mercoledì 21 novembre 2012

Generazione 1000 euro ... Magari!

Siamo una generazione caotica, una generazione con poche idee ma confuse o con tante idee ma consapevoli di non poterle realizzare tutte, perchè siamo figli di un panettiere, di un insegnante, di persone che la mattina si alzano, prendono il loro caffè e vanno a lavorare. I nostri genitori svolgono un lavoro come un altro. Non siamo figli di politici, di chi ricopre alte cariche ammanigliato ad uomini della malavita organizzata, nè possediamo la cittadinanza Vaticana. Siamo persone normali. Siamo figli di una società che ci rende assuefatti, che ci vuole sordi, ciechi e pure muti. Siamo la generazione di mille euro al mese se ci va di lusso. Siamo quella generazione che conseguirà una laurea che verrà incorniciata in attesa di colloqui di lavoro, di master e stage sottopagati, di estenuanti concorsi, alcuni dei quali necessiteranno di quella che comunemente si definisce "raccomandazione", specchio di quella società in cui si avanza per "grazia ricevuta", da chi non ci è dato saperlo, ma possiamo vagamente immaginarlo.
Siamo quella generazione a cui sono rimaste solo parole e ricordi, perchè in fondo forse già tutto è stato vissuto: gli anni venti e gli anni trenta sono passati da un pezzo, così come le guerre mondiali, il boom di scoperte scientifiche e tecnologiche, lo spirito rivoluzionario del sessantotto, gli anni novanta. Forse è stato già fatto tutto e a noi tocca reinventarci, tra parole e ricordi. Allora ci improvvisiamo dj, fotografi e scrittori, perchè sembra che oggi vada di moda. Ma la verità è che siamo una generazione disillusa al punto tale da pensare che tutto in fondo sia "normale". E' questa la più grande tristezza, quella rassegnazione che inonda i nostri occhi al pensiero del "futuro". Una sconfitta per noi, una vittoria per chi in fondo ha lavorato una vita per questo risultato, per ottenere giovani disillusi, stanchi, sordi, muti e pure ciechi. Ma cosa c'è di tanto normale nel pensare che il nostro Bel Paese non possa offrirci un lavoro ed una stabilità al punto da emigrare? Cosa c'è di tanto normale nello studiare tanti anni, attaccare la laurea al frigo come una lista della spesa e aspettare, aspettare che ci venga una crisi di nervi, aspettare "la grazie ricevuta" sempre se arriva, aspettare di finire a fare qualche lavoretto che non si addice agli studi conseguiti per 500 euro al mese, mentre intanto figli di politici avranno la poltrona già bella riscaldata dai loro padri pur avendo faticato nel prendersi un diploma, mentre intanto donne che avranno riscaldato anima e corpo di qualche attempato ai vertici del potere siederanno a riscaldare la poltrona tra chi ci deve governare ed assicurare un futuro, loro che alla nostra età invece già prendono la pensione? Cosa c'è di normale nel sentirsi dire, come persone normali, che non è mai abbastanza, mai abbastanza gli studi nè le lingue che conosciamo?
E' questa una società che ci demotiva, che ci fa pensare follemente di non poter coltivare le nostre passioni, che ci fa crescere come prodotti già stanchi al punto da non poter pretendere, da non poter essere "choosy".
Ma cosa c'è di male nell'esserlo? Anzi, dopo aver studiato tanti anni, pagato tasse dall'importo sempre più elevato nonostante si tratti di università pubbliche, lo Stato ce lo deve. Non siamo noi, gente normale, gente che fa sacrifici, persone che ogni mattina si alzano costretti ad accantonare sogni e aspirazioni nel cassetto solo perchè dicono ci sia la crisi, a non dover essere choosy. Noi choosy pretendiamo di esserlo. Sono quelle persone che passano in Parlamento come fosse un circolo per anziani, una salumeria, un posto qualunque, a non dover essere choosy, a non dover pretendere di starci per "grazia ricevuta" da un genitore, un nonno, un amante. Sono quei giovani che non danno alcun esempio, eppure ricoprono gradi alti nella nostra società perchè figlio di uno che sogna la Padania come la fantasiosa isola di Atlantide, o perchè subrette o con grandi doti di "intrattenimento", a non dover essere choosy. Ma non noi, noi che c'entriamo? Questa società ci ha reso così stanchi, disillusi, rassegnati, costretti alla sordità, al mutismo e alla cecità che tutto oramai per noi è normale e non c'è modo per invertire il punto di vista. Ci inghiottono di parole, le uniche a cui possiamo appigliarci. C'è crisi, sì. La crisi. La crisi che c'era tanti anni fa, che c'è oggi, e ci sarà sempre, perchè come recita un detto "Chi è causa del suo male pianga se stesso", ma ai presunti fautori di questa crisi, genta messa sulle poltrone non a riscaldarle giocando con l'i-pad, piangere ancora non li vedo.
E' questa una denuncia che non vuole portare a nessun risultato. Sono riflessioni, la rivoluzione non si fa davanti ad uno schermo seduti sulla propria sedia. Ma il punto è che forse se proprio si deve sferrare un colpo a questa società rigonfia di marcio, dobbiamo cominciare a capire che questa società marcia non ci può togliere sogni, passioni, aspirazioni, aspettative, facendole cadere nel tunnel dell'irrealizzabile e del pretestuoso, trasformandoci in burattini i cui fili per noi saranno ingestibili, manichini costretti a chinarsi a questa società sporca, vecchia, malandata, in cui sono rimaste solo tanti ricordi e parole, costretti a dire sempre sì, ad adeguarci al mercato, a quei settori del "mercato" ai margini del confine come fossimo prodotti usciti difettati, nonostante curricula troppo pieni per gente seduta in poltrona che fa del niente una professione degna di nota. No. Questo dobbiamo imparare a dire senza paura, no!
 Allora un uomo, di grande spessore culturale ed umano, un giorno ha detto : "Siate affamati, siate folli ", io aggiungo "Siate choosy!"

