mercoledì 26 dicembre 2012

Ubriacatevi di vita!

Il 31 dicembre quasi allo scadere della mezzanotte che augura il nuovo anno esprimo un desiderio. Generalmente penso a qualcosa che desidero ardentemente sperando che nel nuovo anno possa prendere forma. Lo faccio ogni anno nonostante ciò che ho desiderato non si realizza mai, trovando però per strada nel corso dell'anno cose nuove, cose che non mi aspettavo accadessero, speranze che non nutrivo ad inizio anno, cose che non desideravo ma che hanno poi arricchito la mia vita molto più di quelle che ad inizio anno speravo si realizzassero. Quasi allo scadere del nuovo anno generalmente faccio un bilancio cercando di dare un titolo all'anno che sta per terminare tra il vociare di chi puntualmente afferma che l'anno è volato in un batter d'occhio. Non so se quest'anno sia effettivamente volato come dicono, so solo che è stato ricco, così tanto da non riuscire a dargli un unico titolo, così ricco da pensare a tanti titoli diversi, uno per ogni mese, quasi come fosse un calendario. Gennaio avrà allora questo titolo: "Fare un passo avanti per non avere rimpianti". Per non averne mi sono data solo la possibilità di esprimermi, senza provare vergogna per delle sensazioni che custodivo gelosamente, per ciò che ero in quel dato frangente temporale, un passo avanti che avrebbe portato ad un no o ad un sì, molto meglio di un forse che mi avrebbe soltanto trascinato nel tunnel del rimpianto, che avrebbe solo procrastinato in fondo il momento del "no" che è arrivato comunque, appesantendo in un primo momento quell'ombra del fallimento che ho creduto mi seguisse ogni volta tentassi di instaurare un rapporto personale. Poi ho capito che se almeno ci hai provato non puoi dire di aver fallito, perchè fallisce solo chi non ci ha mai provato, chi prova un'inutile vergogna nell'accingersi a muovere un passo che serve solo a definire ciò che si sente, ciò che si è in un dato momento. Allora febbraio avrà quest'altro titolo: "Ci ho provato, non ci sono riuscita, non ho fallito, ho vinto lo stesso", perchè in fondo non ho perso nulla, ma recuperato una parte di me che se fosse rimasta nascosta avrebbe vissuto in un insoddisfacente rimpianto. I rapporti falliscono, alcuni non riescono nemmeno a decollare, ma noi no. Se abbiamo dato voce al nostro io interiore abbiamo preso il volo comunque, abbiamo vinto al di là del risultato che spesso può non dar merito al nostro palesarci. Il mese del mio compleanno è sempre stranamente confuso. Forse perchè sapere di compiere gli anni mi incute una strana sensazione di ansia, quasi come se temessi di crescere. Ma per quest'anno lo intitolerei "E' solo un anno in più, ma le esperienze sono state ancor di più". Non ho creduto che compiere 23 anni fosse sintomo di maggiore saggezza o maturità. Forse le posseggo nonostante la mia famiglia sia sempre dietro l'angolo a ricordarmi il contrario, forse queste doti non mi appartengono, probabilmente nemmeno le desidero. Ho avvertito soltanto la sensazione di essere diventata più umana rispetto l'anno precedente, ecco perchè forse il mese di marzo merita un secondo titolo: "Umanità". Ad aprile mi sono sentita stranamente leggera, il suo titolo inevitabilmente sarà : "Libertà, scoperte, viaggi ". Una sensazione quest'ultima che ha dato il titolo al mese di maggio, che intitolerei appunto "Leggerezza". Una leggerezza che a giugno mi ha trascinato in qualcosa di sorprendentemente inaspettato, a cui darei il titolo "Apri il cuore, provaci ancora". E' come se dopo quasi sei mesi la vita mi mettesse ancora una volta alla prova, nonostante la diversità delle circostanze. Mi sono tuffata, ho vinto le paure, ho idealizzato qualcosa che in realtà non c'era, ho sperimentato circostanze che da tanto non provavo, non cercavo, nè forse desideravo. Ci ho provato, non ci sono riuscita, di nuovo. Per giorni ho avvertito il peso dell'ombra del fallimento, di nuovo, ingiustamente. Ma poi senza alcun rimpianto, con un cuore che attendeva solamente di riempirsi e traboccare di me stessa e non più per volontà di qualcun'altro, ho spiccato il volo, mi sono data la possibilità ricrearmi, di vincere ancora, credendo che quando forse qualcosa va perso si vince sempre qualcosa di molto più forte ed importante. A luglio sono partita per Londra con un biglietto di sola andata ed una valigia non troppo piena che avrei voluto riempire strada facendo, una valigia che effettivamente al ritorno pesava di 60 vite, o di molte di più. Avevo perso, non fallito, capita, ma alla fine avevo anche stravinto, così tanto che i mesi di luglio agosto e parte di settembre hanno tanti, troppi titoli. Si intitoleranno: basta, ancora, ci provo, mi tuffo, emozioni, perdite, conquiste, scoperte di persone incredibilmente sorprendenti, scoperta di una me stessa che in fondo non è poi così debole, solitudine, divertimento, leggerezza, grasse risate, lacrime, non ce la faccio, ce la posso fare, andrà meglio la prossima volta, speranze, non voglio perdere nessuno, ho perso tutti e me ne infischio, ciò che conta non ci lascia mai, i cervelli vuoti sono sempre quelli che danno più aria alla bocca, lascia che le critiche ti scivolino addosso rendendoti solo più luminosa, il rintocco del Big Ben che ti dice che il tuo cuore ancora batte, un