Dove sono nata e cresciuta offrire del cibo non è un gesto qualunque: lo si fa con i propri cari per ricordare loro che li vogliamo bene. È un gesto silenzioso che rende qualsiasi altra frase ingombrante.
Solo lei forse sa quanto mi sia costato aprirlo, per paura di doverlo finire tutto nel giro di poco tempo.
Quel barattolo pieno mi è sempre servito per aprire il frigorifero e vedere che era ancora lì, intatto. Come se volessi trattenerla nel sapore di una confettura di fichi senza mai assaporarla, per timore che un giorno, con l’ultimo cucchiaio, avrei dovuto lasciarla andare sul serio.
Credo che questo abbia a che fare con la mia paura verso le cose che finiscono: cose e persone, esperienze e momenti di vita, amori e amicizie. Quest’anno, a tratti, ho avvertito questa paura come fosse un gatto che d’un tratto ti sale sul letto mentre stai dormendo e, nel buio, non lo vedi: ne senti solo la presenza, perché ti cammina addosso come un equilibrista.
Sono stati molti i momenti di silenzio. Ed è in quelli che ho capito qualcosa di importante: il modo in cui gli oggetti diventano contenitori di presenza, di memoria, di ciò che non vogliamo lasciar andare. E il modo in cui le paure spesso arrivano prima degli eventi, vivendo dentro di noi molto più a lungo di quanto sarebbe necessario.
Per molte cose, la parola fine l’avevo già scritta da tempo, ma avevo paura di leggerla a voce alta: temevo che così la fine sarebbe diventata reale, e che non avrei più potuto scappare.
Eppure mi sono sentita meglio quando, mettendo un punto, ho capito che non devo avere paura delle fini, perché anche quando ci sembreranno lontani, ci saranno sempre nuovi inizi. E che quando lasciamo andare qualcuno o qualcosa che conta, ci sarà sempre una parte di loro dentro di noi, dentro ciò che facciamo e perfino in ciò che pensiamo senza pensarci davvero.
È così che ho capito che l’immagine di mia nonna è diventata più grande di quel gesto: è la forza che mi accompagna, che mi ha insegnato un modo di amare che non trattiene, ma che lascia dentro.
Ed è per questo che alla fine ho aperto il barattolo di marmellata: per mettere un ultimo punto. Per dirle che ce l’ho fatta a non avere più paura: dei punti e a capo, delle fini, e degli addii silenziosi.