martedì 20 novembre 2012

L'amore ai tempi di facebook.

Vi svelo un segreto.
Lo sapete perchè i nostri nonni si sono amati sin dal primo giorno sino alla fine dei loro giorni? Lo sapete perchè hanno giurato una reciproca devozione? Lo sapete perchè non hanno mai litigato o semplicemente solo per l'essenziale senza mai prendersi le fatidiche "pause di riflessione"? Perchè il nonno e la nonna non avevano facebook. Sembra una banalità ma se ci pensate esistono molte coppie oramai sature che si appigliano a tutto pur di innescare discussioni che alla fine sono prive di ogni concreto fondamento.
Sarà capitato anche al nonno di uscire una sera con gli amici, di incontrare qualche bella signora, o magari una sua vecchia fiamma, senza che però succedesse niente. A fine serata tornava a casa e non aveva bisogno di dare tante spiegazioni o nel caso in cui la nonna gliele chiedesse se le faceva bastare, senza indagare ulteriormente. Oggi invece il nostro "lui" esce per una serata tra amici, si reca in un posto dove è possibile incontrare belle ragazze o magari qualche sua vecchia fiamma che saluta, ma niente di più. Torna a casa e subisce un interrogatorio di quarto grado da parte nostra, del tipo : " Dove sei stato amore?" "Sono andato in un pub, quello dove siamo stati anche l'altra volta. " "Ti sei divertito?" "Si, mi sono divertito." Ecco già al suono di questa risposta il tono della nostra indagine diviene più aspra. Perchè noi ci possiamo divertire, possiamo fare follie con le nostre amiche scapestrate, ma il nostro fidanzato no. Lui non si può divertire. Perchè se si diverte significa che qualcosa non quadra, significa che forse c'è lo zampino di un'altra donna nella sua serata all'insegna del divertimento più sfrenato. Allora la domanda che gli porremo sarà: "Chi c'era?"  E quel pover uomo sarà costretto ad elencare tutti i presenti come se fossero giocatori di una squadra di calcio. E per evitare malintesi quel pover uomo, spinto da un insolito slancio di sincerità dirà : "Amore c'era anche Eleonora, sai la mia ex. Ci siamo salutati. Niente di rilevante. " Ecco. Noi rimarremo zitte, faremo finta che quella frase non l'abbia mai pronunciata e andremo a letto. In fondo, si sono soltanto salutati, niente di rilevante. Ma ecco che il mattino seguente, apriremo facebook e saremo curiose di vedere le immancabili fotografie scattate la sera precedente.
"Amore come mai sei più rosso del solito in volto, mica hai bevuto troppo?"
"Ma no, amore, solo una birra. Te l'ho detto è stata una serata tranquilla."
"Amore e chi sono tutte queste persone? Non mi avevi detto che c'erano anche loro."
"Ma no, amore, ero stanco e mi sono limitato a dirti solo qualche nome. Tutto qui."
