martedì 22 gennaio 2013

Cotone su seta.

Tempo per telefoni muti, porte sbattute ed un buio che divora non ce ne è stato nemmeno.
Perchè non mi hai dato tempo di telefonare, nè di sbattere una porta, ma è giunto subito il tempo di un ingiustificabile silenzio in una stanza dalle pareti bianche, ove trapelavano spifferi attraverso le fessure delle finestre, osservando con distacco dietro i vetri le foglie ingiallite spazzate via dal vento, quelle finestre che ho preferito lasciar chiuse per timore di conoscere la forza del vento che potesse farti mancare la terra sotto i piedi, per timore di essere spazzata via come quelle foglie anche se in fondo tu l'avevi già fatto, nonostante avessi mantenuto le finestre chiuse.
E forse ti detesto nella stessa misura in cui io adesso stia detestando me stessa.
Ti detesto per le frasi non sussurrate ma anche per quelle pronunciate con fermezza che come delle tempere ad olio sono restate sulla tela senza che la combinazione di tutti quei colori lasciasse spazio all' immaginazione.
Ti detesto per avermi dato la conferma di convinzioni di cui avrei voluto assaporarne per una sola volta il torto. E mi detesto perchè in fondo non è un cuore ferito a parlare, bensì un orgoglio di donna bistrattato, il desiderio di voler essere la prima, soltanto questa volta, almeno questa volta, come forse mai è successo.
 E mi detesto perchè della tua presunta felicità non riesco ad esser felice anch'io e per questo mi sento di valer poco in veste di persona rancorosa, come un cestino che non fa a tempo a riempirsi per poi essere svuotato. E forse mi detesto perchè dovrei tacere, forse ti detesto perchè hai assimilato tutte le mie frasi sull'amore e di quanto sia indispensabile crederci per rinascere ancora, le hai apprese come un alunno dalla sua insegnante, per poi seminare e coltivare i semi del tuo amore con chi fortuitamente è giunta subito dopo. Mi detesto perchè di questo tuo modo di utilizzarmi come strumento per apprendere come si riesca ad essere pronti al cospetto dell'amore non riesco a farne motivo di vanto.
Mi detesto perchè in fondo sapevo sin dall'inizio di non c'entrare nulla con te, ma ho voluto provarci lo stesso, ritagliarmi uno spazio che assomigliasse più che altro ad una toppa di cotone ricucita su di un tessuto di seta. Ma la verità è che se non c'entravo niente con te, è valso lo stesso anche per il precedente, e per quello ancora prima, e ancora prima, e ancora. Temo di esser sempre stata una toppa ricucita maldestramente su di un vestito dal tessuto diverso dal mio. 
Allora, alla fine, io con chi c'entro?

Cos'è la "cazzimma" per un napoletano.

Non so quanti di voi napoletani si siano trovati a parlare con qualcuno proveniente da un'altra città d'Italia e nel pronunciare la frase "Uaaaa, che cazzimma!" si siano sentiti puntare gli occhi addosso, come se provenissimo da Marte, e con lo sguardo attonito ed il tono perplesso si siano sentiti rivolgere la domanda "Che cos'è la cazzimma?", e noi rispondere "Come te lo spiego?E' impossibile!"
In effetti è notevolmente complicato. Il napoletano è noto per il suo spiegarsi con estrema concisione, esprimendo concetti lunghi grazie la fusione o la creazione di termini dialettali che ne riassumono il fulcro.
Dal termine cazzimma si ricava l'aggettivo "cazzimmoso" o "cazzimmosa" a seconda del sesso dell'interlocutore. In effetti potremmo definire la cazzimma una fusione di scarsa generosità, lealtà, onestà, un atteggiamento di menefreghismo che si sposa ad una carenza di correttezza, un atteggiamento di furbizia opportunistica, un pensare esclusivamente ai propri interessi danneggiando spesso gli altri, ma come direbbe un napoletano "non è solo questo, c'è qualcosa in più, la cazzimma è un'altra cosa!"

Ma allora, cos'è la cazzimma?

La cazzimma è quando da piccoli, mentre si giocava, un bambino particolarmente capriccioso non metteva a disposizione i suoi giocattoli, o quel bambino che, mentre si stava giocando al pallone, decideva di punto in bianco di prenderlo e portarlo via.

La cazzimma è quando qualcuno, nel cuore di un discorso che desta la nostra attenzione, omette volutamente dei dettagli che se svelati potrebbero cambiare il nostro punto vista, un segreto che non vorrà rivelarci, cedendo il passo alla classica affermazione "Che CAZZIMMA che TIENI!"

La cazzimma è quando un arbitro chiama un fallo che avrebbe potuto anche non segnalare.
La cazzimma l'ha mostrata Drogba durante la partita di Champions League, Chelsea Napoli, quando negli ultimi minuti di gioco per temporeggiare, accasciatosi al suolo, ha finto di non riuscirsi a rialzare, e all'inquadratura del suo volto coperto dalle mani e delle sue dita che si aprivano per gettare l'occhio sulla decisione arbitrale, molti dei tifosi avranno di certo esclamato "Che cazzimma", qualcuno l'ha definita "Esperienza dei grandi giocatori", ma per noi era in primis cazzimma, non si discute.

