Il cuore è il nostro organo migliore. Vivrà nel tiepido venticello primaverile annusando il fresco profumo dei primi germogli, suderà sotto il sole rovente di una calda estate senza bisogno di dissetarsi, osserverà le foglie oramai ingiallite cadere ai piedi di un albero oramai spoglio, sopporterà il gelo invernale intervallato da tempeste e nevicate senza mai smettere per questo di battere. E si meraviglierà ogni volta all'inizio di una nuova primavera, anche se l'inverno sia durato più del dovuto, anche se la primavera sembrerà a tratti precaria e fugace. Il cuore parla anche quando pensiamo non lo faccia. Lui parla di continuo senza mai stancarsi, anche quando fingiamo di non ascoltarlo, come la voce dell'uomo in metropolitana che va come un disco rotto. E potremo fingere di non ascoltarlo, potremo credere nel suo silenzio, ma dopo un po' esploderà nel suo essere dirompente, come se si fosse fatto a brandelli, ma un cuore può sempre essere riparato. Il cuore chiede sempre grazie per le persone ed i luoghi che diverranno suoi ospiti, offrirà loro il cibo più buono con il servizio migliore, anche quando quei luoghi diverranno ricordi sbiaditi, quelle persone clienti che dopo un po' sgattaioleranno via, talvolta senza pagare il conto. E si scusa per il ritardo, nonostante sia stato sempre lì, in quella concavità protetto tra le costole e lo sterno, a sussurrarci qualcosa che eravamo soltanto noi a non voler capire, a ritardare la scelta che ci avrebbe posto nudi, muti ed in silenzio al cospetto del cuore cui è impossibile desistere.
Il mio cuore ha sempre fatto entrare chi pensavo valesse la pena far entrare, senza mai nemmeno pagare l'ingresso, e non rimpiango le scelte sbagliate, nè gli uomini che ho selezionato in modo sbagliato, nè le circostanze ed i luoghi forse sbagliati. Non rimpiango ciò che il cuore ha sempre scelto di darmi per poi categoricamente togliermi, perchè in questo costante movimento ci ho visto sempre tanta vita, paradossalmente incostante nella sua costanza, ma pur sempre una vita, mai sbagliata ma la più giusta nonostante i demeriti. Ed è per questo che al mio cuore ho sempre permesso di abituarsi. Si è abituato agli incontri fugaci, all'inesorabilità di un tempo che ha visto molti scappare, alle amarezze e alle delusioni, agli arrivederci tramutatisi in addii. Così tutto quello che di buono c'è stato, è come se avessi avuto la sensazione di essermelo sudato e mi è sembrato di una bellezza enorme anche un sorriso, un abbraccio, un ti voglio bene disinteressato. L'ho fatto abituare a tutto questo senza permettergli mai di stancarsi.
Vorrei che si stancasse soltanto quando sarò vecchia, dopo aver innaffiato le piante della passione ed averle riposte al sole per lasciarle maturare, dopo aver medicato il cuore tante volte senza mai pensare che valesse la pena stare fermi ma ogni volta ripartire, dopo aver fatto piovere burrascosamente su un cuore che poi avrà visto o solo immaginato l'arcobaleno. Vorrei che il mio cuore si stancasse soltanto dopo aver reso la mia vita un film da Oscar, così che potrò consegnare la statuetta direttamente nelle sue mani e sussurrargli in quell'istante che potrà allora anche stancarsi. Il cuore ha sempre deciso al mio posto ed io gliel'ho lasciato fare perchè sono sempre stata convinta che quello fosse il mio reale volere.
Ma sul quando stancarsi voglio decidere io, è l'unica richiesta per cui voglio impormi. E fin quando continuerà a battere, non pretendo soltanto di essere viva, ma voglio sentirmici.
giovedì 7 marzo 2013
mercoledì 6 marzo 2013
Le strade del cuore.
