lunedì 20 maggio 2013

Scelte di vita.

Se è vero che la vita è fatta di scelte, scegliamo sempre noi chi diventare, partendo dal presupposto che stesse scelte significano stessi errori.
Possiamo scegliere di rischiare o essere codardi.
Possiamo scegliere di essere sconfitti dalla paura o di vincerla.
Possiamo scegliere di star seduti in salotto a guardare le porte chiuse alle nostre spalle o scegliere di alzarci per aprirne altre, in un qualche altro angolo freddo della casa che potrebbe generare un lieve tepore tale da riscaldarci la pelle.
Possiamo scegliere di credere nelle cose belle o farci cullare dall'onda della disillusione.
Possiamo scegliere di perdonare o vivere nel rimpianto.
Possiamo scegliere di ascoltare e di entrare silenziosamente attraverso le fessure nelle vite altrui oppure chiuderci nei nostri silenzi non permettendo a nessuno di entrare né dando a noi la medesima possibilità.
Possiamo scegliere di pensare a ciò che sarebbe stato ma non è accaduto o a quello che potrebbe invece accadere.
Possiamo scegliere di ergerci su di un piedistallo, programmando con attenzione ogni conseguenza di un possibile gesto, imprigionati in quegli schemi che bistrattano il senso di libertà che ci avvicinerebbe alla nostra intima indole, oppure possiamo scegliere di scendere, senza che prevalga alcun programma, senza farci risucchiare da alcuno schema, agendo come solo il cuore comanda, sentendoci in fondo più liberi perché più vicini a quello che siamo.
Possiamo scegliere di essere maturi o credere ancora di diventare l'altra metà della mela di qualcuno.
Possiamo scegliere di essere uomini o bambini, donne o femminucce. 
Possiamo scegliere di restare sulla riva, arrivando a bagnarci soltanto i piedi, o scegliere di tuffarci, bagnandoci completamente, senza pensare a quando sarà il momento giusto per asciugarci.
Possiamo scegliere di vivere o soltanto di esistere. 
Scegliamo tutto noi, ed è questo che dobbiamo capire. Ed anche se le persone sembrino non apprezzare o forse poco intenti nel comprendere, io ho scelto di fare scelte diverse. Ho scelto di rischiare, di non avere paura, di cercare di aprire porte senza timore di doverle richiudere un giorno, di credere che qualcosa di bello sia ancora possibile, di perdonare quando occorre, di entrare nelle vite degli altri almeno quanto nella mia, di scendere dal piedistallo, di ascoltare di più il cuore, di tuffarmi nel mare della vita, di essere finalmente più matura. Ho scelto semplicemente di essere donna, perché ho capito che ero soltanto io a dover prendere questa decisione, senza poterla delegare a nessuno, tanto meno far scegliere alla vita al mio posto.

sabato 18 maggio 2013

Tua per sempre.