Quando a scuola il nostro compagno di banco non ci passava il compito, o se, come spesso sarà capitato, il primo della classe non si offriva per essere interrogato e salvare il resto della classe impreparata, in quel caso non è soltanto cazzimma, bensì una CAZZIMMA ESAGERATA. Perchè il napoletano per rafforzarne il concetto, aggiunge spesso l'aggettivo "esagerato", ed in questo caso è assolutamente doveroso per intendere che quel compagno di classe ha una cazzimma che parte "dai capelli fino all'ultima unghia del piede".

La cazzimma è del professore universitario che in seduta d'esame ci rivolge la classica domanda complicata di cui ignoriamo la risposta, o del nostro datore di lavoro, che pur conoscendo le nostre esigenze, volutamente decide di non venirci incontro.

In fondo c'è un po' di "cazzimma" in ognuno di noi, praticata quotidianamente senza nemmeno accorgercene.
La "cazzimma" è un termine coniato nel napoletano, ma che in fondo appartiene a tutto il mondo, Lega Nord compresa, perchè come direbbe un napoletano "Nella vita, c vò nu poc e cazzimm!"

domenica 20 gennaio 2013

Un posto dove trovare stimoli.

C'è un posto che è la fonte di tutti gli stimoli di cui necessitiamo, molto spesso ignorato, ricercandoli altrove.
Andiamo allora in una libreria pensando che un libro riposto su di uno scaffale possa catturare la nostra attenzione per il suo titolo curioso, o perchè ne conosciamo l'autore o semplicemente perchè qualcheduno ce ne avrà parlato.
Andiamo al supermercato e troveremo in una confezione di yogurt magro la soluzione alla nostra dieta, o in confezioni di dolciumi la soluzione al nostro cattivo umore.
Andiamo in un negozio di scarpe pensando che l'acquisto di quella calzatura in vetrina possa fungere da terapia alla nostra noia, alla nostra stanchezza mentale.
Andiamo in discoteca, in un pub per una birra e qualche ora di svago, cerchiamo in luoghi ed in persone quegli stimoli che dopo qualche tempo si tramuteranno in palliativi, quelli che attenuano il dolore ma che non guariscono. Ricerchiamo all'esterno ciò che invece dovrebbe nascere e maturare dentro di noi, trascurando che siamo proprio noi la miglior medicina. E' il nostro cervello il luogo più giusto in cui trovare stimoli. Lo stimolo è lì che deve essere seminato, innaffiato per crescere, ed una volta maturo abbastanza raccolto con estrema attenzione. E' il nostro cervello che decide se il nostro umore dovrà conformarsi ad un tempo uggioso o ad un cielo sereno, se essere arrabbiati, stanchi, annoiati o allegri e leggeri. E' lì che tutto nasce ed è lì che tutto spesso si consuma. Ma il cervello lo si può gestire contrariamente a quanto si possa credere. 
Possiamo alzarci di buon mattino e rassegnarci ad essere arrabbiati nonostante il cielo sereno, o imporci di essere allegri nonostante il cielo grigio. E' essenzialmente questione di volontà, quella stessa che dovrebbe ogni giorno suggerirci la domanda: "Oggi come vogliamo essere?" e ascoltare i bisogni del cuore che suggeriranno la risposta. 
Ma condividere stimoli è un bisogno umano, è il passo più difficile, perchè saremo costretti ad interrogarci sul dove andare. Dovremo andare esattamente dove il cuore avrà scelto di condurci, in una finta passività che ci vedrà paradossalmente esseri attivi per il semplice fatto di avere avuto il coraggio di ascoltarlo. Ma il nostro cuore dovrà aprirsi, soltanto così riusciremo a condividere i nostri stimoli e a trovare persone altrettanto stimolanti. Dovremmo forse partire dal presupposto che siamo tutti profondamente diversi e che se vogliamo che le persone comincino a capire arrestando le classiche lamentele, dovremmo aprirci, esprimerci nella nostra totale pienezza, senza più nascondere lacrime dietro falsi sorrisi, senza più bistrattare le nostre esigenze celandole dietro frasi da copione che inorgogliscono senza mai soddisfare nè definirci, liberandoci come un soffione trascinato dal vento. Soltanto così forse ti riconoscerai tra la folla e potrai esser scelto da chi avrà desiderio di entrare nel tuo mondo dove non tutti avranno il piacere di entrare, ma qualcuno il coraggio ed il desiderio di restare. 
Farsi delle domande è da persone intelligenti quanto vere, è da persone nella loro costante ricerca di stimoli, persone che a furia di seminare e raccogliere ne hanno fatto una parte fondamentale del proprio essere. Ma le persone stimolanti esistono, basta cercarle, basta aprirsi, perchè sono silenziose, purtroppo è la stupidità ad essere tremendamente rumorosa. 
La felicità non è un diritto, ma una possibilità che va seminata, curata per poi all'occorrenza esser colta, ascoltando il cuore ed aprendo il cervello.


venerdì 18 gennaio 2013

La vita va avanti, comunque.

