Ieri, di ritorno da Amsterdam, ho avvertito la sensazione del tornare a casa dopo una vacanza, dove tutto é pateticamente sempre lo stesso, dove hai un affitto da pagare e spese varie che riducono drasticamente il tuo salario, dove esiste quella famigerata routine che ti costringe ad alzarti dal letto con gli occhi ancora gonfi per iniziare la tua corsa quotidiana contro il tempo, quella che ti fa rimbalzare come una pallina da ping pong tra scuola-lavoro-casa.
Ma la cosa che più mi ha fatto riflettere é stato il pensare, ormai, a Londra come casa. É stato pensarla come una di quelle case antiche, con pareti altissime, con un gran camino che riscalda un salone in cui ci si entra solo nelle grandi occasioni, e lí fa caldo, ma il resto della casa rimane sempre molto fredda, alcune stanze sono addirittura inutilizzate e la soffitta é solo per i ricordi, o per la solitudine. É per quella pace interiore che di tanto in tanto hai bisogno di sentire, lontano dai rumori degli elettrodomestici, dal vociare delle persone, pur mantenendoti in alto, in quella stanza dove nessuno vorrebbe entrare perché é presumibilmente sporca, fredda, piena di cianfrusaglie.
Ma a me le soffitte piacciono, perché c'é sempre una finestra nascosta da cui riesci a vedere tutto dall'alto, con maggior distacco, come se fossi, per un attimo, il padrone di un impero, standotene in silenzio in quel disordine che nasconde un ordine sublime: quello della mente.
Ad Amsterdam mi é sembrato di essere perennemente in una soffitta in cui la tua immaginazione prende forma, in cui una sola finestra non bastava per ammirare tutto, quasi come fosse straordinariamente a cielo aperto. É tutto più piccolo, le strade sono piccole, i marciapiedi sono ancora più piccoli, i coffee shops sono piccoli, i canali che l'attraversano sono piccoli ma tanti, ne puoi scorgere uno ad ogni angolo di strada, come quei sentieri nascosti della tua anima in cui l'acqua scorre timidamente, in una quiete quasi fittizia.
In casa non ho una soffitta, ma ogni tanto mi piace sentirmici, adoro costruirla dentro di me. E non perché io sia un'introversa fuori misura, ma compio un'azione importante: metto ordine.
Ho bisogno della calma di una soffitta per non sentire rumore, perché devo ascoltarmi.
Non tutte le mie domande trovano pronte risposte, ma anche quelle, le lascio scorrere lentamente insieme alle acque dei canali che avranno uno sbocco, o semplicemente cesseranno di esistere quando smetteremo di interrogarci, quando saremo stanchi di vivere di immaginazione, e allora torniamo a casa: quella dove c'é un lavoro che ti permette di pagare una scuola ed un affitto, dove hai costruito castelli di sabbia spazzati via dalle acque di canali che reclamavano verità, quella dove speri di mettere un mattone ogni giorno nonostante spesso la tua pazienza vacilli, quella in cui, in fondo, sei sola.
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