domenica 18 novembre 2012

Parole al vento.

Ogni volta che parlo con un uomo, parlo con l'uomo onesto, che non hai mai tradito la sua donna, che piuttosto ha preferito lasciarla, perchè l'onestà è fondamentale. Parlo con quell'uomo che ha amato sino alla venerazione la sua donna. Ogni volta che parlo con un uomo, parlo con quell'uomo "diverso" che ad accuse velate che offendono l'intera categoria si sentirà colpito, perchè lui in fondo non è così ed io non posso permettermi illazioni nè sguardi minatori che lo mettono alla gogna ancor prima di vederlo in azione.
Parlo sempre con l'eccezione che conferma la regola, al punto da essermi chiesta quante probabilità ci siano di incontrare invece la regola in persona e quante eccezioni effettivamente ci siano in giro al punto da pensare che sia opportuno operare un'inversione etichettando le eccezioni come regole e viceversa.
Parlo sempre con l'uomo giusto, di buon senso, maturo e razionale abbastanza, colui che non abbandonerebbe mai nessuno in modo brusco, colui che ha desiderio di restare accanto a qualcuno che vorrebbe amare sino alla venerazione. Parlo sempre con quell'uomo che sa ascoltare, che sa percepire i tuoi pensieri, che nel silenzio trova le risposte, in uno sguardo la luce che man mano lo condurrà verso la strada giusta. Parlo sempre con l'uomo perfetto. Con quell'uomo che sembra sia caduto dal cielo. Talvolta me ne sono meravigliata al punto da sospettare che mi stesse spiando da mesi, per conoscere ogni parte di me, sino ad ogni minuziosissimo dettaglio.
Frottole. Parole. Bugie. Chiamatele come volete. Perchè quell'uomo ti farà notare come il tuo sguardo sia di chi vorrà punire qualcuno solo perchè appartiene alla categoria maschile, solo perchè quelle parole le hai già sentite, solo perchè ogni volta quelle parole non hanno mai trovato oggettivo riscontro nei fatti. Ti farà sentire colpevole perchè non capirai che lui invece è diverso dagli altri. Ma la verità è che quando vorrai dare a lui e soprattutto a te una possibilità tutto si ripeterà come un copione già visto. Parole portate via dal vento come il suono di un flauto che pian piano riuscirai ad ascoltare sempre meno sino a percepirne solo l'eco per poi scomparire. Una diversità osannata eppure non dimostrata in nessuno dei suoi atteggiamenti, nemmeno in piccoli gesti quotidiani, neppure lo sguardo a lungo andare ti sembrerà così radioso.
Se è vero che siamo ciò che facciamo e non ciò che diciamo vedo tanti manichini che parlano, che elencano a chiunque i loro pregi, che si proclamano l'eccezione che conferma la regola, che fanno auto-propaganda sino allo sfinimento, ma tutte quelle parole si bloccheranno come un gettito d'acqua che farà fatica ad uscire anche da un piccolo tubicino, quando le cose dovrebbero essere semplici. Anche le aspettative più banali resteranno irrealizzate, intrise da una malinconica delusione e rassegnazione nel constatare che invece sono tutti banalmente uguali. Ma allora il punto forse non è auto-proclamarsi diversi, ma definirsi per ciò che si è. Definirsi come un uomo che ha amato sino alla venerazione ma che qualche volta non ha saputo reggere il ruolo da amante modello e purtroppo ha anche tradito. Definirsi come chi non è sempre stato onesto con se stesso e soprattutto con gli altri. Definirsi come chi non è forse maturo e giusto abbastanza, come chi sa restare ma quando non ha voglia di farlo abbandona, e spesso lo fa nei modi più bruschi in cui lo si possa fare. Definirsi nè diverso nè uguale agli altri, ma semplicemente per quello che si è: un essere umano, e gli essere umani non sono perfetti, gli esseri umani commettono errori. E forse noi donne sapremo cogliere la bellezza in quell'imperfezione che si paleserà a noi in maniera sincera, come chi non ha bisogno di nascondere niente, come chi non ha bisogno di inghiottirci il cervello di lunghi e banali presentazioni mostrando l'archetipo dell'uomo perfetto che in realtà non esiste. Sapremmo amare quell'imperferzione perchè la diversità che ci attirerà sarà proprio in quei difetti di chi non avrà avuto paura di mostrarli. O a limite, capiremo che la nostra ricerca non è ancora finita e andremo avanti. Perchè spesso ci accontentiamo pur di non restare soli in questa tormentata ricerca della perfezione e lealtà che forse è un'utopia. Accettiamo come normali atteggiamenti che invece ci fanno star male, nonostante ci sforziamo a trovare una giustificazione. No, non c'è. Basta nel giustificare sempre tutto. Basta nel considerare come normali parole o gesti che ci conducono alla perplessità, sino a contestare il nostro modo di fare, a mettere in discussione persino noi stessi. Non dobbiamo accontentarci, nè arrestare la ricerca solo perchè dobbiamo farci andar bene quello che abbiamo trovato. No. Ciò che hai trovato dovrà andar bene per te come tu dovrai andar bene per ciò che hai trovato. E' questo il risultato giusto della tua ricerca. In caso contrario, prendi la tua torcia e cerca altrove, senza mai arrenderti, anche quando la tua ricerca sembrerà fallimentare, soprattutto in quel momento non dovrai fermarti, perchè sarà allora che troverai qualcosa per cui varrà la pena di accendere la torcia e andare a fondo.