Ci sono giornate che cominciano con un cielo grigio per poi lasciar spazio a tiepidi raggi di sole, ma nonostante il loro timido filtrare non riescono a riscaldare, nè a rendere meno grigio il cuore la cui tinta sarà sempre più intensa, tra cui poter scorgere venature di nero, quello che non lascia spazio ad alcuna immaginazione. E allora ti rendi conto che la tua giornata è cominciata in questo modo ed è esattamente così che dovrà terminare, semplicemente così, come il 18 gennaio di ogni anno.
Ci sono giornate in cui pensavi di rimanere imbottigliata nel traffico, invece sei stata semplicemente risucchiata da pensieri e ricordi che nella tua mente generano un traffico peggiore delle tante automobili in una strada stretta, perchè è un traffico silenzioso, nessun rumore, nessun clacson assordante, ci sei solo tu, in una strada larghissima di cui non riuscirai a scorgere la fine fin quando non ti scontrerai ad un muro che ti farà capire di esserti immessa in un vicolo cieco.
Ci sono giornate in cui ti soffermi sulla frenesia dei passanti ma tu vorresti restar ferma. Quelle giornate in cui assapori la triste verità di quanto la vita vada avanti comunque, ma ci sono dei giorni, uno, due, tre o anche sette all'anno, in cui avverti l'esigenza di spegnerti, di far correre la vita senza correre con lei, perchè non hai bisogno di accelerare il passo, non adesso, non oggi, ma con il fiatone desideri fermarti, con il groviglio dei pensieri e dei ricordi, forse a farti male, ancora una volta, a tentare di lavare un senso di colpa che credevi rimosso ma che è sempre lì in agguato a farti inciampare, a farti male due volte.
Ci sono giornate in cui sai di avere quel solito appuntamento importante, di quelli che ti fanno salire l'ansia con una settimana di anticipo, quelli che non si rimandano, nè da cui puoi scappare, in qualunque città tu abbia scelto di rifugiarti.
Il 18 gennaio è per tutti una data sul calendario, per me è peggio di un appuntamento dal dentista. 
Un appuntamento con la vita e con la morte al tempo stesso. Un appuntamento che mi rende schiava e debitrice, salva e sconfitta. Un appuntamento con i miei classici sensi di colpa che il tempo non fa altro che cementificare rendendoli sempre più grandi. Un appuntamento che ti vede con un fiore da riporre su una tomba come se oramai soltanto questo fosse rimasto per sentirti meno sporca nonostante a volte ti ci senta il doppio. Un appuntamento che ti costringe a meditare sul perchè di gesti estremi, di gesti che inglobano nella loro pesantezza al contempo una leggerezza inaudita, un'altra faccia della medaglia di questa vita che a qualcuno scoraggia al punto da desiderare di abbandonarla, al punto da essere un gesto coraggioso ma al tempo stesso da vigliacchi. Un appuntamento che ti irrigidisce i muscoli, ti offusca la mente, ti fa mettere nuovamente in discussione la scala dei tuoi valori al punto da pensare che niente attorno a te valga ma per i restanti giorni, per sopravvivere perchè la vita va avanti comunque anche senza di te allora tanto vale correre insieme a lei, dovrai dargli un valore comunque. Un appuntamento in cui ti fai tante domande a cui non riesci a rispondere se non con condizionali del tipo "Avrei potuto ascoltare", quelle frasi che rendono tutti innocenti ma in fondo non meno colpevoli. 
Quelle giornate che non vedi l'ora che finiscano sperando in un domani in cui ricomincerai il tuo conto alla rovescia, in attesa del prossimo 18 gennaio.

mercoledì 16 gennaio 2013

Basterebbe restare.

