domenica 20 gennaio 2013

Un posto dove trovare stimoli.

C'è un posto che è la fonte di tutti gli stimoli di cui necessitiamo, molto spesso ignorato, ricercandoli altrove.
Andiamo allora in una libreria pensando che un libro riposto su di uno scaffale possa catturare la nostra attenzione per il suo titolo curioso, o perchè ne conosciamo l'autore o semplicemente perchè qualcheduno ce ne avrà parlato.
Andiamo al supermercato e troveremo in una confezione di yogurt magro la soluzione alla nostra dieta, o in confezioni di dolciumi la soluzione al nostro cattivo umore.
Andiamo in un negozio di scarpe pensando che l'acquisto di quella calzatura in vetrina possa fungere da terapia alla nostra noia, alla nostra stanchezza mentale.
Andiamo in discoteca, in un pub per una birra e qualche ora di svago, cerchiamo in luoghi ed in persone quegli stimoli che dopo qualche tempo si tramuteranno in palliativi, quelli che attenuano il dolore ma che non guariscono. Ricerchiamo all'esterno ciò che invece dovrebbe nascere e maturare dentro di noi, trascurando che siamo proprio noi la miglior medicina. E' il nostro cervello il luogo più giusto in cui trovare stimoli. Lo stimolo è lì che deve essere seminato, innaffiato per crescere, ed una volta maturo abbastanza raccolto con estrema attenzione. E' il nostro cervello che decide se il nostro umore dovrà conformarsi ad un tempo uggioso o ad un cielo sereno, se essere arrabbiati, stanchi, annoiati o allegri e leggeri. E' lì che tutto nasce ed è lì che tutto spesso si consuma. Ma il cervello lo si può gestire contrariamente a quanto si possa credere. 
Possiamo alzarci di buon mattino e rassegnarci ad essere arrabbiati nonostante il cielo sereno, o imporci di essere allegri nonostante il cielo grigio. E' essenzialmente questione di volontà, quella stessa che dovrebbe ogni giorno suggerirci la domanda: "Oggi come vogliamo essere?" e ascoltare i bisogni del cuore che suggeriranno la risposta. 
Ma condividere stimoli è un bisogno umano, è il passo più difficile, perchè saremo costretti ad interrogarci sul dove andare. Dovremo andare esattamente dove il cuore avrà scelto di condurci, in una finta passività che ci vedrà paradossalmente esseri attivi per il semplice fatto di avere avuto il coraggio di ascoltarlo. Ma il nostro cuore dovrà aprirsi, soltanto così riusciremo a condividere i nostri stimoli e a trovare persone altrettanto stimolanti. Dovremmo forse partire dal presupposto che siamo tutti profondamente diversi e che se vogliamo che le persone comincino a capire arrestando le classiche lamentele, dovremmo aprirci, esprimerci nella nostra totale pienezza, senza più nascondere lacrime dietro falsi sorrisi, senza più bistrattare le nostre esigenze celandole dietro frasi da copione che inorgogliscono senza mai soddisfare nè definirci, liberandoci come un soffione trascinato dal vento. Soltanto così forse ti riconoscerai tra la folla e potrai esser scelto da chi avrà desiderio di entrare nel tuo mondo dove non tutti avranno il piacere di entrare, ma qualcuno il coraggio ed il desiderio di restare. 
Farsi delle domande è da persone intelligenti quanto vere, è da persone nella loro costante ricerca di stimoli, persone che a furia di seminare e raccogliere ne hanno fatto una parte fondamentale del proprio essere. Ma le persone stimolanti esistono, basta cercarle, basta aprirsi, perchè sono silenziose, purtroppo è la stupidità ad essere tremendamente rumorosa. 
La felicità non è un diritto, ma una possibilità che va seminata, curata per poi all'occorrenza esser colta, ascoltando il cuore ed aprendo il cervello.


venerdì 18 gennaio 2013

La vita va avanti, comunque.

Ci sono giornate che cominciano con un cielo grigio per poi lasciar spazio a tiepidi raggi di sole, ma nonostante il loro timido filtrare non riescono a riscaldare, nè a rendere meno grigio il cuore la cui tinta sarà sempre più intensa, tra cui poter scorgere venature di nero, quello che non lascia spazio ad alcuna immaginazione. E allora ti rendi conto che la tua giornata è cominciata in questo modo ed è esattamente così che dovrà terminare, semplicemente così, come il 18 gennaio di ogni anno.
Ci sono giornate in cui pensavi di rimanere imbottigliata nel traffico, invece sei stata semplicemente risucchiata da pensieri e ricordi che nella tua mente generano un traffico peggiore delle tante automobili in una strada stretta, perchè è un traffico silenzioso, nessun rumore, nessun clacson assordante, ci sei solo tu, in una strada larghissima di cui non riuscirai a scorgere la fine fin quando non ti scontrerai ad un muro che ti farà capire di esserti immessa in un vicolo cieco.
Ci sono giornate in cui ti soffermi sulla frenesia dei passanti ma tu vorresti restar ferma. Quelle giornate in cui assapori la triste verità di quanto la vita vada avanti comunque, ma ci sono dei giorni, uno, due, tre o anche sette all'anno, in cui avverti l'esigenza di spegnerti, di far correre la vita senza correre con lei, perchè non hai bisogno di accelerare il passo, non adesso, non oggi, ma con il fiatone desideri fermarti, con il groviglio dei pensieri e dei ricordi, forse a farti male, ancora una volta, a tentare di lavare un senso di colpa che credevi rimosso ma che è sempre lì in agguato a farti inciampare, a farti male due volte.
Ci sono giornate in cui sai di avere quel solito appuntamento importante, di quelli che ti fanno salire l'ansia con una settimana di anticipo, quelli che non si rimandano, nè da cui puoi scappare, in qualunque città tu abbia scelto di rifugiarti.
Il 18 gennaio è per tutti una data sul calendario, per me è peggio di un appuntamento dal dentista. 
Un appuntamento con la vita e con la morte al tempo stesso. Un appuntamento che mi rende schiava e debitrice, salva e sconfitta. Un appuntamento con i miei classici sensi di colpa che il tempo non fa altro che cementificare rendendoli sempre più grandi. Un appuntamento che ti vede con un fiore da riporre su una tomba come se oramai soltanto questo fosse rimasto per sentirti meno sporca nonostante a volte ti ci senta il doppio. Un appuntamento che ti costringe a meditare sul perchè di gesti estremi, di gesti che inglobano nella loro pesantezza al contempo una leggerezza inaudita, un'altra faccia della medaglia di questa vita che a qualcuno scoraggia al punto da desiderare di abbandonarla, al punto da essere un gesto coraggioso ma al tempo stesso da vigliacchi. Un appuntamento che ti irrigidisce i muscoli, ti offusca la mente, ti fa mettere nuovamente in discussione la scala dei tuoi valori al punto da pensare che niente attorno a te valga ma per i restanti giorni, per sopravvivere perchè la vita va avanti comunque anche senza di te allora tanto vale correre insieme a lei, dovrai dargli un valore comunque. Un appuntamento in cui ti fai tante domande a cui non riesci a rispondere se non con condizionali del tipo "Avrei potuto ascoltare", quelle frasi che rendono tutti innocenti ma in fondo non meno colpevoli. 
Quelle giornate che non vedi l'ora che finiscano sperando in un domani in cui ricomincerai il tuo conto alla rovescia, in attesa del prossimo 18 gennaio.

