Eppure c'erano solo tre yogurts, una confezione di fragole, un'altra di pomodori, un barattolo di sugo pronto, una bottiglia di succo alla mela, dei toasts e del formaggio.
Il frigo sembrava pieno, come quando in un piccolo spazio tenti di farci entrare il necessario che supera l'effettiva capienza, allineando tutte le bottiglie, riponendo i barattoli negli angoli e le confezioni di yogurts le une sopra le altre.
E ho pensato in quel momento al modo in cui si vive in una piccola città piuttosto che in una grande metropoli, dove gli spazi limitano i desideri facendoli sembrare però eterni e mai spenti, in cui ogni minuto sembra durare più di sessanta secondi, in cui i piccoli spazi fanno da alibi per tenersi stretti, in cui sembra all'apparenza non entrarci niente, eppure vi si può inserire tutto.
Perché quello che ho imparato vivendo in una grande città come Londra è questo: che non è vero che spazi enormi rendono giganteschi anche i tuoi desideri, ma spesso si rimpiccioliscono per far spazio a quelli degli altri, o addirittura per crearne tanti altri della stessa portata; che un minuto dura un secondo o forse anche meno e che i grandi spazi forniscono alibi per allontanarsi nonostante le distanze siano facilmente raggiungibili, in cui sembra che tu possa metterci dentro tutto ciò di cui hai bisogno, e forse ci riesci, pur mancando sempre qualcosa che vorresti tener stretto, a tuo modo, scegliendone la forma più appropriata che non si rivelerà però mai quella giusta.
E' che in una grande città come questa devi imparare a fare a meno delle persone. Quelle che vanno e vengono come onde che toccano il bagnasciuga per poi ritirarsi. Quelle che come schizzi di pioggia ti accarezzano la pelle, lasciandoti sentire un profumo di aria fresca che durerà esattamente quel minuto che percepirai come fosse un secondo. Quelle che vorresti tener strette pur essendo una strada vietata.
Quelle con cui ti andrebbe di condividere semplicemente un po' di umanità, che ha lo stesso profumo del caffè appena svegli, la risata dei bambini in una piccola piazza di paese in un pieno pomeriggio d'estate, la voce di chi ti dice che resta con te perché le distanze, di qualsiasi forma si tratti, sono solo una creazione della mente, semplicemente bugie.
E' la terra in cui non c'è tempo, in cui tutto nasce e muore velocemente, in cui i rapporti durano quanto la vita delle farfalle.
E puoi decidere di sottostare a questo insano principio che mette il tuo essere umano alla gogna, di vivere di solo bianco o solo nero, di cose che se non sono grandi allora è bene che divengano niente, o vivere di sfumature, sotto un cielo che vedi sereno anche quando vi sono poche nuvole che intiepidiscono i raggi di sole, al cospetto di un tramonto in cui la vasta gamma di colori si addiziona tramutandolo in un rosa inconsueto.
Sarà che ho imparato a riparare piuttosto che a gettare, a trattenere piuttosto che respingere, a desiderare anche quando sembra sia proibito.
Sarà che la leggenda racconta di un cielo londinese sempre grigio, mai solo bianco, mai solo nero.