Che assurda ossessione quella di tornare, quando invece basterebbe semplicemente restare.
E' come se non fossimo più abituati alla semplicità, ai piccoli dettagli che per la loro scarsa cospicuità trascuriamo calpestandoli costantemente, guardando sempre troppo lontano, dimenticando ciò per cui basterebbe abbassare lo sguardo per trovare esattamente ai nostri piedi. E' come se cercassimo costantemente conferme, come se stessimo alla costante ricerca della domanda giusta che richieda la risposta esatta, ma se l'esattezza della domanda non si sposa con quella del momento, se non riusciremo ad indovinare la risposta corretta, è come se avvertissimo dentro di noi una rottura, un crack lancinante che pervade lo stomaco, che ci costringe a lasciar perdere, ad allontanarci prima di spingerci troppo oltre, avendo la presunzione di capire quando sia il momento di andare, quando quello di frenare, dando la definizione di "oltre" a tutto ciò che ci renderebbe fragili, nudi, timorosi, autentici, molto spesso frenando quando sarebbe il tempo di andare o viceversa, frenando ancor più spesso quando oramai siamo giunti a quell'oltre la siepe, oltre l'ignoto, oltre ciò per cui varrebbe in fondo la pena di restare.
Ma spesso la masochistica tendenza di cercare incessantemente senza mai soffermarci sui dettagli e raccoglierli come fiori appena sbocciati che necessitano di essere innaffiati, quella becera tendenza a dover per forza schematizzare, definire e catalogare mettendo punti fermi, esclamativi, interrogativi e virgole, quell'esigenza di dover uscire necessariamente da qualcosa per poter osservare e anche capire ciò che stiamo lasciando andare alle nostre spalle, ci impedisce di assaporare la pienezza, la felicità, la vita stessa. Quando sprechiamo il nostro tempo nella formulazione di domande a cui non troveremo in fondo mai risposte che ci rendano appagati, ci poniamo già fuori da un pezzo di vita ed inevitabilmente anche fuori quelle persone che ne fanno parte in cui basterebbe restar dentro per soddisfare i nostri interrogativi, quell'atto razionale che rischia di farcele perdere, quel rischio che si tramuterà in certezza al nostro temporeggiare.
Allora dovremo perdere quel qualcosa per vincere le nostre paure, per scoprirne il senso, per comprendere di quanto invece sapesse del tutto ciò di cui avevamo bisogno, al punto da rimpiangere di averlo lasciato alle nostre spalle, al punto da far tutto ciò che è in nostro possesso per recuperarlo. Recuperare con estremo sforzo fallendo o talvolta riuscendo nella nostra impresa, recuperare quello che in fondo avevamo già, mancando però della giusta dose di maturità che ce lo facesse capire, di quel pizzico di amor proprio e di rispetto per ciò che la vita non manca mai di offrirci anche quando pensiamo non ci stia offrendo nulla, che forse non ci renderebbe pienamente soddisfatti, ma di certo più gentili, più riconoscenti. 
Passiamo invece una vita ad ossessionarci di dover recuperare quello che abbiamo lasciato sui marciapiedi delle strade della nostra vita, quando invece sarebbe bastato chiudere gli occhi per un sol momento e ascoltare le risposte del cuore, perchè il cuore non tradisce, è sempre esatto anche nelle sue leggerezze, non offre mai spazio ai rimpianti, ci impedirebbe di lasciare, ci costringerebbe a restare perchè ci vuole pieni, felici, stracolmi di quella vita che spesso il cervello vuole che calpestiamo per ciò che si è soliti chiamare dovere, orgoglio, tiepida rassegnazione alle vicissitudini.
Chi ha avuto quel qualcosa che non ha avuto la maturità di definire come tutto, lasciandolo per questo andare, non godendone abbastanza, maturando solo in seguito l'ansia di volerlo recuperare a tutti i costi, si riconosce tra mille. Perchè chi ha avuto tutto non riesce ad accontentarsi di molto e rimarrà inerme, dall'alto del suo piedistallo, ad attendere, a temere che forse nessun altro sia in grado di riscaldare il cuore, che nessun altro abbia voglia di quel fresco venticello all'atto dello sventolamento del cuore. Avrà timore di non sentire più niente.
Perchè i suoi occhi saranno lucidi e spenti, passando da persona in persona, custodendo quel noi perso come modello da ricercare, da emulare senza mai riuscirci. Il suo volto sarà pallido e rassegnato alla visione di quel volto che potrà a tratti essere simile ma mai lo stesso. Le sue labbra saranno sempre pronte ad esser baciate, il suo corpo sarà probabilmente denudato, ma avvertirà un sapore più amaro o forse più acre quando quelle labbra simili ma diverse si avvicineranno alle sue, non annegherà più in nessuna anima incrociata, non lascerà in fondo che nessuno riesca a perforare la propria. Vedrà in un "ti amo" la più bugiarda delle verità o la più veritiera menzogna. Non crederà più in nessuna delle parole pronunciate da qualcuno che vorrebbe vederla accanto come un fiore appena sbocciato perchè si sentirà sempre un ramo secco, uno stelo strappato. Quegli abbracci crudi e violenti non emaneranno alcun calore, ma solo un gelido freddo invernale, di quelli che sono il preludio di incessanti nevicate.
Si vorrebbe in fondo tornare a lì ed allora, a quelle labbra dal dolce sapore, a quell'anima che abbaglia prima di conoscere le smorfie del volto, la sinuosità del corpo, la tenerezza delle movenze. Tornare a delle gote di un roseo vivace, ad annegare silenziosamente senza difese in quell'anima lasciando che l'altro faccia lo stesso, perchè è solo quel ti amo che si aspetta, saranno soltanto quelle braccia in grado di accalorarci, solo quel respiro si vorrà ascoltare.
Ma perchè abbiamo bisogno di perdere tutto questo per capire in fondo di desiderarlo come quel qualcosa che in fondo ci completa? Perchè siamo poco abituati alla grandezza dei dettagli, a prenderci cura dei nostri gioielli reclamandone la proprietà solo quando ne saremo stati derubati, convinti di non aver bisogno di alcunché erroneamente perchè il bisogno di amore è profondamente umano, appartiene a chiunque, nessuno escluso. Non è il bisogno dei fragili, ma l'indole di chi si palesa nella sua umana natura, facendone il più autentico punto di forza. Perchè siamo anime predisposte all'eterna insoddisfazione, sempre alla ricerca di qualcosa ma se ci chiedessero cosa stiamo cercando sapremo dare solo risposte vaghe, come se cercassimo senza mai volutamente trovare.
Perchè è più facile lasciare andare, ma più rischioso, coraggioso, umano, l'atto del restare.
Rischiamo sempre troppo poco, non siamo mai coraggiosi quanto basta, ci allontaniamo dalle mille sfumature di un essere umano, dalla possibilità di cogliere la felicità, di calpestare fili soffici di erba e non più quel ruvido asfalto che ci massacra i piedi, chiamando paura ciò che andrebbe invece definito come bisogno. 
Vorremmo recuperare quell'umanità che ci appartiene soltanto dopo, solo dopo averla persa.
Ma non basterebbe forse restare?

martedì 15 gennaio 2013

Dall' Oriente con amore.


