lunedì 3 dicembre 2012

L'amore basta?

Non so se l'amore basti. Io onestamente me lo sono sempre fatto bastare.
Perchè c'è chi dice che l'amore non basti per stare insieme, ma la verità è che forse dipende da che accezione diamo a questa entità misteriosa che ci porta sù con la stessa rapidità in cui è in grado di farci sprofondare, che comunemente prende il nome di "amore".
Perchè se per amore intendiamo assenza di egoismo, la negazione dell'orgoglio, la voglia di scoprirsi, slanci di entusiasmo avvertiti anche per semplici gesti quotidiani, un sorriso appena svegli e prima di andare a dormire, sacrificarsi reciprocamente scendendo talvolta da quel piedistallo che spesso ci tiene troppo in alto, al freddo, senza permetterci di accalorarci, allora posso dire che l'amore basta.
In effetti io me lo sono fatto bastare, e forse è per questo che se fossi uomo una donna come me forse non riuscirei ad amarla, nè vorrei averla accanto, perchè chi non sopporta il freddo pur di riscaldare spesso può scottare. Perchè per me l'amore, così inteso, è sempre bastato. E' bastato quando mi strappavo il cuore riponendolo così com'era, senza alcuna forma di protezione, nelle mani dell'altro, tra un sorriso o anche in un fiume di lacrime. E' bastato quando ho preso un aereo per volare da chi pensavo c'entrasse poco con me eppure volevo essere lì semplicemente per congiungermi con un pezzo della mia anima che in quel momento era l'altro a possedere, senza la quale forse non avrei avuto la forza di continuare. E' bastato perchè in quell'amore non c'era orgoglio nè egoismo nè piedistalli che potessero reggere il confronto. E mi è bastato anche quando ho viaggiato in treno per sentirmi dire che tutto quello in cui avevo creduto in realtà non c'era o forse non era mai esistito. Non c'era entusiasmo, nè sorrisi, lì c'era la voglia di amare e basta nonostante tutto, ne era rimasto solo un nocciolo, la piena essenza, dove non c'era egoismo nè orgoglio, ma solo un cuore strappato dal petto e pestato ripetutamente. Sono una che ha avuto sempre bisogno di conoscere la verità prima di prendere decisioni che mi sono trovata invece il più delle volte a subire. Sono una che l'amore lo vive con estrema passione e struggente dolore. Sono una che l'amore lo vive con telefoni muti e porte sbattute. Sono una che spesso ha avuto bisogno di morire per poter rinascere, una morte sofferta ma una rinascita in fondo meravigliosa che mi ha fatto credere che a volte valga la pena morire per poter rinascere in questo modo.
Ma se oggi mi chiedessero se ne è valsa la pena, se è valsa la pena far salire il cuore così in alto per poi farlo sprofondare in uno strazio a tratti ingestibile, io risponderei che ne è valsa la pena, comunque. Perchè vale sempre la pena amare. Non so se l'amore basti, ma io me lo sono fatto bastare, e credo che in un'accezione ampia e totalitaria alla fine possa bastare. Perchè non dovrebbe date le tante coppie in giro che stanno insieme nonostante la totale assenza di amore, ma per abitudine, perchè va bene così, perchè alla fine in due si è meno soli. Allora a chi dice che l'amore non basta rispondo che forse si sta sbagliando o forse sbaglia nel concepirne il suo reale significato. Forse non può dire che l'amore non basti, ma che forse non ama abbastanza. Forse in quell'amore di cui parla non ci mette l'assenza di egoismo ed orgoglio, l'entusiasmo di scoprirsi, la voglia nonchè il bisogno di sacrificarsi perchè l'amore non è solo un sorriso ma anche lacrime amare, gesti inconsulti, urla di dolore, ci mette la freddezza di un piedistallo troppo alto. Forse crede che l'amore non basti perchè crede che l'amore sia solo gioia e spensieratezza, crede che l'amore si riduca ad un "ti amo" troppo facile da dire, che in effetti anche dei bambini sanno pronunciare. Invece l'amore, se esiste ed è pieno, basta, anzi, trabocca, è tutto, e alla fine, vince sempre.

domenica 2 dicembre 2012

Detesto quindi temo.