mercoledì 16 gennaio 2013

Basterebbe restare.

Che assurda ossessione quella di tornare, quando invece basterebbe semplicemente restare.
E' come se non fossimo più abituati alla semplicità, ai piccoli dettagli che per la loro scarsa cospicuità trascuriamo calpestandoli costantemente, guardando sempre troppo lontano, dimenticando ciò per cui basterebbe abbassare lo sguardo per trovare esattamente ai nostri piedi. E' come se cercassimo costantemente conferme, come se stessimo alla costante ricerca della domanda giusta che richieda la risposta esatta, ma se l'esattezza della domanda non si sposa con quella del momento, se non riusciremo ad indovinare la risposta corretta, è come se avvertissimo dentro di noi una rottura, un crack lancinante che pervade lo stomaco, che ci costringe a lasciar perdere, ad allontanarci prima di spingerci troppo oltre, avendo la presunzione di capire quando sia il momento di andare, quando quello di frenare, dando la definizione di "oltre" a tutto ciò che ci renderebbe fragili, nudi, timorosi, autentici, molto spesso frenando quando sarebbe il tempo di andare o viceversa, frenando ancor più spesso quando oramai siamo giunti a quell'oltre la siepe, oltre l'ignoto, oltre ciò per cui varrebbe in fondo la pena di restare.
Ma spesso la masochistica tendenza di cercare incessantemente senza mai soffermarci sui dettagli e raccoglierli come fiori appena sbocciati che necessitano di essere innaffiati, quella becera tendenza a dover per forza schematizzare, definire e catalogare mettendo punti fermi, esclamativi, interrogativi e virgole, quell'esigenza di dover uscire necessariamente da qualcosa per poter osservare e anche capire ciò che stiamo lasciando andare alle nostre spalle, ci impedisce di assaporare la pienezza, la felicità, la vita stessa. Quando sprechiamo il nostro tempo nella formulazione di domande a cui non troveremo in fondo mai risposte che ci rendano appagati, ci poniamo già fuori da un pezzo di vita ed inevitabilmente anche fuori quelle persone che ne fanno parte in cui basterebbe restar dentro per soddisfare i nostri interrogativi, quell'atto razionale che rischia di farcele perdere, quel rischio che si tramuterà in certezza al nostro temporeggiare.
Allora dovremo perdere quel qualcosa per vincere le nostre paure, per scoprirne il senso, per comprendere di quanto invece sapesse del tutto ciò di cui avevamo bisogno, al punto da rimpiangere di averlo lasciato alle nostre spalle, al punto da far tutto ciò che è in nostro possesso per recuperarlo. Recuperare con estremo sforzo fallendo o talvolta riuscendo nella nostra impresa, recuperare quello che in fondo avevamo già, mancando però della giusta dose di maturità che ce lo facesse capire, di quel pizzico di amor proprio e di rispetto per ciò che la vita non manca mai di offrirci anche quando pensiamo non ci stia offrendo nulla, che forse non ci renderebbe pienamente soddisfatti, ma di certo più gentili, più riconoscenti. 
Passiamo invece una vita ad ossessionarci di dover recuperare quello che abbiamo lasciato sui marciapiedi delle strade della nostra vita, quando invece sarebbe bastato chiudere gli occhi per un sol momento e ascoltare le risposte del cuore, perchè il cuore non tradisce, è sempre esatto anche nelle sue leggerezze, non offre mai spazio ai rimpianti, ci impedirebbe di lasciare, ci costringerebbe a restare perchè ci vuole pieni, felici, stracolmi di quella vita che spesso il cervello vuole che calpestiamo per ciò che si è soliti chiamare dovere, orgoglio, tiepida rassegnazione alle vicissitudini.
Chi ha avuto quel qualcosa che non ha avuto la maturità di definire come tutto, lasciandolo per questo andare, non godendone abbastanza, maturando solo in seguito l'ansia di volerlo recuperare a tutti i costi, si riconosce tra mille. Perchè chi ha avuto tutto non riesce ad accontentarsi di molto e rimarrà inerme, dall'alto del suo piedistallo, ad attendere, a temere che forse nessun altro sia in grado di riscaldare il cuore, che nessun altro abbia voglia di quel fresco venticello all'atto dello sventolamento del cuore. Avrà timore di non sentire più niente.
Perchè i suoi occhi saranno lucidi e spenti, passando da persona in persona, custodendo quel noi perso come modello da ricercare, da emulare senza mai riuscirci. Il suo volto sarà pallido e rassegnato alla visione di quel volto che potrà a tratti essere simile ma mai lo stesso. Le sue labbra saranno sempre pronte ad esser baciate, il suo corpo sarà probabilmente denudato, ma avvertirà un sapore più amaro o forse più acre quando quelle labbra simili ma diverse si avvicineranno alle sue, non annegherà più in nessuna anima incrociata, non lascerà in fondo che nessuno riesca a perforare la propria. Vedrà in un "ti amo" la più bugiarda delle verità o la più veritiera menzogna. Non crederà più in nessuna delle parole pronunciate da qualcuno che vorrebbe vederla accanto come un fiore appena sbocciato perchè si sentirà sempre un ramo secco, uno stelo strappato. Quegli abbracci crudi e violenti non emaneranno alcun calore, ma solo un gelido freddo invernale, di quelli che sono il preludio di incessanti nevicate.
Si vorrebbe in fondo tornare a lì ed allora, a quelle labbra dal dolce sapore, a quell'anima che abbaglia prima di conoscere le smorfie del volto, la sinuosità del corpo, la tenerezza delle movenze. Tornare a delle gote di un roseo vivace, ad annegare silenziosamente senza difese in quell'anima lasciando che l'altro faccia lo stesso, perchè è solo quel ti amo che si aspetta, saranno soltanto quelle braccia in grado di accalorarci, solo quel respiro si vorrà ascoltare.
Ma perchè abbiamo bisogno di perdere tutto questo per capire in fondo di desiderarlo come quel qualcosa che in fondo ci completa? Perchè siamo poco abituati alla grandezza dei dettagli, a prenderci cura dei nostri gioielli reclamandone la proprietà solo quando ne saremo stati derubati, convinti di non aver bisogno di alcunché erroneamente perchè il bisogno di amore è profondamente umano, appartiene a chiunque, nessuno escluso. Non è il bisogno dei fragili, ma l'indole di chi si palesa nella sua umana natura, facendone il più autentico punto di forza. Perchè siamo anime predisposte all'eterna insoddisfazione, sempre alla ricerca di qualcosa ma se ci chiedessero cosa stiamo cercando sapremo dare solo risposte vaghe, come se cercassimo senza mai volutamente trovare.
Perchè è più facile lasciare andare, ma più rischioso, coraggioso, umano, l'atto del restare.
Rischiamo sempre troppo poco, non siamo mai coraggiosi quanto basta, ci allontaniamo dalle mille sfumature di un essere umano, dalla possibilità di cogliere la felicità, di calpestare fili soffici di erba e non più quel ruvido asfalto che ci massacra i piedi, chiamando paura ciò che andrebbe invece definito come bisogno. 
Vorremmo recuperare quell'umanità che ci appartiene soltanto dopo, solo dopo averla persa.
Ma non basterebbe forse restare?