Tracci una strada con il gessetto, con estrema cura, attenta a che non si spezzi. Poi ad un certo punto del tuo percorso il gessetto si spezza ma continui con insolita ostinazione ad usarne ciò che resta, limitandoti a tracciare il percorso con dei trattini che man mano sembreranno sempre meno visibili. Oramai consumato, il gessetto lo getti nella cesta dei sogni dimenticati e dei desideri inconsci. E allora sei spaesata, perchè non sai più come tracciare il tuo percorso, ma ti dirigi lo stesso verso i viottoli di quella strada che sembra al momento un passaggio obbligato, di cui pian piano scorgi, tra steppa ed arbusti spogli, finalmente la fine. Ma quando sarai giunta al traguardo dovrai immaginare una nuova strada, dove per arbusti spogli e steppa non ci sarà più spazio, dove vorresti che il tuo sguardo si perda nella natura incontaminata ove è possibile scorgere ruscelli di tanto in tanto e qualche bel fiore variopinto da cogliere qua e là. Ed in giornate come queste, in cui fuori piove, decidi di aprire quella cesta in cui hai gettato il tuo gessetto consumato facendo in modo che dentro ci resti soltanto quello, lasciando che la superficie della cesta si bagni, ma non anche i sogni che non vuoi dimenticare, i desideri che vuoi finalmente palesare e la grinta che vuoi impiegare per qualcosa che piace. Ti accorgi che solo i passaggi obbligati necessitano di gessetti per tracciare un percorso in cui altrimenti perderesti il senso dell'orientamento. Ma ci sono le strade del cuore per cui basta aprire una cesta e lasciare che il sogno ed il desiderio spicchino il volo attraverso la forza del vento che si mischia con una grinta che poco sa di obbligato, ma molto più di naturale, perchè sei in fondo spontaneamente te stessa, e allora non ci sarà bisogno di alcuna penna, matita o gessetto con cui tratteggiare un percorso, ma sarà il cuore a guidarti come se conoscessi con intrepida meraviglia ogni contorno di quel paesaggio in cui si ritaglia la tua strada, come se già fosse riflesso nei tuoi occhi senza nemmeno esserti mai cimentata. Le ragioni del cuore non conoscono alcun perchè, se, ma o può darsi, non sentono il fallimento di chi comunque decide di provarci, non possono essere ingabbiate né tratteggiate nè definite entro schemi minimizzanti rischiando di stigmatizzare anche le passioni. Le ragioni del cuore sono quelle e basta, inutile spiegarle, le possiamo soltanto aprire e lasciarle volare come rondini alla ricerca del loro posto caldo in un inizio di primavera, quasi come se dicessero "Vai!" . Ascoltarsi e seguire le ragioni del cuore senza farsi troppe domande può aprire infinite possibilità ed è questo l'indice del maggior cambiamento che per te devi pretendere.
Aprirsi possibilità non significa vincere per forza, ma solo non provarci mettendo al tuo cuore un bavaglio è indice di sconfitta, perchè perdi non solo la possibilità di riuscirci, ma soprattutto la possibilità di essere te stessa con un cuore che batte e che ti fa sentire viva ovunque sceglierà di condurti.
martedì 5 marzo 2013
Ho perso il conto.
Ci sono mattine in cui ti svegli e nonostante il cinguettio degli uccellini sul davanzale, l'aria è fresca, non sembra essere una di quelle giornate che ti fanno pregustare la primavera, ma quest'aria fresca rigenera la mente e rinfresca l'epidermide. E' strano come io riesca a tollerare questo freddo più di quello delle persone.
Ci sono giornate che ti portano il conto delle persone incrociate nella tua vita che oggi hai perso, non avendo la benché minima idea di dove siano e con chi, non conoscendo alcun dettaglio della loro vita che è proseguita dopo essere usciti dalla tua, o forse non entrandoci mai.
E sono tanti, più di cento, o forse il doppio o probabilmente mille.
Non so il numero esatto, oramai ho perso il conto, o probabilmente è inutile mettersi a contare, perché in effetti alla lista se ne aggiungeranno ancora molti. Sono così tanti che spesso mi capita di non ricordare nemmeno i loro volti, il loro modo di parlare, addirittura i loro nomi. Quando sono fortunata c'è una fantasia collettiva nel pronunciare la frase "un giorno ci rivedremo, ci possiamo sempre vedere quando vogliamo", ma questo giorno sembra così lontano, questo sempre così irreale, da estirpare il senso da quel ci rivedremo perché in fondo non lo si vuole abbastanza, se ne può fare anche a meno. Tutti parlano di un perdersi e ritrovarsi, ed anch'io lo faccio talvolta per convincermene, ma la verità è che in fondo ho conosciuto solo un perdersi, o un perdersi due volte intervallato da un ritrovarsi fugace. Ma il conto di chi ha scelto di restare non lo perdo mai, perché sono così poche che delle loro vite conosco quasi ogni dettaglio, potrei farne una lista con i loro nomi e cognomi ed attaccarla al frigo come un post it.