Detesto il verbo dimenticare. Anzi ne ho timore, il che per me equivale a dire lo stesso. Comincio a detestare tutto ciò che mi fa paura perchè è come se non volessi dare a me stessa la possibilità di averne, ma quando la paura si impossessa di una parte della mia mente facendomi sentire fragile ed impotente, acquisto un po' di umanità. Ma anche quello detesto. Detesto la mia paura e la mia umanità. Perchè data la mia spiccata vena passionale non conosco mezze misure. Allora le mie paure saranno paure profonde come pozzi in cui non riesci a vedere la superficie, buie ed impervie come le sue pareti, paure come pozzi in cui cadi avvertendo la sensazione che forse non riuscirai più ad uscirne. Quelle paure che destabilizzano ma al contempo ti tengono ferma immobilizzando dapprima i piedi per poi salire alle ginocchia sino ad indurire persino il busto. La mia umanità invece non riesco a definirla, per la stessa ragione per cui io non ami particolarmente i complimenti nè tanto meno farli a qualcuno, per la stessa ragione per cui se dovessi parlare di me a qualcuno comincerei ad elencare i miei difetti e solo se mi venisse chiesto due o tre pregi, di quelli comuni, sentiti tante volte, di quelli che sembrano appartenere un po' a tutti, perchè la verità è che la mia insicurezza non mi ha mai permesso di analizzare i miei lati positivi. Qualche volta sarà capitato che mi sia riconosciuto qualche pregio, ma mai abbastanza, sempre a metà, per paura. Ho paura anche di questo. E sì allora lo detesto. Ho paura di riconoscermi pregi per non apparire presuntuosa ma al contempo detesto trovarmi con una lunga lista di difetti senza riuscire a fare una lista altrettanto lunga di pregi. Non so nemmeno se ne abbia per la verità, ma detesto soprattutto citare quei difetti che in fondo non mi riconosco ma li pronuncio comunque per sentito dire, perchè oramai li ho inculcati.
Detesto ergo ho paura. Detesto dimenticare quindi ne ho paura. Ho paura di dimenticare quindi anche di essere dimenticata. Ho così paura che ogni giorno un po' del mio tempo lo dedico alla prevenzione della mia paura ricordando. Ma ricordare circostanze, luoghi che hai visto, incredibili esperienze, persone entrate straordinariamente nella tua vita, ricordare emozioni, gioie, delicate quanto intense sensazioni, ti impedisce di dimenticare ma non di essere dimenticata. Però è come se il mio ricordo ed il mio desiderio sempre acceso di non dimenticare smorzasse i toni di questo inguaribile timore, quasi come se questa mia paura si riducesse della metà e con l'altra metà riuscissi a convivere. In realtà non ci convivo serenamente perchè la mia insicurezza, da me fortemente detestata quindi temibile, talvolta mi rende succube di questa paura. E' come se credessi che esista una regola per cui necessariamente se uno ricorda l'altro dimentica, se uno ha paura l'altra non ne ha. Anche questa è un'altra cosa che temo e che quindi detesto. Però la verità è che la paura, l'ansia, la paranoia di essere dimenticata oramai fa parte di me, rintanata in un piccolo spazio del mio cervello, che talvolta lo annebbia ma forse senza questa sensazione che mi accompagna non mi riconoscerei più. Senza tutte queste paure non sarei più me stessa, nè forse avrei quell'umanità che temo, che detesto, ma in fondo lo devo dire, me ne riconosco tanta. Sì sono molto umana. Sarò presuntuosa, ma sono umana. Punto. Stop. Lo sono e oggi me lo riconosco, domani non so, ma oggi sì. Ma il punto è che forse solo se riuscissi ad aver paura senza detestare questo sentimento, solo se riuscissi ad accettare le mie paure e farne un punto di forza, se riuscissi a conviverci senza sprofondare in pozzi bui dalle pareti impervie di cui sarà impossibile scrutarne la superficie, potrei cominciare forse ad allungare la lista dei pregi e renderla non della stessa lunghezza (non esageriamo!) ma quanto meno simile alla lista dei miei difetti, che stranamente non temo, nè detesto.

sabato 1 dicembre 2012

Quando la vita ti chiama, rispondile!