sabato 17 novembre 2012

L'amica dell'uomo.

Mi sento spesso l'amica degli uomini. Quella con cui gli uomini si raccontano, colei a cui chiedono consigli sulle proprie donne o per altre ragioni. Colei a cui si possono fare battute volgari seguite da una risata piuttosto che da una critica. Colei con cui puoi bere sino alla nausea o mangiare cioccolata sino alla comparsa di quel fastidiosissimo brufolo sulla fronte. Colei che ascolta i pensieri altrui per poi smascherarne solo una piccola parte dei suoi che restano ingarbugliati come un gomitolo di lana nella zona più intima e segreta del suo cuore, perchè quelle rare volte che ne ha consentito l'accesso ha visto uomini scappare via a gambe levate quasi come se stesse svelando il più atroce dei crimini mai commessi, allora si trattiene, fin quando le è possibile. Poi scoppia e al suo energico manifestarsi nuda senza barriere vedrà persone allontanarsi. Saranno sempre poche quelle che decideranno di restare. Allora forse questo ruolo da amica dell'uomo è quello che più mi si addice perchè così non scappa nessuno. Ci sarà nei momenti di gioia, di vittorie sudate, di attesi ed estenuanti traguardi. Ci sarà nei momenti di profonda delusione, di amare sconfitte, di lacrime che non smetteranno di scorrere al punto da farmi scoppiare, al punto da riuscire a farlo senza la paura che possa scappare. Ci sarà nel silenzio dinanzi ad un film dove l'unico rumore sarà quello dei pop corn sgranocchiati. Ci sarà in delle grasse risate in occasioni folli ed incredibilmente assurde.
Essere amica degli uomini non comporta implicazioni sentimentali ecco perchè il rischio di fuga si assottiglia. Lo metterai in chiaro dal principio che non dovrete mai vedervi sotto un diverso punto di vista. Ma laddove dovesse succedere vi sentirete colpevoli, come gli autori dei più efferati crimini. Quel patto di amicizia è stato violato, sebbene l'abbiate fatto inconsapevolmente, come qualcosa che man mano si accendeva in ogni gesto quotidiano, tra un sorriso e una lacrima, tra una parola e l'altra, mentre si sgranocchiavano pop corn in religioso silenzio dinanzi ad un film. Allora per non perdere tutto questo farete finta di niente. Per non sentirci soli saremmo in grado di fare qualsiasi cosa, anche amare in silenzio, rendendo mute urla che comprimeremo sino al tormento, bistrattando una parte di noi che nel fingere che non esista diventerà la nostra seconda vita, quella che nessuno a parte noi conoscerà. Perchè sebbene questo ci spinga al tormento, preferiamo un equilibrio precario, che vede tutti dentro e nessuno fuori, avere una metà piuttosto che niente. Dovremmo digerire di vedere quell'uomo che chiamiamo amico con una, con un'altra e un'altra ancora, dando consigli su come corteggiare una, un'altra e ancora un'altra. L'amica dell'uomo è oramai uno stereotipo e sebbene il ruolo possa assumere connotati diversi c'è una cosa che è comune: tendenzialmente l'amica dell'uomo è sola. A dire dell'uomo sarà la donna perfetta, quella donna forte abbastanza da mettere un uomo k.o., testarda, coraggiosa ma brillante, una donna estremamente coinvolgente di cui non si può non rimanere affascinati. Eppure quella donna è sola ed il pensiero di essere l'amica e la sorella che tutti vorrebbero le conferma la paura di non trovare mai braccia che possano offrirle un calore diverso da quello che si trasmette ad una sorella o ad un'amica.
Ma la verità è che abbiamo scelto di essere soli già nel momento in cui abbiamo assunto il ruolo dell'amica degli uomini. Quella ragazza modello, quella ragazza brillante che ha sempre il consiglio giusto a portata di mano, colei che è in grado di capire ogni suo singolo gesto. Ad un certo punto in un momento auto-celebrativo ti sentirai addirittura la donna giusta per quell'uomo, perchè in fondo altre al suo fianco come te non potrebbe averne. Ma la verità è che nonostante ti ricordi quanto sia bella, speciale, piena di vita, straordinaria in ciò che pensi e riesci a realizzare, sarai solo la sua amica. E quella lista dei pregi che ti si elencherà ogni volta diventerà per te un amaro contentino che comincerai a disprezzare, perchè in fondo è faticoso reggere il ruolo da amica modello, pronta ad offrirti una spalla, un rene o un polmone all'occorrenza, rimuovendo il pensiero che quell'amica modello è anzitutto una donna. E le donne si amano, soprattutto se a dire di quell'uomo saranno belle, brillanti e forti abbastanza, incredibilmente straordinarie da comprendere ogni singolo gesto. Quel ruolo che un tempo ti piaceva ma che poi avrai cominciato a sentir stretto. Quel ruolo che ti calza a pennello, che hai scelto quando vedevi cader giù come birilli quegli uomini con cui credevi di costruire un rapporto diverso, quel ruolo che credevi ti permettesse di non sentirti sola ed in effetti non lo sarai, mai. Non lo sarai eppure ti ci sentirai.
Ma nonostante tutto ti sarai convinta che questo è l'unico ruolo che ti si addice e forse va bene così.