Ecco che all'improvviso giunge come la manna dal cielo il pretesto per innescare quella discussione dai toni feroci, inevitabile quanto inutile. Per cosa? Per un signore di nome "Tag". Che razza di nome è questo. "Ciao sono Antonia e tu?" "Ciao, piacere Tag". Sembra quasi un nomignolo di uno dei romanzi di Federico Moccia. Eppure questo signore dal nomignolo ridicolo è inopportuno, invadente e anche particolarmente malefico. Perchè svelerà tutto quello che quel pover uomo avrebbe voluto nascondere non perchè poco sincero, ma proprio per evitare incomprensioni che presto si sarebbero trasformate in feroci o addirittura sanguinarie discussioni. Un tag. Una foto. Il nostro uomo. I suoi amici. Lei. La sua ex.
"Amore, vieni un attimo."
"Cosa c'è?"
E noi con la faccia già di un rosso rabbioso: "Meno male che vi eravate soltanto salutati. Che ci fai nella foto con lei?"
Magari quella è una di quelle fotografie scattate per caso. Dove magari presi dall'ebbrezza dell'alcool non ci si ricorda nemmeno come e perchè sia stata scattata. Una di quelle foto dove ognuno che passa ci si può intrufolare, giusto per far numero. Magari quella povera donna della sua ex che per noi sarà classificata con gli epiteti più graziosi ed eleganti mai sentiti, sarà passata per caso e si sarà intrufolata in quello scatto per poi andare via. Ma il signor Tag non perdona. I fatti sono questi. Quindi ci lamenteremo per l'intera giornata o anche di più di quanto il nostro uomo sia bugiardo e bastardo e pronunceremo quella frase banale: "Se mi menti su questo, puoi mentirmi su qualsiasi cosa. Basta. Ho bisogno di tempo. Sono ferita."
E perchè non parlare anche della comitiva dei signori "Mi piace". Gente tranquilla, onesta, dei lavoratori senza pretese. Pure contro di loro ci scaglieremo: "Perchè hai messo mi piace alla foto di quella TR***, STR****, ZOC****, ..." ed altri epiteti molto carini che attribuiremo a quella povera donna all'oscuro di tutto.
Voglio dire. Il nonno e la nonna non erano più buoni, più onesti, più rispettosi. Forse sì. A quei tempi si amava diversamente, con maggiore devozione, con più semplicità, con maggior senso del sacrificio che oggigiorno manca. Ma la nonna e il nonno in certe circostanze si saranno trovati allo stesso modo. Solo che non c'era facebook a svelare in tempi record ogni minimo dettaglio. Il signor Tag e la comitiva dei signori "Mi piace" ancora non erano nati, e si stava più tranquilli. Ci si fidava senza dover necessariamente aprire le indagini e scrivere il nome del nostro partner in cima alla lista degli indagati.
Se ci pensate, il nonno e la nonna si sono amati, sacrificati, si sono promessi eterna devozione, anche perchè a quei tempi questo maledettissimo social network non esisteva. E forse si viveva meglio nell'essenzialità, nelle parole non dette per paura di ferire, nella fiducia incontestabile dell'altro.

