domenica 17 novembre 2024
La vigilia delle vigilie
giovedì 7 dicembre 2023
Città come persone
sabato 12 febbraio 2022
Bisogna avere il coraggio di essere fragili
L’ho fatto di nuovo, solo che questa volta ho deciso di prendermi del tempo prima di rimpiazzarle.
Le posiziono sempre in vari angoli della casa. Alcune su di un mobile accanto alla finestra, per far sí che l’aria fresca e qualche raggio di sole possa tenerle in vita. Le innaffio, non quotidianamente, ma quanto basta, affinché non si dimentichino di avere qualcuno che si prenda cura di loro.
Oggi le guardavo appassire, e ho pensato che fosse troppo tardi per recuperarle. Non ne avevo voglia, senza avvertire alcun tipo di pentimento.
E ho pensato anche a quanto tutto questo rappresentasse in pieno come mi sento.
Ho lasciato che le vicissitudini mi assorbissero al punto da pensare di non avere più tempo per me, per scrivere, per inventare, per fare, insomma, tutte quelle cose che mi hanno sempre fatto sentire viva.
Ho lasciato che certe cose appassissero e ho avuto paura di gettarle via.
Le ho posizionate altrove, sperando che nascondendole tra i mostri che ognuno si porta dentro, me compresa, si facessero compagnia senza fare troppo rumore, né esigere mai il palcoscenico.
Ho continuato a prendermene cura, innaffiandole, forse più del dovuto, pensando sempre che a me spettasse questo ruolo di quella che c’è sempre, a qualunque costo, e per chiunque. Quella che davanti a qualcosa o qualcuno che ti svuota, accenna un sorriso di circostanza e va avanti, immaginando che quel vuoto possa colmarsi da solo, o magari, sia solo frutto di decisioni sbagliate, di castelli di sabbia destinati a sgretolarsi, di pensieri che non poggiano su convinzioni reali.
Ho sempre creduto che fossero le mie piante ad avere bisogno di me.
Mi affannavo pur di non lasciarle morire, per quel senso di responsabilità che mi cucio addosso ogni volta, facendo sí che mi caschi a pennello.
Poi ho letto da qualche parte che bisogna avere il coraggio di essere fragili.
Mi sono chiesta cosa significasse e se stessi mostrando, a me stessa, di averlo questo coraggio.
Ho pensato che il modo migliore che avessi per dimostrarlo, a me stessa, fosse mettere tutto nero su bianco e lasciarmi andare, come l’acqua che scorre e che anche di fronte ad un ostacolo trova sempre una via alternativa per non arrestare il suo flusso.
Ho scritto meno perché scrivere per me ha sempre significato dare forma alle proprie fragilità.
Dar loro un volto dai tratti angelici, a volte spigolosi. Disegnarne i corpi, associarle ad un profumo, ad una canzone come fosse una preghiera che la mente, da sola, non smette di recitare. Dar loro un nome, come fosse un’etichetta per riconoscerle tra tante.
“Bisogna avere il coraggio di essere fragili,” – l’ho letto e riletto mille volte.
“E non fa niente se diamo a tanti l’illusione del bersaglio facile, se mostriamo quella crepa che gli altri possono allargare,” – il testo continuava.
Così, tra una pausa e l’altra, ho capito che io questo coraggio ce l’ho, l’ho sempre avuto, non l’ho mai nascosto. Tutto quello che ho fatto è stato semplicemente adattarmi ad un ambiente in cui mostrarsi fragili equivale all’essere deboli, farsi trovare in affanno significa disordine, mostrare una crepa significa diventare un bersaglio facile.
Invece io ho proprio bisogno di sentirmi fragile.
Di entrare in contatto con tutte le mie debolezze, prenderle per mano e andarci a fare una passeggiata.
Ho bisogno di mostrare le crepe, tutte quelle che ho, perché me le sono conquistate e mi permettono di essere quella che sono.
Le crepe sono storie da raccontare, con un finale ancora da scrivere, o a cui si è già messo un punto. Sono un apostrofo, tra una consonante e una vocale, che unisce tasselli che non avrebbero trovato altro modo per proseguire. Mi piacciono per quella loro innata propensione ad unire e lasciare, allo stesso tempo, la libertà di decidere se fare un salto nel vuoto, o salire sul ponte. Mi piacciono perché sono libere, autentiche, senza menzogne, né ambiguità.
Ho sempre provato una sorta di reticenza nel farmi trovare in disordine, in debito d’ossigeno, in fuorigioco, in ritardo rispetto certi ritmi, lontana dalla gente, dai miei porti sicuri, persa.
La stessa reticenza l’ho trasmessa alle mie piante. Non mi sono mai arresa.
Però oggi osservarle mi ha fatto capire di quanto fossi io ad avere bisogno di vederle appassire per capire che per quanto la fatica non ci lasci dormire, bisogna accettare che certi ambienti non sono fatti per lasciarci sbocciare. Bisogna comprendere che non tutto ció che accade è a noi destinato, ma che talvolta si tratti di ponti che ci aiutano a traghettarci al versante opposto da quello in cui ci troviamo.