martedì 15 gennaio 2013

Dall' Oriente con amore.


E' opportuno procedere con una premessa.

1. Ogni riferimento a persone, cose e circostanze non è puramente casuale.
2. Chi si sentirà menzionato dovrebbe, per coscienza, controllare se è in possesso del permesso di soggiorno.
3. Esistono più clandestini di quanto possiate immaginare.
4. Redimersi non è mai troppo tardi, bruciare il Corano in Italia non costituisce reato.
5. In caso contrario si incorre nel rischio di espulsione e ritorno ai Paesi natii dei continenti dell'Asia e dell'Africa.
6. Non ditemi che non vi avevo avvisato.
7. Ciò che sto per scrivere non è sottotitolato alla pagina 777 del televideo, per l'assurdità dei contenuti che sembreranno fantascientifici ma mai così reali.
8. Tratto da storie vere.

La religione musulmana dilaga prepotentemente nel nostro Paese, inculcandosi soprattutto in quelle mentalità che sanno del provincialismo più reietto. Il Corano non sarà il testo più letto, ma di certo quello più osservato specialmente da alcune coppie che chiamarle tali rappresenta una mortificazione perchè una coppia è un uomo e una donna, in alcuni casi saremo invece dinanzi ad un giullare del circo e la sua scimmia ammaestrata, quelle coppie che ci inducono costantemente ad un solo interrogativo: "Sono stato catapultato attraverso una macchina del tempo nel 1700 senza saperlo o sono stato sedato e portato privo di coscienza in un villaggio africano?" Mi spiace, ma siete nel 2013. Siete proprio in Italia. Siete in Occidente, eppure esistono ancora quelle che definisco "coppie musulmane" operando un'estremizzazione in quanto lo saranno pur senza rispettare il periodo del Ramadan, donne che pur non indossando il burka vengono trattate come tali dai propri uomini, uomini che si impongono e donne che glielo lasciano fare annegando la loro personalità in una tazza di latte in cui il proprio uomo inzupperà le pagine del Corano.
Ho sempre ascoltato racconti o assistito con una sottile ironia pirandelliana a scene tragicomiche di questo tipo senza mai essere la diretta interessata, per fortuna. Perchè in fondo la scimmia ammaestrata non la so fare né ho mai voluto farla, i giullari li detesto, credo nell'integrazione ma molto più nella rivendicazione del ruolo della donna, nella parità che non significa sopraffazione, nella libertà che non significa aver scarso rispetto per l'altro ma averne così tanto al punto di fidarsi, al punto di non irrompere prepotentemente in una vita come un avviso di garanzia, amare senza la pretesa di possedere, vivere con dignità e lasciare che anche l'altro lo faccia, per sé, per l'altro, per la coppia.
Coppie di questo genere utilizzano di rado espressioni affermative, quasi sempre invece negazioni. I loro verbi preferiti sono il "potere" ed il "dovere", vivono in una simbiosi imbarazzante con un'incredibile forza annientatrice, che si annida nel cervello al punto da farlo scomparire, al punto che ci troveremo di fronte a non più due cervelli ma uno soltanto, se siamo fortunati, perchè spesso, andando avanti, anche quello sarà disintegrato e rimarranno solo le poche briciole rosicchiate dai criceti.
Ma in una "coppia musulmana" che si rispetti, cosa gli uomini POSSONO pretendere, e cosa le donne invece NON POSSONO fare?