cuore che batte troppo forte, un cuore che può fermarsi ma non sarà mai la fine, io ci sono e basta questo, le anime perdute sono destinate ad incontrarsi, pazzie, nottate che si riempiono di silenzi, parole come versi delle poesie più belle, il lavoro è duro ma tu intanto sei leggera come una piuma, abbracci che riscaldano, persone idiote e persone tremendamente affascinanti, specialità, addii che speri siano arrivederci. Quante vite ci sono in tutti questi titoli? Forse infinite, perchè infinita mi ci sono sentita anch'io quando mi sono tuffata nel tunnel dell'incertezza da sola, recuperando da sola o grazie a qualcuno la certezza di ciò che sono, il destino che per me vorrei costruire, ciò che in fondo da sempre voglio essere ma che tentennavo ad esprimere. I mesi di ottobre e novembre sono stati però incredibilmente pesanti. "Pesantezza, malinconia, nostalgia, senso del dovere" saranno i loro titoli. Ma stavolta aggiungerei un sottotitolo: "nei periodi più bui ascolta il tuo cuore ed assecondalo". Ho assecondato le richieste del cuore che mi diceva di alleggerirlo dal peso del dovere con un velato ma profondo piacere. Questo piacere ha preso il nome di "Flying Swallow", che non è soltanto il titolo di un blog. Flying Swallow è una passione eterna che aspettava di rifiorire come boccioli in primavera, per lungo tempo seppelliti dalla neve di rigidi inverni, è esprimersi nel modo per me più congeniale, è amore, sono in fondo semplicemente io. E me ne accorgo ogni volta che rileggo qualcosa che ho scritto, specchio di uno stato d'animo del momento, di quello che in quel momento mi andava di raccontare parlando talvolta di qualcosa di esteriore, improntato sul mio punto di vista, in grado di racchiudere sempre, in ogni parola anche parte di me. Sembrerà per molti un'assurdità, ma in tanti momenti in cui avrei voluto dire basta, non ce la faccio, sono stanca di tutto è stato proprio questo che mi ha dato la spinta per dire invece ancora, ce la posso fare, sono stanca di tutto ma non posso esserlo di me stessa. Tutto questo mi ha condotto al mese di dicembre con qualche consapevolezza in più su me stessa, con un pizzico di coraggio e profonda volontà senza le quali non avrei finito gli esami, giungendo ad un traguardo in fondo non completamente ultimato, in fondo piccolo, ma per me immenso, perchè è stata la conferma che quando pensi che tutto stia per crollare da un momento all'altro, se tu ci sei, se tu non crolli insieme al resto, sei in grado di reggere anche una montagna che frana. "Traguardo" è il titolo del mese di dicembre. Per la prima volta sono triste che quest'anno sia già quasi terminato, perchè voltandomi mi sono accorta di aver lasciato alle spalle troppa vita, ma al contempo spero di ripercorrere i prossimi dodici mesi che verranno nella stessa maniera, lasciando che sia, cogliendo le possibilità che la vita regala ogni giorno di cui a volte preferiamo ingiustamente farne meno o nemmeno ce ne accorgiamo, sperando di imparare ancora e di avere sempre nuove conferme, sperando di avere ancora una volta numerose ricchissime vite. Ed è questo l'augurio che faccio a tutti voi lettori. E' oltremodo scontato augurare amore, pace e serenità. E' bello ma irreale. La vita può esserlo come non. Credo che in 365 giorni sia impossibile essere sempre felici, innamorati, con pace e serenità nei cuori. La vita spesso ti porta a rifiorire solo se prima ti sarai appassito. Il mio non è un augurio cinico, ma vuole essere un augurio vero, reale, semplice, autentico, come la strada che ho scelto di seguire. Allora il mio augurio più sincero non può essere che augurare 12 vite, o anche molte di più, anche 365 vite se necessario, vite la cui prerogativa è una soltanto: esserci con tutto ciò che si è, nel bene e nel male. Svegliarsi sempre come fosse un nuovo inizio e addormentarsi come fosse sempre la fine, vivere nella semplicità dei gesti quotidiani, non disdegnando gesti estremi, nutrirsi di tutto ciò che troverete lungo il tragitto, cogliere una forma di vita ovunque e con chiunque vi troviate, calpestare erba fresca senza mai dimenticare il ruvido asfalto delle strade già percorse, non aver timore di rimanere delusi, di piangere, di sbattere porte, di urlare, di rischiare, di tuffarsi in ciò che è incerto, di dar voce ai propri sogni senza lasciare che sia la notte ad alimentarli ed il mattino seguente a portarli via, amare nonostante non si abbia un compagno o una compagna che ci renda il letto più caldo, amare significa anche ascoltare ciò che il cuore vorrà sussurrarci, riuscire a contemplare il silenzio, riuscire ad intravedere una timida luce nonostante il buio, e questo è anzitutto il risultato di amarsi, cogliendo spesso nelle proprie fragilità il proprio punto di forza. 
Solo a fine anno, al momento del mio puntuale bilancio credo che in fondo io mi sia ubriacata della sostanza più letale di tutte: mi sono ubriacata di vita ed è stato semplicemente meraviglioso, soprattutto strappare sorrisi dietro lacrime di malinconia, strappare un ancora, ce la posso fare da un basta, non potrò mai farcela. Allora è questo che auguro a voi tutti: UBRIACATEVI DI VITA, non di una soltanto, ma di tante, troppe, infinite vite.

lunedì 24 dicembre 2012

... Si deve pur sempre credere in qualcosa.

