Le parole, quelle, mi hanno sempre fregato.
Forse perché mi piace scrivere, mi piace ascoltare la storia delle vite degli altri più che parlare della mia, mi piacciono le parole pronunciate a singhiozzo per l'imbarazzo del momento, intervallate da lunghi silenzi ove il respiro appare eloquente.
Non lo so, ma le parole, soprattutto quelle che sanno di promesse che non verranno mantenute, quelle, mi hanno sempre fregato. E mi hanno sempre fregato prima che fossi io a fregare loro, sono sempre cadute nel mio spazio come neve in primavera, come una palla battutami contro mentre ero di spalle.
Mi sono voluta convincere che i gesti contassero di più, ed in realtà è così, ma spesso mi capita di dare alle parole un'importanza maggiore, quasi come se volessi difendermi da gesti inesistenti, che quasi contraddicono quella ripetizione di suoni fatta da vocali e consonanti che si rincorrono come se volessero andare chi sa dove, frenando il loro flusso solo quando oramai varcata la soglia della comprensibilità io gli domando "Ma dove andate?" ma loro a quella domanda non rispondono mai.
Credo alle parole, soprattutto quelle più semplici, come un "ci vediamo", "ti voglio bene", "per te ci sono", nonostante passino giorni, a volte mesi prima di rivederci, nonostante spesso l'affetto sulla mia pelle io non l'avverta, nonostante ognuno ci sia a suo modo, per cinque minuti, un'ora, un'intera giornata o per anni, con una telefonata o una canzone che una volta ascoltata non sarà più soltanto tale ma il cui testo racconterà una storia, la nostra. Un modo che vede presenti nell'assenza o assenti avvertendone comunque la presenza.
Un modo che spesso non coincide con il mio, un modo che talvolta non è riuscito ad attutire le distanze come avrei desiderato.
Ma alle parole credo così profondamente che a blande promesse raccontate per non ferire preferisco il silenzio. Ed è per questo motivo che parlo poco ma osservo tanto, che talvolta avrei preferito esser sorda più che cieca. Perché l'assenza dei gesti quasi me l'aspetto, addirittura talvolta la giustifico nonostante non meritino giustificazioni, ma le parole, quelle, continuano a scivolarmi lungo tutto il mio corpo lasciando ovunque il segno della loro percorrenza.
domenica 24 marzo 2013
giovedì 21 marzo 2013
Un anno in più.
Sono trascorse quattro stagioni, è di nuovo primavera, ho ancora una volta un anno in più, un numero in più da aggiungere. Un anno in cui ho avvertito presenze piene, qualche volta incostanti, altre che si sono man mano svuotate divenendo ineccepibili mancanze. Un anno in cui mi sono rimessa in gioco, come un giocatore di poker inesperto, riscuotendo talvolta la fortuna del principiante, altre pagando invece la mia inesperienza. Un anno di avventure, di valigie, di ricordi, di emozioni autentiche, di legami di cui ho appurato la triste fugacità. L'anno di un tempo che mi ha concesso, ma che mi ha anche tolto. L'anno delle parole e dei gesti, delle lacrime che dicevano addio pur sperando in un arrivederci, delle grasse risate che pronunciavano grazie, degli sguardi che volevano dire ci sono, delle spalle che una volta girate mi dicevano sto andando via.
L'anno dei sacrifici, della forza di volontà, della maturità nell'accettare che bisogna lasciare le persone libere di scegliere per coglierne la reale natura che si riscontra nelle scelte ed in ogni minuzioso dettaglio, dell'impotenza nel comprendere che tutti arrivano ma pochi restano, e che bisogna lasciare che le cose prendano il loro corso naturale per evitare di svegliarci un giorno con poche briciole inconsistenti nelle tasche di una vita che sembrerebbe poi non così piena. L'anno del risveglio delle passioni, dell'apertura dei cassetti in cui avevo riposto i miei sogni, dell'esigenza di avvertire calore come quello che filtra attraverso le piume di una rondine, bistrattando tutto ciò che non è in grado di darmene.
Un anno in cui ho rinsaldato legami, coltivato quelli già esistenti, in cui ognuno mi è stato accanto, ciascuno a suo modo. Un anno in fondo pieno di scoperte, nonostante ancora nessuna prenda il nome di certezza.