venerdì 16 novembre 2012

Una metropolitana. Tante vite.

Un uomo sulla cinquantina. Una ragazza presumibilmente ventenne. Una donna anziana. Un ragazzo di colore con un borsone contenente merce di poco valore da vendere per sopravvivere.
Una metropolitana, uno dei massimi centri di aggregazione sociale, che vede ogni giorno e a qualsiasi ora entrare ed uscire persone dai vagoni, ciascuno con una propria storia da raccontare. Tante vite che si riuniscono in un piccolo spazio chiuso, per pochi minuti o un'intera tratta.
Un uomo sulla cinquantina intento a leggere il suo libro. Una ragazza presumibilmente ventenne che tenta sbuffando di sfogliare il manuale del suo prossimo esame. Una donna anziana con lo sguardo di chi torna dall'ennesimo accertamento ospedaliero ed intanto pensa a ciò che dovrà cucinare per il pranzo, per la cena ed anche per il giorno successivo, come fanno generalmente tutte le donne di una certa età. Un ragazzo di colore con gli occhi tristi che custodisce gelosamente un borsone contenente oggetti inutili e di scarso valore, ma che è la fonte della sua sussistenza. Successivamente entra una donna dalla folta capigliatura e dalla carnagione scura, indossando una camicia ed una minigonna che risalta le sue curve sinuose. Il volto totalmente plastificato, tipico di quelle donne che restano ancorate ad un tempo che però inesorabilmente scorre. Quelle donne che diventano di plastica perchè fanno fatica ad accettare che intanto la vita scorre, le rughe si moltiplicano e loro magari non avranno fatto niente di quello che sognavano in gioventù. Donne di plastica che saranno finte, che inganneranno gli occhi degli altri tranne di quelli più esperti, ma di certo non inganneranno il tempo. Quelle rughe potranno essere rimosse dal viso, ma dall'anima no, con quelle dovranno farci sempre i conti. 
Una donna ad ogni modo curata e dal bell'aspetto al punto da destare l'attenzione di tutti. In particolar modo dell'anziana donna che sarà stata invidiosa delle sue gambe e dell'uomo sulla cinquantina che tra una pagina e l'altra del suo libro alzava lo sguardo che inevitabilmente cadeva sulle gambe ed il fondoschiena della donna.
Quell'uomo di colore sedutomi accanto osservava il mio pacchetto appena comprato di Fruittella, che maneggiavo nervosamente mentre intanto tentavo nell'eroica impresa di sciogliere il groviglio di pensieri che porto sempre con me come chi porta a passeggio il suo cane. Fissa così tanto il pacchetto che scartatane una decido di offrirgliene una per poi regalargli l'intero pacchetto. Perchè quel pacchetto di Fruittella sarà stato anche un anti-stress per me, un modo dolce per digerire i pensieri, ma per quell'uomo dagli occhi tristi sarà stato un modo per capire che in fondo non è solo un mendicante, ma un uomo normale a cui gli si può offrire una caramella o più di una. Quegli occhi non erano meno tristi, ma sicuramente riconoscenti. Perchè il punto è che se facessimo anche solo un gesto al giorno di "solidarietà" verso un'altra persona, saremo tutti più felici. Perchè non è solo il cuore dell'altro a riempirsi di riconoscenza, ma anche il nostro. Ma purtroppo la nostra noncuranza verso chi ci è accanto e l'esagerata avidità ci rende protagonisti o spettatori di gesti impietosi, oltremodo imbarazzanti, come la sfrontatezza di una donna sulla quarantina che occupa un posto sul vagone per la nipote ventenne impedendo ad un signore anziano munito di bastone di sedersi, quasi come a dimostrare che l'educazione si è probabilmente fermata ai nostri nonni, e che se noi giovani difettiamo di educazione, di senso di solidarietà e rispetto è forse perchè abbiamo avuto pessimi insegnanti e pochi buoni esempi o addirittura nessuno. Se fossimo in grado di fare un buon gesto verso anche una sola persona ogni giorno, regaleremmo un sorriso a qualcuno e anche a noi stessi. Invece accecati dal menefreghismo spesso siamo in grado di offrire solo una lacrima. Una lacrima che potrà anche non solcare necessariamente il viso. Effettivamente quell'anziano con il bastone non l'ho visto piangere, ma ho immaginato che fosse il suo cuore a versare lacrime.
Una metropolitana in cui ascolti racconti di ogni tipo o semplicemente immagini pensieri. Non è stato difficile immaginare il pensiero di quell'uomo sulla cinquantina alla vista di quella donna dal viso plastificato, a lui sconosciuto perchè in effetti era di spalle e forse ha preferito immaginarla così.
Un groviglio di vite assuefatte o esageratamente stimolanti. Vite regolari o particolarmente folli. Vite felici o vite tristi. La metropolitana è il rumore o il silenzio di tutte queste vite, di parole raccontate, di pensieri immaginati tra il cigolio delle rotaie che ricorda che il vagone ci aspetta.