Questo conto resta intatto, non aumenta, a limite diminuisce, allora contare le persone che restano sarebbe senza dubbio più semplice. Ed è per questo che non comprendo perché io debba svegliarmi una mattina qualunque pensando di voler portare il conto di chi ho perso strada facendo, quando probabilmente per contare una sola giornata non basterebbe.
Forse perché chi sceglie di restare lo fa in silenzio, con estrema naturalezza, senza pretendere che tu te ne accorga. O forse perché il più delle volte non era importante chi andasse via, ma che indipendentemente da chi fosse, non avesse scelto di restare, allungando la mia lista interminabile.
In questi casi avrei preferito imparare a contare solo fino a dieci, o forse avrei voluto imparare ad ascoltare il silenzio di chi resta senza attendere il rumore di una porta che si chiude per far uscire il prossimo. C'è ancora tempo per imparare, ma spesso sento di aver perso il conto anche di quello. E allora basta, non conto più.
Ci sono giornate che ti portano il conto delle persone incrociate nella tua vita che oggi hai perso, non avendo la benché minima idea di dove siano e con chi, non conoscendo alcun dettaglio della loro vita che è proseguita dopo essere usciti dalla tua, o forse non entrandoci mai.
E sono tanti, più di cento, o forse il doppio o probabilmente mille.
Non so il numero esatto, oramai ho perso il conto, o probabilmente è inutile mettersi a contare, perché in effetti alla lista se ne aggiungeranno ancora molti. Sono così tanti che spesso mi capita di non ricordare nemmeno i loro volti, il loro modo di parlare, addirittura i loro nomi. Quando sono fortunata c'è una fantasia collettiva nel pronunciare la frase "un giorno ci rivedremo, ci possiamo sempre vedere quando vogliamo", ma questo giorno sembra così lontano, questo sempre così irreale, da estirpare il senso da quel ci rivedremo perché in fondo non lo si vuole abbastanza, se ne può fare anche a meno. Tutti parlano di un perdersi e ritrovarsi, ed anch'io lo faccio talvolta per convincermene, ma la verità è che in fondo ho conosciuto solo un perdersi, o un perdersi due volte intervallato da un ritrovarsi fugace. Ma il conto di chi ha scelto di restare non lo perdo mai, perché sono così poche che delle loro vite conosco quasi ogni dettaglio, potrei farne una lista con i loro nomi e cognomi ed attaccarla al frigo come un post it.
Questo conto resta intatto, non aumenta, a limite diminuisce, allora contare le persone che restano sarebbe senza dubbio più semplice. Ed è per questo che non comprendo perché io debba svegliarmi una mattina qualunque pensando di voler portare il conto di chi ho perso strada facendo, quando probabilmente per contare una sola giornata non basterebbe.
Forse perché chi sceglie di restare lo fa in silenzio, con estrema naturalezza, senza pretendere che tu te ne accorga. O forse perché il più delle volte non era importante chi andasse via, ma che indipendentemente da chi fosse, non avesse scelto di restare, allungando la mia lista interminabile.
In questi casi avrei preferito imparare a contare solo fino a dieci, o forse avrei voluto imparare ad ascoltare il silenzio di chi resta senza attendere il rumore di una porta che si chiude per far uscire il prossimo. C'è ancora tempo per imparare, ma spesso sento di aver perso il conto anche di quello. E allora basta, non conto più.
domenica 3 marzo 2013
Solo tre domande.

Ma oggi era domenica e c'era il rituale della preghiera, domani sarà lunedì e non ci sarà tempo, ricomincerà una nuova settimana e chiunque pranzerà ad un orario differente e sarà complicato riunirsi, chiunque riprenderà le proprie vite ritagliandoti uno spazio nei momenti di pausa con l'orologio alla mano.
