giunto per donarle una speranza. Una speranza spenta ma rifiorita negli occhi lucenti di quell'uomo che non era mai riuscito a dirle niente se non un mercì dall'improponibile accento. Eppure Sofie avvertì di essersi quasi innamorata di quell'uomo, senza mai parlarci, senza mai toccarlo, senza che mai l'idea di portarlo a letto l'avesse sfiorata, proprio come solo i bambini sanno fare. Aveva ripreso quell'innata dolcezza e puerile tenerezza. Sembrava quasi che però nonostante tutto non le fosse rimasto niente, in fondo quell'uomo sarebbe stato soltanto nei suoi ricordi. Eppure aveva recuperato tutto, aveva di nuovo lei, fresca e profumata, quella puzza di quelle lenzuola fredde oramai non riusciva più a sentirla. Era come se le sue orecchie nonostante il tintinnio delle posate da asciugare ed i rumori della cucina non riuscissero ad ascoltare altro che le note della vie en rose, melodiose e quasi a tempo con gli schizzi di pioggia che battevano sull'umido asfalto. Talvolta le persone che senza far rumore entrano nella nostra vita all'improvviso e allo stesso modo vanno via servono a questo, servono a guarirci. Tutti in fondo devono guarire da qualcosa ed anche Sofie era guarita. Era guarita dall'imposizione che a se stessa faceva di omologarsi, che a tratti la rendeva estrema. Era guarita dal pensiero di non poter più amare nè sfiorare un uomo teneramente, senza doversi strappare necessariamente i vestiti. Era guarita dalla disillusione del mondo degli adulti. Era tornata ad esser bambina.

Non accettate sogni dagli sconosciuti!

Non accettate sogni dagli sconosciuti, per carità!
Ci sono persone che ve li venderanno a metà prezzo come fossero automobili usate.
Ci sono persone che vi si avvicineranno e approfitteranno della vostra fragilità e momentanea confusione emotiva per propinarvi un prodotto già confezionato senza che vi sforziate a realizzarlo.
Ci sono persone che con un'incredibile cavalleria vi porgeranno la mano per essere accompagnati in una danza i cui passi appariranno dapprima confusi per poi definirsi un po' alla volta perchè in fondo saranno sempre gli stessi e riuscirete ad impararli in fretta, sino ad auto-convincervi che quella sia l'unica danza adatta per voi.
C'è chi quel sogno lo paga a caro prezzo o lo riceve semplicemente in dono da chi se ne sarà stufato. 
Ma non accettate sogni dagli sconosciuti, per carità!
Il sogno non si compra, non si vende, nè si regala. Il sogno è tuo e non sarà mai di altri. 
Non si tratta di caramelle, nè di automobili da rottamare. Il sogno nasce dal cuore e si espande con la veemenza dirompente di un fiume in piena sino ad arrivare a coprire ogni parte del corpo. 
Dal cuore passerà ai polmoni quando vi sentirete mancare il respiro ad una porta che vi sarà chiusa in faccia senza che vi sia data una spiegazione. Quando vi sentirete mancare il fiato alla visione di una porta che per voi sarà invece semplicemente socchiusa ed occorrerà soltanto spalancare con la forza che intanto dal cuore è giunta al cervello sino a pervadere la vostra anima. Dal cuore passerà allo stomaco quando sarà chiuso per i troppi bocconi amari digeriti, o vuoto, necessitante di cibo e del buon vino da mandare giù che vi sarà servito su di un piatto d'argento. Il sogno matura in ogni piccola parte di noi e quando sarà grande abbastanza, troppo perchè un corpo possa contenerlo, esploderà. Sarà in quel momento che dovremmo essere bravi abbastanza, scrupolosi ed attenti, da fare in modo che nessun pezzo venga tralasciato, che tutto venga confezionato con cura, ordinando tutti i pezzi come fosse un puzzle con estrema pazienza, con la consapevolezza che ci vorrà una settimana, un mese, un anno o talvolta molto di più. Ma una volta finito avremo un prodotto su cui porremo l'etichetta di sogno, e che sarà nostro, portato a spasso come fosse un cane, indossato come fosse il nostro più prezioso gioiello, un libro custodito in una borsa le cui pagine saranno infinite ma che mai ci stancheremo di leggere. Una fiamma che sarà nata e cresciuta in noi sino ad occupare ogni nostro spazio corporeo e mentale, sino poi a scoppiare in una forza dirompente che non avremmo potuto ostacolare. Un prodotto a cui avremmo dato tutta la nostra attenzione e avremmo definito sogno. Non si può vendere qualcosa che nasce in noi sino a pervadere l'intera anima, sino a compenetrarsi con essa. Non si può vendere un cuore, uno stomaco, un polmone. Non si vendono sogni nè si accettano. 
Tutti hanno la propria strada e chi ancora non l'avrà trovata non dovrà riempire una personalità che gli sembrerà vuota con sogni impacchettati come fossero souvenirs. Non sarà questo a farvi sentire meno vuoti, ma soltanto pieni di qualcosa che in fondo non vi apparterrà mai. Perchè un sogno è come un figlio che cresce dentro di te per poi venir fuori allo scadere del tempo necessario.

lunedì 10 dicembre 2012

Esigenza di spegnersi.