1. Non si possono avere amiche single. Tutte le amiche single non saranno solo single, ma delle incredibili bagasce perchè se sono single significa che nessun uomo le avrà volute al loro fianco.

Magari la ragazza vorrà prendere un caffè in compagnia delle sue amiche. Non potrà farlo. Il Corano non lo annovera fra le possibilità. Se deciderà di contravvenire alle regole, sarà spiata a vista, dovrà sorbirsi un interrogatorio che durerà più del periodo del Ramadan, 350 telefonate e 413 messaggi per un caffè che ingerisci in meno di un minuto. Una pressione psicologica tale da indurre la ragazza a pensare: "No grazie, il caffè non lo voglio più. Mi rende nervosa!"
Ho sentito addirittura di persone che al mare non possono andare se non in compagnia del proprio ragazzo. Povero ragazzo, che figura ci fa se si sapesse in giro che la propria donna va al mare svestita, in costume, ma stiamo scherzando?
D'altronde in Oriente ...

2. Le donne devono indossare il burka. Niente minigonna occidentale, niente trucco eccessivo, il corpo di una donna potrà vederlo solo il proprio uomo.

Che state dicendo, che volete andare a ballare senza il vostro fidanzato che magari non avrà voglia o è fuori per lavoro? Secondo me rischiereste la ghigliottina, come la regina Maria Antonietta. Le cortigiane di basso borgo vanno a ballare, quelle si possono divertire in luoghi come le discoteche dove si va per rimorchiare, ma voi, dico, voi che ci andate a fare? Siete fidanzate con l'uomo di Neanderthal, lo dice stesso la parola << non-vi-potete-divertire-fate-andare-le-vostre-amiche-single-e-quindi-bagasce-sempre-che-ce-le-abbiate-ancora-ma-dubito>>. Imparate l'italiano, cavolo!

In palestra?Insieme. In vacanza?Insieme. Che state dicendo, che una vostra amica si è trasferita all'estero e vorreste andarla a trovare ma il vostro uomo in quel periodo non può? Non si va. Non chiedetelo nemmeno. Quando poi l'uomo-di-neanderthal si sarà liberato, organizzerà un viaggio, con la compagnia dei suoi amici papponi che vi sarete convinti di amare soltanto perchè l'omicidio in Italia costituisce reato, magari ad Amsterdam, e ve lo farà sapere con una settimana di anticipo. Ma voi, che siete donne devote esclamerete: "Amore vai, sei stato così leale nell'avermi avvisato con così tanto anticipo. Non ti preoccupare, io resto qui ad aspettarti, a casa, non metterò nemmeno il naso fuori al balcone, sono una ragazza seria, mica come le mie amiche SINGOL!"

Il cellulare? Va controllato almeno una volta al mese.
Non è previsto che tu abbia potuto avere, in una vita precedente, un ex o una ex. Se il caso vi farà incrociare dovrete far finta di niente, dovrete abbassare il capo senza salutare civilmente perchè se lo farete sarete destinati alla sedia elettrica, almeno così sarete destinati comunque soltanto ad un periodo successivo di forti tensioni e ripensamenti sul se e chi ha guardato prima chi, della durata pari al periodo del Ramadan, sempre.
Facebook? I più moderni ce l'hanno, ma "amore siamo una cosa sola, anche su facebook". Da qui è nato lo scempio di accounts comuni del tipo "Lello&Luisa", "Nico&Stefania", "Eufemia&Geronimo", alcuni ci mettono anche un cuoricino, non sia mai che gli altri capissero che non sono fidanzati ma semplicemente fratello e sorella?

Che stai dicendo, che la tua amica che vive altrove torna a casa per il weekend e vorrebbe trascorrere una serata in tua compagnia? Rischieresti la fucilazione. Il weekend è OFF-LIMITS, e purtroppo a quanto pare non soltanto quello.

Adesso vi chiederete, cosa succederebbe se si lasciassero? Ecco, il bello viene proprio adesso.
Perchè si passa dalla clausura al libertinaggio più sfrenato, che poco a che vedere con la libertà da me all'inizio citata, ma sa più di finzione, di carta pesta, di burka bruciati nel fuoco come se la vita precedente non fosse stata mai vissuta. E forse sì, perchè queste donne, ma anche questi uomini che dopo una rottura di ammalano costantemente della sindrome da collezionismo volendo emulare John Travolta in Grease pur assomigliando nelle goffe movenze molto più a Mr Bean, non vivono mai ma dipendono sempre da qualcuno o qualcosa, ragion per cui i semi della libertà genuina e profonda, quella silenziosa e non per forza sfrenata, non riusciranno mai a piantarli. Sono un po' come gli "orientali" che giungono in Occidente pensando di trovare donne nude per strada, coppie che scopano come conigli sui marciapiedi, uomini tatuati dalla testa ai piedi, perchè in fondo si tratta della patria della droga, del sesso e del rock and roll. Passano in fondo da un estremo all'altro senza mai smettere di essere ridicoli, goffi, tristi.

Onestamente questa religione non fa per me. Preferisco l'agnosticismo o a limite lo zen.

Ma una cosa ve lo vorrei chiedere, per curiosità: " Il permesso di soggiorno, quello almeno, ce l'avete? "

Ecco. Lo sapevo. Contrariamente alle mie ideologie devo dare ragione ai leghisti: in Italia sono tutti clandestini. Cominciamo allora a bucare anche i gommoni!

domenica 13 gennaio 2013

Le regole della casa del sidro.