Credo negli incontri, in quell'inatteso perdersi per poi ritrovarsi di persone destinate semplicemente ad intrecciare i fili delle loro vite. Credo in spalle che si scontrano, in occhi che si incrociano, in parole che si mischiano in maniera caotica, perchè a me talvolta è accaduto di aver toccato delle spalle per caso che sono poi in seguito inaspettatamente divenute il mio sostegno, di aver incrociato degli occhi la cui luce si è presto tramutata in un faro durante le notti più buie, parole confuse che divenivano via via sempre più nitide e che silenziosamente prendevano la strada del cuore. Credo che nulla accada per caso e che ogni persona incrociata lungo il sentiero della vita serva a trasmetterci qualcosa, che si tratti di una semplice informazione o di un qualcosa che solo col tempo fungerà da insegnamento di vita. Persone incrociate per caso, anche solo per pochi minuti, che sarebbero stati solo dei semplici passanti se il destino non si fosse offerto di donarci una seconda possibilità, o anche una terza, ricongiungendo le nostre strade, rendendo spesso quel cammino sorprendentemente meraviglioso. Credo negli incontri come nei luoghi silenziosi, come quei caffè in cui non entra nessuno in giornate piovose dove gli schizzi di pioggia sui vetri sembrano comporre dei dipinti ad olio, non permettendoti di osservare cosa c'è fuori l'ingresso. E' come se entrassi e ti riparassi nell'attesa di qualcuno o semplicemente per startene seduto ad un tavolino nell'angolo a leggere un libro mentre hai davanti una tazza di thea fumante che attendi si raffreddi, nell'attesa di nessuno in particolare, potendo restare lì per ore nel tuo nostalgico quanto poetico silenzio, nell'attesa forse di recuperare un po' di te o di far sedere al tavolo qualcuno che riuscirà come te a contemplare il silenzio ove poter cogliere risposte, o penetrarti con lo sguardo mentre ti rivolge domande e alle tue risposte starle ad ascoltare pazientemente. 
Credo che gli incontri veri si svolgano qui. In posti dove non c'è musica assordante, non affollati, dove la gente entra per desiderio di starsene in silenzio con se stesso o con qualcuno che avrà naturalmente la premura di stare ad ascoltare. Un po' come ripararsi dalla pioggia per rinchiudersi in un ambiente ovattato.
Ma purtroppo non tutti ci credono e allora sprecano occasioni. Non tutti credono in occhi che avrai incrociato per qualche minuto per poi ritrovarli dopo giorni, mesi o anni fuori la tua porta mentre ti chiedono di entrare. Non tutti sanno che la vita regala possibilità, che saremo noi a dover sfruttare una volta individuate. Certe persone lasciano che la vita gli passi accanto senza mai afferrarla per la gola, capovolgerla e racimolare ciò che contiene. Alla fine non tutti gli incontri saranno frutto del destino, nè tutti i caffè vuoti saranno il luogo perfetto per conversare o contemplare un religioso silenzio. Ho trovato spesso banali degli incontri al punto da sperare di perderli e non ritrovarli mai più, mi sono ancor più spesso trovata a sedere al tavolo e fingere di ascoltare discorsi poco stimolanti, che non reputavo interessanti, non introducendomi mai ma standomene lì, in quel silenzio che in certe occasioni mi ha creato una morsa allo stomaco, mi ha fatto quasi dimenticare di avere ossigeno nei polmoni. Ma nel dubbio credo che tutti lo siano, in modo da non rischiare che le infinite possibilità offerte dalla vita mi passino accanto senza esser colte, perchè è sempre meglio un'amara delusione che un irrecuperabile rimpianto. 
Allora ci credo, forse perchè in fondo in questa vita si deve pur sempre credere in qualcosa.

sabato 22 dicembre 2012

Dalla responsabilmente!