Un anno pieno di castelli di sabbia e di bolle di sapone, in cui ho cercato di godere comunque del Sole che tramontava all'orizzonte, abbassandosi mano mano nelle acque cristalline di un mare calmo, in cui ho tentato comunque di alzare gli occhi, lasciando perdere il mio sguardo verso ciò che avrebbe potuto nascondersi dietro le nuvole mentre le bolle scoppiavano una ad una senza riuscire a fermarle.
Un anno in cui c'è stato tutto quello di cui avevo bisogno, o di cui a ventiquattro anni avrei potuto farne a meno. Un anno di A di amicizia, ma non di amore, nemmeno a pagarlo, nemmeno illusorio.
Ma forse non importa ciò che c'è stato, ciò che non è accaduto, ciò che avrei voluto ci fosse, ciò che avrei desiderato tanto evitare. Conta che un altro anno c'è stato. Un po' l'ho riempito io, in parte ho lasciato che fosse, ma nessuno l'ha mai riempito al mio posto. Un anno di me, di me diversa, di un più che ho seminato per coglierlo col tempo, in attesa che giungesse di nuovo la primavera.
domenica 17 marzo 2013
Un universo di funamboli
Mentre casa mia veniva messa a soqquadro senza che facessi nulla per impedirlo, nelle case degli altri sono sempre dovuta entrare in punta di piedi, talvolta travestendomi addirittura da funambola. Il mio desiderio di occupare uno spazio che non mi vedesse con i piedi a mezz'aria, ha dovuto sempre fare i conti con l'esigenza, o forse il dovere, di diventare un'acrobata, ma quest'ultimo non ha mai vinto nonostante gli sforzi. Nonostante in equilibrio su di un filo non ci sapessi stare, tutti hanno sempre preteso che lo facessi ed io ho cercato di accontentarli pur di restare in uno spazio che appartenesse a qualcun altro, anche se paradossalmente non lo occupavo mai. Ho provato ad imparare nonostante abbia messo sempre tutti a sedere nelle prime file e quando cadevo ci riprovavo nonostante sentissi di non avere abbastanza forza nelle gambe, nonostante l'imbarazzo nel sentirmi schernita da un pubblico di funamboli di professione.
Ho cercato di spiegare che il funambolismo non fa per me, ma sono stata sempre rimproverata e cacciata perché nessuno mi ha mai creduta, "Tutti ci sanno stare", mi dicevano, "perché non dovresti farlo anche tu?"
Mi sono convinta che avessi io qualcosa che non andasse, pensavo di non avere abbastanza forza nelle braccia e nelle gambe, né sufficiente concentrazione che me lo permettesse. Ho tentato di fare pratica, ma inevitabilmente cadevo e nel rialzarmi non desideravo mai di risalire sul filo, ma di strisciare sporcandomi di tutto ciò che ci fosse sul pavimento, mantenendo gli occhi aperti nonostante vi entrasse la polvere.
Ma la verità è che ci vedo così tanta poca naturalezza e spontaneità, così poca umanità in questa pratica per me a tratti perversa, che non posso rivedermici. Non ho mai voluto che qualcuno dovesse alzare lo sguardo per vedermi in perfetto equilibrio, né io ho voluto mai realmente abbassarlo nonostante il suo sguardo tra la folla non riuscissi sempre ad incrociarlo. Non l'ho mai voluto eppure è accaduto, nonostante non ne ricorda il motivo ed il perché non abbia scelto una strada diversa prima di posizionarmi con i piedi a mezz'aria.
Si innesca un meccanismo perverso nella mentalità di un funambolo: sta lì facendosi forza nelle gambe cercando di rimanere in equilibrio su di un filo, attento ad attraversarlo tutto per più di una volta, non occupando alcun volume, accaparrandosi gli sguardi della folla seduta sugli spalti che lo fissa dal basso, acclamandolo come grande artista. Ma io vorrei alzarmi tra la folla ed invece di acclamare chi paventa quest'arte che sembra contraddire i limiti umani, spezzare quel filo e vederlo scaraventato sul suolo. Vorrei vederlo strisciare o alzarsi mantenendosi in equilibrio con i piedi sul pavimento e nel constatare la sua mancata propensione dirgli: questa è la vera natura dell'essere umano, perché non dovresti farlo anche tu?
giovedì 14 marzo 2013
Fino ad innamorarci.