Ci sono momenti in cui ho necessità di spegnermi.
Ma il mio spegnermi non è un'imposizione, il mio è un bisogno, un desiderio forse.
Il mio spegnermi non è come starsene al buio, a rimurginare una potenziale vita che avresti voluto avere e che non hai avuto il coraggio di scrivere nel libro della tua vita. Perchè quando mi spengo in realtà mi accendo. Mi accendo di ricordi, come il proiettore su di uno schermo che mi fa ripercorrere il film della mia vita. Quella vita vera, in cui ci sono state battaglie perse e molte altre vinte, quella vita fatta di piccole soddisfazioni o grandi traguardi, quella vita in cui nel momento in cui pensavi di non farcela ti sei rimboccata le maniche per vincere le tue paure, quella vita in cui ti sei sentita pesante, demotivata, come una mina vagante alla ricerca della sua meta perduta, quella vita in cui un giorno ti svegli e ti accorgi di esser diventata donna in un batter d'occhio. Quella vita in parte scritta, ma mai programmata, quella vita che non hai ancora finito di scrivere, che sai che non smetterà di sorprenderti, quella vita in cui hai ogni tanto l' esigenza di spegnerti per poterla guardare da spettatrice. 
E stasera allora mi spengo. Mi spengo perchè voglio accendere i ricordi. Voglio accendere quella che ero con le ginocchia sbucciate che da bambina si è procurata quella cicatrice sul ginocchio destro perchè durante una corsa tra amici voleva arrivare prima, quella che dopo sono diventata con un cuore spesso fatto a pezzi e poi ricomposto, quella che oggi sono. Una che non ha niente se non un libretto universitario le cui righe non dovranno essere più riempite. Una che al traguardo finale in fondo non ci è ancora arrivata. Una che voleva mollare ma le sue priorità gliel'hanno impedito. Una a cui quando le chiedono che progetti ha per il futuro le viene la pelle d'oca, perchè nel suo mondo rigidamente programmato, dove tutti sanno già dove andare, con chi andare e cosa vogliono dalla vita, lei non lo sa, o forse sì, ma vuole tenerlo segreto, al sicuro, al caldo, per timore che il sogno si disperda come una bolla di sapone. Una che non fa a tempo a gioire che viene inondata da mille domande a cui crede sia prematuro rispondere, una che le risposte le darà solo a se stessa e alle persone giuste, non di certo a chi accecato dalla curiosità vorrà saperlo solo per trarre bilanci. Una che ha paura del futuro come di deludere le aspettative di chi la vorrebbe già in toga. Una che per non deludere le aspettative di questi ultimi in questi ultimi tempi si alzava dal letto col magone di chi sentiva di indossare scarpe troppo strette, di chi correva senza avere abbastanza fiato nei polmoni, di chi sui libri sognava ciò che avrebbe voluto invece fare perchè questo era l'unico modo che aveva per riempire il cuore, un cuore spento, all'ombra, che non aveva il coraggio di mostrare. Una che ha pensato sempre agli altri e poi a se stessa. Una che oggi non ha paura di dire che il futuro le fa paura ma non così tanto da non poterci provare. Un futuro che se programmato perde in fondo di consistenza, di realismo, della sua profonda essenza. Una che ha un sogno ma non si precluderà la possibilità di poterne trovare altri per strada lungo il tragitto. Una che, sebbene non abbia avuto il tempo di gioire, questa volta invece di lasciare che ancora una volta gli altri si intromettano decide di spegnersi. Sì allora mi spengo, per avere la possibilità di accendermi, e se la luce per alcuni sarà troppo forte consiglio di abbassare le persiane perchè io, questa volta, nel brusio di chi giudicherà per sport mi ci metterò fino al collo, perchè io questa volta, dopo aver accontentato tutti, dopo esser giunta ad un piccolo traguardo che vale per me quanto una tappa importante, una soddisfazione immensa, nell'ombra non mi ci metto più. Mi spengo come solo io so fare, accendendomi.