Spesso ciò che serbiamo dentro necessita di prendere voce. Lo dobbiamo sussurrare oppure urlare, ma quando non riusciamo a fare nessuna delle due cose, sarà talvolta proprio lui a raggiungerci nei sogni, quasi come se ti dicesse "Non puoi respingermi, perché io sono qui".
Ed io ho provato a respingerti tante volte in questi anni, sperando che tu non mi cercassi in nessuna delle possibili forme in cui avresti potuto farti trovare, perché in fondo quando te ne sei andato non hai pensato a nessuno, non hai pensato nemmeno a me, anche se in fondo non riesco a comprendere perché avresti dovuto farlo. Ed è per questo che a volte vorrei dirti di lasciarmi stare, perché forse soltanto se lo facessi sarei in grado di vivere due vite, la mia ed anche la tua. Ma ogni tanto ti insinui dentro di me, pensando di farlo silenziosamente ed invece fai rumore. Sì non immagini il rumore. Un rumore destabilizzante che richiama ricordi che vorrei cancellare, ma tu me li riproponi anche se non avrei voglia di sfogliarli come un album di fotografie, costringendomi a vivere con una mancanza per cui non ho pianto come avrei dovuto, ma che ogni giorno mi ha divorato sino a creare una voragine in cui costantemente mi ci butto dentro faticando a risalire. Vorrei dirti tante cose ma la prima che mi viene in mente è che ti voglio bene ma non voglio essere come te. Ti voglio bene ma ci dobbiamo dividere, anche nei sogni, come in effetti hai scelto tu di fare in questa vita terrena. Perché esistono momenti nella vita in cui l'unica liberazione reale deriva dalla parola basta. E adesso dico basta io, come quando sei costretto ad abbandonare qualcuno con le lacrime agli occhi per intraprendere una strada che ti conduca alla serenità, alla vita piena perché palpabile. Che cosa mi hai insegnato se non che la vita può essere più amara dell'inchiostro, se non che le persone ad un certo punto decidono di andarsene e tu senza farti domande come un mulo devi ubbidire al loro volere, che non c'è scelta alla frustrazione, che nemmeno l'amore può salvarti. Hai voluto insegnarmi tutto questo quando ero ancora troppo piccola per sopportare una colpa così grande, ma mi sono fidata e mi sono distrutta tra le paure di un'amarezza certa, come certi sarebbero stati gli abbandoni, nonché certa la mancanza d'amore che non salva di certo le vite delle persone. Ma se posso essere sincera, io questo non volevo conoscerlo, avrei voluto non diventare grande così in fretta e godermi l'ingenua spensieratezza dei miei anni.
Però adesso ti chiedo soltanto di farmi vivere un po', di non prendertela se non ti voglio più come insegnante come facevamo quando eri ancora con me, perché tu adesso non ci sei più, ma io voglio esserci. Forse un giorno ci rincontreremo, ma allora vorrò essere io ad insegnarti qualcosa, tutto quello che avresti potuto conoscere ma hai scelto di ignorare, che la vita può essere meravigliosa se cerchiamo anche il dolce invece di sottostare soltanto a ciò che ci sembra amaro, che le persone se ne vanno ma c'è chi decide di restare se non ci facciamo prendere dalla paura, che possiamo scegliere di dire basta alla frustrazione lasciandoci cullare dall'amore in ogni sua forma, quell'amore che in fondo salva chiunque non abbia paura di viverlo.
Ti voglio bene ma è giunta l'ora di dividerci.

Tua per sempre, anche se non ci sono stata sempre.

Scusa il ritardo ma prima o poi ciò che non diciamo cerca voce, ed io conosco soltanto questa come possibile voce.


venerdì 17 maggio 2013

Cos'è l'infinito?

Ho un collana che porto sempre al collo ed un bracciale che ho sempre al polso con il simbolo dell'infinito: per molti simile ad un numero otto disteso, ma forse più propriamente un insieme di punti di cui non si conosce l'esatta direzione, che convergono tutti in un unico punto, dove si nasce e allo stesso tempo si muore, o dove si muore per poi rinascere ancora.
Oggi mi guardavo allo specchio e ho pensato a cosa fosse in fondo quest'entità astratta, se potesse avere un altro nome, una forma, un odore che non fosse quello dei fumi che si confondono nell'aria rarefatta di una grande metropoli, se addirittura potesse avere anche un volto. 
Ho pensato che l'infinito potesse avere il colore di un cielo terso, la profondità di un oceano, la freschezza di una leggera brezza che ti bacia la pelle per poi penetrarti silenziosamente dentro attraverso i pori sin dentro le ossa, il profumo delle viole, la libertà del vento, la dolcezza del miele, la tenerezza di un bambino che piange perché vuole la sua mamma, la passione del cuore, il battito d'ali di una farfalla ma al contempo la maestosità di un'aquila, la grandezza di una metropoli che serba in seno le tradizioni folcloristiche di un piccolo villaggio di campagna dove si prepara ancora il pane in casa che sa di una quotidianità che abbaglia per la sua semplicità. Ho pensato che l'infinito potesse avere il volto di un uomo afflitto nei suoi mille perché, in ginocchio per le continue sconfitte, che muore per poi rinascere in quel punto di convergenza in cui decide di non domandarsi più niente lasciandosi trasportare dalla dolce melodia di un cuore che gli farà aprire nuove porte dimenticandosi di quelle chiuse alle sue spalle, meravigliandosi ogni volta che alzerà le sue ginocchia da quel ruvido asfalto umido. Ho pensato ai rapporti che ti riscaldano, come fossi una rondine che migra in primavera alla ricerca di posti caldi, ai sorrisi e agli abbracci che sussurrano un ti voglio bene che, nonostante la finitezza dei termini racchiusi tra vocali e consonanti, sembrerà infinito. Ho pensato ad una strada larga che vorrai percorrere a marce basse per goderti la bellezza di ogni dettaglio, dal rosa dell'alba che si perde nell'azzurro di una mattinata soleggiata, al rosso di un tramonto che farà spazio all'imbrunire di una notte stellata. Una di quelle strade che percorrerai ad occhi chiusi, senza sapere dove ti condurrà, dando fiducia al cuore che intanto ascolti e segui non incantevole costanza.
Ho pensato anche alle cose che iniziano per poi finire, vedendoci nel mezzo qualcosa che rassomigliasse all'infinito. Perché sebbene ci sia un inizio ed una fine per ogni cosa, ciò che c'è al centro può chiamarsi infinito. Perché forse l'infinito ce lo portiamo dentro, perché forse in base alla definizione che proporremo per quest'entità misteriosa, potremo decidere noi stessi di esserlo, perdendoci nel mare della bellezza più preziosa con chi sceglierà di essere infinito.