Non è che non sopporti il recitare una preghiera prima di iniziare il pranzo domenicale, questa è semplicemente una metafora di quello che spesso accade nella mia vita, ma sono le formalità non sentite che mi affaticano, il trovarmi in contesti io cui non mi senta me stessa, in cui però mi sento costretta ad entrare per buon senso nonostante un senso non ce lo veda, nonostante non ci veda niente di buono ad esser presente con il corpo lasciando lo spirito piegato in dei cassetti a far compagnia alla tua biancheria intima, la propensione a rispettare sempre gli altri bistrattando me stessa rivelandosi in dei momenti un'indicibile tortura. Non credo che sia possibile abbattere le formalità, ma sono oramai stanca del tempo che mi viene detratto, preferirei di gran lunga un compromesso che non mi veda unica preda passiva degli eventi. Allora reciterò la preghiera la domenica, ascolterò i vostri problemi e sarò anche disposta ad aiutarvi, sarò spettatrice delle vostre formalità pur non calandomi in esse completamente, in cambio vorrei che mi rivolgeste solo tre domande: "Come ti senti oggi, come hai dormito, cosa vuoi fare nella tua vita?"
giovedì 28 febbraio 2013
Pensieri nello zucchero.
Qualche giorno fa ero ad un tavolino di un bar. Non ero sola, c'erano anche i miei pensieri a farmi compagnia che ho tentato di zittire ma purtroppo hanno preso il lato peggiore di me: ognuno deve rigorosamente dire la propria. Così si accavallano le voci, non trasuda alcuna linea di pensiero ben definita, sollevando soltanto un gran clamore che si disperde tra i fumi di pagine di libri bruciati. Ho tentato anche di affogarli in un caffè con poco zucchero che continuavo a girare con la sfrontata ostinazione di chi vorrebbe diluire quei pensieri insieme alla zolletta di zucchero, fin quando da quella tazzina ho sentito "Basta, non si sciolgono, è inutile, falla finita e bevimi!"
Così l'ho sorseggiato fino a riporre la tazzina sul tavolo. In quel caffè avrei potuto versare anche una quantità industriale di zucchero, ma sarebbe stato sempre amaro lo stesso. Lo zucchero ed i pensieri sono un binomio errato, nella loro reazione chimica il pensiero vince sempre sullo zucchero, ci sono anni di studio alle spalle ma io come al solito ci ho provato lo stesso, pur fallendo. E mentre sperimentavo la pur fallimentare reazione chimica insistendo nel voler vedere la vittoria dello zucchero sui pensieri, comincio ad ascoltare le parole di un ragazzo e due ragazze al tavolino di fronte al mio. Quei discorsi che non vorresti ascoltare di proposito, nonostante l'orecchio li segua comunque involontariamente nella loro totale indifferenza. Il ragazzo appariva particolarmente agitato, gesticolava molto, mentre le sue amiche sembravano delle statue di cera, pronunciando di tanto in tanto delle frasi ovvie sul come doversi comportare o a limite ribadendo il suo concetto cambiando termini ed aggettivi, che non avrebbero di certo lenito il suo stato d'angoscia. Il problema che gettava quel carinissimo ragazzo sedutomi di fronte nello sconforto era una litigata con la sua fidanzata che gli aveva chiesto del tempo per pensare. Strano. Tante persone invocano tempo per pensare nello stesso istante in cui qualcun'altro si accontenterebbe che qualcuno inventasse uno zucchero in grado di superare la reazione chimica con i pensieri. Diceva che non era la prima volta che accadeva e che ora come ora era avvilito, come fosse preda di un tempo che non sarebbe riuscito a spezzare perchè nonostante la sua fugacità il suo amore ancora intatto non glielo avrebbe permesso. Allora non gli restava che aspettare non staccando mai le sue dita dal cellulare, come una preda cacciata e sbranata dal carnefice che non era lei, ma la sua pretesa di aver tempo. Tutto d'un tratto arriva un messaggio sul suo cellulare che gli illumina il viso con un sorriso che non riusciva a contenere ed un entusiasmo tale da leggere quel messaggio a voce alta. La ragazza si scusava per la sua reazione eccessiva dettata dal forte nervosismo e gli assicurava che non sarebbe più accaduto. Parole scritte in sequenza, da copione, sentite e risentite, ma che sono bastate per farlo sorridere e riaccendere un barlume di speranza. Basta così poco per legare due vite, così poco per scioglierne i nodi, ma ancora meno talvolta per riunirli. Allora mentre al tavolo di fronte il tempo, spesso mio invincibile nemico, era stato sconfitto, l'aver occupato la mente con discorsi che mi appartenevano pur non facendone parte, servì a sciogliere parte dei pensieri nello zucchero, non tutti, ma questo è servito per partorire una considerazione: l'amore può vincere il tempo, come dell'olio versato in un bicchiere d'acqua che resterà sempre in superficie; se è il tempo a vincere si tratterrà di un suo surrogato, qualcosa che si spaccia per amore perchè sembra avere la stessa etichetta, qualcosa di simile ma in fondo diverso.