Tutte le donne ce l'hanno e "darla" non costituisce di certo un peccato mortale ma qualcosa di tremendamente sano, naturale, fisiologico. Il punto è darla responsabilmente, utilizzando ciò che in fondo dovrebbe caratterizzare la categoria, un equilibrio simbiotico di cuore e cervello. In passato la "donna oggetto" aveva esclusivamente questa funzione: darla al migliore offerente. Poi grazie ad esponenti che sono col tempo divenute l'emblema di una società che stava crescendo verso il principio della parità dei sessi, cucendo un ruolo di certo maggiore per le donne le cui idee hanno preso il volo come rondini nell'aria fresca di primavera, le cose sono cambiate. Alla funzione primigenia se ne sono affiancate delle altre che hanno reso la donna più forte e completa, al punto da farne un gran centro decisionale con forte senso persuasivo sugli uomini, sbaragliando stereotipi obsoleti. Le donne oggi possono votare, leggere, studiare, avere un certo peso professionale nella società moderna, riescono a mandare avanti intere famiglie, trasmettono un amore incommensurabile al punto da riuscire a riempire ogni singolo spazio vuoto, al punto da renderle indispensabili, per tutti. Le donne oggi hanno acquistato libertà, e se per libertà intendiamo la negazione di qualsivoglia forma di dipendenza, significa che del sesso maschile, considerato forte, duro, a volte feroce, possono farne a meno, talvolta sarà necessario per rimarcare la propria libertà, per secoli negata, ma alla fine dopo tante battaglie vinta. 
Ecco perché credo che le donne che alle porte del 2013 girano ancora con un cartello appeso al collo con scritto "Te la do", quelle donne volutamente vuote perchè non fanno nulla per nutrirsi di qualcosa di diverso, quelle donne che dipendono dal sesso maschile al punto da ridicolizzarsi più che dal profumo delle idee fresche, libere, profondamente femminili, non siano amorali, nè voglio etichettarle con simpatici appellativi riecheggiando le antiche cortigiane di corte perchè per quei bigotti quanto irrealistici luoghi comuni secondo cui le donne sono delle gran bagasce se vanno con chiunque, mentre gli uomini saranno sempre e comunque giustificati, non c'è più spazio attualmente, non ce ne deve essere. Non saranno amorali ma paradossalmente obsolete, quasi uno schiaffo ed una mortificazione per chi ci ha rimesso addirittura la pelle per farci credere nella forza delle nostre idee, per inculcarci che anche da sole le donne valgono, perchè sono forti, belle, intelligenti, speciali. Non so se credere molto nella comune affermazione "gli uomini cercano solo quello", perchè in fondo può darsi sia anche vero ma Madre Natura con gli uomini non è stata così generosa, gli uomini crederanno di cercare ma in realtà spesso si "accontenteranno" di ciò che saranno le donne ad offrire, saremo dunque noi donne a cercare, a scegliere, a trovare, ad ottenere, gli uomini saranno spesso solo e semplici prede, nonostante non se ne rendano conto. E data la poca generosità di Madre Natura, agli uomini "prenderla" e "gettarla via" come fosse un sacchetto della spesa, in modo semplice, futile, senza alcuna forma di complicazione, andrà bene, ma andrà bene come quando vai al cinema e non trasmettono nessun film particolarmente interessante, allora nella programmazione sceglierai il "migliore fra i peggiori", di quelli con una trama così scontata che sembrerà già visto, di quelli che il giorno dopo non ricorderai. 
Le donne non si possono distinguere per un qualcosa che in fondo avranno tutte ed il sesso non può essere oggetto di una compravendita, credo non sia amorale, ma appunto naturale, fisiologico, assolutamente normale, ma a noi donne è richiesto qualcosa in più proprio perchè dovremmo possedere potenzialmente qualcosa in più: il decoro, il buon senso, un innato senso di libertà che ci rende fresche e piacevoli senza dover svendere necessariamente il nostro corpo. Non lo si deve fare per piacere di più nè per preservare una certa integrità agli occhi degli altri, perchè ci sarà sempre un motivo per criticarci, anche quando apparentemente non ci sarà. Lo dobbiamo fare per guardarci allo specchio e sentirci profondamente donne, quelle donne che hanno lottato vincendo una parità di diritti non una trasformazione in uomini poco intelligenti anche per esser cinici che agiscono semplicisticamente utilizzando solo il loro organo genitale in mancanza di altro. Per sentirci donne piene di quella libertà che si sposa con la freschezza delle idee ed il profumo dei desideri. Per sentirci donne aperte mentalmente, senza cadere nella falsa visione che l'apertura mentale significhi "darla necessariamente a chiunque". 
Nessuna nasce "santa", ma molte donne dovrebbero cominciare a sfruttare quel potenziale che Madre Natura gli ha donato, quella combinazione fra cuore e cervello che ci permette di lasciarci andare quando le emozioni saranno così forti da traboccare, che ci permette di dire sì ma anche no quando sarà necessario, che ci permette di capire quando è il momento di dire basta, quando sarà il momento di manifestarci nel pieno delle nostre funzioni senza minimizzare la nostra anima ad una sola funzione, quella primigenia, quella che non ci distingue, quella che in fondo è da tutte esercitata. Ognuno sceglie di essere ciò che vuole. Vado forse controcorrente ma ho scelto di essere un film dalla trama non scontata, di quelli con un finale che non ti aspetti, di quelli con una trama ingarbugliata che può annoiare o appassionare tremendamente, quei film che sono in programmazione ma poco pubblicizzati, quelli che guarderanno in pochi ma che ricorderanno tutti, di quelli che necessiteranno di tempo per riscuotere successo.

giovedì 20 dicembre 2012

Come se non avessi scritto un bel niente.