Quando la vita ti chiama, rispondile! 
 Talvolta il tuo telefono squillerà senza tregua, come un disco rotto che per pigrizia o semplicemente per la tua tendenza autolesionista fingerai di non sentire. Scoprirai sul tuo telefono tante chiamate senza risposta. Proverai a richiamare ma non è detto che lei ti risponda, giustificandoti con gli altri e con te stesso dicendo "Ma io ho richiamato, lei non mi ha risposto. La vita è così, adesso non posso fare nulla".  Può darsi che ti faccia attendere per ore prima di ricevere una risposta dal centralino, ti dirà di aspettare senza ricevere una risposta o talvolta sarà lei a negarsi. Perchè la vita è superba, pretende che alle sue telefonate tu risponda. Allora quando la vita ti chiama, rispondile! Devi rispondere.
Quando si tratta di eventi spiacevoli a causa delle tue mancate risposte potrà decidere di lasciare dei messaggi in segreteria che ascolterai per poi cestinare, come se quel messaggio non l'avesse mai inviato. Ma l'ha fatto e quando un dolore, un fallimento, un'amara sconfitta ti travolgerà non potrai di certo giustificarti. La vita ti aveva informato, sei stato tu a far finta di niente. Perchè per queste cose la vita insiste come se fossero circostanze che in fondo ti sono dovute. E' per le cose belle che spesso non lo fa. Ve l'ho detto, la vita è superba. Telefonerà una volta, al massimo due, dopo di che non si affaticherà a lasciare messaggi in segreteria perchè in fondo se avessi voluto esser felice avresti risposto. Non l'hai fatto allora continua a pestare merde e a fermarti per giorni, mesi, addirittura anni, con la presunzione di poterti sfilare la merda dalle suole e ricominciare a passeggiare con le scarpe pulite, come se la vita intanto ti stesse aspettando. Ma la vita non ti aspetta. Un uomo o una donna che sia dovrebbe chinarsi soltanto per raccogliere tutti i fiori più belli e profumati incontrati durante il tragitto ma intanto continuare la sua passeggiata che a volte diverrà una corsa. E quando le merde si infileranno sotto le suole dovrà continuare. Non potrà perdere giorni, mesi o addirittura anni per potersele sfilare e far apparire le sue scarpe come nuove. Ci dovrà camminare comunque, perchè a furia di camminare, a tratti di correre, dimenticheremo di avere le scarpe sporche, man mano sarà il tragitto stesso a pulircele. Perchè se ci affaccendiamo in quest'opera certosina intanto quei fiori potenzialmente belli e profumati da raccogliere lungo il tragitto potrebbero seccarsi o essere raccolti da qualcun'altro. Allora quando la vita ti chiama, devi risponderle, soprattutto se hai appena pestato merde, la vita non si focalizza su inutili convenevoli, ti accoglierà soprattutto se le tue scarpe saranno infangate. Non lasciare che il tuo telefono squilli a vuoto, ritrovandoti sommersa da chiamate che non riceveranno mai più una risposta e non confidare nei messaggi di segreteria perchè è raro che per le cose belle lo faccia. 
Quando la vita ti chiama, rispondile. Perchè può darsi voglia regalarti un fiore o più di uno il cui profumo servirà a rimuovere la puzza delle suole sporche di merda.

giovedì 29 novembre 2012

Voce del verbo amare.