Quel ragazzo lo stava insegnando ad una come me che dal tempo ne è uscita sempre a brandelli.
Così l'ho sorseggiato fino a riporre la tazzina sul tavolo. In quel caffè avrei potuto versare anche una quantità industriale di zucchero, ma sarebbe stato sempre amaro lo stesso. Lo zucchero ed i pensieri sono un binomio errato, nella loro reazione chimica il pensiero vince sempre sullo zucchero, ci sono anni di studio alle spalle ma io come al solito ci ho provato lo stesso, pur fallendo. E mentre sperimentavo la pur fallimentare reazione chimica insistendo nel voler vedere la vittoria dello zucchero sui pensieri, comincio ad ascoltare le parole di un ragazzo e due ragazze al tavolino di fronte al mio. Quei discorsi che non vorresti ascoltare di proposito, nonostante l'orecchio li segua comunque involontariamente nella loro totale indifferenza. Il ragazzo appariva particolarmente agitato, gesticolava molto, mentre le sue amiche sembravano delle statue di cera, pronunciando di tanto in tanto delle frasi ovvie sul come doversi comportare o a limite ribadendo il suo concetto cambiando termini ed aggettivi, che non avrebbero di certo lenito il suo stato d'angoscia. Il problema che gettava quel carinissimo ragazzo sedutomi di fronte nello sconforto era una litigata con la sua fidanzata che gli aveva chiesto del tempo per pensare. Strano. Tante persone invocano tempo per pensare nello stesso istante in cui qualcun'altro si accontenterebbe che qualcuno inventasse uno zucchero in grado di superare la reazione chimica con i pensieri. Diceva che non era la prima volta che accadeva e che ora come ora era avvilito, come fosse preda di un tempo che non sarebbe riuscito a spezzare perchè nonostante la sua fugacità il suo amore ancora intatto non glielo avrebbe permesso. Allora non gli restava che aspettare non staccando mai le sue dita dal cellulare, come una preda cacciata e sbranata dal carnefice che non era lei, ma la sua pretesa di aver tempo. Tutto d'un tratto arriva un messaggio sul suo cellulare che gli illumina il viso con un sorriso che non riusciva a contenere ed un entusiasmo tale da leggere quel messaggio a voce alta. La ragazza si scusava per la sua reazione eccessiva dettata dal forte nervosismo e gli assicurava che non sarebbe più accaduto. Parole scritte in sequenza, da copione, sentite e risentite, ma che sono bastate per farlo sorridere e riaccendere un barlume di speranza. Basta così poco per legare due vite, così poco per scioglierne i nodi, ma ancora meno talvolta per riunirli. Allora mentre al tavolo di fronte il tempo, spesso mio invincibile nemico, era stato sconfitto, l'aver occupato la mente con discorsi che mi appartenevano pur non facendone parte, servì a sciogliere parte dei pensieri nello zucchero, non tutti, ma questo è servito per partorire una considerazione: l'amore può vincere il tempo, come dell'olio versato in un bicchiere d'acqua che resterà sempre in superficie; se è il tempo a vincere si tratterrà di un suo surrogato, qualcosa che si spaccia per amore perchè sembra avere la stessa etichetta, qualcosa di simile ma in fondo diverso.
Quel ragazzo lo stava insegnando ad una come me che dal tempo ne è uscita sempre a brandelli.
mercoledì 27 febbraio 2013
Persone come strade.