lunedì 19 novembre 2012

Ricordi.

Ricordi. Ricordi di una spiaggia assolata, delle onde del mare, di acque salate. Ricordi di una notte di estate dove il freddo ed il rumore delle onde che con la loro veemenza si scaraventano sulle pareti impervie di alti scogli ci facevano compagnia. Ricordi di un saluto che poteva essere un addio o semplicemente un arrivederci. Ricordi di una vita che temevamo nascesse. Ricordi di una vita che è nata e temevamo finisse troppo presto. Ricordi di una città veloce, di un dolce risveglio, di giornate in cui dovevamo trovare il coraggio di ripartire da zero. Ricordi di una vita cominciata da zero e portata all'estremo. Ricordi di persone incontrate per caso, di risate che riempivano il cuore e la mente, di parole che hanno messo in discussione noi stessi. Ricordi di abbracci che nel silenzio raccontavano tutto. Ricordi di momenti che poi sono diventati niente. Ricordi di come eravamo e cosa siamo diventati. Ricordi di amori spazzati via come conchiglie sulla riva del mare. Ricordi di dolci attese ed estenuanti rimpianti. Ricordi di incredibili passioni ardenti come un focolare che speravi non si spegnesse mai. Ricordi di focolari che spenti con la rapidità di fiammiferi hanno lasciato il vuoto come ombre che nell'oscurità della notte si fa fatica ad individuare. Ricordi di un respiro affannato e di tregue che ti hanno permesso di ripartire. Ricordi di una vita triste, desolata ed amara. Ricordi di una vita intensa, passionale, felice. Ricordi di una fatica che non pesava mai abbastanza. Ricordi di fallimenti e di amare sconfitte. Ricordi di fallimenti che ci hanno spronato a partire da capo, con una valigia che pesava troppo per poi alleggerirsi strada facendo. Ricordi di persone belle, profonde, quanto rischiose. Ricordi di persone che ti hanno ricordato che la vita non è tutto qui.Ricordi di persone brutte, tremende quanto banalmente ridicole. Ricordi di persone destinate sin dal principio a diventare un tuo ricordo. Ricordi di persone per cui saresti stata tu un ricordo. Un ricordo amaro o incredibilmente dolce. Ricordi di serate spese a scrivere per timore di parlare troppo. Serate spese a scrivere nell'ostinato tentativo di scorgere un senso quando invece un senso non c'era perchè era già tutto racchiuso lì in quello che scrivevi. Ricordi come uno schizzo di pioggia che in mare aperto genera cerchi concentrici sempre più larghi. Ricordi.
I ricordi sono l'unica cosa che non cambiano mai, che ci offuscano la mente, che ci conducono in un'altra dimensione come un viaggio con un biglietto di sola andata. E' per questo che siamo così legati ai ricordi, perchè loro saranno sempre lì, in quella zona del cuore, in quel settore del nostro cervello, a ricordarci di quanto eravamo felici o tremendamente tristi. A ricordarci di persone che sono passate nella nostra vita a donarci un messaggio di speranza e di passioni da coltivare, o passate solo per darci uno schiaffo e scaraventarci sull'asfalto, a ricordarci di quanto la vita possa essere a tratti anche brusca e fredda come quell'asfalto su cui saremo stati gettati. Quei ricordi saranno lì, senza mutare mai, nonostante il tempo scorra inesorabilmente. I ricordi sono l'unica cosa che il tempo non potrà cambiare. Perchè sono un passato che è entrato dentro la scatola dei nostri pensieri e che abbiamo accuratamente sigillato per evitare che il nostro tempo ce li porti via. E ci fanno ridere a crepapelle, sorridere come un bambino, ci fanno sentire leggeri. Oppure ci faranno sentire stanchi, tristi, come chi ha dovuto archiviare un altro pezzo di vita che non avrebbe voluto accantonare, ma purtroppo ha dovuto farlo e cominciare da zero consapevole di quanto questo nuovo pezzo iniziato si tramuterà anch'esso in un altro ricordo. Oppure ci faranno sentire sbagliati, come sbagliate erano le persone che ricorderemo e che ogni volta ci ricorderanno il peso di un fallimento che trascineremo sino a che non ci sarà qualcuno o qualcosa che ci ricorderà di quanto valga la pena fallire per poi vincere. Una vittoria sudata ed inaspettata che ci renderà più belli perchè non smetteremo mai di credere che tutto sia ancora possibile. Ricordi a cui nel bene e nel male rimarremo ancorati perchè senza quei ricordi saremo niente. E non perchè si debba vivere di soli ricordi, ma il ricordo spiega ciò che siamo stati, da dove siamo partiti, cosa siamo diventati ed anche dove siamo diretti. Perchè il ricordo è un passato che incamereremo nel profondo della nostra anima con ferite aperte o rimarginate o con inesauribili sorrisi, ma è anche la base su cui poter costruire il nostro futuro.
Siamo carne, anima e ricordi.