giovedì 16 maggio 2013

Rapporti umani.

Se mi domandassero che cosa fra tutte considero la più difficile da affrontare in questa vita, io risponderei : i rapporti umani.
C'è un'innata bellezza che profuma di spontaneità ma che al contempo si inasprisce di paura, quella paura che ti interroga sul chi, sul come, sul quando e sul perché a cui talvolta basta rispondere nel modo più naturale, semplicemente "E' così". E parlo di tutti i rapporti, da quelli che viaggiano in sordina a quelli che i timpani li corrodono diventando un rumore assordante o la sinfonia più bella mai ascoltata. Considero i rapporti umani ciò che più conti realmente, nonostante talvolta risultino difficili da instaurare e da gestire per la ricerca spasmodica di certezze che ci divora, nonostante la certosina pazienza che è necessario impiegare per capire il mondo dell'altro, per entrarci lentamente, attraverso le fessure di una finestra socchiusa che ci chiede di entrare silenziosamente come formiche. Ed in effetti non c'è qualcosa che offra maggiore pienezza dei legami, nemmeno la parmigiana di melanzane di mia nonna riesce a riempirmi di più, per questo ho sempre investito tutto ciò che possedevo. Ci ho investito cuore, anima, polmoni, corpo, mente, sempre, anche in quei legami risultati poi sbagliati, non pentendomene mai, perché preferivo entrare e sbattere la fronte sullo spigolo di un qualche mobile del salotto su cui non riuscivo a riporre la mano, piuttosto che attendere sull'uscio ed immaginare cosa sarebbe accaduto se non mi fossi fermata. Non credo che le persone, particolarmente quelle che si fanno tante domande, siano in grado di affermare con fermezza la loro felicità, forse non è possibile stare bene nel vero senso del termine, ma è possibile stare meglio, ed i rapporti umani, di qualsiasi entità, aiutano proprio a questo.
Ma oggi ho capito che nonostante i rapporti umani siano di quanto più complicato possa esistere, ho estrapolato una regola, forse l'unica a dar merito al cuore che si tinge dei colori più belli perché autentici e mai mescolati a caso e frettolosamente. Credo fermamente in una cosa, cioè che le persone vadano lasciate libere di scegliere, sempre, senza mai imporsi nella vita dell'altro ricordando ogni giorno cosa manchi o cosa ti aspetteresti: libere di accoglierti, di scoprirti, di aprire una finestra perché possa filtrare un raggio di sole attraverso i vetri, libere di farti conoscere gradatamente ogni angolo della casa, libere di sceglierti come l'ospite più gradito per poi chiederti di restare. Perché forse quando una persona è libera di scegliere e sceglie te nonostante avesse potuto incanalarsi verso altre direzioni, in amicizia come in amore e come tutto ciò che si definisca legame, sceglie il tuo cuore, la tua anima, il tuo polmone, il tuo corpo, la tua mente, ciò che in fondo hai investito e sentirai che comunque andrà a finire, in quel dato frangente, la tua vita sarà piena, sarà piena di una meravigliosa autenticità.
E' questo il mio senso della vita, quello che profuma di un'amorevole libertà che sa di veritiera bellezza.

martedì 14 maggio 2013

Se fossi un giorno della settimana ...