Non so che momento sia.
Non so se sia il momento di mettere tutto in stand by o il momento giusto per ripartire.
Non so se sia il momento per illudersi o mantenere le fredde e statiche solite convinzioni.
Non so se aprire il cuore o chiuderlo come un ventaglio che non serve, perchè sì, in effetti in certi momenti è quello che mi chiedo: "A che serve lasciarlo lì ad occupare spazio?"
Non so nemmeno se devo partire o è giusto che rimanga.
Non so nemmeno cos'è che veramente mi manca, nonostante avverta la presenza di una qualche mancanza che si ostina a ripresentarsi ogni qual volta tenti a fatica di abituarmi, di adattarmi, di lasciare che il passato scivoli via lentamente sul mio corpo, lavando i ricordi, accorciando i desideri, sino quasi a pensare che siano scomparsi. Non so che momento sia perchè in genere ciascuno ha una propria guida che può indicare la strada giusta da seguire, o semplicemente offrire un suggerimento, che potrà esser colto o meno, ma sarà pur sempre un faro che ci seguirà ovunque sceglieremo di andare.
Io non ho mai avuto una guida, se non me stessa. Giuro che in certi momenti avrei voluto averne una, ma alla fine ho sempre scelto da sola e comunicato le mie scelte a chi mi era accanto, a chi accanto a me ha deciso di restare, a chi poi ha deciso di andare. So quello che manca, ma non posso cercarlo, nè tanto meno riesco ad esprimerlo, forse perchè nemmeno esiste. Il punto è che mi sono trovata sempre così sola davanti alle scelte che adesso ne sono un po' stufa. Ho dovuto imparare a starmene per conto mio, mi sono fatta piacere tanto, a volte troppo, questa solitudine che spesso mi ha abbagliato, altre volte mi ha fatto rimanere al buio, perchè in fondo le scelte sono solo nostre, è questo che mi sentivo sempre ripetere. Allora sono cresciuta, ho preso scelte per sentirmi sempre più grande, l'ho fatto sempre da sola, perchè in fondo io mi bastavo, a volte mi bastavo al punto da sentirmi decisamente troppo. Mi sono lanciata in cose che sembravano piccole diventando poi troppo grandi, troppo ingombranti per me al punto da costringermi a fare un passo indietro. Mi sono invece immersa in ciò che apparentemente mi sembrava troppo grande, di una così profonda ma incerta consistenza, sino a sperimentare tutte le mie possibili gradazioni di colori, sino ad espandermi così tanto da considerare ciò in cui mi ero immersa poi non in fondo così grande, ma alla mia altezza. Ho sempre comunicato ma mai condiviso. Per una volta nella mia vita avrei voluto condividere prima di comunicare, per sentirmi forse meno sola, per sentire di fare per una volta qualcosa in cui fossero partecipi anche altri e non solo la mia persona, per nutrire me stessa e della stessa sostanza anche qualcun'altro. Talvolta ho creduto di condividere il tutto con chi incontravo lungo le strada al di là del cancello che si apre sempre ogni volta che scelgo, sino poi a pensare che in realtà non condividevo mai del tutto, perchè chi incontravo lungo il tragitto non era altro che lo stesso frutto delle mie scelte, parte di quel progetto in cui mi ero addentrata, come se avessi acquistato un pacchetto all inclusive, per una persona, sempre e solo per una persona. Una persona che ha scelto di vivere in questo modo ma che adesso si sente grande abbastanza, che adesso è forse semplicemente stanca di ripetere sempre tutto come fosse un copione già scritto. Una persona che adesso forse desidererebbe dormire e svegliarsi domani con una vita già pianificata da altri, nonostante vada contro i suoi principi, solo per avere qualcosa di diverso, solo forse per pensare che ci sia qualcuno che abbia scelto di vivere con lei, che abbia scelto in fondo di condividermi con tutti i miei pro e tutti i miei contra. Perché si insegna che si diventa grandi affrontando e scegliendo tutto da soli, ed in effetti ci sono giorni in cui mi sveglio ed ho 23 anni ma in realtà me ne sento il doppio. Ma qual è il giusto equilibrio per sentirsi meno soli ma grandi lo stesso? Ci sono giorni in cui ti svegli ed hai solo 23 anni nonostante te ne senta il doppio, in cui non sai che momento stai vivendo, cosa vuoi e soprattutto dove vuoi dirigerti. Ci sono giorni in cui ti accorgi che quello che volevi forse non esiste, che la tua stanchezza ti ha condotto all'abituarti, a startene in silenzio, a non lamentarti più. Ci sono giorni in cui addirittura vuoi restare, sei addirittura stanca di prendere come al solito i tuoi bagagli e partire, come fai sempre, quando ti stanchi di dare spiegazioni, di risolvere problemi privi di consistenza, quando sei stanca di tutto ed anche un po' di te stessa, come se ora fossi stanca anche del solito modo di reagire, come se volessi cercare qualcosa che potrebbe essere più vicino di quanto immagini ma che in effetti non si palesa e ti rende impaziente.
Ci sono giorni in cui scrivi tante parole, ma è come se il realtà non avessi scritto un bel niente.

mercoledì 19 dicembre 2012

Come lancette di un orologio.