domenica 18 novembre 2012

Parole al vento.

Ogni volta che parlo con un uomo, parlo con l'uomo onesto, che non hai mai tradito la sua donna, che piuttosto ha preferito lasciarla, perchè l'onestà è fondamentale. Parlo con quell'uomo che ha amato sino alla venerazione la sua donna. Ogni volta che parlo con un uomo, parlo con quell'uomo "diverso" che ad accuse velate che offendono l'intera categoria si sentirà colpito, perchè lui in fondo non è così ed io non posso permettermi illazioni nè sguardi minatori che lo mettono alla gogna ancor prima di vederlo in azione.
Parlo sempre con l'eccezione che conferma la regola, al punto da essermi chiesta quante probabilità ci siano di incontrare invece la regola in persona e quante eccezioni effettivamente ci siano in giro al punto da pensare che sia opportuno operare un'inversione etichettando le eccezioni come regole e viceversa.
Parlo sempre con l'uomo giusto, di buon senso, maturo e razionale abbastanza, colui che non abbandonerebbe mai nessuno in modo brusco, colui che ha desiderio di restare accanto a qualcuno che vorrebbe amare sino alla venerazione. Parlo sempre con quell'uomo che sa ascoltare, che sa percepire i tuoi pensieri, che nel silenzio trova le risposte, in uno sguardo la luce che man mano lo condurrà verso la strada giusta. Parlo sempre con l'uomo perfetto. Con quell'uomo che sembra sia caduto dal cielo. Talvolta me ne sono meravigliata al punto da sospettare che mi stesse spiando da mesi, per conoscere ogni parte di me, sino ad ogni minuziosissimo dettaglio.
Frottole. Parole. Bugie. Chiamatele come volete. Perchè quell'uomo ti farà notare come il tuo sguardo sia di chi vorrà punire qualcuno solo perchè appartiene alla categoria maschile, solo perchè quelle parole le hai già sentite, solo perchè ogni volta quelle parole non hanno mai trovato oggettivo riscontro nei fatti. Ti farà sentire colpevole perchè non capirai che lui invece è diverso dagli altri. Ma la verità è che quando vorrai dare a lui e soprattutto a te una possibilità tutto si ripeterà come un copione già visto. Parole portate via dal vento come il suono di un flauto che pian piano riuscirai ad ascoltare sempre meno sino a percepirne solo l'eco per poi scomparire. Una diversità osannata eppure non dimostrata in nessuno dei suoi atteggiamenti, nemmeno in piccoli gesti quotidiani, neppure lo sguardo a lungo andare ti sembrerà così radioso.
Se è vero che siamo ciò che facciamo e non ciò che diciamo vedo tanti manichini che parlano, che elencano a chiunque i loro pregi, che si proclamano l'eccezione che conferma la regola, che fanno auto-propaganda sino allo sfinimento, ma tutte quelle parole si bloccheranno come un gettito d'acqua che farà fatica ad uscire anche da un piccolo tubicino, quando le cose dovrebbero essere semplici. Anche le aspettative più banali resteranno irrealizzate, intrise da una malinconica delusione e rassegnazione nel constatare che invece sono tutti banalmente uguali. Ma allora il punto forse non è auto-proclamarsi diversi, ma definirsi per ciò che si è. Definirsi come un uomo che ha amato sino alla venerazione ma che qualche volta non ha saputo reggere il ruolo da amante modello e purtroppo ha anche tradito. Definirsi come chi non è sempre stato onesto con se stesso e soprattutto con gli altri. Definirsi come chi non è forse maturo e giusto abbastanza, come chi sa restare ma quando non ha voglia di farlo abbandona, e spesso lo fa nei modi più bruschi in cui lo si possa fare. Definirsi nè diverso nè uguale agli altri, ma semplicemente per quello che si è: un essere umano, e gli essere umani non sono perfetti, gli esseri umani commettono errori. E forse noi donne sapremo cogliere la bellezza in quell'imperfezione che si paleserà a noi in maniera sincera, come chi non ha bisogno di nascondere niente, come chi non ha bisogno di inghiottirci il cervello di lunghi e banali presentazioni mostrando l'archetipo dell'uomo perfetto che in realtà non esiste. Sapremmo amare quell'imperferzione perchè la diversità che ci attirerà sarà proprio in quei difetti di chi non avrà avuto paura di mostrarli. O a limite, capiremo che la nostra ricerca non è ancora finita e andremo avanti. Perchè spesso ci accontentiamo pur di non restare soli in questa tormentata ricerca della perfezione e lealtà che forse è un'utopia. Accettiamo come normali atteggiamenti che invece ci fanno star male, nonostante ci sforziamo a trovare una giustificazione. No, non c'è. Basta nel giustificare sempre tutto. Basta nel considerare come normali parole o gesti che ci conducono alla perplessità, sino a contestare il nostro modo di fare, a mettere in discussione persino noi stessi. Non dobbiamo accontentarci, nè arrestare la ricerca solo perchè dobbiamo farci andar bene quello che abbiamo trovato. No. Ciò che hai trovato dovrà andar bene per te come tu dovrai andar bene per ciò che hai trovato. E' questo il risultato giusto della tua ricerca. In caso contrario, prendi la tua torcia e cerca altrove, senza mai arrenderti, anche quando la tua ricerca sembrerà fallimentare, soprattutto in quel momento non dovrai fermarti, perchè sarà allora che troverai qualcosa per cui varrà la pena di accendere la torcia e andare a fondo.

sabato 17 novembre 2012

L'amica dell'uomo.