Facciamo come quelli che guardano attraverso il finestrino di un treno in corsa, potendone a mala pena ammirare la bellezza dei paesaggi, indicandoli con un dito attraverso i vetri sporchi del vagone, quel dito che abbasseremo quando man mano il nostro sguardo sarà lontano da quell'immagine, venendo irreprensibilmente catapultato su quella matassa di mattoni posti in malo modo l'uno sull'altro, senza forma, né odore, né voce, perché è esattamente lì che ogni volta ci fermiamo, in stazioni desolate che non offrono ampio spazio all'immaginazione. Saremo uno fra i tanti passeggeri, non gli unici, mai i primi ad accomodarsi, solo qualche volta gli ultimi a scendere. Parleremo con chiunque scelga di sedersi di fianco o probabilmente con nessuno, mentre la nostra mente potrà essere trasportata sull'onda dell' inconscia quanto irrealizzabile fantasia di voler far spuntare freschi germogli tra mattoni di una stazione ove nessuno passerebbe, nemmeno per caso, ad innaffiarli. Lasceremo che la nostra fervida immaginazione ci conduca all'ombra di un cipresso, in una tiepida giornata di primavera, ritagliando per noi due uno spazio che abbia l'odore del caffè o della spremuta di un'aranciata fresca e come voce il cinguettio degli uccelli, non privandoci di volare, ma nemmeno di sostare e dire ciò che siamo, così su due piedi, invece di invidiare chi per strada si tiene per mano, significando che ciò che si dovevano dire, per poi passeggiare in quel modo così vicini, già l'hanno pronunciato, in un tempo prossimo o remoto, quel tempo che noi non riusciamo mai a catturare, perché non sembra mai il momento, perché il nostro treno è pronto a ripartire. La fantasia sembra essere l'unico spazio in cui il vento non ci scompiglia i capelli nascondendoci il viso, in cui il tempo non ci è avverso ma nostro fedele alleato, in cui non serve zuccherare il caffè o temporeggiare con la cannuccia immersa nella spremuta, in cui il silenzio non innalza mura incomprensibili ma unisce in parole che non vanno necessariamente scandite una ad una, in cui l'unica premura è l'incrocio di sguardi senza mai abbassarli per timore di scoprirsi troppo, in cui possiamo rimuovere l'immagine di innamorati che passeggiano come a ricordarci quanto siamo infelici nel nostro essere bugiardi.
Ma cosa succederebbe se mancasse quella fantasia a tratti armoniosa, sotto altri aspetti perversa, ma fingessimo di ritrovarci in essa ricreando tutto senza tralasciare alcun dettaglio?
Come se il tempo non fosse una priorità, non un alibi alle nostre menzogne, come se le nuvole avessero già la nostra forma, gli uccelli la nostra voce, l'aria il nostro profumo, parleremo fino ad innamorarci, forse.
Ma nella nostra vulnerabilità ogni cosa sembrerà renderci schiavi. Anche la fantasia.
Ma cosa succederebbe se mancasse quella fantasia a tratti armoniosa, sotto altri aspetti perversa, ma fingessimo di ritrovarci in essa ricreando tutto senza tralasciare alcun dettaglio?
Come se il tempo non fosse una priorità, non un alibi alle nostre menzogne, come se le nuvole avessero già la nostra forma, gli uccelli la nostra voce, l'aria il nostro profumo, parleremo fino ad innamorarci, forse.
Ma nella nostra vulnerabilità ogni cosa sembrerà renderci schiavi. Anche la fantasia.
La borsa: il contenuto dell'anima.
Una volta qualcuno ha detto che gli occhi sono lo specchio dell'anima.
Ma senza paventare la presunzione di essere un giorno definita quel Qualcuno che abbia inteso modernizzare questo detto antichissimo, credo che almeno il contenuto di un' anima femminile lo si possa scorgere semplicemente guardando in una borsa. Almeno per me è esattamente così. E' incredibile quanta gente tema di guardarsi dentro, mentre invece io ho più paura di guardare dentro la mia borsa che dentro di me, quasi come se in effetti non trapelasse alcuna differenza evidente, ma come se le due cose si compenetrassero divenendo l'una la metafora dell'altra.