Comprerò nuove piante, ma questa volta diverse.
Mi prenderò del tempo, per prendermi cura delle mie crepe, non solo di quelle degli altri.
Mi prenderò del tempo per capire a chi destinarle, perché gli unici destinatari meritevoli sono quelli che a vederle non avvertono alcun disagio. Sono quelli che ti prendono per mano, e insieme alle tue crepe, ti portano a vedere il mare. Sono quelli che in questo coraggio vedono forza. Quelli che se sei in affanno, rallentano, insieme a te. Quelli che se sei in disordine, ti invitano a sederti perché a mettere un po’ di ordine ci pensano loro. Quelli per cui non sarai mai un bersaglio facile, ma una conquista inaspettata, perché in quegli occhi si rivedono più umani.
Tutto il resto non conta. Sono piante destinate ad appassire.
Non c’è bisogno di alcun cenno di pentimento.
Lo sapevano già anche loro. Non le avresti mai salvate da loro stesse.
Possiamo salvare solo noi stessi, ma ci vuole coraggio. Quello di essere fragili.
martedì 9 novembre 2021
Alle 8:40
lunedì 21 dicembre 2020
Spezzare
sabato 14 novembre 2020
Gettarsi nel mondo
martedì 6 ottobre 2020
Come un telo da mare
Ogni cosa gode dei suoi tempi.
Sa già dove e quando deve essere conservata.
Come tante altre, sanno già che prima o poi dovranno essere gettate via.
Non sono brava a disfarmi delle cose, mi ripeto spesso che molte potrebbero tornarmi utili, prima o poi. Ma questa volta ho deciso di conservare solo il telo da mare e tutto quello che gli rassomiglia, ovvero tutto ciò che basta semplicemente scuotere dopo l’utilizzo per rimuovere ogni granello di sabbia che potrebbe appiccicarsi alla schiena la volta dopo.
Ho pensato di conservare cose così, quelle che richiedono cura ed energia, ma mai in eccesso, rispettando i miei spazi ed i miei tempi.
Ho deciso di fare lo stesso con le persone, tenendo per mano solo chi, con uno sguardo attento e mai una parola di troppo, ha la capacità di trasformare la pioggia battente in arcobaleno, una brutta giornata in un’altra più serena, un terreno arido in uno in cui si possa concimare ed aspettare la bella stagione per la raccolta.
Seguendo questo principio, sono tante le cose da gettar via, più di quelle che immaginassi.
Come le pillole per dormire che adesso non mi servono più, perché ho imparato a respirare lentamente, a non correre, a non aspettarmi nulla da un futuro di per sé incerto, ma a fare un passo alla volta e a seminare, con pazienza, ciò che un giorno mi piacerebbe raccogliere, senza ansia da prestazione.
Ho fatto lo stesso con qualche ricordo diventato troppo ingombrante.
Anniversari che al solo pensiero ti fanno star male.
Fogli di carta su cui un tempo scrivevi delle cose che basta rileggere per capire che adesso sei cambiata rispetto a qualche tempo fa.
Con le persone ho deciso di fare più o meno lo stesso.
Ho scelto di allontanare quelle che non sanno respirare lentamente prima di rivolgerti parola.
Quelle che aspettano già al traguardo, ma a correre o passeggiare insieme a me non ci hanno mai minimamente pensato.
Quelle che non sono in grado di prendersi cura del proprio terreno e quindi nemmeno dell’altro, perché da quella terra non spunterà alcun bocciolo.
Quelli ingombranti, che ti rendono la vita un luna park senza alcun divertimento ma solo capriole e luci al neon che dopo un po’ ti danno la nausea.
Quelli che non lasciano che tu cresca, mettendo in luce la parte migliore di te, ma solo quella che non vorresti mai essere.
Mi piacciono le cose come le persone che come un telo da mare porti con te al braccio fino alla spiaggia, e che pur sgualcendosi nel corso della giornata, saranno sempre quelle di cui non potrai fare a meno.
Quelle a cui basterà una scossa o una folata di vento per ripulirle.
Quelle che ti ricordano il mare e lasciano che tu sia esattamente come lui, infinito.
Mi preparo ad un autunno diverso rispetto a quello dello scorso anno, fatto di alberi spogli da rivestire e foglie secche tutte da colorare, di volti opachi da allontanare, di esperienze da imballare in scatoloni che non dovranno essere più riaperti, di anime spente cui comunicare che il tuo lavoro è terminato per poterti prendere cura di te stessa e della tua luce che non dovrà spegnersi mai, a qualsiasi condizione.
Così mi godrò l’autunno senza aspettare l’inverno e l’inverno senza aspettare il profumo dei fiori freschi di primavera. E godrò questi ultimi senza fremere per l’arrivo di una nuova estate.
Ho già soltanto una certezza sino ad allora: che con le infradito malconce, in pantaloncini e canottiera, correrò sino a raggiungere il bagnasciuga. Una volta lì, scuoterò il telo e mi metterò a respirare, lentamente, come sto imparando a fare.