Mi sento spesso l'amica degli uomini. Quella con cui gli uomini si raccontano, colei a cui chiedono consigli sulle proprie donne o per altre ragioni. Colei a cui si possono fare battute volgari seguite da una risata piuttosto che da una critica. Colei con cui puoi bere sino alla nausea o mangiare cioccolata sino alla comparsa di quel fastidiosissimo brufolo sulla fronte. Colei che ascolta i pensieri altrui per poi smascherarne solo una piccola parte dei suoi che restano ingarbugliati come un gomitolo di lana nella zona più intima e segreta del suo cuore, perchè quelle rare volte che ne ha consentito l'accesso ha visto uomini scappare via a gambe levate quasi come se stesse svelando il più atroce dei crimini mai commessi, allora si trattiene, fin quando le è possibile. Poi scoppia e al suo energico manifestarsi nuda senza barriere vedrà persone allontanarsi. Saranno sempre poche quelle che decideranno di restare. Allora forse questo ruolo da amica dell'uomo è quello che più mi si addice perchè così non scappa nessuno. Ci sarà nei momenti di gioia, di vittorie sudate, di attesi ed estenuanti traguardi. Ci sarà nei momenti di profonda delusione, di amare sconfitte, di lacrime che non smetteranno di scorrere al punto da farmi scoppiare, al punto da riuscire a farlo senza la paura che possa scappare. Ci sarà nel silenzio dinanzi ad un film dove l'unico rumore sarà quello dei pop corn sgranocchiati. Ci sarà in delle grasse risate in occasioni folli ed incredibilmente assurde.
Essere amica degli uomini non comporta implicazioni sentimentali ecco perchè il rischio di fuga si assottiglia. Lo metterai in chiaro dal principio che non dovrete mai vedervi sotto un diverso punto di vista. Ma laddove dovesse succedere vi sentirete colpevoli, come gli autori dei più efferati crimini. Quel patto di amicizia è stato violato, sebbene l'abbiate fatto inconsapevolmente, come qualcosa che man mano si accendeva in ogni gesto quotidiano, tra un sorriso e una lacrima, tra una parola e l'altra, mentre si sgranocchiavano pop corn in religioso silenzio dinanzi ad un film. Allora per non perdere tutto questo farete finta di niente. Per non sentirci soli saremmo in grado di fare qualsiasi cosa, anche amare in silenzio, rendendo mute urla che comprimeremo sino al tormento, bistrattando una parte di noi che nel fingere che non esista diventerà la nostra seconda vita, quella che nessuno a parte noi conoscerà. Perchè sebbene questo ci spinga al tormento, preferiamo un equilibrio precario, che vede tutti dentro e nessuno fuori, avere una metà piuttosto che niente. Dovremmo digerire di vedere quell'uomo che chiamiamo amico con una, con un'altra e un'altra ancora, dando consigli su come corteggiare una, un'altra e ancora un'altra. L'amica dell'uomo è oramai uno stereotipo e sebbene il ruolo possa assumere connotati diversi c'è una cosa che è comune: tendenzialmente l'amica dell'uomo è sola. A dire dell'uomo sarà la donna perfetta, quella donna forte abbastanza da mettere un uomo k.o., testarda, coraggiosa ma brillante, una donna estremamente coinvolgente di cui non si può non rimanere affascinati. Eppure quella donna è sola ed il pensiero di essere l'amica e la sorella che tutti vorrebbero le conferma la paura di non trovare mai braccia che possano offrirle un calore diverso da quello che si trasmette ad una sorella o ad un'amica.
Ma la verità è che abbiamo scelto di essere soli già nel momento in cui abbiamo assunto il ruolo dell'amica degli uomini. Quella ragazza modello, quella ragazza brillante che ha sempre il consiglio giusto a portata di mano, colei che è in grado di capire ogni suo singolo gesto. Ad un certo punto in un momento auto-celebrativo ti sentirai addirittura la donna giusta per quell'uomo, perchè in fondo altre al suo fianco come te non potrebbe averne. Ma la verità è che nonostante ti ricordi quanto sia bella, speciale, piena di vita, straordinaria in ciò che pensi e riesci a realizzare, sarai solo la sua amica. E quella lista dei pregi che ti si elencherà ogni volta diventerà per te un amaro contentino che comincerai a disprezzare, perchè in fondo è faticoso reggere il ruolo da amica modello, pronta ad offrirti una spalla, un rene o un polmone all'occorrenza, rimuovendo il pensiero che quell'amica modello è anzitutto una donna. E le donne si amano, soprattutto se a dire di quell'uomo saranno belle, brillanti e forti abbastanza, incredibilmente straordinarie da comprendere ogni singolo gesto. Quel ruolo che un tempo ti piaceva ma che poi avrai cominciato a sentir stretto. Quel ruolo che ti calza a pennello, che hai scelto quando vedevi cader giù come birilli quegli uomini con cui credevi di costruire un rapporto diverso, quel ruolo che credevi ti permettesse di non sentirti sola ed in effetti non lo sarai, mai. Non lo sarai eppure ti ci sentirai.
Ma nonostante tutto ti sarai convinta che questo è l'unico ruolo che ti si addice e forse va bene così.

venerdì 16 novembre 2012

Una metropolitana. Tante vite.