Cosa fate quando siete particolarmente pensierosi?
Io spesso preferisco sedermi in poltrona, preparami una tazza di thea e guardare un film.
Molto spesso finisco tra una valanga di fazzoletti, e quando sono particolarmente bagnati, all'occorrenza, utilizzo anche i cuscini per asciugarmi le lacrime. Ma se sono fortunata riesco a trarre le risposte ai miei pensieri in una geniale ripetizione di suoni, in quella incessante concatenazione di immagini che raccontano storie, che trasmettono esempi, che divulgano messaggi, che hanno poco a che fare con l'inverosimile, molto più attinenti invece alla vita vera.
L'ultima volta mi sono seduta in poltrona e sono stata per due ore con gli occhi che ogni tanto divenivano umidi a vedere "Le regole della casa del sidro", un film del 1999. Racconta della storia di un giovane infermiere, Homer, cresciuto in un orfanotrofio sotto la tutela di un medico convinto abortista, il dottor Larch. Quel luogo per tutti coloro che ci vivono rappresenta un'isola incantata, una campana di vetro che tiene tutti lontano dal dolore, dalle amarezze, dai pericoli, tiene tutti distanti dal cinismo della vita, ove l'unico motto è rendersi utile, fare qualcosa per l'altro. Homer, nonostante sia un adulto, nutre la stessa freschezza, genuinità d'animo, lo stesso disincanto di un bambino. Ma un giorno arriva in orfanotrofio una coppia benestante, un uomo ed una donna che chiedono un aborto. Dopo l'operazione, una volta che la donna si è rimessa, Homer decide di unirsi a loro, di lasciare quell'ambiente ovattato che sino ad allora lo aveva visto crescere, per darsi finalmente alla vita, per vedere l'oceano che non aveva mai visto, per vedere un'aragosta di cui non conosceva nemmeno le sembianze. Si dedicherà alla raccolta delle mele, mansione ottenuta dal marito della donna che poco dopo parte per la guerra, credendo di lasciare sua moglie in ottime mani. Ma a quella vita Homer non era pronto, le regole dell'orfanotrofio erano troppo sane, troppo pure, troppo poco reali per combaciare con quella vita spesso cruda e violenta. Allora Homer le dovrà imparare, da solo, ogni giorno, per sentirsi uno di loro, per sentirsi uno che come il resto del mondo trascura la volontà di essere utile per qualcosa, l'esigenza di far qualcosa per l'altro. Scoprirà l'amore per quella donna che alla notizia del ritorno del marito, tornato paralizzato, abbandonerà Homer, affermando di averlo amato nonostante sappiano bene entrambi che non è stato così. Lui l'ha amata, lei aveva soltanto bisogno di qualcuno che le stesse accanto, per timore di restar sola. Ciò che accade in questa vita, violenta, cruda ed oltremodo vera, ma non sotto quella campana di vetro, non dove si respira gioia e freschezza nonostante il triste destino di quei bambini che forse non troveranno mai una casa, in quell'orfanotrofio dove non c'è bisogno, nè desiderio, nè esigenza, ma lo scambio di calore, di amore, il voler fare sempre qualcosa per l'altro è naturale, loro in fondo sono nati esattamente così, ed in questo stato ci sono restati, per un tragico scherzo del destino, o per fortuna, perchè sono riusciti a mantenere quella che è l'essenza di ogni essere umano, quella che si perde per colpa della meschinità delle vicissitudini, ma che dovremmo esser più attenti a preservare. C'è un bambino che teme di non essere mai adottato, ma Homer gli ripete sempre che è il migliore, ed i migliori devono attendere persone eccezionali, non si danno via così. In quel luogo tutti sono migliori. Tutti lo sono perchè sanno ridere, sanno gioire dei dettagli, di un libro che gli viene letto la sera prima di addormentarsi, della frase rituale prima di spegnere le luci "Buonanotte principi del Main, buonanotte re della nuova Inghilterra". Tutti lo sono anche perchè sono capaci di piangere, di esclamare a gran voce "Non andare via", ma anche di lasciare che un dignitoso silenzio si renda lo scenario di quell'ingestibile dolore provocato dal dover lasciare andare. Tutti lo sono anche perchè si dilaniano a causa di un allontanamento che provoca una mancanza simile ad una profonda voragine sino a morire, come il dottor Larch, morto per una mancanza troppo profonda da poter contenere a lungo. Morto per quel troppo amore che lo aveva spinto a far credere ad Homer di avere una malformazione al cuore, per tenerlo lontano dalla guerra, per tenerlo in fondo accanto a lui. Un amore così in quella vita reale cui Homer si era voluto affacciare per conoscere il mondo non c'era. Perchè l'amore dilania ed il timore di perdere qualcuno considerato come un nostro "prodotto", un "figlio", come Homer per il dottor Larch, ogni giorno ci ferisce e a poco a poco ci uccide. In quella vita reale c'è invece una cinica assuefazione alla violenza, alla crudezza, alla menzogna, c'è il sostenere di doversi abituare a mancanze perchè è così che la vita ci vuole: freddi, spenti, senza emozioni nè lacrime. In quella vita c'è un lasciare andare senza mai pensare di chiedere se si preferisce invece restare, c'è un gettare prepotentemente in  faccia scomode verità in virtù di quell'amore tanto osannato. Ma forse per il troppo amore si è anche