E' opportuno procedere con una premessa.

1. Ogni riferimento a persone, cose e circostanze non è puramente casuale.
2. Chi si sentirà menzionato dovrebbe, per coscienza, controllare se è in possesso del permesso di soggiorno.
3. Esistono più clandestini di quanto possiate immaginare.
4. Redimersi non è mai troppo tardi, bruciare il Corano in Italia non costituisce reato.
5. In caso contrario si incorre nel rischio di espulsione e ritorno ai Paesi natii dei continenti dell'Asia e dell'Africa.
6. Non ditemi che non vi avevo avvisato.
7. Ciò che sto per scrivere non è sottotitolato alla pagina 777 del televideo, per l'assurdità dei contenuti che sembreranno fantascientifici ma mai così reali.
8. Tratto da storie vere.

La religione musulmana dilaga prepotentemente nel nostro Paese, inculcandosi soprattutto in quelle mentalità che sanno del provincialismo più reietto. Il Corano non sarà il testo più letto, ma di certo quello più osservato specialmente da alcune coppie che chiamarle tali rappresenta una mortificazione perchè una coppia è un uomo e una donna, in alcuni casi saremo invece dinanzi ad un giullare del circo e la sua scimmia ammaestrata, quelle coppie che ci inducono costantemente ad un solo interrogativo: "Sono stato catapultato attraverso una macchina del tempo nel 1700 senza saperlo o sono stato sedato e portato privo di coscienza in un villaggio africano?" Mi spiace, ma siete nel 2013. Siete proprio in Italia. Siete in Occidente, eppure esistono ancora quelle che definisco "coppie musulmane" operando un'estremizzazione in quanto lo saranno pur senza rispettare il periodo del Ramadan, donne che pur non indossando il burka vengono trattate come tali dai propri uomini, uomini che si impongono e donne che glielo lasciano fare annegando la loro personalità in una tazza di latte in cui il proprio uomo inzupperà le pagine del Corano.
Ho sempre ascoltato racconti o assistito con una sottile ironia pirandelliana a scene tragicomiche di questo tipo senza mai essere la diretta interessata, per fortuna. Perchè in fondo la scimmia ammaestrata non la so fare né ho mai voluto farla, i giullari li detesto, credo nell'integrazione ma molto più nella rivendicazione del ruolo della donna, nella parità che non significa sopraffazione, nella libertà che non significa aver scarso rispetto per l'altro ma averne così tanto al punto di fidarsi, al punto di non irrompere prepotentemente in una vita come un avviso di garanzia, amare senza la pretesa di possedere, vivere con dignità e lasciare che anche l'altro lo faccia, per sé, per l'altro, per la coppia.
Coppie di questo genere utilizzano di rado espressioni affermative, quasi sempre invece negazioni. I loro verbi preferiti sono il "potere" ed il "dovere", vivono in una simbiosi imbarazzante con un'incredibile forza annientatrice, che si annida nel cervello al punto da farlo scomparire, al punto che ci troveremo di fronte a non più due cervelli ma uno soltanto, se siamo fortunati, perchè spesso, andando avanti, anche quello sarà disintegrato e rimarranno solo le poche briciole rosicchiate dai criceti.
Ma in una "coppia musulmana" che si rispetti, cosa gli uomini POSSONO pretendere, e cosa le donne invece NON POSSONO fare?

1. Non si possono avere amiche single. Tutte le amiche single non saranno solo single, ma delle incredibili bagasce perchè se sono single significa che nessun uomo le avrà volute al loro fianco.

Magari la ragazza vorrà prendere un caffè in compagnia delle sue amiche. Non potrà farlo. Il Corano non lo annovera fra le possibilità. Se deciderà di contravvenire alle regole, sarà spiata a vista, dovrà sorbirsi un interrogatorio che durerà più del periodo del Ramadan, 350 telefonate e 413 messaggi per un caffè che ingerisci in meno di un minuto. Una pressione psicologica tale da indurre la ragazza a pensare: "No grazie, il caffè non lo voglio più. Mi rende nervosa!"
Ho sentito addirittura di persone che al mare non possono andare se non in compagnia del proprio ragazzo. Povero ragazzo, che figura ci fa se si sapesse in giro che la propria donna va al mare svestita, in costume, ma stiamo scherzando?
D'altronde in Oriente ...

2. Le donne devono indossare il burka. Niente minigonna occidentale, niente trucco eccessivo, il corpo di una donna potrà vederlo solo il proprio uomo.