Perchè in effetti ho così tante borse nell'armadio, di qualsiasi dimensione, forma e colore, ma utilizzo ordinariamente sempre la stessa perchè l'unica più capiente, l'unica in grado di reggere il peso, l'unica di cui non senta mai l'esigenza di riordinarne il contenuto sebbene sarebbe opportuno.
La mia borsa è veramente un disastro. Spesso dimentico di gettare le buste di tabacco oramai finite, lasciandole nella tasca laterale, in cui si nasconde quella appena comprata che inevitabilmente non riesco mai a trovare. Ad uno dei due lati casca sempre il borsellino, su cui si poggiano un libro, un'agenda, una penna che ovviamente non scrive ma non so perché dimentico sempre di gettarla via. Se sono fortunata mi capita di pescare anche vecchi biglietti del treno, nonostante non lo prenda da mesi, la cartina della metropolitana di Londra che sembra voglia farsi pescare proprio per far rivivere i ricordi che in certi momenti vorrei opacizzare ed ammutolire, addirittura biglietti dell'aereo, pacchetti di fazzolettini sparsi qua e là che penso sempre di non avere dietro quando qualcuno cortesemente me li richiede.
In effetti c'è tanto disordine, la necessità di ordinare, ma la noia al solo pensiero. C'è tanto passato che spesso nasconde il presente, lasciando al futuro uno spazio irrisorio, quasi inesistente. C'è tutto, ma spesso manca l'essenziale, perchè in effetti spesso dimentico il cellulare e le chiavi di casa sulla scrivania portandomi dietro ciò che non serve e che pesa, come un libro, un'agenda, una penna che però non scrive.
E allora, avvalorando questa mia modernizzazione, potrei dire che la mia anima pesa, è ingombrante, come se ci fosse tutto ma niente che sappia di necessario, disordinata, immersa in un passato faticando a godere il presente ed angosciata al pensiero del futuro. Un po' come quando in preda alla confusione dei pensieri, lascio loro il tempo necessario per dispiegarsi, di trovare da sé il giusto ordine senza esserne l'autrice.
Ma la verità è che in questo disordine io ritrovo quella che sono. Non temo di svuotare la borsa, non temo di guardare avanti, temo soltanto che nella schematizzazione e nell'ordine artificiale e non naturale degli eventi io non riesca più a trovare me stessa ed i miei reali voleri.
La mia paura più grande è quella di guardare così oltre da disperdere i miei ricordi in un'aria rarefatta senza mai più sentirli, senza che non riescano mai più a strapparmi un sorriso nel loro riviverli, pescando tra l'accozzaglia una cartina della metro di Londra, un biglietto aereo, una penna che non scrive che non tolgo perchè me l'hanno regalata e se non me la portassi dietro avrei paura di perderla.
Ho paura di perdere i ricordi, ma non di accostarli al presente e ad un ignoto futuro, per questo li porto dietro, come se in un'apparente inutilità si nascondesse l'essenzialità, la mia.
lunedì 11 marzo 2013
E mentre mi affannavo, scoprivo ...
E mentre mi affannavo nella ricerca di una strada di cui mi imponevo la precisa definizione nonché la percorrenza, come se volessi scrivere pagine di concetti matematici esatti e dimostrabili pronti per la rilegatura, ho scoperto una scorciatoia, un sentiero impreciso ma immacolato, non una strada larga, ma un viottolo celato tra le siepi, che mi ha indotto a scrivere pagine e pagine di pensieri non dimostrabili, quelle inesattezze che nella profondità di un'anima trovano i loro contorni più esatti.
E mentre mi affannavo per il mio inconscio desiderio di mettere radici, ho scoperto di non esserne capace con chiunque, ho scoperto che le mie radici si sarebbero rinsecchite lasciandomi così morire, ho scoperto che non voglio chiunque, né chiunque vorrò mai esserlo, perché nel non mettere radici c'è più vita che nell'imporsi ostinatamente di farlo con chiunque.
E mentre mi affannavo nella ricerca di stimoli e di appagamento di bisogni insoddisfatti, ho scoperto di farlo ogni giorno a piccole dosi, usufruendo soltanto di me stessa.