C'è stato un tempo in cui davo valenza ai pronomi personali soggetto partendo dal basso. Essi, voi, noi, egli, tu, io. Anche i verbi coniugavo in questo modo. C'è stato un tempo in cui guardavo loro a cui mi rivolgevo con il voi pensando a ciò che noi potevamo diventare. C'è stato un tempo in cui mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo se non con te al mio fianco. A loro parlavo di te, di "lui", senza mai accennare a me. Parlavo di me solo quando dovevo coniugare qualche verbo, come amare. Siamo poi diventati noi. Un noi che mi bastava. Ho sempre pensato che fosse il noi a rendere felici. Ma in quel noi c'eri solo tu, io non c'ero quasi mai. Ecco perchè quando sei andato via mi hai lasciato con le ginocchia sbucciate e le scarpe infangate come chi monta per la prima volta in sella ad una bicicletta e casca. Perchè tu sei andato via e hai portato noi via con te, dove io non sono mai esistita sebbene avessi la pretesa di parlare di un noi dove io c'ero solo nel momento in cui mi si chiedeva di coniugare il verbo amare. Ma in questo noi c'eri solo tu. Le tue passioni sono diventate le nostre passioni, i tuoi desideri sono diventati i nostri, il tuo amore è diventato solo il mio e basta. Un noi pieno di te ma che di me non aveva niente. Ma un noi sono due persone, e se c'eri solo tu era dunque un "tu" e non aveva a che fare anche con me. Per questo quando mi hai voltato le spalle hai portato via con te anche i bei ricordi, lasciandomi solo amarezze confuse come una melma aggrovigliata che non ho saputo o voluto ordinare, sentendomi come in uno spazio dalle pareti bianche senza finestre e porte chiuse a chiave, in uno spazio che apparteneva a nessuno. In uno spazio in cui mi sono ritrovata ad essere nessuno.
E' stato solo poco dopo che ho compreso che in quel noi c'era una mia reale mancanza ed una tua finta presenza. Allora ad una finta presenza ho preferito una reale mancanza. Ho preferito l'autenticità sebbene fosse amara e disgraziata, ad una finzione in cui finti erano diventati addirittura i sorrisi. Ho preferito me stessa. Allora mentre prima partivo da essi, da voi per arrivare al noi che ritornava inesorabilmente sempre ad egli e al tu senza mai menzionare "io", ho cominciato dall'alto, dal primo pronome personale soggetto e spesso ci sono rimasta. Ho cominciato da me, per poi scendere al tu, ad egli, al voi e ad essi senza mai più parlare di un noi. Ho cercato altre volte di costruire un noi senza mai riuscirci abbastanza. Mentre prima parlavo di me solo per coniugare il verbo amare, da allora non l'ho più fatto se non per riferirmi a cose o stati d'animo che mi appartenessero. Perchè noi è fatto da un "io" ed un "tu", ma adesso questo io mi sembra già abbastanza. C'è stato un tempo in cui pensavo che solo un noi rendesse felici, adesso credo che sia l'io a doverlo essere anzitutto per pensare di poter costruire un noi, e se non ci riuscirò mai pazienza. Sono partita da me, ho cominciato a coniugare i verbi dalla prima persona e se dovessi mai pensare di dover costruire un noi adesso so che dovrò esserci anch'io. Ma se non dovessi riuscirci io con le mie paure, le mie ansie, le mie paranoie, le mie passioni, le mie idee, le mie parole, i miei sogni nel cassetto, le mie vittorie e le mie sconfitte, siamo già abbastanza, non sono sola, anzi potrei quasi parlare di un noi. Ma se mai lo dovessi costruire farò più attenzione nel coniugare il verbo amare in prima persona ma sono certa di farlo con la stessa estrema intensità di sempre, pretendendo che sia io ad amare ma che a farlo sia anche tu, perchè sono un "io" ed un "tu" a costruire un "noi", un noi che trabocca di amore, un amore nostro in senso pieno, da cui è possibile che se ne esca con le ginocchia sbucciate e le scarpe infangate, ma allora non sarà esatto dire che non ci sarà nessuno, ci sarò io, e ricomincerò, senza te, senza noi, ma con me. Comincerò da lì, dove ha inizio la coniugazione, quella coniugazione che senza la prima persona è incompleta, non ha senso.

Principi azzurri e cavalli bianchi o uomini alla guida di utilitarie?