La regola è la seguente.
Quando vorrai Marco, lui non ti cercherà, ma lo farà tempo dopo, quando tu avrai smesso di cercarlo e vorrai intanto Mattia, che a sua volta non ti cercherà, forse lo farà, ma quando avrai smesso di cercare anche lui. E' una regola imprescindibile che vale per entrambe i sessi, come quella del due più due che come risultato darà il quattro. Insomma, non si scappa, inutile illudersi.
Quando ho incamerato questa regola mi sono chiesta se fosse possibile spiegarne la ragione, se fosse insomma dimostrabile come un teorema di matematica, cercando di risolverlo dandomi dell'incostante, dell'eterna insoddisfatta, di una che non fa a tempo a desiderare qualcosa che quando lo ottiene lo guarderà come fosse già qualcosa di tremendamente vecchio, al punto da partorire nuovi desideri, aventi sempre tutti lo stesso immancabile destino. Ma poi ho appreso che questa spiegazione non poggiava su criteri di matrice universale, perchè in fondo se fosse così significherebbe che è un mondo di incostanti e di eterni insoddisfatti. Può anche darsi, ma col tempo ho raggiunto una tesi più adeguata, una che forse fa sentire tutti un po' meno colpevoli. Non si tratta di qualità personali bensì fisiologiche, un qualcosa che attiene a tutti, da cui non si scappa, che non si può frenare, un qualcosa di cui non si ha nemmeno la benché minima percezione: è una questione di tempi. Sì, una questione di tempi, ove ognuno ha i propri ed è complicato scovare due corpi che abbiano stessi tempi, due anime perfettamente sincronizzate. E' complicato comprendere se le lancette dell'altro sono più avanti, indietro o in linea con le nostre, ed è ancor più difficile mettersi a tempo con l'altro, spostare le nostre lancette per conformarle a quelle dell'altro o fare in modo che lo faccia anche l'altro per rendere il lavoro più semplice e collaborativo. Troppo spesso capita di appurare che le lancette dell'altro non siano perfettamente in linea con le nostre e, senza nemmeno capire se siano avanti o indietro rispetto le nostre, abbandoneremo il campo, nell'ostinata ricerca di qualcuno che nutra invece i nostri stessi tempi, ma anche quando lo incontreremo potrà capitare di non accorgersene ed abbandoneremo il campo lo stesso, perchè la verità è che oggi si parla troppo poco, si ascolta e ci si guarda ancor meno, non sappiamo più aspettare. E' forse questa la verità più orribile fra tutte. Avremo la presunzione di voler capire stando ore incollati con gli occhi su di uno schermo, uno schermo che vorrà fungere da occhi, ma che occhi non saranno. Alcuni si nasconderanno addirittura dietro il raccapricciante nonché puerile tentativo dell'addescamento da "social network", facendosi bastare un futile commento, un "mi piace" ad una fotografia, fiumi di chiacchiere prive di consistenza, non contemplando più la freschezza di parole pronunciate dal vivo, davanti una tazza di thea, un caffè, una sana risata. Allora le nostre lancette scorreranno così, fino a quando il nostro tempo sarà tristemente scaduto, attribuendo la colpa al fato, a quel tempo che inesorabilmente scorre, ma mai puntando il dito su di noi, noi che non sappiamo più ascoltare nè parlare, noi che non sappiamo più guardarci nè aspettare l'altro ma paradossalmente attendiamo che chi o ciò che desideriamo ci giunga come la manna dal cielo. Ma statene certi che non succederà. La vita non regala niente, talvolta è doveroso strappare alla vita ciò che desideriamo. Talvolta è doveroso fermare le lancette e aspettare l'altro se lo desideriamo ardentemente. Si dice che talvolta occorra "rischiare", ma credo non sia il termine più adatto. Si rischia gettandosi con il paracadute, da un ponte, da un automobile in corsa, ma non si rischia niente semplicemente esprimendosi. Il nostro non sarà di certo un tentativo di vincere il tempo, il tempo non si vince, ma potremmo cominciare una danza che ci vedrà pian piano a pieno ritmo, facendo apparire quel tempo meno inesorabile, meno distruttivo. Allora non vinceremo forse il tempo, ma avremo vinto qualcosa forse di molto più importante: la nostra dignità, il nostro essere pienamente così come si è dando voce ai nostri desideri, avremo vinto in fondo una vita. Non sto dicendo di aspettare Mattia nè Marco finchè le nostre ossa non si saranno consumate, ma sto dicendo che forse è opportuno parlare, ascoltare, muovere un passo, guardarsi negli occhi, capire e soltanto dopo agire di conseguenza, abbandonando il campo o restandoci, allineando le nostre lancette. Dobbiamo forse abbandonare l'idea del tutto e subito, del tutti fuori o tutti dentro, danzare col tempo, dobbiamo riprenderci quello si era, essere meno futili, semplici e banali perchè la vita, quella vera, in fondo non lo è mai. E l'obiettivo del gioco, per sfidare le rigide regole matematiche che ci vengono propinate, sarà in fondo proprio questo: vincere una vita sentendoci padroni del nostro tempo.

martedì 18 dicembre 2012

Certi uomini ne capiscono ben poco.