in grado di mentire, semplicemente perchè quella potrebbe essere l'unica strada di non perdere qualcuno che poi perderemo forse lo stesso, ma quanto meno avremo avuto la possibilità di tenerlo in vita, al sicuro, al caldo. Quando si ama forse basta questo, e forse questa è tra le bugie la più bella delle verità, è forse la menzogna più sincera, il manifesto del più naturale dei sentimenti. In quella vita vera, in quella "casa del sidro" qualcuno alla fine l'ha capito. Un operaio che molestava la figlia credendo così paradossalmente di proteggerla, quella figlia che poi, dopo aver abortito grazie l'ausilio di Homer, dopo la redenzione paterna, decide di scappare nel cuore della notte. Il padre quella volta non voleva fermarla, aveva capito, solo dopo i suoi innumerevoli sbagli, proprio come accade nella "vita vera", che era giunto il tempo di lasciarla andare, ma prima avrebbe voluto soltanto toccarla, per l'ultima volta. Perchè in fondo quando qualcuno decide di andare il nostro timore è di non poter più palpare quell'epidermide, è quello che manca, altrimenti il dolore per una mancanza non avrebbe alcun senso se riuscissimo ad incamerare tutto lì, in quella soffice scatola dei ricordi. Ma lei non l'aveva capito e allora lo colpisce con un pugnale. Ma prima di spegnersi quell'uomo dirà ad Homer di dire alla polizia che si è ucciso perchè triste al pensiero di non poter rivedere più sua figlia, in modo da non crearle alcun problema. Homer avrà forse assorbito tanti insegnamenti affacciandosi a quel mondo, ma lì, ai piedi del letto, stava forse realizzando un miracolo: il ritorno all'essenza, alla protezione dell'altro, al desiderio di morire perchè senza l'amore più grande della vita non si riuscirebbe comunque a vivere. Ma la vita reale è meschina, e te lo fa capire soltanto dopo esser scivolati nel fango, perchè, come dirà quell'uomo in fin di vita "talvolta occorre violare le regole per rimediare". A quali regole si riferiva? A quelle che crediamo ci assicurino una degna sopravvivenza, ma che in effetti dalla vita ci allontanano: un possesso che confondiamo con l'amore, uno scrollarci di dosso scomode verità per sentirci meno colpevoli fatto spesso passare per sincerità, la più meschina e la più vigliacca che poco sa di verità; un abituarsi in fretta a mancanze provvedendo a celeri sostituzioni invece di lasciare che lacrime solchino il viso, che il silenzio nella sua dignità prenda il sopravvento, di arrenderci al pensiero che qualcuno sia andato via solo quando siamo certi di aver fatto tutto ciò che era in nostro potere per trattenerlo, e non per possesso, ma per amore, per quel bisogno naturale di avere accanto chi andandosene via potrebbe procurare un dolore insostenibile, perchè sì una mancanza dilania, ferisce, uccide se è troppo profonda. Ma possiamo rimediare violando queste regole congetturali ed ipocrite, sprigionando un'incredibile energia che sa di libero amore che vuol fermarti ma che al contempo ti lascia andare, sperando presto in un ritorno.
Ed infatti Homer alla fine ritorna. Ritorna in quell'orfanotrofio a fare il dottore pur essendo un infermiere, perchè nonostante non avesse i titoli richiesti di quella professione conosceva ogni cosa. Perchè un titolo non fa di te necessariamente chi desideravi diventare. Chi vuoi essere spesso lo decide il tuo cuore, ponendoti di fronte scelte che non potrai ignorare, quella scelta che illuminerà il tuo tragitto come un faro, rendendoti libero, vicino al cuore, dentro la vita. Ritorna dai sorrisi raggianti di quei bambini, in quell'ambiente così magico, puro e disincantato. Alcuni penseranno che alla fine torna perchè oramai dalla vita aveva appreso tutto ed era pronto ad insegnare ciò che aveva imparato anche a loro. Ma forse non è proprio così. Forse Homer ha avvertito semplicemente il bisogno di ritornare alle origini, di tornare alle sue radici che lo avevano reso forse non abbastanza cinico per superare all'inizio le vicissitudini di quella vita cruda e violenta, ma paradossalmente forte, una forza derivata da una profonda umanità, dall'essere così diverso eppure così simile a ciò che ogni uomo dovrebbe essere, dal suo essere migliore, come chi era cresciuto in quell'orfanotrofio, dove non c'erano regole perchè talvolta occorre violare le regole per rimediare, ma chi vive in questo modo non ha bisogno di rimediare a niente se non di trasmettere all'esterno questa straordinaria essenza capace di compiere miracoli. L'unica regola è sempre stata quella di fare qualcosa per l'altro, è questo che rende migliori, è questa l'unica regola di cui necessitiamo, e le regole servono a questo, non ad allontanarci dalla vita, dall'umanità, dalle nostre radici. Solo se ci sforziamo ad essere migliori saremo capaci di incontrare persone migliori, di rendere migliore l'ambiente in cui viviamo, o a compiere miracoli avvicinando altri al miglioramento, avvicinandoli in fondo alla vita. Spesso è proprio dalle radici che trarremo le nostre risposte, è proprio alle radici che occorre tornare per capire dove siamo, dove siamo diretti, chi vogliamo essere, sono spesso le stesse radici a renderci migliori.