Se fossi un giorno della settimana sarei probabilmente il giovedì.
Perché il giovedì è quel giorno che spezza la settimana, prima del weekend ma molto distante dal lunedì. Insomma uno di quei giorni che inculca un'insolita tranquillità perché giunge prima del caos e degli appuntamenti del weekend osservati come fossero un sacro rituale, uno di quelli in cui non ti viene chiesto di iniziare niente, chi inizierebbe qualcosa di giovedì? Credo nessuno. Di giovedì non si comincia nulla, ma è probabile che si riparino cose, perché in fondo è un giorno così, che funge da anello di congiunzione tra un inizio e una fine, in cui il più delle volte non si ha niente da fare, e allora ci si dedica a quelle cose per cui in altri giorni non ci sarebbe tempo a sufficienza. Ma in fondo il giovedì, per questo suo modo di essere, risulta forse il giorno più importante, quello indispensabile perché le cose possano procedere con cautela, quello che porta i conti e che alla fine diventa il più pieno, il più pieno di tutti.
Ed io mi sento esattamente come lui. Spezzo gli equilibri con un'innata maestria spesso non dandomi tempo per curare il mio, ma quando me ne accorgo li riparo. Sì, io riparo cose. Sembra quasi il mio mestiere. Riparo stati d'animo, vuoti, emozioni, spesso ho quasi la sensazione che mi si chieda tra le righe di riparare le vite degli altri. Ed io acconsento, non riesco a disubbidire. Talvolta le ho riparate anche a discapito della mia, come se l'equilibrio degli altri fosse stato per me sempre più importante, un po' come quando rassetti casa per mettere ordine nonostante il tuo animo resti a soqquadro.
Mi colloco nel mezzo, come un mendicante rivestito di stracci che chiede l'elemosina al centro di una stazione, lontano dal caos, dalle formalità, dalla folla che passa veloce e che rumoreggia, seduto lì in un angolo, nel suo silenzio, senza mai pretendere, ma sperando in fondo che qualche passante si accorga di lui ed infili una moneta nel cappello capovolto come fosse una carezza non trattenuta.
Mi sento come un giovedì, mi sento un prima ma in fondo anche un dopo che si combinano neutralizzandosi diventando in fondo niente. Mi sento come un giovedì, un anello di congiunzione, un bilanciere, ma in fondo una portatrice sana di tranquillità, che credo sia anch'essa una forma d'amore, forse la più importante, perché parte da te senza attraversare altri canali.
Mi piace il giovedì perchè spesso riesce a conservare la laboriosità del lunedì, ad anticipare l'entusiasmo del venerdì, nonostante spesso ci si scontrerà con la stanchezza della domenica ancora lontana. Mi piace perchè sembra un giorno messo lì ed invece è fondamentale perché unisce.
Mi piacciono le persone così, quelle che sono un giovedì.

venerdì 10 maggio 2013

Danza danza danza!

Ci sono persone che muoiono tutti i giorni, ovunque, e con chiunque si trovino.
Muoiono quando scelgono di non sentire, di non guardare ciò che è sotto il proprio naso girando il capo dall'altra parte, di non esprimersi per urlare soltanto quando oramai è tardi.
Muoiono quando non scelgono, quando affogano invece di inebriarsi del profumo della loro passione, quando mentono agli altri ed in primis al loro cuore. 
Le persone muoiono quando non ascoltano, quando sbraitano invece di piangere, quando ad un come stai rispondono che va tutto bene mentre dentro muoiono, muoiono di un dolore incontenibile.
Muore chi spegne l'interruttore delle emozioni, chi prova a gestirle come se volesse porre argini ad un fiume in piena che a breve potrebbe straripare, chi le minimizza perchè ha paura, ha paura di sentire.
Muore ogni giorno chi guarda le porte chiuse, invece di guardare avanti nell'attesa di aprirne altre.
Muore chi non ama, chi non gode della bellezza di un tramonto, di una passeggiata all'ombra dei cipressi con del fresco venticello che ti scompiglia i capelli, di una risata, di un gesto semplice che vuole dire semplicemente "ti voglio bene". 
E muore chi si nutre della vita degli altri, standola a guardare come se fosse un film da Oscar senza pensare mai di tuffarvisi dentro, magari di emularla. Muore chi si siede a guardare gli altri correre.
E muore chi guarda a ciò che non c'è e che non potrà forse mai esserci, invece di stare attento a quel poco che si possiede in cui potrebbe celarsi il tesoro più grande.
Muore chi non rischia, chi si incatena alle barriere partorite da un cervello divoratore di umanità e ne fa il motore della propria esistenza.
Certe persone muoiono quando non vogliono scoprire, perchè non c'è tempo, non è il momento, lasciandosi sbranare da un tempo malevolo che distrugge i momenti, rendendoli i nostri peggiori carnefici.