Un uomo sulla cinquantina. Una ragazza presumibilmente ventenne. Una donna anziana. Un ragazzo di colore con un borsone contenente merce di poco valore da vendere per sopravvivere.
Una metropolitana, uno dei massimi centri di aggregazione sociale, che vede ogni giorno e a qualsiasi ora entrare ed uscire persone dai vagoni, ciascuno con una propria storia da raccontare. Tante vite che si riuniscono in un piccolo spazio chiuso, per pochi minuti o un'intera tratta.
Un uomo sulla cinquantina intento a leggere il suo libro. Una ragazza presumibilmente ventenne che tenta sbuffando di sfogliare il manuale del suo prossimo esame. Una donna anziana con lo sguardo di chi torna dall'ennesimo accertamento ospedaliero ed intanto pensa a ciò che dovrà cucinare per il pranzo, per la cena ed anche per il giorno successivo, come fanno generalmente tutte le donne di una certa età. Un ragazzo di colore con gli occhi tristi che custodisce gelosamente un borsone contenente oggetti inutili e di scarso valore, ma che è la fonte della sua sussistenza. Successivamente entra una donna dalla folta capigliatura e dalla carnagione scura, indossando una camicia ed una minigonna che risalta le sue curve sinuose. Il volto totalmente plastificato, tipico di quelle donne che restano ancorate ad un tempo che però inesorabilmente scorre. Quelle donne che diventano di plastica perchè fanno fatica ad accettare che intanto la vita scorre, le rughe si moltiplicano e loro magari non avranno fatto niente di quello che sognavano in gioventù. Donne di plastica che saranno finte, che inganneranno gli occhi degli altri tranne di quelli più esperti, ma di certo non inganneranno il tempo. Quelle rughe potranno essere rimosse dal viso, ma dall'anima no, con quelle dovranno farci sempre i conti. 
Una donna ad ogni modo curata e dal bell'aspetto al punto da destare l'attenzione di tutti. In particolar modo dell'anziana donna che sarà stata invidiosa delle sue gambe e dell'uomo sulla cinquantina che tra una pagina e l'altra del suo libro alzava lo sguardo che inevitabilmente cadeva sulle gambe ed il fondoschiena della donna.
Quell'uomo di colore sedutomi accanto osservava il mio pacchetto appena comprato di Fruittella, che maneggiavo nervosamente mentre intanto tentavo nell'eroica impresa di sciogliere il groviglio di pensieri che porto sempre con me come chi porta a passeggio il suo cane. Fissa così tanto il pacchetto che scartatane una decido di offrirgliene una per poi regalargli l'intero pacchetto. Perchè quel pacchetto di Fruittella sarà stato anche un anti-stress per me, un modo dolce per digerire i pensieri, ma per quell'uomo dagli occhi tristi sarà stato un modo per capire che in fondo non è solo un mendicante, ma un uomo normale a cui gli si può offrire una caramella o più di una. Quegli occhi non erano meno tristi, ma sicuramente riconoscenti. Perchè il punto è che se facessimo anche solo un gesto al giorno di "solidarietà" verso un'altra persona, saremo tutti più felici. Perchè non è solo il cuore dell'altro a riempirsi di riconoscenza, ma anche il nostro. Ma purtroppo la nostra noncuranza verso chi ci è accanto e l'esagerata avidità ci rende protagonisti o spettatori di gesti impietosi, oltremodo imbarazzanti, come la sfrontatezza di una donna sulla quarantina che occupa un posto sul vagone per la nipote ventenne impedendo ad un signore anziano munito di bastone di sedersi, quasi come a dimostrare che l'educazione si è probabilmente fermata ai nostri nonni, e che se noi giovani difettiamo di educazione, di senso di solidarietà e rispetto è forse perchè abbiamo avuto pessimi insegnanti e pochi buoni esempi o addirittura nessuno. Se fossimo in grado di fare un buon gesto verso anche una sola persona ogni giorno, regaleremmo un sorriso a qualcuno e anche a noi stessi. Invece accecati dal menefreghismo spesso siamo in grado di offrire solo una lacrima. Una lacrima che potrà anche non solcare necessariamente il viso. Effettivamente quell'anziano con il bastone non l'ho visto piangere, ma ho immaginato che fosse il suo cuore a versare lacrime.
Una metropolitana in cui ascolti racconti di ogni tipo o semplicemente immagini pensieri. Non è stato difficile immaginare il pensiero di quell'uomo sulla cinquantina alla vista di quella donna dal viso plastificato, a lui sconosciuto perchè in effetti era di spalle e forse ha preferito immaginarla così.
Un groviglio di vite assuefatte o esageratamente stimolanti. Vite regolari o particolarmente folli. Vite felici o vite tristi. La metropolitana è il rumore o il silenzio di tutte queste vite, di parole raccontate, di pensieri immaginati tra il cigolio delle rotaie che ricorda che il vagone ci aspetta.

mercoledì 14 novembre 2012

Tu sei esattamente dietro la paura.