La verità è che certi uomini hanno paura delle donne. Temono le donne complicate, quelle che sanno reggere un discorso al punto talvolta da sopraffarli, quelle troppo sicure, quelle che ad una domanda sanno rispondere solo con un sì o con no, perchè il loro vocabolario non conoscerà i "forse", i "se" ed i "ma". Temono le donne che sono belle in gonna e tacchi a spillo, ma ancor più belle in jeans e scarpe da ginnastica. Temono le donne intelligenti, versatili, le donne "per tutte le occasioni". Temono le donne con cui potrebbero parlar per ore, spaziando da un discorso all'altro, senza mai stancarsi. Temono le donne che trasmettono un'innata sensualità con le curve sinuose del loro corpo, ma ancor di più con la luce di uno sguardo. 
Gli uomini temono le donne complete, quelle che sanno ridere, di quelle assolutamente stimolanti. Temono quelle donne che potrebbero silenziosamente entrare nel cuore e nella vita di uomini spaventati al punto da farsi bastare la loro presenza, il suono della loro voce, la freschezza delle loro idee, senza necessariamente volerle portare a letto. Temono quelle donne che potrebbero chiudere la loro porta dinanzi ad uno sbaglio, temono le donne esperte, che conoscono quanto possa far male un uomo al punto da non credere alle frasi da copione, quelle donne che spesso e volentieri, nonostante la disillusione, non smettono di sperare, ed entrano in quell'uomo con tutta la loro penetrante forza, con tutta quell'anima che rischia di traboccare. Temono le donne che potrebbero fargli conoscere qualcosa di diverso da quello che hanno sempre visto. Certi uomini hanno paura di un confronto così forte, temono di perdere la loro virilità, temono la sopraffazione, quasi come se il rapporto tra un uomo ed una donna debba trasformarsi in un duello dove solo uno ne uscirà vincitore. E certi uomini hanno paura di perdere. Allora tutte queste donne diventeranno amiche, collezionando intanto ragazzine più facili da gestire, quelle che non pronunceranno mai un "no" ma sempre e solo "sì", quelle che temeranno di uscir di casa senza trucco, quelle con cui si potrà parlare al massimo per 15 minuti, quelle ragazzine di "rappresentanza" che spesso si porterà al cinema per giustificare ore di silenzio, quelle che confondono la sensualità con l'essere provocanti con una sola maglia scollata, uno shorts e tacchi a spillo, quelle che ridono come anatre, quelle da cui poter trarre solo ciò che gli uomini da sempre in fondo cercano perchè non avranno idee originali al punto da poter immaginare qualcosa di diverso, quelle inesperte che non sanno che gli uomini possono mentire e crederanno per questo ad ogni singola parola, ritendendosi talvolta addirittura colpevoli del fatto che quell'uomo abbia avuto paura, perchè si stava correndo troppo, perchè forse è meglio tirare il freno, invece di scorgere in quelle inopportune frasi un "non ti voglio così come sei e basta". Questi uomini avranno anche la faccia tosta di lamentarsi dicendo di non trovare mai la persona giusta, che le donne in effetti sono tutte tremendamente uguali, sono tutte delle bagasce da quattro soldi, contemplando da lontano senza mai avvicinarvisi quelle che potrebbero rovesciare il loro punto di vista sull'universo femminile. Credo che non sia uomo chi temendo un confronto troppo forte che possa mortificare la sua virilità lo evita, ma chi farà di tutto per poterlo avere, chi crede che un rapporto fra un uomo ed una donna non sia un duello con vincitori e vinti, ma semplicemente uno scambio da cui si esce perdenti solo se non ci si entra dentro, chi negli occhi di quella donna non scorgerà una donna complicata da cui distanziarsi, ma semplicemente una donna, e le donne si amano, le ragazzine fanno solo divertire.
Ma l'amore oltre ad essere bello, puro, intenso, può essere anche tremendamente divertente. Certi uomini spesso si accontentano di una metà, una metà che lascia insoddisfatti, una metà che piace perchè è semplice. Certi uomini in fondo ne capiscono ben poco.

lunedì 17 dicembre 2012

Ci sono momenti in cui ...

