Era una di
quelle domeniche pomeriggio da starsene in casa, quando fuori c’è una pioggia
torrenziale che sembra non avere alcuna intenzione di smettere.
Avevo
promesso ad una persona che saremmo andate a vedere una mostra fotografica, così,
non sapendo non tener fede alle promesse, ho deciso di sfidare la pioggia e la
pigrizia.
Lei è una
di quelle persone che adora l’arte e che avrebbe osservato ogni fotografia per
dei minuti, così da non perdere alcun dettaglio. Una di quelle che poi avrebbe
selezionato il miglior scatto, basandosi sulla giusta angolazione e sulla
luminosità perfetta.
Poco prima
di arrivare alla mostra ho pensato a tutto questo e anche che, in effetti, non
sono mai stata un’assidua frequentatrice di mostre fotografiche.
Dinanzi ad
ogni scatto tutti sembravano assumere lo stesso atteggiamento contemplativo:
spalle curve, testa in avanti, ginocchio destro leggermente piegato, braccia
conserte ed uno sguardo assorto. Per molti il primo passo era leggere la
descrizione, per poi posare immediatamente gli occhi su quello scatto, quasi
come a voler testare se la nota combaciasse con quello che gli occhi erano in
grado di osservare, quasi come a voler trovare una verità.
Così, una
dopo l’altra, le ho osservate tutte. Fin quando ho posato lo sguardo su una in
particolare. Ancor prima di leggere chi fosse l’autore dello scatto e chi il
soggetto rappresentato, ho avvertito una leggera commozione che prima di allora
non avevo mai provato. Non ne capisco di fotografia, per cui non avrei saputo
dirne di più, ma è come se in un attimo fossi riuscita ad oltrepassare la
cornice e ad entrarci dentro. Libertà, è stata questa la sensazione che ho
percepito al primo sguardo, quella che provi quando prendi del tempo per te
stesso e cominci a pensare alle cose belle della vita, quelle presenti, passate
o che arriveranno. Quel senso di liberazione che sa di via di fuga, quello in
cui di tanto in tanto, senti la necessità di rifugiarti, che ti ricongiunge ai
bisogni celati, che ti spoglia di tutto per riconsegnarti in cambio la tua
identità.
Gary, Cigarette.
È così che è stata intitolata la fotografia, scattata da Kono Konowiecki.
L’autore
incontra Gary, il soggetto raffigurato, nel deserto della California. Indossa
dei pantaloni lunghi, è a dorso nudo e fuma una sigaretta. Konowiecki gli
chiede di chiudere gli occhi e di pensare a ciò che più gli manca.
Successivamente, Gary dirà di aver pensato al fratello lontano, che non vedeva
da anni. Si vede, in effetti, che Gary pensa a qualcuno di importante. Perchè
il suo volto è disteso, ma triste. Sembrava quasi che in quel momento stesse
tirando un sospiro di sollievo, come se quello riuscisse a ricongiungere l’immagine
nitida del suo presente con un’altra sfocata del suo passato, e al contempo
immaginare un futuro in cui le due potessero coesistere.
Ho pensato
che spesso è opportuno preparare gli occhi a quello che si sta per vedere un
attimo dopo, così da non avere grosse sorprese. Ma per tante altre cose,
invece, basta sentirle. Sono quelle cose, circostanze, persone, per cui vale la
pena andare oltre la superficie, sfondarla se necessario. Perché, alla fine di
tutto, si vive anche di questo, soprattutto di questo: di sensazioni. Sono
quelle cose a cui pensi di non essere preparato abbastanza ed invece alla fine
scopri di esserlo forse più di tutti gli altri, perché riesci a sentirle.
Ed in città
come queste, in cui il sentire appare sempre più raro, ho provato a farlo
anch’io, lì dinanzi a Gary. È stato naturale, come se qualcuno mi avesse preso
per mano e mi avesse chiesto di pensare alla cosa che mi manca di più.
Non saprei
da cosa iniziare. Ma sono sicura che anche io avrei lo stesso volto disteso ma
triste di Gary. Tirerei un sospiro di sollievo, quello che poi farebbe da ponte
tra il mio presente, in piedi in una sala gremita, al mio passato, immaginando
di ricongiungere le due immagini, un giorno.
Ho pensato
ad una strada di sanpietrini, ad un’enorme finestra che si affaccia sul mare,
ad una mano da stringere, e ad una voce che quasi sibilando mi dice che andrà tutto
bene.
Non resto
colpita dalle cose che appaiono più belle di altre.
Mi piace
vederle da dietro le quinte, lì dove prendono forma.
Così,
quando si palesano, diventano ingombranti.
Quelle che
colpiscono fino a trafiggere, come un pugno allo stomaco.
Quando
scopri che dietro un personaggio, c’è anche una persona, non una semplice
sagoma.
Quelle che,
oltre la superficie, hanno una storia tutta da raccontare, solo per chi la
saprà ascoltare.
Chi lo sa,
Gary, se un giorno a qualcun altro verrà rivolta la stessa domanda e penserà a
noi.