Che state dicendo, che volete andare a ballare senza il vostro fidanzato che magari non avrà voglia o è fuori per lavoro? Secondo me rischiereste la ghigliottina, come la regina Maria Antonietta. Le cortigiane di basso borgo vanno a ballare, quelle si possono divertire in luoghi come le discoteche dove si va per rimorchiare, ma voi, dico, voi che ci andate a fare? Siete fidanzate con l'uomo di Neanderthal, lo dice stesso la parola << non-vi-potete-divertire-fate-andare-le-vostre-amiche-single-e-quindi-bagasce-sempre-che-ce-le-abbiate-ancora-ma-dubito>>. Imparate l'italiano, cavolo!

In palestra?Insieme. In vacanza?Insieme. Che state dicendo, che una vostra amica si è trasferita all'estero e vorreste andarla a trovare ma il vostro uomo in quel periodo non può? Non si va. Non chiedetelo nemmeno. Quando poi l'uomo-di-neanderthal si sarà liberato, organizzerà un viaggio, con la compagnia dei suoi amici papponi che vi sarete convinti di amare soltanto perchè l'omicidio in Italia costituisce reato, magari ad Amsterdam, e ve lo farà sapere con una settimana di anticipo. Ma voi, che siete donne devote esclamerete: "Amore vai, sei stato così leale nell'avermi avvisato con così tanto anticipo. Non ti preoccupare, io resto qui ad aspettarti, a casa, non metterò nemmeno il naso fuori al balcone, sono una ragazza seria, mica come le mie amiche SINGOL!"

Il cellulare? Va controllato almeno una volta al mese.
Non è previsto che tu abbia potuto avere, in una vita precedente, un ex o una ex. Se il caso vi farà incrociare dovrete far finta di niente, dovrete abbassare il capo senza salutare civilmente perchè se lo farete sarete destinati alla sedia elettrica, almeno così sarete destinati comunque soltanto ad un periodo successivo di forti tensioni e ripensamenti sul se e chi ha guardato prima chi, della durata pari al periodo del Ramadan, sempre.
Facebook? I più moderni ce l'hanno, ma "amore siamo una cosa sola, anche su facebook". Da qui è nato lo scempio di accounts comuni del tipo "Lello&Luisa", "Nico&Stefania", "Eufemia&Geronimo", alcuni ci mettono anche un cuoricino, non sia mai che gli altri capissero che non sono fidanzati ma semplicemente fratello e sorella?

Che stai dicendo, che la tua amica che vive altrove torna a casa per il weekend e vorrebbe trascorrere una serata in tua compagnia? Rischieresti la fucilazione. Il weekend è OFF-LIMITS, e purtroppo a quanto pare non soltanto quello.

Adesso vi chiederete, cosa succederebbe se si lasciassero? Ecco, il bello viene proprio adesso.
Perchè si passa dalla clausura al libertinaggio più sfrenato, che poco a che vedere con la libertà da me all'inizio citata, ma sa più di finzione, di carta pesta, di burka bruciati nel fuoco come se la vita precedente non fosse stata mai vissuta. E forse sì, perchè queste donne, ma anche questi uomini che dopo una rottura di ammalano costantemente della sindrome da collezionismo volendo emulare John Travolta in Grease pur assomigliando nelle goffe movenze molto più a Mr Bean, non vivono mai ma dipendono sempre da qualcuno o qualcosa, ragion per cui i semi della libertà genuina e profonda, quella silenziosa e non per forza sfrenata, non riusciranno mai a piantarli. Sono un po' come gli "orientali" che giungono in Occidente pensando di trovare donne nude per strada, coppie che scopano come conigli sui marciapiedi, uomini tatuati dalla testa ai piedi, perchè in fondo si tratta della patria della droga, del sesso e del rock and roll. Passano in fondo da un estremo all'altro senza mai smettere di essere ridicoli, goffi, tristi.

Onestamente questa religione non fa per me. Preferisco l'agnosticismo o a limite lo zen.

Ma una cosa ve lo vorrei chiedere, per curiosità: " Il permesso di soggiorno, quello almeno, ce l'avete? "

Ecco. Lo sapevo. Contrariamente alle mie ideologie devo dare ragione ai leghisti: in Italia sono tutti clandestini. Cominciamo allora a bucare anche i gommoni!

domenica 13 gennaio 2013

Le regole della casa del sidro.