mercoledì 14 novembre 2012

Tu sei esattamente dietro la paura.

Viviamo di due chiacchiere davanti ad un caffè e di quattro passi.
Viviamo di se e ma, di magari, di forse, di non so.
Viviamo di approssimazioni perchè il definirci ci fa paura. 
Allora preferiamo due chiacchiere e quattro passi davanti ad un caffè di un bar del centro o di periferia perchè quello è l'unico modo che conosciamo per approcciarci a qualcuno. E' un modo che sterilizza un equilibrio precario che non comporta alcun rischio, perchè potremmo dire in ogni momento che in fondo era solo un caffè, si trattava solo di due chiacchiere e quattro passi. Siamo in qualcosa da cui potremmo uscire in ogni momento e senza troppe complicazioni, perchè siamo dentro ma non fino in fondo.
Abbiamo timore di raccontare certezze, a noi quanto agli altri. Allora riempiamo le frasi di ma, di se, di forse e può darsi e alla domanda di qualcheduno che avrà capito che il nostro è un vano tentativo di nascondere verità che fingiamo non esistano rispondiamo "Non so". 
Approssimiamo qualsiasi cosa. Approssimiamo un impegno importante, un dolce appuntamento, intere relazioni. Intere relazioni vissute approssimativamente fra se, ma, magari, può darsi e non so. Relazioni così approssimative che finiscono per donarci poco eppure quando finiscono saremo delusi. Una delusione che scaturirà più che dalla rottura, forse proprio dall'avere un'idea approssimativa dell'altro che finisce per proiettarsi su di noi. Approssimiamo anche noi stessi. Non siamo mai in grado di dare risposte esaustive, di restare in silenzio per qualche minuto ad ascoltarci, ad assaporare la profondità di quelle verità che fingiamo di non conoscere ma che in realtà pullulano dentro di noi come fossero urla che rimbombando in delle fitte caverne generano echi dall'insolita intensità. Non siamo mai in grado di mandare all'aria le due chiacchiere e i quattro passi e decidere di farne qualcuno in più se è quello che sentiamo veramente. Non siamo in grado di definirci per paura di rischiare tuffi nel vuoto che possano scaraventarci sull'asfalto. Non siamo in grado di non ragionare per approssimazioni, perchè forse l'esperienza ci ricorda che quando abbiamo rischiato tutto in un lavoro, in un'amicizia, in un passo giudicato importante, in un amore che credevamo eterno, tutto è stato considerato da altri approssimativo. Allora forse abbiamo cominciato a farlo anche noi. Abbiamo cominciato ad essere gli unici conoscitori del nostro stato, dei nostri pensieri ed anche delle nostre passioni. Abbiamo imparato a rispondere alla domanda "come stai" semplicemente con un "tutto bene, grazie", nonostante talvolta in quel tutto ci sia niente, in quel bene ci sia male, in quel grazie ci sia "a nessuno importa". Ma l'interlocutore spesso se lo farà bastare. Spesso sarà uno come tanti che vive di approssimazioni. Allora ad un disinteressato ciao, come stai, non può che aspettarsi un disimpegnato tutto bene grazie, perchè in fondo sebbene vorresti urlargli la verità probabilmente non riuscirebbe a comprenderla.