Mi piacciono le persone che ti attraversano e nel farlo consentono a te di attraversare loro. Quelle che ti attraversano come fossi un'autostrada a gran velocità, decelerando solo per pagare il biglietto al casello per poi proseguire senza mai scalare la marcia. Come fossi una strada sterrata, dalla difficile percorribilità, a tratti fangosa o impervia, eppure l'unica alternativa possibile. Come fossi una strada larghissima o strettissima, che finisce per condurre ad un vicolo cieco o la sola a condurti a destinazione. Come fossi una stradina assolata di campagna di cui fatichi a vedere la fine, un sentiero all'ombra dei cipressi da attraversare lentamente a piedi o in bicicletta, mentre il tiepido venticello ti scompiglia i capelli e all'orizzonte il rosso si combina con il giallo e l' arancione di un Sole che sembra perdersi tra le colline lasciando spazio all'imbrunire, come fosse un dipinto su tela in cui la compenetrazione dei colori della tavolozza consacra un'unione simbolica ove è impossibile comprendere dove inizia una tinta e dove finisca l'altra.
Quelle persone che ti attraversano nonostante sembri una strada vietata, un sentiero nascosto il cui asfalto non era mai stato calpestato nemmeno da te, generando stupore. Mi piacciono le persone così, quelle che fanno di te una strada da percorrere in silenzio, una strada che avrai l'impressione di attraversare anche tu insieme a loro, tenendogli la mano. Quelle persone che ti vedranno come una strada da attraversare infinite volte senza mai stancarsi, conoscendone ogni angolo, in cui scorgere una fontana in cui di tanto in tanto dissetarsi, o una strada percorribile soltanto in un dato momento per poi uscirne mentre la loro sagoma si confonderà con l'orizzonte in una giornata di solleone.
Mi piacciono quelle persone che nell'attraversarti lasciano una traccia del loro passaggio, un'orma sull'asfalto ancora fresco, che possa guidarti verso altre strade che dentro di te ci sono sempre state ma che avevi imparato ad ignorare, essendo l'un per l'altro in fondo un labirinto inesplorato in cui nascono i sogni, in cui avrai la sensazione di perderti ma persa non ti ci sentirai mai.
Quelle persone che ti attraversano nonostante sembri una strada vietata, un sentiero nascosto il cui asfalto non era mai stato calpestato nemmeno da te, generando stupore. Mi piacciono le persone così, quelle che fanno di te una strada da percorrere in silenzio, una strada che avrai l'impressione di attraversare anche tu insieme a loro, tenendogli la mano. Quelle persone che ti vedranno come una strada da attraversare infinite volte senza mai stancarsi, conoscendone ogni angolo, in cui scorgere una fontana in cui di tanto in tanto dissetarsi, o una strada percorribile soltanto in un dato momento per poi uscirne mentre la loro sagoma si confonderà con l'orizzonte in una giornata di solleone.
Mi piacciono quelle persone che nell'attraversarti lasciano una traccia del loro passaggio, un'orma sull'asfalto ancora fresco, che possa guidarti verso altre strade che dentro di te ci sono sempre state ma che avevi imparato ad ignorare, essendo l'un per l'altro in fondo un labirinto inesplorato in cui nascono i sogni, in cui avrai la sensazione di perderti ma persa non ti ci sentirai mai.
martedì 26 febbraio 2013
Sintesi? No, grazie. Preferisco una birra.
Forse proprio per la mia incapacità di sintesi, non amo particolarmente le definizioni attraverso aggettivi secchi, lapidari, identificatori ma mai totalmente, sempre in fondo a metà.
La definizione sterilizza, minimizza, comprime, stigmatizza, conduce per forza ad una categoria piuttosto che ad un'altra. Ed io detesto stigmatizzare nella stessa misura in cui io soffra nel vedermi spesso stigmatizzata, ridotta, compressa come fossi un salume sotto vuoto. Nella cerchia delle definizioni si nasce, talvolta ci si perde, spesso si muore.
In effetti non saprei nemmeno che definizioni attribuirmi.
Non credo che le definizioni facciano per me, non sono una di quelle a cui chiedere una breve presentazione di se stessi, una che risponderebbe in maniera lapidaria pescando dalla cesta di quelle convenzionali qualità che sembrano in questi casi appartenere un po' a tutti.