Un film che consiglio di vedere, quanto prima, a tutti. Sono certa che anche a voi piacerebbe conoscere un posto come quell'orfanotrofio, che trasmette un ineguagliabile scambio di naturale amore, un posto ove il dovere di aiutare l'altro si mischia alle calce delle pareti perchè in assenza di quell'imprescindibile dovere la stessa vita non avrebbe senso. Un film che insegna, che cela una tremenda bellezza in un'ineguagliabile semplicità, che finisce esattamente come aspettavi e speravi, proprio come la piega che la stessa vita dovrebbe prendere, ma che nonostante tutto non può non commuoverti.

Un libro, un film, una canzone, tutto ciò che sa di comunicazione, serve anche a questo: a trarre le risposte che cerchiamo, se siamo fortunati, o forse semplicemente particolarmente attenti.

venerdì 11 gennaio 2013

Si chiude una porta, si apre un portone.

Di fronte a grandi o piccole sventure quotidiane recito spesso tra me e me il detto "Si chiude una porta, si aprirà un portone", quasi come se volessi darmi la carica, per non smettere di sperare di alzare gli occhi al cielo e di intravedere un giorno un arcobaleno che prepotentemente si ritaglia uno spazio tra le nuvole grigie come la cenere che hanno mandato giù schizzi di pioggia che hanno bagnato l'asfalto sino ad impedire la visibilità dei marciapiedi, delle strade, delle albe e dei tramonti.
Ho aperto e chiuso così tante porte al punto da diventarne un'esperta, al punto da credere che in fondo sapessi fare soltanto questo, aprire e chiudere senza mai varcare però l' uscio della porta, restando poco o per niente. Tante altre volte pensavo di averla aperta rendendomi conto soltanto in seguito che in realtà quella porta non era mai stata spalancata del tutto bensì socchiusa, ancora altre la spalancavo ma dietro di me c'era sempre qualcuno che non mi permetteva di varcare l'uscio e che con indicibile arroganza me la chiudeva in faccia, costringendomi a vagare alla ricerca di altre porte da aprire. Ogni volta che dietro di me una porta si chiudeva ho sempre creduto che fosse arrivato il momento di aprire il portone, tramutatosi regolarmente in una porta ancora più piccola di quella chiusa precedentemente, in un cancello che non poteva essere scavalcato, talvolta ho avuto addirittura l'impressione di essermi imbattuta in una cuccia per cani. Credo di aver aperto e chiuso innumerevoli cancelli, porte di media grandezza, porte piccole e strette, talvolta nell'attesa mi sono fatta andar bene anche delle strettissime cucce per cani, ma non credo che i portoni mi siano mancati, solo che sono durati sempre quanto basta per un breve assaggio, i bocconi più prelibati che abbia mai ingerito, per poi essere costretta a chiuderli alle mie spalle per dovere, per esigenza o per amor proprio, o essere costretta a vederli chiusi da qualcun'altro al mio posto che forse credeva che quel portone era troppo grande o addirittura ancora troppo piccolo per me, nonostante in fondo nessuno glielo avesse ordinato. Il problema è che in realtà è proprio con le persone che non riesco ad indovinare mai la chiave giusta per aprire la porta. Talvolta ho voluto aprire porte a chi sembrava entusiasta di entrare, a chi si è accomodato per consumare il pasto, ha chiesto il conto e poi come un turista passato lì per caso è andato via chiudendo la porta alle sue spalle, talvolta senza lasciare una mancia, senza salutare, senza lasciare alcun messaggio. In effetti mi sono convinta di non pretendere mai niente di tutto questo, ma mentirei se dicessi di non aver mai sperato che qualcuno diventasse un cliente abituale, che in fondo qualcuno non si limitasse a complimentarsi del buon cibo gustato ma che decidesse di restare. 
Le persone invece mi hanno deluso parecchie volte, hanno spesso mentito palesandosi nella loro cruda e meschina essenza che non credevo potessero avere, assumendo atteggiamenti di indifferenza e di distacco indicibile che non sono riuscita a comprendere. Ma credo di aver deluso e mentito anche io, non così tante volte, ma qualche volta forse l'ho fatto anch'io. Perchè la verità è che quasi sempre cerchiamo negli altri l'alibi per discolparci, cominciamo la frase con "le persone", ma non siamo forse persone anche noi, io che scrivo e voi che ritrovando un po' di voi stessi in ciò che sto scrivendo state avvalorando la mia posizione?
Riesco in fondo a spiegare solo in questo modo i comportamenti deludenti, il chiudere porte poco dopo averle aperte, il non trovare mai la chiave giusta, riesco a dare una spiegazione a tutto questo solo convincendomi del fatto che la vita sia un ciclo e così tutto ciò che ne fa parte. Allora mentre diremo che qualcuno ci delude saremo forse noi l'oggetto della delusione di qualcun'altro senza nemmeno accorgercene, mentre qualcuno sarà l'oggetto dei nostri desideri proibiti lo saremo al contempo anche noi per qualcun'altro, mentre ci vedremo sbattere porte in faccia senza aver avuto nemmeno il tempo necessario per varcarne l'uscio staremo intanto forse chiudendo in faccia la porta a qualcuno, nonostante l'assurda convinzione di essere sempre e soltanto noi le vittime e mai i carnefici. Non lo so, forse questa risoluzione risolleva il morale, o forse questo tentativo di comprendere sempre tutto è sbagliato, perchè in fondo se la vita ed in particolare le persone potessero essere in qualche modo "spiegate", ognuno ci darebbe la possibilità di farlo, di aprire la porta con la chiave giusta, o a limite ci offrirebbe un libretto illustrativo per evitare gli effetti collaterali, che ho il talento di non aver mai evitato.
Un portone ove ripararmi dalle intemperie, di quelli che ti consentono di restare, di quelli imponenti e decorati, così belli da restare incantati, non sono riuscita ancora a scovarlo, non so nemmeno se esiste in realtà, non so se il destino me lo abbia riservato.Ma in effetti non ho mai temuto l'azione dell'aprire e chiudere porte, che talvolta ho chiuso piano per non far rumore, altre volte le ho sbattute per provocare volutamente un gran clamore. Non temo di non trovare il portone tanto desiderato al punto da essere in grado di superarlo e di restarci, ma temo molto di più che il mio incessante vagare alla ricerca di qualcosa di cui non conosco nemmeno la certa esistenza si tramuti in noia, in stanchezza, in disillusione, al punto di esser così stufa di vagare, di aprire porte che sai di dover presto chiudere, da non volerlo più fare, al punto di pensare che forse questo vagare non troverà mai un'unica grande meta. E' questo che temo più del continuare ad aprirmi e a richiudermi, forse il prezzo del non accontentarsi di guardare il mondo restando seduta sull'altalena legata al lampadario della tua stanza. Talvolta è avvilente anche l'ostinato tentativo di dover comprendere a tutti i costi, come se si stessero cercando colpevoli che nemmeno esistono.

mercoledì 9 gennaio 2013

Sei un degno utente di facebook se ...