Cosa fate quando siete particolarmente pensierosi?
Io spesso preferisco sedermi in poltrona, preparami una tazza di thea e guardare un film.
Molto spesso finisco tra una valanga di fazzoletti, e quando sono particolarmente bagnati, all'occorrenza, utilizzo anche i cuscini per asciugarmi le lacrime. Ma se sono fortunata riesco a trarre le risposte ai miei pensieri in una geniale ripetizione di suoni, in quella incessante concatenazione di immagini che raccontano storie, che trasmettono esempi, che divulgano messaggi, che hanno poco a che fare con l'inverosimile, molto più attinenti invece alla vita vera.
L'ultima volta mi sono seduta in poltrona e sono stata per due ore con gli occhi che ogni tanto divenivano umidi a vedere "Le regole della casa del sidro", un film del 1999. Racconta della storia di un giovane infermiere, Homer, cresciuto in un orfanotrofio sotto la tutela di un medico convinto abortista, il dottor Larch. Quel luogo per tutti coloro che ci vivono rappresenta un'isola incantata, una campana di vetro che tiene tutti lontano dal dolore, dalle amarezze, dai pericoli, tiene tutti distanti dal cinismo della vita, ove l'unico motto è rendersi utile, fare qualcosa per l'altro. Homer, nonostante sia un adulto, nutre la stessa freschezza, genuinità d'animo, lo stesso disincanto di un bambino. Ma un giorno arriva in orfanotrofio una coppia benestante, un uomo ed una donna che chiedono un aborto. Dopo l'operazione, una volta che la donna si è rimessa, Homer decide di unirsi a loro, di lasciare quell'ambiente ovattato che sino ad allora lo aveva visto crescere, per darsi finalmente alla vita, per vedere l'oceano che non aveva mai visto, per vedere un'aragosta di cui non conosceva nemmeno le sembianze. Si dedicherà alla raccolta delle mele, mansione ottenuta dal marito della donna che poco dopo parte per la guerra, credendo di lasciare sua moglie in ottime mani. Ma a quella vita Homer non era pronto, le regole dell'orfanotrofio erano troppo sane, troppo pure, troppo poco reali per combaciare con quella vita spesso cruda e violenta. Allora Homer le dovrà imparare, da solo, ogni giorno, per sentirsi uno di loro, per sentirsi uno che come il resto del mondo trascura la volontà di essere utile per qualcosa, l'esigenza di far qualcosa per l'altro. Scoprirà l'amore per quella donna che alla notizia del ritorno del marito, tornato paralizzato, abbandonerà Homer, affermando di averlo amato nonostante sappiano bene entrambi che non è stato così. Lui l'ha amata, lei aveva soltanto bisogno di qualcuno che le stesse accanto, per timore di restar sola. Ciò che accade in questa vita, violenta, cruda ed oltremodo vera, ma non sotto quella campana di vetro, non dove si respira gioia e freschezza nonostante il triste destino di quei bambini che forse non troveranno mai una casa, in quell'orfanotrofio dove non c'è bisogno, nè desiderio, nè esigenza, ma lo scambio di calore, di amore, il voler fare sempre qualcosa per l'altro è naturale, loro in fondo sono nati esattamente così, ed in questo stato ci sono restati, per un tragico scherzo del destino, o per fortuna, perchè sono riusciti a mantenere quella che è l'essenza di ogni essere umano, quella che si perde per colpa della meschinità delle vicissitudini, ma che dovremmo esser più attenti a preservare. C'è un bambino che teme di non essere mai adottato, ma Homer gli ripete sempre che è il migliore, ed i migliori devono attendere persone eccezionali, non si danno via così. In quel luogo tutti sono migliori. Tutti lo sono perchè sanno ridere, sanno gioire dei dettagli, di un libro che gli viene letto la sera prima di addormentarsi, della frase rituale prima di spegnere le luci "Buonanotte principi del Main, buonanotte re della nuova Inghilterra". Tutti lo sono anche perchè sono capaci di piangere, di esclamare a gran voce "Non andare via", ma anche di lasciare che un dignitoso silenzio si renda lo scenario di quell'ingestibile dolore provocato dal dover lasciare andare. Tutti lo sono anche perchè si dilaniano a causa di un allontanamento che provoca una mancanza simile ad una profonda voragine sino a morire, come il dottor Larch, morto per una mancanza troppo profonda da poter contenere a lungo. Morto per quel troppo amore che lo aveva spinto a far credere ad Homer di avere una malformazione al cuore, per tenerlo lontano dalla guerra, per tenerlo in fondo accanto a lui. Un amore così in quella vita reale cui Homer si era voluto affacciare per conoscere il mondo non c'era. Perchè l'amore dilania ed il timore di perdere qualcuno considerato come un nostro "prodotto", un "figlio", come Homer per il dottor Larch, ogni giorno ci ferisce e a poco a poco ci uccide. In quella vita reale c'è invece una cinica assuefazione alla violenza, alla crudezza, alla menzogna, c'è il sostenere di doversi abituare a mancanze perchè è così che la vita ci vuole: freddi, spenti, senza emozioni nè lacrime. In quella vita c'è un lasciare andare senza mai pensare di chiedere se si preferisce invece restare, c'è un gettare prepotentemente in  faccia scomode verità in virtù di quell'amore tanto osannato. Ma forse per il troppo amore si è anche in grado di mentire, semplicemente perchè quella potrebbe essere l'unica strada di non perdere qualcuno che poi perderemo forse lo stesso, ma quanto meno avremo avuto la possibilità di tenerlo in vita, al sicuro, al caldo. Quando si ama forse basta questo, e forse questa è tra le bugie la più bella delle verità, è forse la menzogna più sincera, il manifesto del più naturale dei sentimenti. In