E mentre mi affannavo nell'immaginare quante possibili vite avrei potuto dipingere sulla mia tela, ho scoperto di poterlo fare bastandomi un pennello e pochi colori da combinare per poterne creare naturalmente altri.
E mentre mi affannavo nel voler leggere gli altri, intanto scrivevo me stessa.
E mentre mi affannavo precipitando inesorabilmente in storie impossibili, ho scoperto che si trattava semplicemente di storie, tutte possibili quanto giuste nella loro impossibilità ed ingiustizia morale, perché mi hanno indotto giustamente a decifrare quante possibilità esistano di essere felicemente amati, quante possibilità di reinventarsi possano essere partorite, quante possibilità io abbia di comprendere chi desideri diventare, inducendomi a catalogare in comparti ciò a cui mi avvicinerei e ciò da cui mi distanzierei, essendo tutti strumenti definitori e selettivi nella loro estraneità.
E mentre mi affannavo nel decidere dove andare, avevo optato intanto per un dove enigmatico, inesplorato ma meraviglioso, un luogo in cui puoi rifugiarti quando vorrai senza pagare alcun biglietto, standoci per sempre pur spostandoti da città in città, quel luogo in cui puoi immaginare colline sinuose, vaste praterie, prati fioriti, campagne dorate senza scrutarne l'orizzonte, quel dove che si chiama semplicemente anima.
E mentre mi affannavo nel ritagliarmi un piccolo spazio, sentendomi spesso una toppa di cotone ricucita maldestramente su di un tessuto di seta, dentro quest'anima cucivo ed imbastivo abiti dalle tinte pastello e dai tessuti più pregiati.
E mentre mi affannavo, perdendomi in grandi progetti, raccoglievo briciole.
Oggi le briciole le chiamo possibilità, ciò che da' senso alla fatica, le uniche che nella loro irrisoria compattezza nascondono un'immaginaria grandezza.
Ed è proprio mentre mi affannavo, che alla fine lo scoprivo.
E mentre mi affannavo per il mio inconscio desiderio di mettere radici, ho scoperto di non esserne capace con chiunque, ho scoperto che le mie radici si sarebbero rinsecchite lasciandomi così morire, ho scoperto che non voglio chiunque, né chiunque vorrò mai esserlo, perché nel non mettere radici c'è più vita che nell'imporsi ostinatamente di farlo con chiunque.
E mentre mi affannavo nella ricerca di stimoli e di appagamento di bisogni insoddisfatti, ho scoperto di farlo ogni giorno a piccole dosi, usufruendo soltanto di me stessa.
E mentre mi affannavo nell'immaginare quante possibili vite avrei potuto dipingere sulla mia tela, ho scoperto di poterlo fare bastandomi un pennello e pochi colori da combinare per poterne creare naturalmente altri.
E mentre mi affannavo nel voler leggere gli altri, intanto scrivevo me stessa.
E mentre mi affannavo precipitando inesorabilmente in storie impossibili, ho scoperto che si trattava semplicemente di storie, tutte possibili quanto giuste nella loro impossibilità ed ingiustizia morale, perché mi hanno indotto giustamente a decifrare quante possibilità esistano di essere felicemente amati, quante possibilità di reinventarsi possano essere partorite, quante possibilità io abbia di comprendere chi desideri diventare, inducendomi a catalogare in comparti ciò a cui mi avvicinerei e ciò da cui mi distanzierei, essendo tutti strumenti definitori e selettivi nella loro estraneità.
E mentre mi affannavo nel decidere dove andare, avevo optato intanto per un dove enigmatico, inesplorato ma meraviglioso, un luogo in cui puoi rifugiarti quando vorrai senza pagare alcun biglietto, standoci per sempre pur spostandoti da città in città, quel luogo in cui puoi immaginare colline sinuose, vaste praterie, prati fioriti, campagne dorate senza scrutarne l'orizzonte, quel dove che si chiama semplicemente anima.
E mentre mi affannavo nel ritagliarmi un piccolo spazio, sentendomi spesso una toppa di cotone ricucita maldestramente su di un tessuto di seta, dentro quest'anima cucivo ed imbastivo abiti dalle tinte pastello e dai tessuti più pregiati.
E mentre mi affannavo, perdendomi in grandi progetti, raccoglievo briciole.