E' molto più probabile scartare un Kinder Bueno e leggere la scritta "Hai vinto!" che trovare quello che per l'opinione comune è oramai definito "Principe Azzurro".
Perchè poi azzurro se il colore dell'amore è il rosso?
Il principe azzurro è quell'entità misteriosa che abbiamo cominciato ad apprezzare guardando i cartoni animati della Disney, quando da bambini ci leggevano le fiabe che finivano sempre con "...e vissero felici e contenti". Ma lo scrittore non ha continuato a raccontare la routine quotidiana, cosa la principessa avrà poi effettivamente vissuto con il suo principe arrivato sul suo immancabile cavallo bianco (perchè poi bianco? esistono anche cavalli neri e marroni). Non lo racconta perchè sta scrivendo una fiaba. Generalmente il destinatario di una fiaba è un bambino ed i bambini vanno protetti. Dunque lo scrittore pensa che sia giusto lasciare immaginare ad un bambino che i due sposi vivranno per sempre felici e contenti. Un bambino ha bisogno di credere che esista l'amore eterno, che nella vita sia possibile incontrare quel principe azzurro che rapirà la principessa portandola via sul suo cavallo bianco, che sia possibile vivere per sempre felici e contenti.
Ma noi no, il tempo oramai non ci protegge più. Lasciate tra la polvere le fiabe e le nostre vecchie videocassette, ci affanneremo con molta più ostinazione nella ricerca della scritta "Hai vinto" scartando una confezione di Kinder Bueno che nella ricerca del fantomatico principe azzurro, che qualcuno dotato di spirito ironico o di inguaribile cinismo ha fatto diventare omosessuale.
Lo scrittore termina il suo racconto fiabesco con la formulazione alquanto vaga e generica del "...e vissero felici e contenti", un po' come quando rispondiamo alla domanda "Come stai?" con un altrettanto generico "Tutto bene, grazie", senza soffermarci troppo sui dettagli, perchè non ci va di spiegare che siamo stressati per il nostro lavoro, che gli impegni ci sovraccaricano, che non abbiamo abbastanza tempo da dedicare a parenti ed amici, che il nostro uomo sembra distante, che avremmo bisogno di una vacanza.
Ma se lo scrittore avesse minimamente immaginato che con la creazione del principe azzurro in sella ad un cavallo bianco avrebbe contribuito ad inculcare l'idea della ricerca dell'uomo e della donna perfetta, creando per molti quasi un alibi per la loro insoddisfazione sentimentale, avrebbe di certo optato per una formula meno vaga. Perchè molti vivono ancora in un mondo parallelo quanto irrealistico, fatto di principi coraggiosi e donzelle da salvare, di fatine che con la loro bacchetta magica sono pronte a realizzare i nostri sogni e di streghe cattive che per buon senso dovrebbero essere sconfitte, proprio come nelle fiabe. Noi donne specialmente siamo nell'ostinata ricerca di un uomo che sia bello, simpatico, intelligente, brillante, coraggioso e pronto a qualsiasi cosa pur di renderci felici. Un uomo che sia comprensibile, il nostro medico, avvocato, psicologo, la nostra musa ispiratrice, la nostra spalla su cui piangere e la mano da stringere per l'eccessiva contentezza. Vogliamo forse un cane o un'entità robotica rigidamente programmata. Perchè un uomo può essere tendenzialmente fedele, comprensivo, brillante, intelligente, simpatico, ma non è detto che lo sia sempre. Si soffermerà a guardare una bella donna che passeggia ma questo non significherà che vorrà tradirti o che non ti ami abbastanza. Talvolta fingerà di ascoltarti ma non è detto che non ti comprenda, avrà soltanto avuto una cattiva giornata o sarà sovraccaricato da mille pensieri che non vorrà esprimere perchè forse vorrà dare spazio ai tuoi. Non è un cane, un robot, bensì un uomo, che non è perfetto, commette errori di tanto in tanto, ma è questo a renderlo umano. Quindi forse lo scrittore avrebbe dovuto aggiungere al finale rituale del "E vissero per sempre felici e contenti..." che in realtà quella felicità durò poco, sino a che i due sposi non vennero catapultati nella vita reale. 
Ma noi che crediamo ancora in quell'uomo misterioso vestito di azzurro, che in sella ad un cavallo bianco possa rapirci, possiamo decidere di vivere nell'illusione, come solo a cinque anni si può fare e continuare a sognare ad occhi aperti in un mondo parallelo quanto irrealistico, fatto di principi e principesse, di cavalli bianchi, di streghe cattive che alla fine vengono sconfitte, di fatine che con la loro bacchetta magica trasformano in realtà i nostri sogni. Oppure possiamo ridimensionare il tutto interpretando in modo non necessariamente cinico, ma quanto meno realistico, ciò che una fiaba vorrà raccontarci. Possiamo cominciare a capire che il nostro principe azzurro non riusciremo a riconoscerlo tra la folla perchè vestito d'azzurro, solo perchè monta un cavallo bianco con cui sarà pronto a portarci lontano. Non sarà necessariamente un bell'imbusto dai capelli biondi, occhi azzurri, ed un portamento regale. Potrà indossare un paio di jeans e scarpe da tennis, potrà non essere altissimo nè avere un portamento regale, ma sarà il suo sguardo, le sue parole, il suo sorriso ad incanalarsi nel suo e nel nostro silenzio sulle strade del nostro cuore sino ad accendersi, provando quasi la sensazione che il nostro cuore stia per scoppiare. Non monterà di certo su un cavallo bianco, ma magari avrà un'utilitaria che dovrà ancora finire di pagare. Saremo felici e contenti perchè quello sarà il nostro principe azzurro, ma dovremmo esser consapevoli che quella felicità potrebbe non accompagnarci per un'intera vita. Dovremmo esser consci del fatto che potremmo vivere insieme felici e contenti, ma anche tristi e tormentati. Dovremmo esser consapevoli, senza attribuire tale considerazione ad un becero cinismo, che l'amore può finire, che potrà indurci a sputare sangue intriso da delusione, tradimento e tante lacrime, ma non per questo dovremmo rinnegare un amore che sebbene sia finito è stato comunque vissuto. E' stato vissuto con un'utilitaria, un mutuo da pagare, impegni, mattine in cui ti alzavi col magone perchè quell'uomo accanto a te non riuscivi più capirlo, perchè intanto la fiaba si stava a poco a poco dissolvendo e tu con lei. Ma questa è la vita e anche le vite più straordinarie finiscono. Anche l'amore è un pezzo di vita che se siamo fortunati, caparbi, se accettiamo talvolta di chinarci a compromessi scendendo dal nostro piedistallo, se riusciamo a praticare il perdono come l'arte di soli pochi eletti, potrà durare a lungo o forse per sempre. Altrimenti anche l'amore finisce. Ma quell'uomo che avrà acceso il nostro cuore sino a farlo scoppiare sarà per sempre il nostro principe azzurro, come lo sarà chi verrà dopo di lui riaccendo una luce che sembrava oramai spenta ed impossibile da riaccendere. E vissero per sempre felici e contenti, ma anche straziati, tormentati, tristi, inappagati, con il desiderio di capovolgere tutto e ricominciare da capo, vissero svegliandosi la mattina con il sorriso sulle labbra, ma il giorno seguente con l'angoscia di doversi dire addio, ed il giorno seguente con il desiderio invece di ricominciare a rimettere al loro posto i cocci rotti o semplicemente di gettarli via. Vissero felici e contenti con l'idea di costruire una famiglia da Mulino Bianco ma che di bianco aveva solo le tende del soggiorno della loro dimora che pian piano da nido sicuro diventava a poco a poco la prigione delle loro anime. Non si può vivere per sempre felici e contenti. Si vive con tutto ciò che la vita ci riserverà, saranno gioie, soddisfazioni, vittorie, ma d'altronde sono sensazioni che potremmo assaporare con maggiore intensità soltanto provando anche dolori, delusioni, sconfitte, amare, logoranti.
Ma ad un bambino questo lo si omette. Sarà la vita, brusca ma reale, triste ma anche incredibilmente gioiosa ed affascinante, ad insegnarglielo. Allora forse capirà che quanti più Kinder Bueno scarterà, quanta più probabilità ci sarà di trovare la scritta "Hai vinto". 