3...2...1... Ready!
Sei su facebook! Gli americani ci sono riusciti anche stavolta ad inserire nel tuo linguaggio l'ennesimo termine americano la cui traduzione in italiano significherebbe "faccialibro", ossia "Una cagata pazzesca" per dirla alla Fantozzi, un po' come l' hot dog che evitiamo di tradurre per non pensare di mangiare un "cane bollente", "chattare", "spam", "post-it", "hotel", per non parlare del "bed and breakfast" che suona meglio dell'ospedaliero "letto e colazione", o del termine "single" che fa più figo del termine tradotto in italiano "solo", dietro il quale potrebbe nascondersi un "sono stata mollata per un'altra", "il mio ex ha scoperto di essere gay", "sono sfigata perchè incontro sempre uomini sbagliati", perchè oggi in fondo tutti temono la solitudine, nessuno vuol essere solo, ma tutti vogliono stranamente essere "single". Che paradossale contraddizione, eppure si tratta di termini, di definizioni, una questione per così dire, di "traduzioni". Quasi come se la lingua italiana dovesse fare un passo indietro, lasciar spazio a nuove terminologie, essere all'avanguardia rispetto la conclamata "globalizzazione", venendo mal visti quando sbagliamo la pronuncia dei termini di nuova importazione, mentre invece George Clooney è stato strapagato per ripetere "Immagina, puoi!" nonostante appaia come un balbuziente. Data questa breve premessa, vorrei però soffermarmi su questo fantastico social network che è facebook (altrimenti denominato faccialibro a dispetto di tutti gli anglosassoni), una delle più incredibili innovazioni della nostra era. Ma in Italia (parlo della mia Nazione perchè purtroppo o per fortuna non sono in grado di consultare anche le piattaforme internazionali) quando puoi dire di essere un degno utente di facebook, degno perchè riceverai un minimo di 30 mi piace agli status o tra i 40 e 60 mi piace alle tue fotografie?
Sei un degno utente di facebook se citerai Bukowski, Fabio Volo, Alda Merini, Marilyn Monroe, Oriana Fallaci, pur non avendo mai letto un loro libro, ma scoprendone l'esistenza attraverso citazioni pubblicate da altri amici di facebook che desidererai emulare con un rapidio "copia ed incolla" perchè vorrai essere degno anche tu di entrare a far parte di questa congrega di finti intellettuali, perchè se riuscirai ad ottenere almeno 30 mi piace ti convincerai di piacere e di essere in gamba. Sarai un degno utente se tu donna scriverai frasi sul vero amore e su quanto sia complicata la ricerca del principe azzurro dopo aver fatto conoscere il tuo corpo all'intero reame, cavalli compresi. Sarai un degno utente se tu uomo scriverai quanto sia difficile trovare una ragazza seria e con degli stimabili contenuti se continuerai a mettere al tuo fianco delle notorie bagasce. Sarai un degno utente se avrai famiglie allargate, contando due madri, tre padri, quattrordici sorelle, dieci fratelli, otto cugini, a limite anche una zia ed un nonno.
Ti convincerai di essere intelligente però solo quando scriverai frasi che verteranno sulla politica italiana nonostante tu non abbia mai ascoltato un telegiornale, abbozzando frasi del tipo "Il Governo fa schifo, mandiamo tutti a casa, tagliate gli stipendi ai parlamentari invece di aumentare le tasse", tutti salvatori della patria, in effetti non capisco perchè Monti non li abbia chiamati al suo fianco per risolvere la crisi economica.
Vogliamo poi parlare di questa invadenza nel voler conoscere la tua "situazione sentimentale" a tutti i costi? Vogliamo parlare di quello scostante "impegnato" optato dagli uomini e del "fidanzata ufficialmente" cui tendono invece le donne? Così facendo gli uomini subiranno la sindrome da "incatastamento", le donne si sentiranno messe da parte. Questo provocherà litigi e fraintendimenti nell'attesa che uno dei due possa cedere, o nei casi più estremi delle vere proprie rotture che saranno ufficializzate da una modifica al tuo stato sentimentale: Anastasia è passata da fidanzata ufficialmente a single. Trenta mi piace, ventiquattro commenti, tra cui l'estraneo di turno che inopportunamente scriverà quel banale "Ma che dici?Come mai?Vedrai che tutto si aggiusta". 
In effetti Mark avrebbe potuto risolvere il problema con la via intermedia del "fidanzato ufficiosamente", così da gettare un po' di fumo negli occhi alle donne, e garantire sogni tranquilli ad uomini timorosi.
Per non parlare delle coppie che decidono di iscriversi su facebook con un unico account, creando inverosimili profili con nomi e cognomi tutti attaccati tipo LinaDiGirolamo&EspositoStefano, con annesse foto profilo e foto di copertina con loro che si baciano fingendo passionalità mentre al momento dello scatto magari l'uno diceva all'altro "Amò, mi fa male il braccio, facciamo presto, dai va bene questa!" "Ma no amò che dici? Sto male, scattiamone un'altra", tutte rigorosamente ad occhi chiusi, di profilo, mentre le loro labbra si toccheranno. Si scambieranno in bacheca frasi che potrebbero scambiarsi anche in privato ma di cui, per essere dei degni utenti, renderanno partecipi anche noi, provocando per i più sensibili una sensazione di rigurgito.
Sei un degno utente di facebook se ti scatterai prima di uscire di casa una fotografia per far conoscere a tutti il tuo abbigliamento, se inserirai la tua posizione anche quando sei al cesso o andrai a dormire nel tuo letto (pensavo dormissi nella cuccia del cane), se ti scatterai foto con l'improponibile boccuccia a culo di bottiglia, che modificherai sino ad apparire una strafiga pazzesca, al punto che certe per strada non riesco a riconoscerle, pensando tra me e me "Ah ma tu sei quella figacciona? Eh beh, scusami tanto se sono una tecnologicamente ritardata e non so usare Photoshop!"
Alla fine Facebook è geniale, fa bene, è bello, ma ciò che è virtuale non significa che sia per forza reale. Credo che nemmeno Mark fosse pronto ad una piattaforma tramutatasi in un addescamento tra uomini e donne incapaci di comunicare in altri modi,ad una piattaforma da molti interpretata come fosse il muro del pianto, a volti, amori, amicizie, intelligenze e capacità propagandate per reali, ma pur sempre e solo virtuali.
Mark l'avrebbe forse evitato, in fondo gli americani temono la concorrenza.