Ma vivere di approssimazioni ci rende piccoli pezzi che spesso non riusciranno a coordinarsi. Ci rende asettici ed indefiniti. Quindi forse prima di continuare a vivere nell'approssimazione di noi e dell'altro, tra sogni e passioni che restano muti, tra le due chiacchiere ed i quattro passi che racconteranno di un numero indecifrato di se, ma, magari e può darsi, dovremmo fermarci e capire cosa rischieremo nel definirci troppo. La verità è che l'unico rischio è di apparire completamente noi stessi, con la nostra fragile nudità che ci imbarazzerà, che ci renderà più esposti al rischio di delusioni forse, ma quella fragilità così nuda e così umana sarà vera, e quel rischio potrebbe condurci tanto ad una delusione quanto invece ad una vittoria. Se non ci mettiamo in discussione, se non diamo aria ai nostri pensieri, se non facciamo scoppiare il nostro cuore come palloncini, non lo sapremo mai. E rimarremmo lì, in quel bar del centro a fare quattro chiacchiere, a fingere di star bene nonostante il proferire di parole rigidamente programmate ma non sentite, ma perchè? Per paura. Paura di cosa? Di soffrire, di star male, di rimanere delusi? No, questo è secondario. Abbiamo paura della paura stessa. E' questo il più grande paradosso. Paura di quanta paura faccia l'essere messi nudi e fragili dinanzi al nostro essere. Ma che senso ha aver timore di qualcosa che fa parte oramai di noi e che non possiamo scacciare? Paura di amare, paura di restare in silenzio e che sia il nostro cuore a parlare a qualcuno, paura di fare progetti che temiamo siano avventati o semplicemente troppo grandi per noi. Paura di un tuffo nel vuoto. Paura di mettere in discussione una vita che ci sta stretta. Paura di capovolgere i piani e ricominciare da capo. Paura. Ma tu dove sei? Tu sei esattamente dietro la paura. Perchè sebbene la paura ti si anteporrà fingendo che tutto quello che temi non esista, in realtà sarà sempre con te, come cartoni sigillati messi in un angolo ad aspettare. Ed in questo conflitto tra ciò che c'è in quei cartoni e ciò che ti impedisce di aprirli prima o poi dovrai decidere sul da farsi, cosa vuoi scacciare. Ma il punto è che quello che hai depositato in quei cartoni sigillati non potrà mai essere scacciato, sebbene te ne convincerai, quei cartoni saranno sempre lì a reclamare la loro apertura. Ma la paura sì, quella la si può scacciare. Allora vinta la paura, scaraventata sull'asfalto, pestata per far sì che non possa più prendere il sopravvento, ci sarai tu con il tuo amore, il tuo cuore che batte, i tuoi grandi progetti, la tua incantevole passione.
Scacciata la perfida nemica rimani tu. Dopo di che, vola!

martedì 13 novembre 2012

Tra un inizio e una fine c'è una vita.