martedì 27 novembre 2012

Un cuore, dove tutto inizia e tutto muore.

Con il cuore faccio qualsiasi cosa. Rido, mi emoziono, parlo con il cuore. Riesco a piangere con il cuore, è come se avessi dei tubicini immaginari che dal cuore conducono agli occhi da cui escono lacrime che nascono dal cuore ed in cui spesso ci rimangono senza mai solcare il viso. Mi innervosisco, urlo con il cuore. Delle urla che dallo stomaco passano al cuore per fuoriuscire dalla bocca, urla che spesso resteranno mute, fermandosi al cuore. Riesco persino a respirare con il cuore. Vado sempre dove il cuore avrà deciso di condurmi. Faccio domande a cui do risposte che nascono dal cuore. Vivo con il cuore, o meglio, vivo di cuore. E' come se riuscissi ad annullare tutti gli altri organi o parti del mio corpo, è come se tutto venisse conglomerato in quel muscolo dalle dimensioni di un pugno, che da' avvio ad una danza di pensieri, ricordi, esperienze, delusioni, sconfitte, fallimenti, amori andati o semplicemente passeggeri, persone che restano, persone che decidono di andare, speranze lucenti o dalle tinte opache, passioni che hanno voglia di esplodere ma che restano mute, sorde, dentro quel muscolo in cui sembra che tutto inizi e tutto finisce, una melma aggrovigliata che spesso confonde amicizie con amori, grandi passioni con beceri obiettivi, piccoli fallimenti in battaglia con una sconfitta dell'intera guerra. Lascio che tutto nasca da lì ed in quel groviglio di danze confuse lascio che lì tutto muoia. Ma vivo di un cuore che scoppia, che è gonfio, che è stanco, un cuore che spesso farebbe a pugni con se stesso. Un cuore che vuol prendersi la sua parte e lasciare che anche le altre parti del corpo fungano a qualcosa. Un cuore troppo pieno ma appesantito. E' come se tutte le sensazioni, dalle più dolci a quelle più amare, venissero incanalate in quel muscolo dalle dimensioni di un pugno che tutto in fondo non riesce a sopportare. Allora a volte batte a fatica. Ecco perchè quando rido o quando piango, quando vinco o quando perdo, quando urlo o resto in silenzio, quando ricordo o smetto di sperare, congiungo le mie mani al petto. E' come se volessi far combaciare il battito del cuore con la veemente cascata dei miei pensieri ed il respiro come un dolce fruscio di vento che porta via con se le foglie ingiallite, come se volessi che tutto compenetrasse lì, in quel muscolo, dove tutto inizia e tutto muore.
Dovrei forse far funzionare anche il cervello e dare la giusta collocazione ad ogni cosa. 