Oggi le briciole le chiamo possibilità, ciò che da' senso alla fatica, le uniche che nella loro irrisoria compattezza nascondono un'immaginaria grandezza.
Ed è proprio mentre mi affannavo, che alla fine lo scoprivo.
sabato 9 marzo 2013
Le persone speciali.
Esistono persone che hanno scritto "ti voglio bene" sulla fronte, nel luccichio dei loro occhi, sul palmo della mano e sulle labbra anche senza pronunciarlo. E lo scriveresti per loro anche tu ovunque, su ogni parte del tuo corpo, lo grideresti al mondo scandendo il suono delle vocali ed accentuando quelle delle consonanti in modo da perforare i loro timpani. Esistono persone a cui riservi inispiegabilmente il miglior posto nel tuo cuore, e sai che loro fanno lo stesso perché te lo ripetono, perché una volta ti hanno definito "il loro cuore". Esistono persone con cui puoi sederti al tavolino e alla domanda "Come stai?" potrai rifiutarti di raccontare la convenzionale storiella del "tutto bene grazie...", cominciando a raccontare come un fiume in piena la tua vita in quel dato frangente, cosa vada e cosa manca, perché è come se ti sentissi costretta a non mentire, nella convinzione che sia seduto al tavolo chi avrà orecchie per ascoltare e comprendere. Esistono persone che sanno senza chiedere, illuminandoti il viso quando pronunceranno "L'ho sempre saputo". Esistono persone che avrai la sensazione di tenere sempre per mano nonostante non siano presenti fisicamente ogni santo giorno della tua vita, ma la loro anima sarà impressa come un' incisione eterna nel tuo cuore. E ti chiederai da quando quella persona sia entrata a far parte della tua vita e la risposta sarà da sempre, perché non ne ricordi il momento esatto, ma c'era quando eri solo una bambina e ti facevi tante domande sul mondo adulto non ottenendo le risposte spesso che speravi, c'era quando cadevi e nel rialzarti ti tendeva la mano pulendoti il ginocchio dal fango, talvolta aggredendoti a voce alta dietro la quale si celava un'incredibile tenerezza, lo star male anche per te, gridando perché voleva che non sbagliassi più. C'era quando pian piano sbocciavo per diventare una piccola donna, c'era quando donna lo sono diventata. C'eravamo, insieme, quando la vita ci toglieva le nostre certezze, ci attanagliava con incomprensibili dubbi, ci faceva assaporare la ruvidità dell'asfalto di una strada ignota ove l'unica certezza siamo stati sempre noi, insieme anche quando eravamo lontani. Qualcuno la definisce "chimica" ma non credo che rapporti così abbiano a che fare con equazioni matematiche, non c'è alcun senso logico nel nostro stare insieme, non esistono domande né la frenesia di dover rispondere, solo meraviglia quando ci si incontra anche per caso, sorrisi che restano stampati sul tuo viso quando si pensa. Esistono persone che saranno sempre il tuo articolo determinativo, il primo, al di là di tutto, sempre il migliore, perché ti ha sempre consentito di comportarti come avresti voluto con tanti uomini entrati ed usciti dal retro dalla tua vita, spiegando le tue ali senza timore di esser te stessa. Ed il paradosso è che non solo me lo ha permesso in maniera naturale, non me l'ha mai recriminato, ed è sempre restato. Qualcuno vorrà sapere se l'amicizia tra uomo e donna sia possibile, molti ne dubitano, ma io dico di sì, perché l'ho conosciuta e la percepisco sulla mia pelle. E' qualcosa che va oltre il semplice affetto, oltre anche all'amore, è quella amicizia che si sposa con l'aggettivo speciale, ma che ti sembra così riduttivo definirlo solo tale che sei costretta ad aggiungerci un "Più", accentuando il suono della prima consonante, come se la "u" fosse di una profondità immensa. Ho la sensazione ogni volta che mi prenda per mano e mi dica "andiamo a casa" ovunque e con chiunque altro io stia, ho la sensazione di non voler cercare più nessun'altra strada perchè quella mi basta.
Lui è casa, è Amicizia, è quel di più che pochi comprendono ma ci basta che lo capiamo noi.
Lui è casa, è Amicizia, è quel di più che pochi comprendono ma ci basta che lo capiamo noi.
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