Si dice che ciascuno abbia una sola vita.
Ognuno di noi nasce. Cresce. Da bambino diventa adolescente. Da adolescente diventa ragazzo. Da ragazzo diventa adulto sino a diventare anziano per poi spegnersi.
Ognuno di noi ha una sola vita, per questa si invita a non sprecarla.
Ma il lungo processo che dalla nascita porta alla morte io non la chiamo vita, ma esistenza.
L'esistenza è unica, le vite possono essere tante come non esserci affatto.
Viviamo ogni volta che siamo posti dinanzi ad un nuovo inizio. Un inizio che sarà come una nascita. Tutto inizia con la rottura delle acque che sarà come quel qualcosa che decideremo di rompere o che si romperà non per nostra volontà. Quel che conta è che oramai qualcosa si sarà rotto. Si rompe un legame di amicizia, un amore, un rapporto lavorativo. Si rompono gli schemi in cui ci saremo quotidianamente imprigionati. Si rompono idee, sogni spazzati via dall'alta marea, programmi che d'un tratto perderanno la loro stabilità. Anche la speranza, anche quella si rompe. Allora quando si rompe tutto questo ci sarà l'esigenza di ripartire da zero, cominciare da un punto di partenza diverso dal precedente. Dovremo iniziare una nuova vita. Dovremo rinascere. Non sarà facile. Le nascite sono belle ma dolorose, accompagnate da strilli quasi ancestrali e continue spinte. Talvolta nonostante gli sforzi faticheremo ad uscire. Ma il tutto si calmerà con la voce dell'ostetrica che dirà "E' nato". Ce l'abbiamo fatta. Siamo nati. Avremo un nuovo amico, un nuovo lavoro, un nuovo amore. Ci saremo liberati dalla routine che quotidianamente ci rendeva schiavi. Siamo finalmente anime libere che hanno riconquistato passione e speranza. Allora cavalcheremo l'onda, quell'onda che ci terrà al riparo dalle intemperie, quella stessa onda che talvolta ci farà cadere.
Ma quando cadiamo e riusciamo a ricavalcare la stessa onda che ci aveva condotto sul fondale o anche una diversa, viviamo. Anche questa rappresenta una nuova vita.
Come è vita il fallimento. Spesso capita di attribuire al fallimento un'accezione negativa, ma non è sempre così. Spesso ci sono cose o persone che ci ricordano quanto siamo stati bravi o quanto invece abbiamo fallito. Ma nel momento stesso in cui falliamo sottovalutiamo che intanto abbiamo vinto una cosa importante: una nuova vita. Perchè non è esatto dire che ad una fine seguirà un inizio, è la fine ad essere allo stesso tempo un inizio. Ma spesso non ce ne accorgiamo perchè troppo chiusi nel dolore per quella fine che speravamo non arrivasse mai. Ed invece nel frattempo, quando pensavamo di aver solo fallito, in realtà stavamo vincendo. Stavamo vincendo una nuova vita. Una delle poche o delle tante altre da includere nella nostra esistenza. Non si può conteggiare a priori quanti inizi e quante fini avremo, quante volte saremmo costretti a morire per poi rinascere. C'è chi lo fa di continuo senza accontentarsi mai. C'è chi lo fa solo se messo alle strette. C'è chi addirittura non l'ha mai fatto. Non ha mai sofferto, nè gioito abbastanza. Non ha mai avuto delusioni, fallimenti, nè appaganti vittorie. Ha vissuto passivamente ciò che per strada gli capitava come preda di eventi di cui non si è mai domandato il come ed il perchè. Esiste, ma non vive.
Allora forse la cosa importante non è quante vite riusciremo ad inserire il quel lungo processo chiamato esistenza, ma il modo in cui lo faremo. Dovremmo cercare di riempire sempre ogni spazio vuoto, di far coincidere ogni fine con un nuovo inizio. Così avremo vite, non intervallate mai da sterili esistenze. Cicli da raccontare, cicli che comporranno un pezzo di noi. 
Ed ogni ciclo, anche quello apparentemente insignificante, servirà a spiegare quello seguente.
Perchè tra un inizio e una fine si comporrà una vita.

lunedì 12 novembre 2012

Elogio a chi resta e lascia andar via.