I ricordi dovrebbero andare nel polmone destro, le speranze in quello sinistro. I polmoni permettono la respirazione, senza il respiro si muore. E si muore anche senza ricordi e speranze. Perchè il ricordo è la base da cui partire per proiettarci verso un futuro che sarà sempre troppo incerto, le speranze fungeranno da molla, da trampolino, senza le quali sarebbe impossibile tuffarci nel mare dell'incertezza. Ricordi che in certi momenti ci annebbieranno, in altri ci faranno sorridere, in altri ancora star male. Speranze che talvolta cesseranno di brillare per assumere tinte opache, sino quasi ad annullarsi. Ma i ricordi sono l'unica cosa che il tempo non può cambiare, se ne stanno lì e puoi disporne quando vuoi e per quanto tempo tu lo desideri. Nessuno te li toccherà, e nel rispolverarli alimenteranno le tue speranze. I ricordi saranno parte del tuo respiro quando vorrai mollare, quando sarai stanco, ma ti ricorderai di tutte quelle volte che avresti voluto farlo e non l'hai fatto, non hai mollato, ce l'hai fatta, sarai andato avanti comunque. Non avrai smesso di sperare grazie ad un ricordo vitale quando un respiro.
I rimpianti andranno nell'intestino, espulsi come scorie dal nostro organismo, perchè non dovremmo averne. La vita è fatta di scelte e talvolta dinanzi ad un bivio una sola sarà la strada che potremo intraprendere, e l'unico modo per non avere rimpianti, per non pensare mai a cosa sarebbe successo se fossimo andati dritto invece di svoltare a destra, è scegliere nel silenzio della stanza dei nostri pensieri, avendo come sottofondo solo il nostro respiro ed il battito del nostro cuore, senza lasciare che niente e nessuno condizioni il nostro tragitto. Così i rimpianti saranno scorie da riporre nell'intestino per essere dopo poco espulse.
Le esperienze che abbiamo vissuto, i posti che abbiamo visitato, le persone che avremo conosciuto e saranno giunte nella nostra vita per insegnarci qualcosa o per scaraventarci bruscamente sull'asfalto, quelle grazie alle quali saremo diventati donne o uomini, dal cuore risaliranno attraverso la gola e attraversando il naso finiranno agli occhi. Dovranno essere i nostri occhi, che ci permetteranno di osservare tutto ciò che ci circonda in modo più responsabile e sempre più consapevole. 
Le delusioni, le sconfitte, i fallimenti di un lavoro, di un amore, di un amicizia saranno invece i nostri piedi su cui dovremmo reggerci. Senza di loro saremo piccoli uomini o piccole donne che avranno imparato poco dalla vita. Tanto più le delusioni saranno dolorose, più le sconfitte forti, più i fallimenti logoranti, quanto più la pianta dei nostri piedi sarà larga ed in grado di reggerci, reggere noi che diverremo intanto sempre più robusti, perchè impareremo a perdere con la stessa umiltà e scaltrezza che utilizzeremo per vincere. Vittorie che saranno nate dai piedi per raggiungere addirittura il cervello.
Al cuore dovremmo lasciare l'amore e le passioni. E' il loro posto d'altronde. Ma non c'è spazio per la vergogna di amare, nè di coltivare passioni evitando che restino mute e pure sorde. Non ci sarà spazio per la vergogna nelle orecchie correndo il rischio di diventare sordi, nemmeno sulla lingua perchè potremmo divenire muti, negli occhi ci sono le esperienze ed è impossibile pensare di diventar ciechi. Allora la vergogna dove va? La vergogna non esiste. E' una creazione del cervello perchè stanco di non far nulla per il sovraccarico di lavoro del cuore, ha avuto bisogno di inventarsi qualcosa. Ma ora che ogni parte del corpo svolge le sue funzioni, non ce sarà più bisogno. 
Ma dubito che questa congeniale sistemazione possa durare. Dubito di non riuscire più a portare la mani al petto come se volessi far combaciare il battito del cuore con la veemente cascata dei miei pensieri ed il respiro come un dolce fruscio di vento che porta via con se le foglie ingiallite, come se volessi che tutto compenetrasse lì, in quel muscolo, dove tutto inizia e tutto muore, quel muscolo per cui in fondo vivo.

domenica 25 novembre 2012

L'arte di aspettare.