Ma se proprio dovessi riconoscermi qualcosa, direi probabilmente di essere una persona in grado di amare tanto che spesso diventa un troppo, in un tempo sempre troppo piccolo o troppo grande. Il troppo sarebbe un rafforzativo ma quello che poi definirebbe realisticamente il mio modo di amare. E non mi riferisco soltanto ad un amore nei confronti di un potenziale uomo. Amore per i dettagli, per i miei pensieri, per quell'idea di preservare la mia dignità che equivale ad accettarmi esattamente per quella che sono, per le passioni, i miei tentativi, amore per chi standoti accanto riesce a farti sorridere anche quando non ci sarebbe alcuna ragione per farlo, fin quando comprendi che in fondo non ci deve essere una ragione per sorridere, lo devi fare e basta, e se proprio la vuoi trovare avrà il nome di chi ti avrà procurato quella smorfia sul viso che in fondo ti dona. Amore per un film, un libro, un interesse, un posto. Amore nella sua accezione più ampia e totalitaria del termine.
Allora se mi chiedessero di attribuirmi una definizione io direi di essere "una che ama troppo".
Una che ama troppo per il suo fare scelte impulsive che potrebbero sembrare troppo grandi, esagerate, avventate, spesso incomprensibili per gli altri ma che lei non avvertirà mai come tali. Una in grado di pronunciare "mi manchi" ed in egual misura "ti vengo a prendere" anche se significherebbe percorrere chilometri o addirittura cambiare Stato. Una che probabilmente farebbe spazio ai vestiti dell'altro nel suo armadio senza mai pronunciare il termine "ingombrante", nonostante trovandosi nella circostanza opposta si sentirebbe forse costretta a lasciare i suoi indumenti in valigia. Una che nonostante la stanchezza aspetterebbe sveglia fin quando lui non ritorna soltanto per sentirsi dare la buonanotte. Una che forse andrebbe da un capo all'altro della città soltanto per domandare "Come stai?" senza pretendere che le sia rivolta la stessa domanda. Una che ogni mattina si prodiga nel fargli il nodo alla cravatta anche se ne potrebbe fare a meno insegnandoglielo, ma non lo farebbe lo stesso, perchè quella sembra essere la più tenera delle abitudini, come un luogo in cui ritrovarsi ancora una volta più vicini dopo aver abbandonato le lenzuola, un fare qualcosa per l'altro che potrebbe anche imparare ma che tu speri in fondo non impari mai per poter essere sempre la sua insegnante. Una che ama troppo e nella stessa misura si strazia. Una che vive nell'attesa e che resta nonostante lui magari non la stia aspettando, nè le abbia mai chiesto di restare. Una che per timore che lui scappi dalla finestra, gli aprirebbe probabilmente la porta principale per constatare almeno il momento esatto in cui abbia scelto di andare via, per avere almeno la possibilità di salutarlo con un viso imperturbabile che si trasformerà in uno corrugato dalle lacrime non appena chiuda la porta alle sue spalle.
Una che si innamora troppo anche delle sue idee prendendosene cura in egual maniera, non lasciando mai che nessuno gliele sporchi.
Una che quando ama particolarmente un libro che ha letto, lo consiglia a tutti, così che il suo amore possa essere condiviso. Una che quando ama particolarmente un film sarebbe in grado di guardarlo milioni di volte, stupendosi, ridendo o piangendo a dirotto esattamente nello stesso punto, ogni volta.
Una che quando visita una nuova città, si immerge completamente camuffandosi tra i passanti non volendo mai apparire una turista, ed in questo suo entrarci dentro pienamente se ne innamora così tanto al punto da lasciare in ogni dove un pezzo del suo cuore che in cambio avrà contribuito ad arricchire la sua anima.
Non so se questo sia il modo di amare più giusto, perchè spesso in questo modo di amare mi ci perdo.
Non so se qualcuno avrà desiderio di ricambiare mai il "favore". Non so se si tratti contrariamente a ciò che credo di un amare quanto basti, a sufficienza, troppo poco o troppo di quel troppo che storpia. So soltanto che è il mio modo che sussume un come, un quando ed un perchè in cui non c'è ciò che giusto o sbagliato, non c'è un tempo che impedisca di farlo nè una ragione per cui valga la pena desistere. E' un modo che sento l'esigenza ogni volta di spiegare per non chiudermi nella categoria del "Chi ama troppo" , che in fondo non è nemmeno una definizione nel senso proprio del termine, perchè nel catalogarmi senza dare spiegazioni questo modo di amare sarebbe sterilizzato, stigmatizzato, compresso, minimizzato proprio come l'amore non dovrebbe mai diventare.
Io, invece, sarei nient'altro che una definizione, ciò che non vorrei mai essere.
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