Viviamo di due chiacchiere davanti ad un caffè e di quattro passi.
Viviamo di se e ma, di magari, di forse, di non so.
Viviamo di approssimazioni perchè il definirci ci fa paura. 
Allora preferiamo due chiacchiere e quattro passi davanti ad un caffè di un bar del centro o di periferia perchè quello è l'unico modo che conosciamo per approcciarci a qualcuno. E' un modo che sterilizza un equilibrio precario che non comporta alcun rischio, perchè potremmo dire in ogni momento che in fondo era solo un caffè, si trattava solo di due chiacchiere e quattro passi. Siamo in qualcosa da cui potremmo uscire in ogni momento e senza troppe complicazioni, perchè siamo dentro ma non fino in fondo.
Abbiamo timore di raccontare certezze, a noi quanto agli altri. Allora riempiamo le frasi di ma, di se, di forse e può darsi e alla domanda di qualcheduno che avrà capito che il nostro è un vano tentativo di nascondere verità che fingiamo non esistano rispondiamo "Non so". 
Approssimiamo qualsiasi cosa. Approssimiamo un impegno importante, un dolce appuntamento, intere relazioni. Intere relazioni vissute approssimativamente fra se, ma, magari, può darsi e non so. Relazioni così approssimative che finiscono per donarci poco eppure quando finiscono saremo delusi. Una delusione che scaturirà più che dalla rottura, forse proprio dall'avere un'idea approssimativa dell'altro che finisce per proiettarsi su di noi. Approssimiamo anche noi stessi. Non siamo mai in grado di dare risposte esaustive, di restare in silenzio per qualche minuto ad ascoltarci, ad assaporare la profondità di quelle verità che fingiamo di non conoscere ma che in realtà pullulano dentro di noi come fossero urla che rimbombando in delle fitte caverne generano echi dall'insolita intensità. Non siamo mai in grado di mandare all'aria le due chiacchiere e i quattro passi e decidere di farne qualcuno in più se è quello che sentiamo veramente. Non siamo in grado di definirci per paura di rischiare tuffi nel vuoto che possano scaraventarci sull'asfalto. Non siamo in grado di non ragionare per approssimazioni, perchè forse l'esperienza ci ricorda che quando abbiamo rischiato tutto in un lavoro, in un'amicizia, in un passo giudicato importante, in un amore che credevamo eterno, tutto è stato considerato da altri approssimativo. Allora forse abbiamo cominciato a farlo anche noi. Abbiamo cominciato ad essere gli unici conoscitori del nostro stato, dei nostri pensieri ed anche delle nostre passioni. Abbiamo imparato a rispondere alla domanda "come stai" semplicemente con un "tutto bene, grazie", nonostante talvolta in quel tutto ci sia niente, in quel bene ci sia male, in quel grazie ci sia "a nessuno importa". Ma l'interlocutore spesso se lo farà bastare. Spesso sarà uno come tanti che vive di approssimazioni. Allora ad un disinteressato ciao, come stai, non può che aspettarsi un disimpegnato tutto bene grazie, perchè in fondo sebbene vorresti urlargli la verità probabilmente non riuscirebbe a comprenderla.
Ma vivere di approssimazioni ci rende piccoli pezzi che spesso non riusciranno a coordinarsi. Ci rende asettici ed indefiniti. Quindi forse prima di continuare a vivere nell'approssimazione di noi e dell'altro, tra sogni e passioni che restano muti, tra le due chiacchiere ed i quattro passi che racconteranno di un numero indecifrato di se, ma, magari e può darsi, dovremmo fermarci e capire cosa rischieremo nel definirci troppo. La verità è che l'unico rischio è di apparire completamente noi stessi, con la nostra fragile nudità che ci imbarazzerà, che ci renderà più esposti al rischio di delusioni forse, ma quella fragilità così nuda e così umana sarà vera, e quel rischio potrebbe condurci tanto ad una delusione quanto invece ad una vittoria. Se non ci mettiamo in discussione, se non diamo aria ai nostri pensieri, se non facciamo scoppiare il nostro cuore come palloncini, non lo sapremo mai. E rimarremmo lì, in quel bar del centro a fare quattro chiacchiere, a fingere di star bene nonostante il proferire di parole rigidamente programmate ma non sentite, ma perchè? Per paura. Paura di cosa? Di soffrire, di star male, di rimanere delusi? No, questo è secondario. Abbiamo paura della paura stessa. E' questo il più grande paradosso. Paura di quanta paura faccia l'essere messi nudi e fragili dinanzi al nostro essere. Ma che senso ha aver timore di qualcosa che fa parte oramai di noi e che non possiamo scacciare? Paura di amare, paura di restare in silenzio e che sia il nostro cuore a parlare a qualcuno, paura di fare progetti che temiamo siano avventati o semplicemente troppo grandi per noi. Paura di un tuffo nel vuoto. Paura di mettere in discussione una vita che ci sta stretta. Paura di capovolgere i piani e ricominciare da capo. Paura. Ma tu dove sei? Tu sei esattamente dietro la paura. Perchè sebbene la paura ti si anteporrà fingendo che tutto quello che temi non esista, in realtà sarà sempre con te, come cartoni sigillati messi in un angolo ad aspettare. Ed in questo conflitto tra ciò che c'è in quei cartoni e ciò che ti impedisce di aprirli prima o poi dovrai decidere sul da farsi, cosa vuoi scacciare. Ma il punto è che quello che hai depositato in quei cartoni sigillati non potrà mai essere scacciato, sebbene te ne convincerai, quei cartoni saranno sempre lì a reclamare la loro apertura. Ma la paura sì, quella la si può scacciare. Allora vinta la paura, scaraventata sull'asfalto, pestata per far sì che non possa più prendere il sopravvento, ci sarai tu con il tuo amore, il tuo cuore che batte, i tuoi grandi progetti, la tua incantevole passione.
Scacciata la perfida nemica rimani tu. Dopo di che, vola!