Il punto non è quanto tempo si aspetta, ma chi o cosa si sta aspettando. 
Per un caffè servito al tavolo saremmo capaci di attendere massimo una decina di minuti, forse anche quindici se siamo in dolce compagnia. 
Alla solita amica ritardataria saremo in grado di aspettarla anche per trenta minuti, o addittura un'ora, perchè con quel suo tono pacato e gentile ti rifilerà una montagna di scuse a cui non riuscirai a non sorridere, del tipo "Ho fatto tardi perchè il gatto andava in giro con le mie mutande..." " Ho fatto tardi perchè non usciva l'acqua calda e sai che non riesco a fare docce fredde..." " Ho fatto tardi perchè mi si è rotta l'unghia, sai quanto ci ero affezionata, ho dovuto seppellirla nella pianta sul davanzale e mi sono chiusa nel mio logorante dolore. "
Ai professori all'università saremo capaci di aspettarli ore, a volte intere giornate nonostante le nostre attese si rivelino talvolta vane.
Ma la sua telefonata, il suo messaggio, il suo sguardo, il suo respiro che si confonde col fruscio delle foglie d'autunno, la sua risata, il suo modo di prenderci per mano o accarezzarci quando siamo stanchi, confusi, nervosi, assetati dal desiderio di esprimere a qualcuno ciò che proviamo, tutto questo saremo capaci di aspettarlo per troppe ore, troppi giorni, troppe settimane, troppi mesi. Talvolta lo aspetteremo in eterno senza nemmeno accorgercene, nonostante il nostro passare per altri sorrisi ed altri sguardi, ma che non saranno il suo modo di sorridere, il suo modo esclusivo di guardarti. Un modo che non si può spiegare ma che evidentemente è in grado di utilizzare solo lui. Quel modo di guardarti che ti penetra come se steste facendo l'amore, quel modo di sorriderti che comporta la stessa sua smorfia sul tuo viso senza che tu possa provare a gestirla, quel modo di accarezzarti come se stesse toccando un tesoro raro, nel dettaglio, con premura ed attenzione. Quel modo di amare lui nel silenzio quotidiano pur incrociando altri sguardi, pur toccando altre labbra. Quel modo di avere impresso il suo viso nella mente, cercandolo talvolta tra la gente incrociata per strada. Quel sorriso che ci illumina, ci colora, in fondo ci devasta.
Per tutto questo esclusivismo non vale quanto si aspetta. Potremmo aspettare giorni, settimane, mesi, addirittura anni. Quando si aspetta qualcosa è come se decidessimo a priori quanto tempo siamo disposti ad aspettare, superato il quale andremo via, perchè il nostro tempo sarà più prezioso di quel caffè, di quell'amica forse, e sicuramente anche del professore la cui attesa sarà vana. Ma quanto diventa prezioso il nostro tempo quando si tratta di aspettare l'unico sguardo che ci penetra senza necessariamente toglierci i vestiti, l'unico sorriso che ci fa assumere quella stessa smorfia sul viso che non riusciremo a controllare, che ci dona luce, colore, un innato senso di libertà, quelle parole che risuonano come un'incantevole poesia nella nostra mente al suono della sveglia e prima di addormentarci? Quanto vale il nostro tempo di fronte quel suo essere incredibilmente lui o lei, che ci fa palpitare il cuore quasi come se stesse scoppiando per il troppo amore, che ci devasta e ci tormenta come l'incessante suono di tamburi? Quanto vale il nostro tempo se stiamo aspettando di sentirci pienamente a contatto con ciò che vogliamo essere, con ciò che siamo, paure comprese, se stiamo aspettando di colorarci di tinte che non avremo mai visto, se stiamo aspettando di sentirci in quel modo, felici e leggeri? Non c'è un tempo di attesa. In questo caso varrà ciò che stai aspettando non quanto lo farai, nè da quanto tu lo stia già facendo nè quanto ancora dovrai aspettare.