Un ragazzo che se ne va è pur sempre solo un ragazzo che se ne va.
Un amico che si toglie la vita è un amico che si toglie la vita, un cuore fatto a brandelli, un'anima calpestata, un senso di colpa che non si lava, la rivalutazione delle tue priorità, il capovolgimento di quello che sei, guardarsi allo specchio e sentirsi schifosamente vuota.
Quella fredda domenica di gennaio appresi la notizia al telefono, mentre ero intenta a pettinarmi i capelli prima di uscire con il mio fidanzato di allora. Un gesto semplice, abitudinario, come quello di pettinarsi i capelli, quei capelli che dopo qualche minuto avrei voluto strapparmi dalla radice, masticarli, ingoiarli, ma non sarebbe servito comunque, perchè oramai era troppo tardi per tutto, perchè lui in fondo non c'era già più. Non sono riuscita a versare molte lacrime se non dopo 24 ore, cominciando a piangere a dirotto e quando le mie lacrime finirono cominciai a vomitare. Vomitare di un dolore che rendeva fragili le ossa avvertendo la percezione che si stessero quasi sgretolando, vomitare di una colpa che mi ero cucita addosso, che aveva invaso ogni singola cellula del mio corpo, fino ad offuscare la mente. Ricordo che mi guardai allo specchio e vidi una persona in cui non mi riconoscevo, vidi tanti valori in cui avevo sempre creduto, ma mai praticati fino in fondo, vidi un'anima schifosa, vuota, a tratti superficiale, una persona che non sapeva vivere ma che arrancava, una persona che non aveva capito niente e che cercava di capire in quel momento, quando oramai il comprendere non avrebbe riportato in vita più nessuno. Perchè la giovinezza è un'arma a doppio taglio, è sintomo di bellezza, di spensieratezza, di libertà, ma noi giovani siamo anche così inesperti ed immaturi, non siamo pronti alla vita, ma nemmeno alla morte. Non riusciamo a guardare oltre, ci chiudiamo nelle nostre convinzioni non volendo ascoltare quelle degli altri, siamo pronti a puntare il dito all'occorrenza ma troppo poco spesso ad abbassarlo, ad avvicinarci, a comprendere cosa ci sia veramente dietro un allontanamento, un parlare a singhiozzo, perchè potrebbe esserci un'anima spenta che non riesce più ad accendersi, un bisogno di aiuto che se fossimo più esperti, più maturi, meno superficiali, più pronti alla vita, forse sapremo comprendere senza nemmeno tante parole. Non abbiamo la saggezza nè la maturità dei nostri nonni, allora non riusciremo a capire subito, ma solo quando qualcosa si rompe provocando un gran clamore, solo quando accade qualcosa per cui ci sentiremo quasi investiti da un treno, e solo dopo comincia la nostra rinumerazione, solo dopo saremo in grado di modificare il nostro approccio alla vita. E a me è successo più o meno così. Una telefonata che è stata come un treno in corsa trucidando interamente il mio corpo. Una morte che mi ha fatto comprendere come avrei dovuto vivere, quasi come se dall'alto lui mi stesse dicendo "Io sono morto, ma tu, non sei forse morta anche tu senza nemmeno accorgertene? "
Ed in fondo era così. Avevo ossigeno nei polmoni ma non riuscivo a percepire aria fresca, a volte avevo la sensazione come se il respiro si fermasse, avevo addirittura frenato i battiti del cuore. Alla fine ero morta anch'io, nonostante esistessi ancora. Ma esiste un momento nella vita di una persona in cui ti accade qualcosa che per quanto possa essere doloroso risulta necessario per dare una nuova direzione alla tua vita, nonostante ne avrei fatto volentieri a meno. Esiste un momento in cui una morte può generare una nuova vita, in cui un ramo secco, morto, ne risveglia un altro e apre la strada a boccioli. Allora da un senso di colpa da cui non riuscivo a ripulirmi del tutto, ho cercato di trarre un insegnamento, perchè forse è questo che ci chiede la vita di fare quando con la sua forza dirompente ci travolge faticando a rimanere a galla. Allora ho imparato che bisogna vivere il doppio, ed effettivamente da allora è come se dentro di me avvertissi tante persone, un sovraffollamento di idee, di anime cariche di entusiasmo, di persone stanche di arrancare che necessitano di vivere. E' per questo forse che quando comincio a raccontare a qualcuno della mia vita comincio spesso proprio da quel momento, quasi come se la mia vita abbia avuto inizio da quella morte.
Ho iniziato a rompere tutta quella vita che si poggiava su colonne troppo fragili.
Ho ammesso di non amare più, ho lasciato, e quando l'ho fatto mi sono sentita di nuovo libera, senza più catene. Da quel momento l'amore, quello semplice ma intenso, è diventato il filo conduttore della mia vita. Ho rotto un'amicizia, lunga ma inconsistente, che poggiava oramai da troppo tempo sull'interesse e su un affetto troppo fioco, ma non più vero, autentico. Ho cominciato a seguire la direzione dell'autenticità e di quella rigida coerenza che faceva parte di lui, che presto ho assorbito diventando parte di me. Ho poi preso i miei bagagli e sono partita, dieci mesi lontana da casa, perchè volevo crescere, volevo fare nuove esperienze, volevo vivere qualcosa che nella mia vita non avrei più fatto, volevo forse dimenticare o semplicemente mettere in pratica ciò che dentro di me stava nascendo, volevo capire chi ero diventata e cosa avrei potuto fare per cambiare, per alimentare una sagoma spenta, vuota, era questo che sentivo di essere. Talvolta le persone hanno bisogno di terremoti per sentirsi mancare la terra sotto i piedi e decidere di ripartire da zero, per decidere di essere migliori di come si era, per abbandonare la corazza della superficialità e cominciare a seminare su di un terreno fatto di emozioni sincere, autentiche, coerenti con il proprio spirito, colorando di rosa come la tenerezza e la spontaneità o di bianco come la genuinità e la purezza la propria vita, come una rosa su una tomba che ricorda di quanta vita talvolta si nasconda dietro una morte, tremenda ed inaspettata. Quegli eventi che ti costringono a reagire, a svegliarti, a dire basta, a cercare risposte senza mai trovarle perchè forse non ci sono, a tormentarti, ma a dire anche tra le lacrime semplicemente grazie, nonostante avresti voluto farne a meno, nonostante avresti voluto essere già allora quella persona migliore che avrebbe potuto porgere una mano come sollievo, avrebbe potuto evitare forse ciò che era inevitabile, se lì, allora, in quella vita passata, sarebbe stata già la persona che ha scelto di diventare, che ogni singolo giorno da allora cerca di essere, di innaffiare, come un frutto mai maturo abbastanza.