" C'era una volta un musicista. Era pallido in volto, emaciato, longilineo, dall'aspetto trasandato. Non gli importava cosa la gente potesse dire della sua apparenza, ma gli interessava soltanto colpire per il suo talento. Suonava il violino, l'unica fonte di sollievo. Era come se il vibrare di quelle corde lo trasportasse in una dimensione irreale. D'un tratto il suo volto diveniva di un improvviso rossore. Al suono di quello strumento era come se il suo essere trasandato, uomo di strada e dal destino incerto non importasse più a nessuno. In piedi, in posizione eretta, al vibrare di quelle corde incantava chiunque si trovasse a passare, in una stazione, su un marciapiede, in un qualche angolo di strada. Quel suono era così dolce, intenso, magnetico che non poteva far altro che attrarre i passanti. Alla fine avrebbe guardato il cappello capovolto e avrebbe contato solo pochi spiccioli, o qualcosa in più. Tutto dipendeva dalla giornata. Ma a lui non importava. Interessava soltanto sentirsi come solo il suono del suo violino lo faceva sentire, anche in una fredda e piovosa giornata dove raro era il passaggio di qualcheduno che per spirito di solidarietà avrebbe onorato il suo talento con qualche misero spicciolo. Lui ed il suo violino erano una cosa sola. Quell'uomo non avrebbe mai immaginato la sua vita senza il suo violino che portava sempre con sé. Lo abbracciava durante la notte, soprattutto quelle più fredde quando l'involucro del cartone in cui si trovava a passare la notte non bastava a causa del freddo così pungente da perforargli le ossa, eppure quel violino gli emanava calore. 
Ma una mattina si svegliò e non trovò più accanto il suo violino. Lo cercò ovunque ma sembrava quasi essersi dissolto. Quel giorno il suo volto appariva ancor più pallido del solito. Quanta tristezza in quegli occhi. Quanta rabbia mista a dolore vomitò. Quel violino, l'unica fonte del suo sollievo, quel violino che lo aiutava a superare le nottate più fredde, quel violino con cui componeva le melodie più dolci e poetiche mai sentite, quel violino che era fonte del suo sostentamento, non c'era più. E mentre vomitava dolore si sentiva niente. 
Quell'uomo adesso era solo, con lo sguardo perso nel vuoto. Ma d'un tratto decise di asciugare le lacrime che scorrevano sul suo volto e con la dignità di chi sa cosa significa perdere tutto e ricominciare da capo decise di andare comunque incontro alla folla, pur essendo sprovvisto del suo strumento.
Si dice che quel giorno sia avvenuto qualcosa di straordinario. Lui che non aveva mai proferito parola se non al suo violino cominciò a recitare poesie. E si dice che ancora lo faccia racimolando qualche misero spicciolo perchè con il suono delle sue parole riesce ad attirare comunque i passanti. Quelle poesie sono come urla di dolore verso un passato che non può più tornare. Poesie intrise di una vena malinconica che racconta di un amore e di una passione che sebbene non ci possano più essere, nel cuore scalpitano e sono ancora vivi come il primo giorno. Poesie che raccontano di un uomo che nonostante tutto ha avuto voglia di ricominciare da capo non avendo niente, se non se stesso. E si dice che oggi sia ancora lì ad incantare i passanti. "

Lasciar andare è la cosa più dolorosa che un uomo possa fare. Eppure in certi momenti è chiamato a farlo. Sarà la presenza fisica a mancarci più di tutto. Talvolta ci ostiniamo a conservare le cose a cui teniamo in uno scrigno per evitare che queste si lascino trasportare dalla forza del vento, andando via da noi. Ma spesso capita che certe cose non possono essere custodite perchè scopriremo, aprendo lo scrigno, che intanto si sono seccate, mancando di quella lucentezza che le rendeva speciali ai nostri occhi. Forse se non fossimo stati così egoisti, se avessimo lasciato che quelle cose fossero trascinate dalla forza del vento, quella lucentezza non l'avrebbero persa e noi le avremmo ricordate per sempre così. Perchè era ricordarle in quel modo che le rendeva così speciali ai nostri occhi al punto da volerle preservare a tutti i costi e vomitare dolore per la loro assenza. C'è un momento in cui l'uomo deve dimostrare la sua capacità di amare. C'è un momento in cui l'uomo è chiamato ad essere tale. C'è un momento in cui non dovrai dimostrare di essere forte agli altri, ma maturo abbastanza per te stesso. C'è un momento in cui dovrai lasciar andare piangendo lacrime amare, avvertendo una mancanza che a tratti ti renderà vuoto. Non si parla di fare la cosa giusta. E' sempre ingiusta una mancanza, ingiusto il dolore che vomiteremo, ingiuste quelle lacrime che ci solcheranno il viso. Ma sarà umano. 
Allora come quel musicista ha cominciato a recitare poesie mantenendo il dolce ricordo del suo violino nel cuore, così dovremmo fare anche noi. Ricominciare dal niente per ricostruire tutto, ammettendo che quella mancanza non sparirà mai, albergherà sempre dentro di noi. Ciò che per amore, devozione, premura riusciremo a lasciare andar via resterà con noi e forse grazie alla sua lucentezza mantenuta, grazie al fatto che non si sia seccata, ritornerà. 
Sarà il tempo a dircelo. Quel tempo che apparirà come una scatola vuota all'inizio, ma che andando avanti si riempirà di risposte a quelle domande che inizialmente sembravano tormentarci come un disco rotto.
Quel tempo che attutirà la mancanza lasciandone sempre l'alone, come il violino per quell'uomo. 
Ma quel ricordo, così intenso e nitido, ci regalerà sempre un sorriso. Quel ricordo sarà come una bella nota tra tante insignificanti o addirittura stonate. E dovremmo solo ricordarci di quanto siamo stati fortunati ad ascoltare il suono di quella nota, che riesce a renderci vivi anche solo con il suo ricordo. E' questo il senso dell'eternità, forse.