Non so perchè certe persone scelgono di morire. Forse perché vivere non ti risparmia nulla, il dolce ti apparirà talvolta dolcissimo, ma l'amaro talvolta così amaro da non riuscire a deglutire.
Eppure io ho deciso che non voglio morire. Preferisco essere risucchiata in una danza tra viventi, che affogare con chi sceglie di morire senza mai esser stata abbagliata da un raggio di sole. 
E se a qualcuno venisse in mente di chiedere "Ma cosa devo fare allora?" risponderei come Murakami nel suo libro "Dance dance dance":

 Danzare, continuare a danzare, finché ci sarà musica. Capisci quello che ti sto dicendo?Devi danzare. Danzare senza mai fermarti. Non devi chiederti perchè. Non devi pensare a cosa significa. Il significato non importa, non c'entra. Se ti metti a pensare a queste cose, i tuoi piedi si bloccheranno. E una volta che saranno bloccati, io non potrò fare più niente per te. Tutti i tuoi collegamenti si interromperanno. Finiranno per sempre. E tu potrai vivere solo in questo mondo. Ne sarai improvvisamente risucchiato. Perciò i tuoi piedi non dovranno mai fermarsi. Anche se quello che fai può sembrarti stupido, non pensarci. Un passo dopo l'altro, continua a danzare. E tutto ciò che era irrigidito e bloccato piano piano comincerà a sciogliersi. Per certe cose non è ancora troppo tardi. I mezzi che hai, usali tutti. Fai del tuo meglio. Non devi avere paura di nulla. Adesso sei stanco, stanco e spaventato. Capita a tutti. Ti sembra sbagliato. Per questo i tuoi piedi si bloccano. Danzare è l'unica possibilità. Devi danzare, e danzare bene, tanto bene da lasciare tutti a bocca aperta. Se lo fai, forse anch'io potrò darti una mano. Finché c'è musica, devi danzare!



mercoledì 8 maggio 2013

Tante virgole, nessun punto.

E' che a volte vorrei mettere un punto. Uno soltanto. E invece mi ritrovo in balia delle virgole, dei punti interrogativi che non trovano risposte, dei puntini sospensivi che come una danza tribale mi avvolgono come fosse la cosa più divertente eppure mai così angosciosa. Mi vorrei imputare come una bambina capricciosa che si accovaccia e dice "Adesso è il mio turno", ma inevitabilmente davanti a me passano tutti, e con loro in fondo anche io senza far rumore, in quel silenzio che per gli altri è assenza di parole, per me fa invece un rumore assordante. Vorrei urlare, è questo che vorrei fare. Però c'è il buon senso che me lo impedisce, e c'è la calma che devo perseguire per poter procedere come se tutto fosse esattamente al suo posto. Ma qual è questo posto e quali sono le cose che gli altri vedono in un ordine soltanto apparente? Non lo so.
Se fossi in grado di parlare le cose sarebbero più semplici. Invece mi perdo in un silenzio in cui annego senza che nessuno mi tenga la mano e mi dica "Sono qui". Ma la colpa non è di chi non lo fa, la colpa forse è la mia perché voglio fare soltanto quello che so fare: scrivere.
Scrivo, ma non parlo, perché non so parlare come scrivo.
E se nessuno mi rivolge domande, allora lo faccio io a questo punto e mi domando: cosa desideri?

Ho voglia di sentire sulla pelle il fresco venticello primaverile che come rugiada sembra bagnare l'epidermide ed offre un lieve senso di leggerezza. Ho voglia di una spiaggia, di un libro, del mare che ti ascolta, cui puoi dire ogni cosa senza mai farlo sentire pieno, perché è infinito. Ho voglia di punti fermi, quelli che sono lì ad aspettare te che smetti di piangere, quelli che ti chiedono poi di ridere perché tutto ritornerà al suo posto. Ho voglia di sentire le persone come se la loro voce fosse un eco della mia, di guardarli negli occhi per scrutarne la mia immagine riflessa. Ho voglia di dire basta alle mie paure. Ho voglia di vivere. Ho voglia di tenerezza. Ho voglia di prevedibilità e normalità, ora dopo essermi scontrata con l'imprevedibilità che pensavo fosse il motore della vita, con anomalie che credevo ne fossero le logiche conseguenze. Ho voglia di quelle cose che sanno di abitudine, che ho sempre negato perché pensavo potessero spegnerti, mentre in fondo ciò che sapeva di opposto gradatamente mi ha bruciato senza che me ne rendessi conto. Ho voglia di libertà, quella del cuore e della mente, quella che ti fa dire "Basta, adesso comincio io."