quella vita vera, in quella "casa del sidro" qualcuno alla fine l'ha capito. Un operaio che molestava la figlia credendo così paradossalmente di proteggerla, quella figlia che poi, dopo aver abortito grazie l'ausilio di Homer, dopo la redenzione paterna, decide di scappare nel cuore della notte. Il padre quella volta non voleva fermarla, aveva capito, solo dopo i suoi innumerevoli sbagli, proprio come accade nella "vita vera", che era giunto il tempo di lasciarla andare, ma prima avrebbe voluto soltanto toccarla, per l'ultima volta. Perchè in fondo quando qualcuno decide di andare il nostro timore è di non poter più palpare quell'epidermide, è quello che manca, altrimenti il dolore per una mancanza non avrebbe alcun senso se riuscissimo ad incamerare tutto lì, in quella soffice scatola dei ricordi. Ma lei non l'aveva capito e allora lo colpisce con un pugnale. Ma prima di spegnersi quell'uomo dirà ad Homer di dire alla polizia che si è ucciso perchè triste al pensiero di non poter rivedere più sua figlia, in modo da non crearle alcun problema. Homer avrà forse assorbito tanti insegnamenti affacciandosi a quel mondo, ma lì, ai piedi del letto, stava forse realizzando un miracolo: il ritorno all'essenza, alla protezione dell'altro, al desiderio di morire perchè senza l'amore più grande della vita non si riuscirebbe comunque a vivere. Ma la vita reale è meschina, e te lo fa capire soltanto dopo esser scivolati nel fango, perchè, come dirà quell'uomo in fin di vita "talvolta occorre violare le regole per rimediare". A quali regole si riferiva? A quelle che crediamo ci assicurino una degna sopravvivenza, ma che in effetti dalla vita ci allontanano: un possesso che confondiamo con l'amore, uno scrollarci di dosso scomode verità per sentirci meno colpevoli fatto spesso passare per sincerità, la più meschina e la più vigliacca che poco sa di verità; un abituarsi in fretta a mancanze provvedendo a celeri sostituzioni invece di lasciare che lacrime solchino il viso, che il silenzio nella sua dignità prenda il sopravvento, di arrenderci al pensiero che qualcuno sia andato via solo quando siamo certi di aver fatto tutto ciò che era in nostro potere per trattenerlo, e non per possesso, ma per amore, per quel bisogno naturale di avere accanto chi andandosene via potrebbe procurare un dolore insostenibile, perchè sì una mancanza dilania, ferisce, uccide se è troppo profonda. Ma possiamo rimediare violando queste regole congetturali ed ipocrite, sprigionando un'incredibile energia che sa di libero amore che vuol fermarti ma che al contempo ti lascia andare, sperando presto in un ritorno.
Ed infatti Homer alla fine ritorna. Ritorna in quell'orfanotrofio a fare il dottore pur essendo un infermiere, perchè nonostante non avesse i titoli richiesti di quella professione conosceva ogni cosa. Perchè un titolo non fa di te necessariamente chi desideravi diventare. Chi vuoi essere spesso lo decide il tuo cuore, ponendoti di fronte scelte che non potrai ignorare, quella scelta che illuminerà il tuo tragitto come un faro, rendendoti libero, vicino al cuore, dentro la vita. Ritorna dai sorrisi raggianti di quei bambini, in quell'ambiente così magico, puro e disincantato. Alcuni penseranno che alla fine torna perchè oramai dalla vita aveva appreso tutto ed era pronto ad insegnare ciò che aveva imparato anche a loro. Ma forse non è proprio così. Forse Homer ha avvertito semplicemente il bisogno di ritornare alle origini, di tornare alle sue radici che lo avevano reso forse non abbastanza cinico per superare all'inizio le vicissitudini di quella vita cruda e violenta, ma paradossalmente forte, una forza derivata da una profonda umanità, dall'essere così diverso eppure così simile a ciò che ogni uomo dovrebbe essere, dal suo essere migliore, come chi era cresciuto in quell'orfanotrofio, dove non c'erano regole perchè talvolta occorre violare le regole per rimediare, ma chi vive in questo modo non ha bisogno di rimediare a niente se non di trasmettere all'esterno questa straordinaria essenza capace di compiere miracoli. L'unica regola è sempre stata quella di fare qualcosa per l'altro, è questo che rende migliori, è questa l'unica regola di cui necessitiamo, e le regole servono a questo, non ad allontanarci dalla vita, dall'umanità, dalle nostre radici. Solo se ci sforziamo ad essere migliori saremo capaci di incontrare persone migliori, di rendere migliore l'ambiente in cui viviamo, o a compiere miracoli avvicinando altri al miglioramento, avvicinandoli in fondo alla vita. Spesso è proprio dalle radici che trarremo le nostre risposte, è proprio alle radici che occorre tornare per capire dove siamo, dove siamo diretti, chi vogliamo essere, sono spesso le stesse radici a renderci migliori.

Un film che consiglio di vedere, quanto prima, a tutti. Sono certa che anche a voi piacerebbe conoscere un posto come quell'orfanotrofio, che trasmette un ineguagliabile scambio di naturale amore, un posto ove il dovere di aiutare l'altro si mischia alle calce delle pareti perchè in assenza di quell'imprescindibile dovere la stessa vita non avrebbe senso. Un film che insegna, che cela una tremenda bellezza in un'ineguagliabile semplicità, che finisce esattamente come aspettavi e speravi, proprio come la piega che la stessa vita dovrebbe prendere, ma che nonostante tutto non può non commuoverti.

Un libro, un film, una canzone, tutto ciò che sa di comunicazione, serve anche a questo: a trarre le risposte che cerchiamo, se siamo fortunati, o forse semplicemente particolarmente attenti.