sabato 10 novembre 2012

Una fotografia. Un posto nel mondo.

Questa foto non è soltanto una foto. 
Se fosse così vedremmo solo due piccioni "beccarsi" su una ringhiera. La Torre Eiffel sullo sfondo. 
Ma come tutti i prodotti di un artista, che sia un film, una danza, una canzone, un romanzo, anche una semplice fotografia, racconta qualcosa che va al di là di due piccioni che si beccano su una ringhiera parigina e la Torre Eiffel sullo sfondo. E' il trionfo di un'unione perfetta.
Racconta di quanto sia bella la semplicità di un gesto. Di quanta bellezza ci si in due corpi che si uniscono come se tutto il resto non contasse. E' come se i piccioni rappresentassero due amanti che si sono cercati a lungo per poi ritrovarsi su di un'insolita ringhiera. Racconta di due amanti a cui è bastato avvicinarsi per fermare il tempo che inesorabilmente scorre. Eppure la loro unione è così ferma, così voluta, così semplice, così genuina, che è come se il tempo si fosse fermato. Il tempo in uno scatto si è fermato.
Racconta di un piccione dalle piume bianche ed uno dalle piume più scure che nonostante la diversità si dicono con una vicinanza quasi simbiotica nonostante manchi la perfetta unione dei corpi quanto siano stati fortunati a ritrovarsi, e quanta voglia abbiano di amarsi. C'è un punto nel mondo in cui qualcuno incontra qualcun'altro e si assiste al ritrovamento di due anime perdute, diverse ma così vicine, che non potranno fare a meno di godere della loro bellezza riflessa nella luce e nello sguardo dell'altro. Esiste un posto nel mondo dove due anime perdute si incontreranno e capiranno il perchè si siano sempre sentiti persi e sbagliati per chi giungeva nella loro vita per poi andar via girando le spalle. Lo capiranno nel momento in cui si guarderanno negli occhi perchè avvertiranno una sensazione di pace e di pienezza. Allora si uniranno, in un bacio, in una carezza o in un semplice sguardo. Si beccheranno come questi due piccioni, trovandosi esattamente sotto la Torre Eiffel, nella città più romantica al mondo. Ma non l'hanno fatto apposta. Questa non è una perfezione voluta e studiata nel dettaglio. Questa perfezione è venuta così, spontaneamente. In questa foto non c'è la Torre Eiffel e lì un angolo come un minuzioso dettaglio due piccioni che si baciano, ma ci sono due piccioni che si baciano e la Torre Eiffel che fa semplicemente da cornice a quest'unione. 
C'è un posto nel mondo in cui due anime si ritroveranno in una sincronia, in una complicità quasi imbarazzante, in un'unione così perfetta da sembrare studiata. 
Quelle anime perdute sono perfette e lo sono al punto tale da rendere perfetto lo scatto, perfetta la collocazione, perfetti i colori di quella che in fondo è semplicemente una fotografia. 
C'è un posto nel mondo che aspetta l'incontro di due anime perfette. E quando queste si incontreranno si troveranno nella città più romantica al mondo, in una posizione perfetta, esattamente sotto la Torre Eiffel, pur trovandosi altrove. Perchè la perfezione è data da quei corpi che si uniscono, in maniera dolce, candida, genuina, nemmeno troppo vicini, per paura di scoprirsi troppo. Saranno sempre lì, in quel posto del mondo, in quel posto perfetto, che sarà solo una perfetta cornice a quell'unione perfetta che da sola sarebbe già bastata, che renderà solo più scenografico il ritrovamento di due anime perdute che insieme raggiungeranno la perfezione.
Lì, in quel posto nel mondo, gli orologi si fermeranno per dar tempo a due anime perdute di ritrovarsi per poi unirsi in quell'immacolata perfezione.